mercoledì 30 novembre 2011

1 DICEMBRE
S. EDMONDO CAMPION e Comp. martiri

I martiri inglesi della Messa



 

di Paolo Risso
- Nel febbraio del 1601, a Tyburn, presso Londra, due uomini venivano impiccati. Erano un certo Filcock e un tale conosciuto come Barkworth. L’accusa era di tradimento perché sacerdoti. I due, infatti, erano preti cattolici e venivano condannati alla forca quali vittime dell’odio anglicano contro la fede cattolica. Poco prima di morire, padre Filcock ebbe ancora la forza di dire con gioia: «Questo è il giorno fatto dal Signore».
Padre Filcock e padre Barkworth erano solo due delle decine di martiri cattolici che sacrificavano l’esistenza da quando Enrico VIII nel 1534 si era staccato dalla Chiesa di Roma e si era autoproclamato capo dell’anglicanesimo: da quell’anno, fino al 1681, i martiri inglesi sono stati più di trecento: cinquanta uccisi sotto Enrico VIII, 189 sotto Elisabetta I e gli altri sotto i loro successori.
I primi furono un gruppo di Certosini che il 4 maggio e il 19 giugno 1535 immolarono la loro vita sulle forche del Tyburn per non aver voluto separarsi dalla Chiesa Cattolica. Vittime illustri di Enrico VIII furono il Cardinal Giovanni Fischer e Tommaso Moro, il Gran Cancelliere del regno, che pagarono con il supremo sacrificio di sé il loro rifiuto alla “supremazia” imposta dal re.
L’opera di Cranmer
Dal 1533, era diventato primo Arcivescovo anglicano di Canterbury, Thomas Cranmer (1489-1556), il quale odiava la Messa come un nemico vivente e negava la dottrina della transustanziazione, della presenza reale di Gesù e l’offerta sacrificale del Salvatore fatta dal sacerdote per la salvezza del mondo.
Sotto il regno del giovanissimo re Edoardo VI, Cranmer si mosse in modo subdolo e determinato verso l’eliminazione totale del Santo Sacrificio della Messa, pubblicando nel 1549 il primo Book of common prayer, un testo ambiguo indirizzato a trasformare la Messa nella cena protestante, fatto che sarà evidentissimo con il secondo Book of common prayer nel 1552. La “nuova liturgia”, vera negazione della Santa Messa cattolica, avrebbe dovuto sradicare il cattolicesimo inglese che affondava le sue salde radici nei primi secoli dell’era cristiana.
Purtroppo la tristissima operazione era destinata in gran parte al successo. Con l’ascesa al trono di Elisabetta I, nel 1559, con l’Atto di Uniformità, fu proibita la Messa cattolica (detta “la Messa papista!”), e furono imposte agli Inglesi le eresie luterane e calviniste e venne proclamato che il Cattolicesimo era stato solo un coacervo di superstizioni e di invenzioni idolatriche.
Con implacabile odio anticattolico, Elisabetta rese obbligatorio sotto gravissime pene, la partecipazione al nuovo culto anglicano stabilito da Cranmer. Ciò significava la più grande disgrazia per i Cattolici: non poter più partecipare al Sacrificio del Signore e alimentarsi di Lui, vittima immolata al Padre per la salvezza del mondo. I Vescovi “recusanti”, ancora fedeli a Roma, furono sostituiti con altri più docili alla regina, mentre sempre più numerosi sacerdoti e fedeli finirono in carcere, presto destinati al patibolo. Iniziava così l’era dei martiri d’Inghilterra e il sangue dei cattolici prese a bagnare il suolo britannico.
Nel 1568, il futuro Cardinale Guglielmo Allen (1532-1594) aveva fondato a Douai, poi Reims, in Francia, un Seminario per la formazione di giovani sacerdoti da inviare nella loro patria, l’Inghilterra, a convertire gli Anglicani. Allo stesso modo, nel 1578, il Collegio Inglese di Roma, auspice sempre l’Allen, fu trasformato in Seminario per il medesimo fine.
Seminarium Martyrum
I sacerdoti formati in questi Seminari, nelle Congregazioni e negli Ordini religiosi, in primo luogo nella giovane Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola, imbarcandosi per l’Inghilterra, già sapevano che cosa li aspettava, a volte allo stesso loro approdo e dopo pochi mesi di apostolato clandestino: il martirio nel modo più atroce. Il Collegio Inglese di Roma si meritò presto il titolo glorioso di Seminarium Martyrum, Seminario dei martiri. La strada che portava da Roma a Reims e alla terra inglese, diventò “la strada del martirio”. Elisabetta I odiava soprattutto questi Seminary priests, rotti a tutte le fatiche, pronti a immolare le loro giovinezza per assicurare ai Cattolici inglesi il tesoro più sublime che è il Santo Sacrificio della Messa.
Primo martire fra loro, fu padre Cutberto Mayne, scoperto nel 1577 e impiccato il 30 novembre dello stesso anno. Impossibile scrivere tutti i nomi santi di costoro: viaggiavano in tutte le parti del Regno, predicando, confessando, celebrando la Messa nelle case dei cattolici dove si davano appuntamento gruppi di fedeli altrettanto eroici.
Quando la Messa veniva celebrata, i fedeli trovavano la forza di affrontare qualsiasi difficoltà, anche le torture più atroci, se erano scoperti insieme ai loro sacerdoti.
Intanto, Elisabetta I mobilitava spie e sgherri a caccia dei “papisti”, colpevoli di un solo grande delitto: di essere sacerdoti e di offrire il Santo Sacrificio della Messa; oppure, se laici, di rimanere cattolici e di partecipare al medesimo Sacrificio.



Tra questi martiri, risplende di singolare grandezza il giovane gesuita Edmond Campion, che poté raccogliere qualche frutto della sua opera e inviare una lettera alla regina, documento conosciuto come “la provocazione di Campion”, in cui smentiva la calunnia rivolta ai preti cattolici di essere traditori dello Stato e affermava la loro missione sacerdotale: «Sappiate che tutti noi Gesuiti abbiamo stretta un’alleanza per portare con gioia quella croce che voi ci imporrete e per non disperare mai della vostra conversione, finché ci sarà solo uno di noi per godere le gioie del vostro Tyburn o per sopportare i tormenti delle vostre torture nelle vostre prigioni». P. Campion salirà al patibolo il 1° dicembre 1581.
In “odium Missae”
Anche i fedeli laici che aiutavano i sacerdoti erano destinati alla morte, come, per citare un solo nome, capitò a Magherita Cliterow, che pagò con la morte più atroce la sua ospitalità ai ministri di Dio. Gli editti di persecuzione si moltiplicarono. Nel 1585, la regina stabilì che qualsiasi uomo nato in Inghilter-ra era reo di alto tradimento, se dopo aver ricevuto l’ordinazione sacerdotale in un altro Paese, rimet-teva piede sul suolo inglese. La pena era di essere impiccato, poi estorto e squartato ancora vivo.
Questo per privare sempre più i Cattolici della Santa Messa. I primi a soffrire per la nuova legge furono il padre Hug Taylor e il laico Marmaduke Bowes, uccisi il 27 novembre 1585 a York. La persecuzione di Elisabetta contro i cattolici proseguì fino alla sua morte, avvenuta nel 1603.
L’era dei martiri però non finì. Sotto re Giacomo I (1604-1618), morirono in venticinque. Ventiquattro sotto Carlo I (1628-1646). Venticinque sotto Carlo II (1678-1681), in base alla legge del 1585. Il più illustre in questo periodo è il padre Giovanni Ogilvie, gesuita scozzese, impiccato a Glasgow nel 1615 a 35 anni.
Proclamata la repubblica (1646), Olivier Cromwell che odiava la Messa e il sacerdozio cattolico, pose una taglia sulla testa di ogni sacerdote uguale a quella per acchiappare un lupo: dall’Irlanda cattolica che non aveva mai accettato lo scisma e l’eresia di Enrico VIII, molti preti furono deportati come schiavi nelle isole Barbados e molte proprietà dei Cattolici furono confiscate.
Anche in Irlanda, la persecuzione mirava ad estirpare la fede cattolica, estinguendo in essa la presenza del Signore Gesù nell’Eucaristia. L’ultima vittima fu l’Arcivescovo Primate d’Irlanda, Mons. Olivier Plumkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681. La maggior parte di questi martiri, sacrificati non solo in odium fidei, ma anche in odium Missæ, sono stati elevati alla gloria degli altari dai Pontefici, da Leone XIII a Giovanni Paolo II.
Alla loro epopea, Robert Benson (1871-1914), convertito dall’anglicanesimo e diventato sacerdote cattolico, anche per il sostegno di Papa San Pio X, a cui dedicò la sua stupenda opera Con quale autorità!, in cui scrive commosso:
«Era la Santa Messa che il governo inglese considerava un delitto ed era per la Messa che creature di carne e ossa erano pronte a morire. Era per la Messa che il cattolico perseguitato possedeva una così profonda vita spirituale da superare ogni difficoltà, l’anima di questa vita era la Messa».
La Cattedrale di Glasgow. La città vide una certa fiorita del cattolicesimo, grazie all’azione dei Gesuiti. Fra tutti, Padre John Ogilvie, impiccato a 35 anni, nel 1615. Fu canonizzato da Paolo VI nel 1976.
Un secolo dopo, nel suo aureo libro La Messa strapazzata (1760), Sant’Alfonso Maria de Liguori avrebbe scritto che «abolire la Messa è l’opera dell’anticristo», mentre i martiri inglesi, forse i più eucaristici di tutta la Chiesa, con il loro sangue stanno a testimoniare per noi di oggi, che la Messa dev’essere la nostra vita. La Messa è il perenne Sacrificio di adorazione a Dio e di espiazione dei peccati, è il dono che ci ha lasciato Gesù nostro Redentore, affinché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (cf Gv 10,10), e sappiamo giungere, se occorre, sino al martirio, per affrettare un’autentica primavera di santità nella Chiesa e nel mondo d’oggi. © 2005 rivista “Maria Ausiliatrice”

Una bella riproduzione del patibolo (Tyburn tree-l’albero di Tyburn), divenuto l’albero
della vita: un altare su cui celebrare la Santa Messa (Tybur Convent, Londra).


SECONDA LETTURA
Dalle lettere di sant'Edmondo Campion, sacerdote e martire.
(Lett. scritta intorno al 19 luglio 1580 ai consiglieri della Regina d'Inghilterra; J. H. Pollen, Campion's Ten Reasons, London, Roehampton, 1914. pp. 10-11)
Prego Dio che nel cielo possiamo finalmente godere di una eterna amicizia
Voi, eccellentissimi consiglieri di Sua Maestà, nelle questioni di massima importanza, non ne dubito affatto, siete soliti agire in maniera nobile e saggia. Perciò quando esaminerete con animo retto, spogliandole da ogni falsa apparenza, queste controversie sulla fede, trattate per lo più dai nostri avversari non senza inganno e confusione conoscerete in modo più chiaro della luce del sole su quali solidi fondamenti poggi la nostra fede cattolica.
Conseguentemente con animo più equilibrato e benevolo darete ascolto a noi che siamo prontissimi a sacrificare la vita per la vostra salvezza. Ogni giorno, senza interruzione, molte mani innocenti si alzano al cielo per voi. Questa premura hanno per voi quelli inglesi che, padri di una posterità che mai avrà fine, stanno nelle province d'oltremare dedicandosi alla virtù e allo studio; essi hanno fermamente deciso di non desistere dal cercare la vostra salvezza, finché o guadagnino le vostre anime a Cristo o, trafitti dalle vostre lance, accettino generosamente la morte.
Per quanto poi riguarda la nostra Compagnia, voglio che sappiate che tutti noi, quanti siamo membri della Compagnia di Gesù, sparsi per ogni parte della terra, abbiamo stretto un santo patto: di sopportare coraggiosamente i tormenti che voi ci infliggerete e di non disperare mai
della vostra salvezza, finché resti vivo anche uno solo di noi, che, condannato nel vostro Tiburno, possa venir poi scarnificato dai vostri supplizi o fatto morire in seguito agli stenti della prigionia. Già da tempo abbiamo fatto questo patto, e sotto l'auspicio divino la battaglia è cominciata da un pezzo; nessuna violenza, nessun assalto degli avversari ci potrà abbattere. Così una volta fu seminata e trasmessa la fede; allo stesso modo deve essere ripristinata per raggiungere l'antica dignità.
Se questo mio scritto, a voi indirizzato, verrà respinto, e i miei benevoli sforzi non potranno ottenere alcun effetto, e se dovrò sperimentare la vostra ingratitudine per avere intrapreso per il vostro bene un viaggio di molte migliaia di miglia, una cosa sola mi resterà da fare: affidare voi e la mia causa a Dio che scruta l'animo degli uomini. Lo prego infatti di cuore che ci voglia concedere tanta grazia da ritornare tutti prima dell'estremo giorno in un'unica fede, e che nel cielo, dove ogni offesa è dimenticata, possiamo finalmente godere di un’eterna amicizia.

RESPONSORIO Fil 1,20-21
R/. Io so, secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso; ho anzi piena fiducia che, come sempre, anche ora * Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
V/. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.

ORAZIONE     Dio onnipotente ed eterno, hai suscitato tra le popolazioni d'Inghilterra e del Galles i santi martiri Edmondo Campion, Roberto Southwell e i loro compagni, e li hai resi conformi a Cristo, morto per la salvezza del mondo: per la loro intercessione concedi che il tuo popolo, rafforzato nella stessa fede e nello stesso amore, possa conseguire la gioia dell'unità. Per il nostro Signore.


Patibolo per i Cristiani fedeli alla Messa di sempre…

"a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo" (Benedetto XVI)

martedì 29 novembre 2011

Cartone Animato Cattolico - C’era una Volta Gesù



C'era una volta Gesù
La storia di Gesú realizzata con le piú moderne tecniche della model animation. Le vicende dell'uomo che 2.000 anni fa cambiò il destino del mondo raccontate con straordinaria intensità e realismo.
Un eccezionale realismo ottenuto attraverso un meticoloso lavoro durato 4 anni di oltre 400 specialisti, fedeli ricostruzioni approvate da archeologi di Gerusalemme, 6 troupe impegnate su 6 differenti set per ottenere 2 secondi di filmato al giorno.
C’era una volta Gesù: forse uno dei lungometraggi più fedeli al racconto Biblico.
La storia è vista dagli occhi di una bambina Tamar, figlia di Iairo, capo della sinagoga, che, dopo essere stata risuscitata da Gesù, segue il suo operato, fino alla sua ascesa al cielo.
Una straordinaria intensità ottenuta con i dettagli della più moderna model animation, la forza della grafica ed i sofisticati effetti al computer. Un opera utile per i più giovani.




Cartone Animato Cattolico - C’era una Volta Gesù
Tratto da: http://tradizionalistacattolico.blogspot.com/

lunedì 28 novembre 2011

50 anni

"Un anno in più vissuto nell'amore di Dio
e uno in meno per essere più vicino a Lui ".

Eccomi qui con un altro anno, un altro compleanno che celebro con voi, e questo mi da grande gioia.

Cambia il numero: dal 4 al 5. Come dice Giovanni Paolo II: io sono un giovane di 50 anni, benchè lo specchio possa dire il contrario.

Ogni anno compiuto deve essere una festa.  Ogni anniversario deve essere un'occasione di gratitudine per tutto ciò che si è ricevuto, (che è sempre molto più di ciò che percepiamo).

Foto di Rocco Scattino del 15 11 2011


















“Se non ti ravvederai verrò da te e rimuoverò il candelabro dal suo posto”. La Chiesa austriaca “ velociter currit ad finem"


( foto : Stampa settecentesca della Madonna Santissima "Regina d'Austria" con lo stemma Asburgico donata da un membro dell'Imperial Casa ad una Famiglia marchigiana)

Ascoltando l’omelia di Papa Benedetto XVI per l’apertura del Sinodo dei Vescovi il 2 ottobre 2005 per l’apertura del Sinodo dei Vescovi ebbi un brivido all'udire l'ammonizione che, per conseguenza del rifiuto di Dio, il giudizio divino si sarebbe potuto abbattere sulla “Chiesa in Europa, sull’Europa e sull’Occidente in generale” come avvenne per la distruzione di Gerusalemme.
Le parole che il Signore rivolse nell’Apocalisse rivolse alla Chiesa di Efeso sono terribili: “Se non ti ravvederai verrò da te e rimuoverò il candelabro dal suo posto” ...
“Anche a noi può essere tolta la luce e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la sua serietà nella nostra anima, gridando allo stesso tempo”.

Il Pontefice aggiunse : “Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E’ spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna”.
Il 17 novembre scorso leggendo il blog del bravissimo Paolo Rodari sulla situazione della Chiesa Austriaca ho ripensato, con grande tristezza, all’Omelia papale che ho citato.
Stiamo vivendo dei momenti assai difficili per la Fede : per questo dobbiamo aggrapparci, con l’aiuto della Grazia Divina, al Successore di Pietro che cerca in ogni modo di guidare la barca fra le onde del mare in tempesta.
Come non leggere come un “segno dei tempi” il recente ritrovamento fortuito, fra le macerie di un antico muro crollato casualmente, di un Rituale di Esorcismo che nell’ultima pagina reca l’effige della Madonna Santissima : “ TU SOLA CUNCTAS HAERESES INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO” ? A.C.

Contro Roma, contro Vienna. I preti dissidenti austriaci vogliono mettere i laici sull’altare della messa

di Paolo Rodari, 7 novembre 2011 -

Il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ce la sta mettendo tutta per arginare il dissenso all’interno della sua chiesa, ma non è facile. Nei giorni scorsi ai vescovi austriaci riuniti in assemblea ha chiesto di restare compatti.

I 300 parroci aderenti alla Pfarrer-Initiative promotori, lo scorso giugno, di un “appello alla disobbedienza” nel quale chiedono riforme e cambiamenti nella chiesa, infatti, non demordono.

Il 6 novembre a Linz, e cioè in quel territorio ostile che tre anni fa costrinse Roma a revocare la nomina di vescovo ausiliare a Gerhard Wagner perché “troppo conservatore”, la Pfarrer-Initiative si è riunita coinvolgendo altri quattro gruppi cattolici (oltre a Wir Sind Kirche e alla Pfarrer-Initiative, LaienInitiative, Priester ohne Amt e Taxhamer Pgr-Initiative) che da tempo chiedono a Roma analoghe riforme (eliminazione dell’obbligo al celibato, sacerdozio femminile e di uomini sposati, piena accoglienza dei divorziati risposati), e ha minacciato l’imminente celebrazione di messe senza la presenza del prete se non verrà concesso il sacerdozio a donne e uomini sposati. Già oggi in molte parrocchie si svolgono funzioni guidate da laici, ma nessuno si è spinto a celebrare il rito eucaristico senza un sacerdote.
Quella avanzata dai cinque gruppi è una mossa studiata a tavolino. Intendono intensificare la pressione sui vescovi, e dunque su Roma, mostrando loro che per ottenere ciò che chiedono sono disposti anche a spingersi fino all’extrema ratio: far celebrare messa ai laici e incappare nella scomunica.
Il 6 novembre a Linz i disobbedienti hanno stilato un documento dedicato al tema “Eucaristia in tempi di carenza di preti”. Al suo interno è contenuto un piano di proposte dettagliato: l’eucaristia è affidata alla comunità che “decide chi la dirige e la presiede”; per garantire l’unità della chiesa, è necessario che sia il vescovo a conferire l’incarico alla persona scelta dalla comunità; oggi “la celebrazione dell’eucaristia è subordinata al numero di preti celibi” ma “questo è un approccio errato”. E’ il numero dei celebranti, infatti, “a doversi adattare al numero di comunità”; la carenza di presbiteri è dovuta a “regole obsolete” e mentre in centinaia “sono stati allontanati dal ministero perché si sono sposati, i preti sono costretti ad assumersi la responsabilità di sempre più numerose comunità”.
La cura pastorale ne viene danneggiata e i preti rischiano l’esaurimento; il celibato sacerdotale è una prassi tardiva della chiesa – Roma, invece, insiste sulle origini evangeliche del celibato – e “nulla osta a tornare alle origini del cristianesimo e ad affidare la guida delle comunità e la celebrazione dell’eucaristia a uomini e donne sposati; tutti i credenti partecipano del “sacerdozio regale” di Cristo, conferito in occasione del battesimo senza fare distinzioni di sesso; le donne sono state, alle origini, diaconesse e apostole e hanno parlato profeticamente: le successive limitazioni al loro ministero “sono stati adattamenti alla società patriarcale”, ora superata nella nostra società. “Il cammino verso l’ordinazione femminile non può essere ostacolato da divieti del Papa di discuterne”; ogni comunità ha diritto a una guida, uomo o donna; se il vescovo non ottempera al suo compito di garantire questo diritto, le comunità si assumeranno la responsabilità di rendere possibile la celebrazione dell’eucaristia, come culmine, fonte e forza della fede.

L’intellighenzia del riformismo ecclesiale riunita a Linz è stata vagliata a dovere da vescovi che, come ha spiegato il segretario generale monsignor Peter Schipka, sabato scorso a Salisburgo avevano all’ordine del giorno dei propri lavori una “discussione su diverse iniziative e proposte di riforma della chiesa”.
La risposta di Schönborn, lasciando l’assemblea, è stata chiara: proporre di fare dire messa ai laici “è una rottura aperta con una verità centrale della nostra fede cattolica”.
In un’intervista al settimanale News il vescovo Klaus Küng di St. Pölten ha rincarato la dose dicendo che la proposta è una “contaminazione di ruoli” tra laici e clero: vi è un “grande pericolo”, ha detto, “nella tendenza a una clericalizzazione dei laici e alla secolarizzazione o laicizzazione del clero”.
Ciò che occorre, è che “ognuno porti avanti seriamente i suoi compiti secondo il proprio ruolo e la propria vocazione”; un’eucaristia senza prete, ha affermato, rappresenterebbe “un indebolimento del sacramento e del ministero sacerdotale”.

Küng è fermamente convinto di ciò che dice seppure la sua diocesi senta gravemente il problema della mancanza di sacerdoti: di 424 parrocchie, solo 184 hanno un parroco. Per questo è stata inventata una sorta di “centralizzazione” delle parrocchie più grandi, alle quali vengono “affiliate” comunità più piccole, nelle quali si recita il rosario o si celebra la liturgia delle ore senza la presenza del clero, mentre la messa viene celebrata solo in quelle più grandi, che godono della presenza di un parroco.
A Schönborn e a Küng non solo ha risposto Hans Peter Hurka, capo di “Wir sind Kirche” – per lui le parole dei due vescovi significano “non riconoscere la drammaticità della situazione”– ma anche un presule molto vicino a Schönborn, il vescovo ausiliare di Vienna Helmut Krätzl. “Le persone disposte al cambiamento – ha detto –, prima di tutte i vescovi, dovrebbero finalmente mettersi in rete e presentare insieme le loro richieste a Roma”. Perché se da decenni la gerarchia impone la stessa disciplina e da decenni la base ecclesiale non la segue, è evidente che l’aspetto giuridico, prima o poi, deve essere “ripensato”.
Ciò che più di ogni altra cosa preoccupa Roma è il fatto che il vasto movimento di riforma austriaco può contare, qui come non avviene altrove, sull’appoggio del popolo: stando a un recente sondaggio realizzato dal Gfk-Umfrage Institut i cui risultati sono stati diffusi dall’emittente Orf, il 72 per cento dei preti austriaci sostiene l’“appello alla disobbedienza”; il 76 per cento è favorevole alla comunione ai divorziati risposati, mentre il 71 vorrebbe l’abolizione del celibato sacerdotale obbligatorio e il 55 (il 51, secondo un sondaggio dello stesso Istituto, nel 2010) vorrebbe l’ordinazione femminile.
 

Chiesa d'Austria a rischio scisma



Gli apostati aumentano….
Da La Bussola di Vito Punzi 25-11-2011
Ormai ha un nome: "movimento cattolico di riforma". Il dissenso che sta attanagliando la Chiesa cattolica austriaca non va scemando, al contrario, cresce col tempo e sta prendendo sempre più le caratteristiche di un movimento scismatico. Dove aver raggiunto e superato le trecento adesioni tra i sacerdoti, l'"Iniziativa dei parroci", guidata da Helmut Schüller [nella foto con un bel completo manageriale], già vicario generale del cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, si è data una giornata di riflessione lo scorso 6 novembre, a Linz, nella diocesi nella quale due anni fa una violenta campagna mediatica (sostenuta anche da alcuni vescovi) ha impedito a mons. Gerhard Wagner, il vescovo ausiliare designato da Benedetto XVI, di assumere il proprio mandato perché “tradizionalista”.
Presenti nella città dell’Alta Austria oltre 80 sostenitori, lo stesso Schüller ha voluto rendere conto nei giorni successivi di quanto discusso e deciso. Nella newsletter del movimento datata 11 novembre si legge dunque a sua firma che una prima discussione è stata dedicata a una proposta giunta da aderenti tirolesi: trasformare in futuro quello che fino a questo momento è stato l’”appello alla disobbedienza” in “appello alla responsabilità personale”. Proposta rifiutata a larga maggioranza, perché, ha scritto Schüller, «il concetto di disobbedienza indica chiaramente che a noi interessa l’intero ordinamento della Chiesa, non solo l’iniziativa individuale». Oltre ad aver fatto passare la richiesta che in futuro si promuova un “nuovo dialogo” tra i fedeli e i vescovi e la necessità di «costruire una rete insieme ad altri gruppi di sacerdoti allineati presenti in altre nazioni», la guida del movimento ricorda come nelle discussioni di Linz sia stato richiesto “con grande consenso” di aggiungere al “catalogo delle richieste” da presentare alla Chiesa la possibilità di “mettere bocca nelle nomine dei vescovi”. Tuttavia, più di quanto discusso e deciso il 6 novembre risulta essere importante (e grave) ciò che è avvenuto il giorno precedente, quando come esito di un meeting di studio sul tema “La celebrazione eucaristica in tempi di penuria di preti”, cui hanno preso parte non solo membri della Pfarrer-Initiative ma anche altri “dissidenti” appartenenti a “Iniziativa Laicale” (Laieninitiative), a “Noi siamo chiesa” (Wir sind Kirche), a “Preti senza ufficio” (Priester ohne Amt) e a Taxhamer Pgr-Initiative, sono state elaborate sette tesi. Vediamole:
• «La comunità che si riunisce nel nome di Gesù è portatrice della celebrazione eucaristica. Ad essa come chiesa locale è affidata la memoria della morte e della resurrezione di Cristo ed il Signore è al suo centro (Mt 18,20). La comunità decisa da chi debba essere guidata e chi debba presiedere la celebrazione eucaristica. Al fine di conservare l’unità della chiesa è necessario che il mandato giunga dal vescovo».
• «Attualmente la guida delle comunità e la celebrazione dell’Eucaristia vengono fatte dipendere dal numero dei sacerdoti celibi. Ma questo è un approccio sbagliato. Piuttosto bisogna adeguare il numero di chi sovrintende, uomini e donne, al numero delle comunità».
• «La penuria di sacerdoti viene causata artificialmente dalla chiesa burocratizzata tramite superate modalità di accettazione per il mestiere del sacerdote. Accade così che mentre vengono allontanati centinaia di presti perché sposati agli altri che permangono nel loro ufficio vengano affidate sempre più comunità. Questi ultimi non possono più offrire così una sufficiente assistenza spirituale e cadono sempre più frequentemente sotto stress».
• «Il celibato obbligatorio è una ‘via speciale’ scelta dalla chiesa latina (nel XII secolo). Nulla vieta che ci si rifaccia agli inizi del cristianesimo e si chiamino uomini e donne sposate alla guida di una comunità e a presiedere la celebrazione eucaristica».
• «Il Nuovo Testamento ha abolito il sacerdozio così com’era proprio nell’ebraismo e nella cultura pagana. Gesù Cristo è l’unico sacerdote della Nuova Alleanza (Ebr. 9; 10). Ogni fedele partecipa del suo sacerdozio: Voi siete sacerdozio regale (1Pt 2,9). Questa dimensione sacerdotale viene conferita durante ogni battesimo senza distinzione tra i sessi (Gal. 3,28)».
• «Nella chiesa degli inizi le donne erano diaconesse (Rom 16,1) ed apostolesse (Rom 16,7) e parlavano profeticamente durante le funzioni (1 Cor 11,5). Le limitazioni cui sono state successivamente sottoposte sono state concessioni alle forme della società patriarcale, forme che nella nostra società attuale risultano essere sempre più superate. Il cammino verso l’ordinazione della donne non può essere fermato dai divieti papali alla discussione».
• «Ogni comunità ha diritto ad una persona che sovrintenda, sia uomo o donna. Se il vescovo viene meno al dovere di assicurare che questo accada le comunità, appellandosi al sacerdozio universale, si assumeranno la propria responsabilità, così da continuare a rendere possibile la celebrazione eucaristica come culmine, fonte ed energia (Concilio Vaticano II, Costituzione dell’Eucaristia 10) della fede».

Com’è piuttosto evidente, si tratta di questioni tutt’altro che nuove, corrispondenti con le richieste di quei cattolici che si autodefiniscono “progressisti” e che sono presenti in tutta Europa. Forti del consenso che starebbe riscuotendo l’”appello alla disobbedienza” tra i sacerdoti austriaci (oltre il 55, fino a punte del 75% su tutte le questioni sopra definite), ma anche degli attestati di solidarietà provenienti dall’estero (l’appello è stato firmato in settembre da dieci preti della diocesi di Rouen) Schüller e i suoi seguaci hanno sottoposto le loro tesi alla conferenza episcopale austriaca, riunitasi dal 7 al 10 novembre a Salisburgo. La posizione del cardinale Schönborn è chiara: “Ogni sacerdote”, aveva già scritto in settembre “così come tutti noi, deve decidere se vuole continuare a percorrere il cammino insieme al Papa, al vescovo e alla chiesa, oppure no”, invitando piuttosto chiaramente i “disobbedienti”, se convinti della loro linea, ad andarsene.
Ora, l’11 novembre, in qualità di presidente della conferenza episcopale, è tornato sulla questione ricordando che «laddove vi sia qualcuno che si dica cattolico, quello deve esserlo anche interiormente». Limitandosi a rispondere con battute, sul tema del celibato in particolare ha semplicemente ricordato che si tratta di “un tema sul quale non si potrà certo decidere in Austria, visto che vi vive meno dell’1% dei cattolici del mondo”. Dopo aver sottolineato l’importanza del continuo rinnovamento cui deve sottoporsi la chiesa, ricordando tuttavia che “da duemila anni non vi è via migliore per le riforme dello stesso Vangelo”, il cardinale ha ricordato come a differenza dei marxisti i cristiani sanno che “sono gli uomini e non le riforme strutturali a modificare la società”. «Invito dunque», questa la sua conclusione, «a tornare a quella scuola di vita che è Gesù Cristo, perché se il rinnovamento della fede non accade anzitutto nell’interiorità qualsiasi struttura, per quanto migliore rispetto alla precedente, non serve a nulla».

domenica 27 novembre 2011

La causa del possibile crollo e perché può salvarci il Papa…

 

27 novembre 2011 / In News

Dove sono finiti tutti i mistici dell’euro – economisti, giornalisti, politici, intellettuali – che dieci anni fa imperversavano su tutti i pulpiti per decantare le virtù taumaturgiche della moneta unica e “le magnifiche sorti e progressive” dell’Italia nell’euro?
Sarebbe interessante pure andarsi a rileggere gli scritti dell’attuale premier e dei tecnici che compongono la sua squadra di governo chiamata a evitare il disastro.
Io spero che ce la facciano, ma non ricordo che, a quel tempo, ci abbiano messo in guardia sull’euro. Anzi…
E dov’è finito il centrosinistra dei Ciampi, dei Prodi, dei D’Alema, degli Amato che da anni rivendica come proprio merito storico “l’aver portato l’Italia nell’euro”?
I post-comunisti per far dimenticare di essere stati antieuropei col Pci, quando si doveva essere europeisti, vollero primeggiare nello zelo sulla moneta unica sulla quale invece bisognava essere dubbiosi. Riuscendo così a sbagliare due volte.
D’altra parte la “religione dell’euro” non ammetteva dissidenti. Era un’ortodossia ferrea che rendeva obbligatorio cantare nel coro.

Dogma imposto
L’anticonformismo era considerato boicottaggio. Ricordate come venivano trattati da trogloditi o da reazionari provinciali i pochissimi che avevano l’ardire di esprimere dubbi sull’operazione euro?  
Antonio Martino – per esempio – veniva giudicato un bizzarro mattocchio, un isolato. Il governatore di Bankitalia Antonio Fazio, per i suoi dubbi, era considerato uno che remava contro.
Eppure c’erano fior di paesi europei – come la Gran Bretagna – che nell’euro preferirono non entrare. Quindi i dubbi erano più che fondati. Ma in Italia non avevano neanche diritto di cittadinanza.
Gli italiani non hanno nemmeno potuto esprimersi con un voto. L’euro infatti era un dogma di fede e i dogmi non si discutono.
I cittadini italiani così hanno dovuto subire senza discutere una serie di stangate finalizzate alla moneta unica, un cambio lira/euro penalizzante, un micidiale raddoppio dei prezzi che li ha impoveriti tutti, la fine della crescita dell’economia nazionale (con annessa disoccupazione giovanile), il ribaltamento dall’attivo al passivo della bilancia dei pagamenti e – come premio per questo bagno di sangue – adesso addirittura la prospettiva infernale del fallimento (quando invece era stato promesso il paradiso). 
Complimenti! Chi dobbiamo ringraziare? E’ vero che l’Italia non è stata virtuosa come doveva e questo è grave. Ma ormai è chiaro che il tema non è il crollo dell’Italia, ma quello dell’Europa dell’euro.
Per questo oggi l’operazione moneta unica, la follia costruttivista di imporre dal nulla una moneta inventata ai nostri popoli, è figlia di nessuno.

Di chi la colpa?
Sugli stessi giornali su cui ieri si alzavano inni all’euro, oggi tutti ammettono che è un’assurdità il creare una moneta senza avere dietro uno Stato, senza una banca nazionale, senza un governo federale, con politiche fiscali e monetarie contrapposte e senza nemmeno una lingua comune.
In effetti i popoli europei hanno una sola cosa in comune, il cristianesimo, ma le élite che hanno creato l’euro hanno visto bene di cancellare ogni riferimento ad esso in quel delirio che è la Costituzione europea: la moneta unica doveva soppiantare superbamente anche Dio, la storia e la cultura.
Ma, dicevo, oggi a quanto pare l’euro è figlio di nessuno. Ai pochi audaci che allora chiamavano “neuro” la nuova moneta, prendendosi il disprezzo delle caste dominanti, nessuno riconosce di aver avuto ragione. E nessuno fa autocritica.
Invita a farla, invece, un leale articolo di Guido Tabellini, rettore della Bocconi, che sul Sole 24 ore ha scritto: “Bisogna ammettere che abbiamo sbagliato”. Ma i politici che dicono?
D’altronde occorre riconoscere che i politici italiani sono stati solo – come sempre – truppe di complemento. La vera causa del disastro euro è il secolare e devastante conflitto fra Francia e Germania per l’egemonia sul continente europeo.
Infatti la moneta unica nacque come condizione della Francia di Mitterrand alla Germania di Kohl, per dare l’avallo all’unificazione. Se i tedeschi rinunciavano al marco, i francesi si illudevano di egemonizzare l’area euro.
In realtà i tedeschi posero tali condizioni capestro sulla moneta unica a tutti gli altri paesi che invece di europeizzare la Germania si è germanizzata l’Europa.
Cosicché oggi il leader tedesco Volker Kauder può proclamare: “finalmente l’Europa parla tedesco”. E’ un’esultanza miope, che non vede il baratro in cui l’inflessibilità germanica ci sta portando.
E non si venga a dire – come fa la Merkel – che le virtuose formiche tedesche non vogliono pagare i debiti delle irresponsabili cicale latine.
Perché il rigore del patto di stabilità che i tedeschi pretendono di applicare agli altri (insieme ai francesi) non lo applicano a se stessi: nel 2003 infatti sono stati proprio Germania e Francia a sforare sul disavanzo. Pretendendo che nessuno eccepisse.
Così come la Bundesbank è andata a comprare i bund invenduti alla recente asta, mentre proibisce che la Bce faccia altrettanto. Per gli altri le leggi si applicano, per se stessi si interpretano.
E’ così che l’euro si è risolto in un colossale affare per la Germania e in un disastro per tutti gli altri.

Napoleone e Hitler
Il fatto è che l’operazione euro è nata male. E’ nata infatti come ennesimo braccio di ferro fra Francia e Germania, come una prosecuzione della loro guerra con altri mezzi.
E’ da secoli che i due contendenti si combattono. Si potrebbero trovare le radici più antiche addirittura nella divisione del Sacro Romano Impero, col trattato di Verdun dell’843.
Ma è soprattutto dal XVI secolo che francesi e germanici si contendono l’impero e inseguono lo stesso ambizioso sogno: trasformare l’Europa in un proprio impero.
Nei tempi moderni ci provò Napoleone e poi ci ha riprovato Hitler. L’esito è stato la devastazione dell’Europa in entrambi i casi.
A questo ciclo di guerre durato almeno 400 anni – che chiamerei “le guerre d’irreligione”, perché sono conseguenti alla distruzione della koiné cattolica europea – vollero mettere fine, dopo il 1945, tre statisti, che non a caso erano cattolici praticanti, cioè Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman.

La Chiesa è la salvezza
Da loro nacque il pacifico progetto di unificazione europea, che in nome delle radici cristiane del continente, unico vero cemento dei nostri popoli, pose fine alle guerre imperiali franco-tedesche.
L’operazione euro invece va esattamente nella direzione opposta. Nasce dal rinnegamento di questa identità cristiana dell’Europa e segna la ripresa dell’ostilità fra Francia e Germania.
Sembra addirittura una replica della storia. Infatti la guerra della Francia alla Prussia del 1870, paradossalmente portò all’unione della Germania, così la guerra monetaria della Francia al marco, di venti anni fa, ha portato a un’Europa germanizzata. Complimenti ai galletti di Parigi.
Anche oggi come allora la ripresa della guerra franco-tedesca può portare solo alla catastrofe dell’Europa. A meno di un rinsavimento generale sull’orlo dell’abisso.

Forse l’unica voce che oggi potrebbe energicamente richiamare tutte le élite di governo (a partire da quella tedesca) al senso di responsabilità è quella del Papa, vero custode dello spirito europeo.
La sua intelligenza cristiana della storia ci può salvare perché il papa è un tedesco che ha meditato sulla tragedia in cui la Germania ha trascinato l’Europa nel 1939.

Benedetto XVI sa bene e insegna da anni che a produrre il nazismo non fu l’inflazione della repubblica di Weimar, come pensano la Merkel e la Bundesbank, ma fu una malattia spirituale e culturale che aveva radici più antiche e perverse.
E’ da quelle che occorre guardarsi, non dall’inflazione. Oggi la solidarietà fra tutti i paesi è la salvezza dell’Europa.

Il grande Adenauer diceva: “Signore, tu che hai posto un limite all’intelligenza dell’uomo, ponilo anche alla sua idiozia”. Vale per tutti.

Antonio Socci

Da “Libero”, 27 novembre 2011

TE DEUM PER L' ANNO LITURGICO VISSUTO

Felix Die Gratiae Agere

Gratias agimus tibi Domine pro omnibus beneficiis tuis.




Tomas Luis de Victoria's Te Deum:



Wolfgang Amadeus Mozart's Te Deum:



Tratto da: http://eccehomocatholic.blogspot.com/

sabato 26 novembre 2011

Le domande che purtroppo non ci poniamo più
di d. Enrico Finotti
26-11-2011


Pubblichiamo ampio stralcio dal cap. 21 del volume La liturgia romana nella sua continuità per gentile concessione dell'editore Sugarco.

Vengono presentate in questo capitolo delle domande atte a stimolare una verifica sull’attuazione odierna nelle comunità cristiane di tutto il complesso liturgico previsto oggi dalla Chiesa. In particolare si tratta di valutare il carattere “sacro” della liturgia, dimensione che non può essere assolutamente assente da celebrazioni che vogliano essere all’altezza del Mistero che contengono e che devono comunicare. Alcune di queste domande sono intercalate da osservazioni critiche su aspetti mancanti o erronei in vari settori della concreta celebrazione liturgica.

1. Conosciamo veramente la liturgia del Vaticano II? La conosciamo nei suoi libri e documenti autentici, oppure la confondiamo con tante opinioni, riviste, scuole, che hanno divaricato da essa, introducendo costumi e mentalità che l’hanno avvilita, impoverita e sostituita con i gusti imperanti del momento? Sono conosciuti i Praenotanda ai nuovi libri liturgici, sono stati letti? Si conoscono veramente la struttura, la composizione e i testi dei riti attuali, o si celebra ancora con mentalità ed elementi rituali desunti per abitudine da ciò che è stato ormai da tempo superato?

2. Come la celebriamo nelle nostre chiese? Chi decide la modalità della celebrazione: la Chiesa o i ministri e i gruppi che volta a volta pretendono di gestirla creandola « a propria immagine »? Che ne è della precisa norma conciliare contenuta in Sacrosanctum Concilium n. 22 § 3: «Nessuno assolutamente, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché nella Liturgia»?

3. Sono rispettati i tre luoghi celebrativi, costitutivi della riforma liturgica: altare, ambone e sede; o tutto si compie all’altare (anche i riti iniziali, l’omelia e i riti di congedo) per pigrizia e comodità, riducendo l’altare ad un tavolo da conferenza o da lavoro, soprattutto se ingombro di una oggettistica non conveniente? Come regola, dall’altare non si parla mai al popolo, ma sacerdote e popolo si elevano all’unisono a Dio nell’atto sacrificale e adorante che ha il suo vertice nella prece eucaristica.

4. Sono stati acquistati, vengono usati e sono degnamente conservati i libri liturgici: Messale, Lezionario, Evangeliario, Rituale, ecc., oppure si usano, in loro sostituzione, i foglietti domenicali?

5. Che ne è del senso del «sacro»: si prega ancora nelle azioni liturgiche, vi è il silenzio orante ed adorante? Il termine Mistero, come precedentemente detto, ha la propria radice nel greco myo = tacere, tenere chiuse le labbra. La pronuncia del vocabolo greco richiede fisicamente che le labbra si premano l’una contro l’altra, appunto per far silenzio. Il silenzio quindi è l’atteggiamento più adatto per proclamare il Mistero che si attua nell’azione liturgica. Mistero e silenzio si esigono a vicenda già nella radice dei due termini.

6. Il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è avvolto da quella «somma pietà», che nasce dalla coscienza che «è il Signore!», «veramente, realmente, sostanzialmente» presente? […]

7. Il carattere solenne della liturgia ha ancora diritto di cittadinanza o è ritenuto sorpassato e inadeguato ad una visione pastorale della liturgia e ai ritmi odierni della vita? È considerato il diverso grado della celebrazione: feriale, festiva e solenne, oppure tutto è livellato al comodo e al funzionale? La «nobile semplicità», voluta dalla riforma, intende veramente sopprimere ogni aspetto e manifestazione della «gloria» di Dio, oppure vuole promuovere proprio celebrazioni di alto profilo qualitativo?

9. Il canto sacro e la musica assolvono al loro ruolo secondo la natura propria della liturgia o vi è ormai anarchia e totale soggettivismo? Che ne è della necessaria approvazione dei canti liturgici da parte della Chiesa? Hanno il carattere « sacro » adeguato ad elevare i fedeli ai misteri divini e contribuire così all’opera di santificazione propria della liturgia? Oppure sono a carattere prevalentemente umanitario a servizio di una mera animazione sociologico-orizzontale dell’assemblea? I testi e le musiche con quale autorità sono proposti, o spesso “imposti”, a tutto un popolo? I criteri e l’autorità della Chiesa, oppure chi ha voce più forte o maggiore tecnica persuasiva? Si cura la “vera arte musicale”, oppure si apre la porta senza verifica ad ogni prodotto, pur - si dice - di essere vicini alla « vita » e ai problemi dell’oggi, disgustando il buon senso e l’intelligenza? Il canto gregoriano e la polifonia sacra classica so no sufficientemente eseguiti dalla schola cantorum, oppure sono stati totalmente eliminati o irrisi, contro il preciso e costante pensiero della Chiesa, privando di un inalienabile diritto il popolo cristiano e non consentendo ai giovani un confronto personale con la tradizione?

10. Nella liturgia della Parola e soprattutto nell’omelia vi è quel senso del sacro e quel riserbo che lasciano intravedere la presenza viva del Signore, unico Maestro? Oppure vi è un indebito protagonismo umano, talvolta teatrale, che distrae e vela la presenza del Signore «che parla al suo popolo»?

11. I gesti liturgici, sia dei sacerdoti come dei fedeli, quali: incedere, star seduti e in piedi, genuflettersi, inchinarsi, elevare le mani e tenerle giunte, dirigere lo sguardo, benedire, segnarsi, ecc., sono ispirati a gravità e devozione, oppure sono ormai del tutto simili al modo profano della gestualità della vita ordinaria?

12. Che ne è del rito del Battesimo, delle Esequie e del Matrimonio? Si celebra ancora il rito previsto dalla Chiesa o è ormai sostituito da una ritualità soggettiva, emotiva, individualizzata, su commissione dei richiedenti e al servizio delle loro visioni ideologiche e dei loro costumi di vita?

13. Come vengono celebrati i sacramenti della Confermazione, dell’Unzione degli infermi e della Penitenza? Sono debitamente rispettati i riti e le formule essenziali, oppure sono avviliti, decurtati e mutati, compromettendo anche la loro stessa validità?

14. L’Ufficio divino è celebrato in parrocchia almeno nei suoi due cardini: Lodi e Vespri? È celebrato con la forma liturgica e col popolo, oppure è ridotto a preghiera individuale, per soli gruppi, senza vesti liturgiche e senza canto, in un permanente e noioso recitativo?

15. L’Anno Liturgico viene effettivamente espresso, distinguendo i tempi solenni, da quelli penitenziali a quelli ordinari? Si usano i necessari arredi, oppure ci si limita al minimo? Si rispettano il carattere liturgico preminente delle feste e dei tempi sacri, oppure si ingombrano con forme devozionali e giornate particolari non in sintonia col mistero celebrato dalla liturgia?

16. Come si celebrano le Messe per i bambini, i ragazzi e i giovani, in ambito catechistico, nei campeggi, nei congressi e nelle parrocchie? Hanno la dignità e la fedeltà esigite dalla liturgia? Possono  essi, in tali liturgie, conoscere, celebrare ed essere poi in grado di trasmettere la tradizione liturgica della Chiesa? C’è il pericolo che essi, in un permanente giovanilismo, non entrino mai nella autentica e completa ritualità della Chiesa, neanche da adulti, abituati da sempre ad una “liturgia” sempre di gruppo e mai di popolo, ridotta, spoglia, pauperista, cameratista e “familiare”?

17. La liturgia celebrata nei gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali è quella della Chiesa, oppure quella dei loro leader?

18. Le varie forme di pii esercizi sono debitamente distinte dalle celebrazioni liturgiche, oppure si intrecciano con esse, confondendo la struttura dei riti e obliterando la specificità dei contenuti?

19. Coloro che assumono il rito nella forma straordinaria devono porsi dei precisi interrogativi: perché si compie questa scelta; quali i motivi; sono validi; c’è stato prima un sufficiente sforzo di capire e vivere il rito ordinario della Chiesa; cosa ci si attende da questa forma precedente; la si conosce in modo almeno minimale? Si deve inoltre considerare che per se stessa tale forma non può garantire l’assenza di possibili abusi. Il rito tridentino ha una impostazione giuridica ben definita e richiede la conoscenza di una gestualità complessa di non facile comprensione, che può essere talvolta di intralcio allo sviluppo di un autentico senso di pietà. L’interpretazione giuridica, se da un lato garantisce formalmente il corretto svolgimento della celebrazione, dall’altro può «uccidere lo spirito» fornendo la maschera per nascondere l’assenza di un vero spirito di adorazione. È forse per questo motivo che molti sacerdoti nel passaggio al rito del Vaticano II non hanno saputo celebrare con quell’atteggiamento di venerazione e rispetto che anche il rito rinnovato richiedeva? In tal caso non possiamo sospettare che il contesto di creatività liturgica che ha caratterizzato il postconcilio sia in qualche modo dipendente anche dall’interpretazione puramente formale della liturgia preconciliare e ne costituisca una sorta di reazione?