giovedì 3 gennaio 2013

eucaristia

·        LA DEGRADAZIONE EUCARISTICA

 
Giotto. Gesù scaccia i mercanti dal Tempio
In questi ultimi decenni la ristrutturazione del cattolicesimo è proseguita a passi da gigante, co­me è documenta Romano Amerio nel suo colto Iota Unum (Riccardo Ricciardi Editore). Dopo numerosi colpi di fendente verso la sana teologia, verso i principi dell'etica cristiana, verso le svariate forme di devozione (senza che queste venissero sosti­tuite da nulla di meglio), si sta proseguendo verso la demolizio­ne dell'ultimo baluardo della cri­stianità: l'Eucaristia. Già negli ul­timi tempi, mentre alacremente si lavorava per allontanare dalle chiese statue della Madonna e confessionali, qualcuno rispon­deva: il prossimo trasloco riguar­derà il tabernacolo. E anche se ci veniva promesso che ciò non sa­rebbe successo mai, ora stiamo assistendo proprio a questo. Dopo la smobilitazione del culto mariano (ritenuto poco ecumeni­co), e dopo la smobilitazione del sacramento della Riconciliazione (vedere un confessionale aperto è diventato raro quanto vedere un prete che si confessi), siamo pas­sati alla smobilitazione dell'Euca­ristia in tutte le sue varie forme: annacquamento della teologia eucaristica (con svalutazione del­la transustanziazione e della Presenza reale), dileguo del­l'Adorazione, degradazione del sacro, deviazioni e abusi, tanto che già Amerio ebbe a scrivere: "La degradazione dell'Eucaristia, che è il fenomeno più imponente della Chiesa contemporanea, è in ultima analisi un effetto della desostanzia­lizzazione e conseguente soggettiva­zione del mistero" (cfr. op. cit., pp. 496-513). Oggi il triste feno­meno sta proseguendo: ai bambi­ni del catechismo viene sempre meno insegnata la genuflessione davanti al Santissimo, e a volte li si coglie a ritornare verso le pan­che giocherellando con la partico­la fra le dita; spesso pezzi di ostia consacrata cadono durante la di­stribuzione e vengono calpestati da ignari fedeli perché non si usa più né velo né piattino; il silenzio necessario al dialogo interiore do­po la Comunione viene disprez­zato dalla lettura degli avvisi; fi­no al triste spettacolo dell'emar­ginazione dei tabernacoli. Dopo l'abolizione dei troni eucaristici e dei cibori, l'architettura delle nuo­ve chiese ha sempre più decentra­lizzato il tabernacolo, che viene spostato lateralmente o addirittu­ra trasferito in stanzette separate dalla chiesa come nella Par­rocchia di S. Bernadetta a Milano (in altre, inermi sacerdoti hanno dovuto combattere inutilmente contro architetti "istruiti dall'al­to" che operavano con la scusa di lavori di ristrutturazione). Dinanzi allo smarrimento dei fe­deli che spesso non sanno più verso dove inginocchiarsi, o dei visitatori di passaggio che chie­dono ai sacrestani se trattasi di chiese protestanti, o dei celebran­ti venuti da fuori che cercano di­speratamente ove riporre le ostie consacrate avanzate al termine della Messa, si risponde che or­mai il codice liturgico lo consente. Francamente questo non risulta. Ricordiamo anzi che il Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei testi legislativi è già interve­nuto sulla questione (cfr. Avvenire del 9 luglio '99) con una nota esplicativa, passata in sordina, ove non solo è ribadita la scomu­nica latae sententiae (vale a dire senza bisogno del pronunciamen­to di un vescovo) per chi compie atti di grave disprezzo verso l'Eu­caristia, ma al tempo stesso si rac­comanda "che qualsiasi sciatteria o trascuratezza, segno di diminuita consapevolezza della presenza euca­ristica, sia bandita accuratamente dal comportamento dei sacri ministri e dei fedeli. Anzi appare necessario che nella nostra epoca, caratterizzata dalla fretta anche nel rapporto perso­nale con Dio, la catechesi riconduca il popolo cristiano al completo culto eucaristico, che non si riduce alla partecipazione alla Santa Messa co­municando con le dovute disposizio­ni, ma comprende anche la frequente adorazione, personale e comunitaria, del Santissimo Sacramento, e la cura amorosa perché il tabernacolo, in cui si conserva l'Eucaristia, sia collocato in un altare o luogo della chiesa ben visibile, davvero nobile e debitamente ornato, in modo da costituire il cen­tro d'attrazione d'ogni cuore inna­morato di Cristo". Stefano Biavaschi

Tratto da: “Teologia” nr.28

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