venerdì 28 febbraio 2014

Signore, salvaci!

CHI VUOL SALVARSI RICORDI 




1 La Chiave del Paradiso: La preghiera 
2 La via del Paradiso: La croce 
3 L'unico vero bene: La grazia di Dio
4 L'unico vero male: Il peccato 
5 Valido aiuto contro il peccato: La memoria dei Novissimi 
6 Lo specchio dei cristiani: Il Crocefisso 
7 Rifugio dei casi disperati: La Madonna Santissima 
8 Un amico fedele: L'Angelo custode 
9 Un potente avvocato: San Giuseppe 
10 La fonte della Grazia: La Santa Messa 
11 Il pane dell'anima: La parola di Dio e la Comunione 
12 La guida indispensabile: Un buon Confessore 
13 Una delle cause della perdita dell'anima: Le confessioni cattive 
14 Un peccato commesso senza scrupoli: La mormorazione 
15 Un potente incentivo al male: Il cattivo esempio 
16 Principio d'ogni peccato: L'orgoglio e la superbia 
17 Il rimedio a tutti i mali: La pazienza e l'abbandono in Dio 
18 Due porte aperte per il peccato: Gli occhi e le orecchie 
19 Un potente aiuto a far bene: Meditazione quotidiana 
20 La strada principale per l'inferno: La disonesta' 
21 Il linguaggio del demonio: La bestemmia 
22 Una catena che conduce all'inferno: L'abitudine a peccare 
23 Un mezzo per diminuire i peccati: Fuggire le contese e le liti 
24 Cio' che impedisce il nostro profitto: La paura della fatica 
25 La regina delle virtu': La carita', amare Dio e il prossimo 
26 Per conservarsi buoni: Fuggire le occasioni 
27 Una pericolosa insidia per l'anima: La stampa cattiva
28 Falsa speranza e temerarieta': Peccare con la speranza del perdono 
29 Un vizio che va specialmente frenato: La gola 
30 Premio di una buona vita: La buona morte 
31 La strada sicurissima: La santa obbedienza 
32 Ripetere ogni mattina: Oggi posso morire 
33 Il pensiero più frequente: Gesù nel Tabernacolo

vita monastica

Finalmente, è stato Lui ad avere l'ultima parola



«La vita ideale è quella in cui Dio ci vuole, individualmente, monaco, avventuriero, poeta, calzolaio o assicuratore».


Da Romualdica (http://romualdica.blogspot.it/2014/02/finalmente-e-stato-lui-ad-avere-lultima.html) 

Unico maschio di una famiglia di cinque figli, i miei genitori si sono sempre sforzati di darmi una sana educazione cristiana. Ancora piccolo, ho avuto la grazia di assistere agli inizi della comunità tradizionale a Colmar, crescendo alla sua ombra e investendomi poco a poco come ministrante e poi nello scoutismo. Mediante il servizio all’altare, mi sono immerso nel cuore della liturgia, quest’azione divina che fa scendere un po’ di Cielo sulla terra, e ho percepito una viva attrazione per il sacro. Dallo scoutismo ho appreso il dono e il superamento di sé, come pure lo spirito di équipe che rispetta la debolezza del più piccolo e si appoggia sui più valorosi in un ambiente di sana fraternità: una vera piccola scuola di vita monastica! Verso l’età dei cinque anni visitavo con la mia famiglia il monastero benedettino di Le Barroux, situato in un bel paesaggio della Provenza, immerso tra il Mont Ventoux e le Dentelles de Montmirail. 

In questo monastero a quel tempo ancora in costruzione, la vita monastica era vissuta nella sua purezza originale e io ne fui davvero colpito. All’età di dodici anni ebbi una convinzione interiore che Dio mi chiamava a condurre la vita monastica in questo monastero e quattro anni più tardi inoltrai molto seriamente la mia domanda di ammissione … che poté essere accettata solo dopo il mio diciottesimo anno. 

Leggendo queste righe si potrebbe pensare che il mio itinerario è avvenuto molto semplicemente … niente affatto. Durante i cinque anni che hanno preceduto la mia entrata nella vita religiosa, sono stato ininterrottamente combattuto dal desiderio di fondare una famiglia, di avere un mestiere appassionante o di fare qualcosa di straordinario, al punto di dimenticare talora completamente questo desiderio di donarmi a Dio; una lotta interiore spesso pesante da sopportare. Finalmente, è stato Lui ad avere l’ultima parola: ero nelle sue mani. 

A una persona desiderosa di donare la propria vita a Dio, o che non si è mai posto seriamente il problema della vocazione, io proporrei di prendersi il tempo di fare silenzio nel proprio cuore, per ascoltare il Signore, che ha tante cose da dirci. Una visita quotidiana in una chiesa; dopo la comunione, un’azione di grazie non abbreviata dalle mondanità in uso sul sagrato; un tempo breve nel corso della giornata per leggere la Sacra Scrittura… Prendere sul serio la propria vita cristiana e compiere con amore il proprio dovere di stato attuale, è la preparazione per eccellenza alla vita consacrata. 

La santa Vergine è la Madre di tutte le vocazioni: non dimentichiamoci mai di porci sotto la sua protezione. La Chiesa ci dà il dovere di scoprire la nostra vocazione di figli di Dio. Scriveva Guy de Larigaudie : «La vita ideale è quella in cui Dio ci vuole, individualmente, monaco, avventuriero, poeta, calzolaio o assicuratore». Noi tutti abbiamo la vocazione all’eterna beatitudine. Onde permetterci di corrispondervi, il Signore propone a ciascuno lo stato di vita mediante il quale, nel suo piano divino, noi potremo rendergli gloria nel modo migliore. «Non abbiate paura di Cristo – ci diceva Benedetto XVI –, colui che si dona a Lui riceve il centuplo». Non abbiamo paura di camminare controcorrente nella società attuale! 

Dopo otto anni di vita monastica, se mi chiedessero «saresti pronto a ricominciare?», forse vi rifletterei un istante… poiché, non bisogna nasconderlo, se la vita monastica fosse una situazione comoda, i monasteri sarebbero brulicanti di vocazioni! Al contrario, il Signore non risparmia le prove a coloro che diventano suoi amici. San Benedetto parla bene di «tutta la durezza e l’asperità del cammino che conduce a Dio». Ancor più, non basta avere la vocazione affinché una vita consacrata sia vissuta in una facile quiete. 

Essere fedele all’appello divino è la battaglia di tutta una vita, e il privilegio di vivere in un ambiente protetto, separato dal mondo, al riparo da numerose preoccupazioni, in una comunità ove tutto è perfettamente organizzato, talora può diventare un autentico purgatorio … 

Queste considerazioni sono certamente gravi, ma non devono farci dimenticare che la vocazione religiosa è una chiamata puramente gratuita e senza alcun rapporto con i nostri meriti. La ragione umana non lo può spiegare, se non per un misterioso scambio d’amore del Creatore verso la sua creatura, quest’ultima non avendo altro che la propria fiducia da presentare quale cantico di azione di grazie. Cosa sono le nostre croci paragonate a quella di Cristo, gravata da tutte le nostre sofferenze e infedeltà riunite, assunte in uno slancio di misericordia per essere offerte al Padre? Perciò, alla domanda posta più in alto, risponderei – non senza rimpiangere di avere esitato – «sì, di tutto cuore!». Un sapiente diceva che i monaci sono gli uomini più felici sotto il sole. Nell’attesa di pronunciare i miei voti definitivi, qualche anno di apprendistato monastico mi permette di dirvi che questo sapiente era davvero un gran saggio! [C’est Lui qui eut le dernier mot, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

SOLENNI 40 ORE a FERRANDINA

Adorazione eucaristica

Una Presenza che continua
Inos Biffi



Ferrandina, rettoria della B.V. Maria Addolorata

"Subito dopo la consacrazione (statim post consecrationem)", "in forza delle parole (vi verborum)" - dichiara il concilio di Trento - avviene una "conversione mirabile e singolare" del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo: "conversione - prosegue lo stesso Tridentino - che la Chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione" (Decretum de sanctissima Eucharistia, capitolo 4, e canone 2).

Senza dubbio, l'esperienza sensibile non avverte alcun mutamento. La certezza che nel "santissimo sacramento dell'Eucaristia" - sempre secondo il Tridentino - "è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la divinità, e quindi Cristo tutto intero", non è attestata né dalla vista né dal tatto né dal gusto, come canta Tommaso d'Aquino nell'Adoro te devote, ma è tutta e interamente fondata sull'ascolto della parola del Signore, della quale nulla è più vero: Visus, tactus, gustus, in te fallitur, / sed auditu solo tute creditur. / Credo quicquid dixit Dei Filius, / nichil ueritatis verbo uerius.



Sono note la diffidenza e le reazioni al termine "transustanziazione", perché attinto al linguaggio di una filosofia superata e quindi da ritenersi inattuale[1]. Trento, da parte sua, lo ritiene invece "appropriatissimo"; e lo è, infatti, per dire che, in virtù della potenza di Cristo e dell'opera dello Spirito Santo, l'identità del pane e del vino viene realmente mutata nell'identità del Corpo e del Sangue del Signore.

apostasia dal Vangelo

Rivoluzione e Tradizione

La serenità della fede e dell'immutabile dottrina, 

si rifletteva nel possesso della verità pieno di sicurezza

e di pace
”: come è dolce questo parlare.

E' la dolcezza stessa di Dio che dona nella Chiesa

quella serenità che ogni cuore cerca.



 Cosa fare quando tutto sembra immerso in una confusione tremenda? Cosa fare quando non sembra sussistere nulla di certo?

 L'uomo è fatto per vivere di fronte a Dio, e in Dio trovare la propria consistenza e pace. Un tempo la Chiesa Cattolica comunicava questa pace. Era il mondo, quello lontano da Dio, ad essere in continua agitazione, ma la Chiesa no. La Chiesa era la stabilità.
 Era il mondo senza Dio ad essere immerso in una continua Rivoluzione e questa Rivoluzione continua era amata dalle anime instabili e disperate che, scontente della vita, cercavano affannosamente un’impossibile novità che appagasse il loro vuoto interiore.

 La Chiesa no; sempre uguale a se stessa, composta e pacifica nella stabilità di Dio, avanzava nel mare della storia ed era il vascello sicuro per le anime che non amavano la Rivoluzione riconoscendola falsa e ingannevole.

 Era il mondo moderno che, non volendo dipendere più da Dio e da nessuna autorità, criticava la Chiesa accusandola di non cambiare mai! Non credendo in Dio, il mondo moderno non capiva la stabilità della Chiesa, perché in fondo non capiva la stabilità di Dio.

 Così, in mezzo a tutte le terribili rivoluzioni, la Chiesa con i suoi santi, con la grazia soprannaturale dei suoi sacramenti, con la verità immutabile rivelata da Dio e trasmessa dalla Tradizione e dalla Scrittura, camminava nel mondo, strappando tutte le anime che poteva alla Rivoluzione che uccide, per portarle nel suo seno, nella stabilità della grazia che edifica.

 Tanti venivano colpiti dalla meravigliosa pace che emanava dalla Chiesa Cattolica, pace che convinceva e convertiva, pace che è tra i più grandi segni di Dio.

 Quante conversioni anche nel mondo protestante verso la Chiesa Cattolica: i protestanti si erano adattati alla modernità sempre più atea e indifferente, ma questa modernità non dava pace e molti così tornavano alla Chiesa Cattolica. Descrive molto bene questa situazione Carlo Lovera di Castiglione nel suo famoso testo su ”Il movimento di Oxford”. Parlando della crisi dottrinale scoppiata dentro la chiesa anglicana a metà dell'800 così dice: “...dei fedeli, gli uni non sapevano più che pensarne, altri parteggiavano per i novatori, molti guardavano oltre i confini della Chiesa Stabilita, verso i Cattolici Romani, per i quali la serenità della fede e dell'immutabile dottrina, si rifletteva nel possesso della verità pieno di sicurezza e di pace.” (Carlo Lovera di Castiglione, Il movimento di Oxford, Morcelliana 1935, pag. 220).

 “La serenità della fede e dell'immutabile dottrina, si rifletteva nel possesso della verità pieno di sicurezza e di pace”: come è dolce questo parlare. E' la dolcezza stessa di Dio che dona nella Chiesa quella serenità che ogni cuore cerca.

 Ma ora tutto è cambiato... sono giunti giorni terribili che la retorica buonista dei cristiani ammodernati non può nascondere: la Rivoluzione dal mondo ateo è entrata nella Chiesa e sta consumando tutto. Non c'è più stabilità, la Chiesa sembra entrata in una perenne Rivoluzione che tutto cambia continuamente: confusione nei riti, confusione nella dottrina, confusione nella morale, confusione nella disciplina. Non sai se la verità di oggi durerà domani. Tanti, preti e fedeli, corrono affannosamente per non restare indietro, per adattarsi come possono a questa estenuante confusione.

 Chi cerca veramente Dio, in questa Chiesa rivoluzionaria, resta terribilmente solo.

 Che fare in questo clima asfissiante? e che cosa non fare?

 Innanzitutto occorre non farsi prendere dall'agitazione, occorre non reagire da rivoluzionari: sarebbe come curare il male, che è appunto la Rivoluzione, con la stessa malattia. Lo spirito rivoluzionario, anche quando pretende di salvare il bene, non sarà mai la soluzione.

 Bisogna invece stare veramente fuori dalla Rivoluzione, vivendo integralmente il cattolicesimo in quella stabilità che era sua, prima che la Rivoluzione invadesse tutto.
 Nella confusione nera, nelle tenebre, urge decidere di fronte a Dio di vivere da cattolici, stabilmente. Per questo bisogna riconoscere un luogo che ti comunichi la pace della fede nel possesso della verità rivelata. Un luogo dove è celebrata la Messa tradizionale: eleggerlo come riferimento per la propria vita, lasciandosi educare da questo luogo. Non vivere da agitati in una lotta perenne ma vivere da cattolici nella liturgia di sempre, nella dottrina di sempre, nella grazia di sempre secondo i sacramenti di sempre; e così operare tutto il bene che il Signore ci permette di compiere.

 Lo dice padre Calmel: “Ciò che sarà sempre possibile nella Chiesa, ciò che la Chiesa assicurerà sempre, nonostante i tentativi diabolici della nuova Chiesa post-vaticanesca, è questo: tendere alla santità realmente, potersi istruire, in un gruppo reale anche se molto piccolo, sulla dottrina immutabile e soprannaturale, sotto un'autorità reale e conservando la sicurezza che resteranno sempre dei veri sacerdoti e dei Vescovi fedeli, che non avranno dimissionato (forse anche senza accorgersene) nelle mani delle commissioni e della collegialità.” (R. T. Calmel, Breve apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichthys, pag. 51).

 Carissimi, se vivremo così, le tenebre terribili di oggi resteranno fuori dai nostri cuori.

 Preghiamo perché la Madonna ci ottenga questo rifugio, e noi cerchiamo di esserne sempre più degni.

http://www.radicatinellafede.blogspot.it/2013/10/la-rivoluzione-e-la-tradizione.html 

giovedì 27 febbraio 2014

nolite peccare

Il salario del peccato è la morte

attraverso il castigo capisco la malizia del peccato, vedo  come Dio giudica il peccato



"Sapete che il 'peccato' nella Scrittura è un termine che è intraducibile in italiano. Bisognerebbe tradurlo con due parole: "delitto e castigo". Non c'è un peccato, infatti che non abbia il castigo. Quando pecchiamo, diciamocelo: "Adesso mi devo aspettare il castigo." Non è però Dio che mi castiga, sono io. Volendo fare un'immagine - ma di per sé non è esatto - diciamo che do in mano a Dio il flagello per castigarmi. Alcuni, poverini, dicono: ma è l'Antico Testamento che parla dei castighi, ma il Nuovo ... mai più". Dicono cosi tanti. Credo che uno dei più grandi castighi è venuto nel Nuovo Testamento. L'abbiamo ancora sotto gli occhi. Gesù Cristo ha predicato agli ebrei vero? ma gli ebrei non l'hanno accolto. Gesù allora cosa dice? "Di questo tempio non resterà pietra su pietra". E dopo che ha annunciato? Ha annunciato l'assedio di Gerusalemme, la distruzione di Gerusalemme, la dispersione del popolo. Hanno rinnegato Gesù Cristo? Vedete che gli ebrei sono ancora puniti davanti al mondo per il peccato del rinnegamento di Gesù Cristo? E questa è storia! Non c'è stato il castigo al tempo del profeta Geremia, non solo. Non c'è stato il castigo degli ebrei al tempo del profeta Elia, Non al tempo del profeta Isaia, no! Con Gesù Cristo! Il più grande castigo gli ebrei l'hanno avuto a punizione della loro ribellione contro Gesù Cristo. 

Ma dopo Gesù, quando parla dei singoli peccati che possiamo commettere ognuno di noi, non nomina mai un peccato senza metterci vicino il castigo. Quando dice: "Non occorre che tu uccida, no, non occorre che tu uccida per avere l'inferno dentro. No, l'odio, l'offesa, guarda che è già castigo." Non c'è un atto contro la legge di Dio ricordato da Gesù senza che Gesù vicino al peccato ci metta il castigo pronto, stabilito dalla Giustizia. 

E dunque attraverso il castigo vengo a capire la malizia del peccato, come Dio giudica il peccato. A Sodoma e Gomorra dice la Scrittura gli uomini erano corrotti, e Dio manda il fuoco. Li ha distrutti. Ha bruciato le città. Gli ebrei quando peccavano sempre il castigo. Sempre. Ogni passo della Sacra Scrittura, ogni peccato che gli ebrei facevano, ecco il castigo. Mormoravano nel deserto? Ecco che Dio ci manda i serpenti velenosi. Tanto per dare un'idea. Quello che capitò allora capita anche oggi. Infatti la Madonna a Fatima che è venuta a dirci? Dice: "Guardate che la guerra c'è a causa dei peccati. Se non vi convertite ne avrete una di più grande." Non vi convertite? Ah ... e il Papa non ha il coraggio di dire cosa è annunciato. Ecco che cosa devo dedurre io? Che il più gran male che possa fare su questa terra è il peccato, mettermi contro Dio, ribellarmi a Dio, disprezzare Dio. Non c'è male su questa terra che meriti il nome di male al di fuori del peccato. 

Ecco che il peccato in sé ha la malizia di uccidere un Dio. E Dio per riparare il peccato, poiché è un male quasi infinito, solo un Dio poteva ripararlo. E guardo il crocifisso: la testa coronata di spine, le piaghe, le mani trafitte dai chiodi, i piedi trafitti, il costato spaccato, il Figlio di Dio morto sulla croce, domando a Dio: ma perchè lo hai ridotto a queste condizioni? Cosa mi risponde Dio per bocca del profeta Isaia che lo aveva già visto 700 anni prima crocifisso? "L'ho colpito, l'ho percosso il Figlio mio a causa dei peccati del mio popolo." I nostri peccati - dice il profeta - sono sulle sue spalle. Ecco dunque ... il Vecchio Testamento? Ma il Nuovo! Quando pecchi - dice San Paolo - tu rimetti il Figlio di Dio sulla croce." 

(d. Attilio Negrisolo, figlio spirituale di S. Pio da Pietrelcina, agli esercizi spirituali)

partecipazione attiva dei fedeli

Hanno chiuso il Cielo




la chiesa in questi 50 anni ha coltivato 
una liturgia che celebra sempre di più l'uomo. La liturgia si è adattata al tempo. Risultato? Una tragedia! Dio e le cose eterne praticamente scomparse dalle chiese, Dio è uno, nessuno, centomila ....






Hanno chiuso il Cielo

Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VII n° 3 - Marzo 2014

  È la liturgia che si deve adattare al tempo degli uomini, o è il tempo degli uomini che deve prendere la forma della liturgia cattolica?

  Ci sembra che la questione cruciale sia tutta qui.

  Un cristianesimo “modernistico” che vede le verità di fede emergere dal profondo della coscienza degli uomini, vorrebbe che la liturgia prendesse le mosse dal vissuto antropologico, dalla vita degli uomini, per celebrare la consapevolezza umana del proprio rapporto con Dio. In fondo è stata questa la linea vincente di questi anni: la liturgia ha sempre di più celebrato l'uomo, anche quando ha celebrato la fede dell'uomo. Insomma, la liturgia si è adattata alla vita del tempo. Risultato? Una tragedia! Dio e le cose eterne praticamente scomparse dalle chiese, per far posto alla fede dei credenti, che esprimono, commentano, interpretano quello che loro vivono nei confronti di Dio. La liturgia riformata parla nel migliore dei casi della Chiesa, ma quasi mai di Dio. E quando parla della Chiesa, lo fa più secondo l'ottica di “Popolo di Dio in cammino” che come “Corpo Mistico di Cristo”.

  E guardate che non stiamo parlando di quelle sfacciate para-liturgie tutte sociali e umanamente impegnate dei catto-comunisti degli anni '70 ... parliamo piuttosto di quelle liturgie, di quelle messe, che oggi vanno per la maggiore nell'ufficialità delle diocesi, dove si parla di fede, di comunità credente, di popolo attorno al suo vescovo; di liturgie che celebrano questa comunità, ma nelle quali non si adora Dio presente e non ci si inabissa nel mistero della redenzione. È una sorta di neomodernismo liturgico che ha superato la tentazione marxista del solo impegno del mondo, ma che parlando di fede si sofferma sui credenti, ma non arriva mai a Dio, a Nostro Signore, alle verità eterne, alla questione della salvezza. È come se ci si fosse accorti che non si poteva andare avanti, come anni fa, in un cristianesimo orizzontale, e si è così approdati all'impegno sociale ecclesiale, per edificare la comunità dei credenti. In ogni caso l'errore è sempre lo stesso: partire dall'uomo e chiudere il Cielo.
  Ma l'uomo ha proprio bisogno di questa auto-celebrazione della propria fede, o non è fatto piuttosto per inabissarsi in Dio?

  No, la liturgia cattolica è cosa totalmente diversa: è l'irruzione del Cielo sulla terra ed è la porta aperta tra il Cielo e la terra!

  Se volete tentiamo di dare due eloquenti immagini contrapposte, che dicono due concezioni diverse, molto diverse del culto: quella di un semplice prete che in una delle tante chiese sparse nell'orbe cattolico celebra, nella quiete della preghiera, rivolto al Crocifisso, l'eterno sacrificio che salva le anime, assistito dalla orante e adorante attenzione dei fedeli, e quella di una rumorosa e festosa comunità, che andando alla messa è preoccupata di “fare comunità esprimendo i propri carismi” (in verità facendo qualcosa perché nelle nuove messe mal si sopporta lo stare fermi) e di mettersi al passo con le direttive dell'operatore pastorale... e che in ultimo farà certo anche la comunione. Sono due concezioni opposte, inconciliabili. Una, quella tradizionale, fa spazio all'azione di Dio, l'altra si sofferma ... ma forse, osiamo dire, si ferma all'azione della comunità!

  Vedete, le verità di fede non nascono dalla coscienza profonda degli uomini, dal vissuto della comunità che reinterpreta il proprio vissuto alla luce di Dio, ma sono comunicate dalla reale rivelazione di Dio che la Chiesa custodisce e trasmette: la rivelazione discende dal Cielo, non germoglia dalla terra come vorrebbero i modernisti. Così la liturgia porta il Cielo in terra e porta la terra al Cielo. É azione di Dio innanzitutto, e non primariamente azione della Chiesa. La Chiesa riceve l'azione di Dio, la custodisce, la esprime utilizzando certamente tutte le possibilità umane adeguate; salvaguardia la liturgia dalle modifiche errate che possono confondere l'opera di Dio e la trasmette fedelmente custodendola, perché il Cielo resti aperto sugli uomini.

  Tutti, praticamente tutti, quando si parla di Movimento Liturgico amano rifarsi a dom Guéranger, il grande abate benedettino che rifondò il monachesimo in Francia dopo la tempesta rivoluzionaria. Con lui si dà inizio al Movimento Liturgico, cioè a quella rinascita dello spirito cristiano che dalla liturgia prende le mosse. Autore prolifico, pensiamo all'Anno Liturgico da lui pubblicato ma non solo, partecipe di tutti i drammi e le battaglie della Chiesa del XIX secolo, ascoltato consigliere di Pio IX ... fondatore dell'abbazia di Solesmes.

  Ma cosa voleva veramente dom Guéranger? E cosa chiedeva San Pio X, riprendendo con autorevolezza il lavoro del grande benedettino e dando così nuovo vigore proprio al Movimento Liturgico? Volevano che il popolo avesse l'intelligenza delle cose divine (che capisse la liturgia della Chiesa), perché queste penetrassero di nuovo la vita del popolo cristiano. Volevano una grande opera di educazione perché le cose del Cielo tornassero a dare forma alla vita degli uomini.

  Ma citiamo dom Guéranger: “I misteri del grande sacrificio, dei sacramenti, dei sacramentali, le fasi del ciclo cristiano così feconde in grazia e in luce, le cerimonie, questa lingua sublime che la Chiesa parla a Dio davanti agli uomini; in una parola tutte queste meraviglie torneranno familiari al popolo fedele. L’istruzione cattolica sarà ancora per le masse il grande e sublime interesse che dominerà tutti gli altri; e il mondo tornerà a comprendere che la religione è il primo dei beni per l’individuo, la famiglia, la città, la nazione e per la razza umana tutta intera(Institutions liturgiques - seconda ediz., t. III cap. 1, pag. 13).

  Guéranger, e con lui Pio X con la sua troppo mal citata “partecipazione attiva”, volevano l'esatto contrario di quello che si è fatto dal Concilio in poi. Nel post-concilio la liturgia è stata trasformata per aderire alla vita degli uomini, la Chiesa nel passato ha invece sempre desiderato che la vita degli uomini prendesse forma dalla liturgia cattolica.

  Non volevano un abbassamento della liturgia alla vita meramente naturale degli uomini, ma volevano un innalzamento del popolo ai sublimi misteri.

  Cosa se ne fa un uomo di una liturgia che gli parla solo delle sue speranze e delle sue fatiche, che gli parla del suo “senso religioso”, ma che non gli parla mai del Cielo? E’ su questo equivoco che tragicamente è fallito il Movimento Liturgico.



  Occorre tornare a Guéranger e al vero San Pio X. Ma, a quando questo ritorno?

http://www.radicatinellafede.blogspot.it/2014/02/hanno-chiuso-il-cielo.html

misteri della chiesa

Ora il mistero è ancora più fitto. Ratzinger e La Stampa. Le mie domande senza risposta


irrisolta dicotomia di un per sempre 

abbinato alla scissione del 
servizio attivo 
da quello
 contemplativo
La risposta di Antonio Socci
Confronto tra due giornalisti e le rispettive 'visuali', ma l'inedita situazione continua ad apparire anomala e gravida di tutti gli interrogativi che ci andiamo ponendo da quel fatidico 11 febbraio 2013 e eventi successivi. Al di là delle rispettive posizioni personali e di qualche dettaglio di scarsa rilevanza, non viene data risposta alle perplessità che - come sottolineato anche da noi - non riguardano la regolarità giuridica delle dimissioni e della successiva elezione del nuovo papa, ma il rischio di un possibile snaturamento del papato e dell'alta funzione del Pontefice, nella irrisolta dicotomia di un per sempre abbinato alla scissione del servizio attivo da quello contemplativo, come se un'investitura di origine divina, che riguarda la persona, possa essere considerata e vissuta alla stregua di una funzione amministrativa qualunque. È questa la vera innovazione che la storia bimillenaria della Chiesa non ci ha consegnato e che è all'origine del disagio, per non dire inquietudine, di molti credenti.
Mi sovviene l'intervista rilasciata dal papa regnante a La civiltà cattolica e la seguente dichiarazione:
«Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi
Premesso che è la cultura contemporanea a dover essere letta alla luce del Vangelo altrimenti, anziché essere il Vangelo a produrre la trasformazione della realtà secondo il progetto di Dio possibile attraverso il nostro conoscere e agire Cristocentrico - annunciato guidato e garantito dal munus docendi regendi e sanctificandi dei Pastori  - ormai sembra accadere il contrario, di fatto e in maniera sempre più evidente secondo l'infausta spinta antropocentrica impressa dall'Assise conciliare. In fondo non è proprio questo che stanno attuando e non è in questo che, a parte la differenza di stile, consiste la continuità tra i due pontificati? Persino al di là dei pesanti motivi contingenti che possono aver indotto le dimissioni. E dove stanno portando la Chiesa e chi può porci rimedio? (Maria Guarini)



Ieri sulla “Stampa” e “Vatican Insider” (il sito del giornale dedicato al Vaticano)  è apparso con gran rilievo questo titolo che riporta parole attribuite a Benedetto XVI: “La rinuncia è valida. Assurdo speculare sulla mia decisione”.
Suona come una clamorosa risposta alle domande che io avevo posto su queste colonne a un anno dalle sue storiche dimissioni.

AUTOGOL

I colleghi di “Vatican Insider-La Stampa”, per capirci,  sono gli stessi che reagirono con stizza allo scoop con cui, il 25 settembre 2011, preannunciavo le dimissioni di papa Benedetto. Ci fu chi scrisse che era “scandalizzato” dal mio articolo.
Questi colleghi corsero a fare i pompieri intervistando chi diceva che era tutto infondato e che il mio articolo era assurdo e ridicolo. 
Sappiamo poi come sono andate le cose e quanto era infondato ciò che scrissi.

Gli amici della “Stampa” avrebbero potuto imparare, da quella vicenda del 2011, che non bisogna mai accontentarsi delle “verità ufficiali”, altrimenti basterebbe pubblicare i comunicati stampa dei vari palazzi.

I giornalisti esistono per porre domande, mostrare le cose che non quadrano, indagare e chiedere spiegazioni sulle cose oscure o non chiarite.
Invece anche ieri gli amici di “Vatican insider” sono corsi a fare i pompieri, chiedendo a Benedetto di smentirci. Ma il risultato rischia di essere opposto a quello voluto.

Da ieri infatti i dubbi sulle sue dimissioni si sono ingigantiti. Perché – come tutti sanno – il Vaticano non smentisce mai le tante illazioni o le congetture infondate che appaiono sui media.
Se in questo caso ha accettato di intervenire addirittura il papa emerito (troppo onore) è segno che il problema c’è. Ed è enorme. Non si scomoda un papa, infatti, per una baggianata.

DUBBI

Del resto ciò che pubblica “La Stampa” non è affatto chiaro. Anzitutto quando si dispone di un documento come quello – la risposta di un Papa – è buona regola pubblicarlo integralmente tale e quale e con riproduzione fotografica.
Invece il suddetto articolo di Andrea Tornielli riporta solo qualche frase estrapolata e la fotografia della firma e della carta intestata. Senza dirci quali sono state le domande complete e le risposte complete, con annessi e connessi.

In secondo luogo i brevi virgolettati attribuiti al papa emerito smentiscono qualcosa che io non avevo mai messo in discussione. Infatti egli afferma che la sua decisione è stata davvero libera.
Ma questo lo aveva già dichiarato solennemente nell’annuncio dell’11 febbraio 2013. Cosa credevano, alla “Stampa”, che oggi Benedetto dicesse di aver mentito?

Io ho sempre creduto alla sua dichiarazione di allora. Infatti nell’articolo del 12 febbraio scorso scrivevo: “Non è ammissibile dubitare delle sue parole, quindi il suo fu un gesto libero”.

Ma ciò non spiega nulla. Questo grande uomo di Dio aveva detto di aver preso tale decisione “non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa”, perché bisogna avere “sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”.

Considerata la guerra che gli era stata scatenata contro (si vedano i miei articoli precedenti), si può ipotizzare che egli – vedendo addensarsi sulla Chiesa certe minacce (sulla Chiesa, non su se stesso) – abbia liberamente deciso di fare un passo indietro per evitare tempeste alla barca di Pietro.

In questo caso la scelta sarebbe stata libera, tuttavia determinata da circostanze esterne tutte da svelare. D’altra parte era stato lo stesso papa Benedetto – nella sua messa d’insediamento – a chiedere: “pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi”.

La rinuncia non è una fuga davanti ai lupi, perché – anzi – da papa emerito sostiene con la preghiera il papa regnante, Francesco, nella lotta. Tuttavia quella frase clamorosa rivelava ufficialmente che il Vicario di Cristo aveva a che fare con branchi di lupi.
Chi fossero non è mai stato chiarito. Si riferiva anche al mondo. Tuttavia questo “attacco concentrico” aveva “origine fuori, ma spesso anche dentro la Chiesa”.

Lo scriveva lo stesso Tornielli (con Paolo Rodari) nel 2010 nel libro intitolato “Attacco a Ratzinger”, dove si mostravano l’isolamento di Benedetto e i suoi molti nemici.
Lì si svelava che subito dopo il Conclave potenti cardinali di Curia decretavano già che quel pontificato sarebbe durato poco (“solo due o tre anni”) e che “l’unica cosa che non si perdona a Ratzinger è quella di essere stato eletto Papa”.

D’altronde sabato scorso, in San Pietro, si è potuto vedere che Benedetto è tuttora in ottima forma fisica, così come è intellettualmente lucidissimo.
Dunque le domande sulle vere ragioni della rinuncia si ripropongono (del resto, in duemila anni di storia della Chiesa, mai un papa si era ritirato per l’anzianità).

GUARDAROBA

L’altra risposta virgolettata, riportata da Tornielli, fa trasecolare. Alla domanda sul perché ha deciso di rimanere papa emerito (e non vescovo emerito o cardinale), col vestito da papa, Benedetto avrebbe testualmente risposto così: “Il mantenimento dell’abito bianco e del nome Benedetto è una cosa semplicemente pratica. Nel momento della rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti”.

Ora, che l’intelligenza sopraffina di Ratzinger abbia voluto liquidare con una battuta surreale una questione delicatissima, che in questo momento non può e non vuole spiegare, a me pare evidente.

Padroni invece quelli della “Stampa”  di considerarla una risposta esauriente. Evidentemente credono che, fra l’11 febbraio (data dell’annuncio) e il 28 febbraio (fine del pontificato), in tutto il Vaticano e nei negozi e fra i sarti di Borgo Pio, non si poteva trovare nemmeno una tonaca scura.

Anzi, è stato confermato dal cardinal Bertone che la rinuncia era già stata decisa da mesi (come su questo giornale si è sempre scritto), quindi si dovrebbe credere che in un intero anno non sia stato possibile, in Vaticano e dintorni, trovare una tonaca scura.

Per questo Ratzinger avrebbe deciso – contro il parere di tutti i canonisti (compresa Civiltà cattolica) – di restare Sua Santità Benedetto XVI e di vestire di bianco.
Creando una situazione unica nella storia della Chiesa, per la coesistenza di due papi e perché non è stato definito, né a livello canonico né a livello teologico, lo status di papa emerito (nei secoli scorsi tutti i pontefici che si sono ritirati sono tornati alla loro condizione precedente l’elezione).

Mi pare che non ci sia bisogno di commenti. Del resto l’aver deciso, nelle scorse settimane, di tenere lo stemma da papa, rifiutando quello da papa emerito e quello da cardinale, come c’entra con l’abito nell’armadio?

RISPOSTE MANCANTI

Non ho trovato, nella pagina della “Stampa”, la risposta alla mia domanda sulla frase che Benedetto pronunciò, il 27 febbraio 2013, per definire la sua scelta. Parlando del suo ministero petrino disse: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.

Cosa significa quella rinuncia all’”esercizio attivo”, quel “per sempre” e quel ministero petrino “non revocato”? Sarebbe stato interessante che un grande teologo come Benedetto illuminasse tutta questa situazione.

Così come sarebbe stato interessante chiedergli cosa mai era accaduto di così urgente venerdì sera perché Francesco telefonasse direttamente a Benedetto chiedendogli di andare, l’indomani mattina, al Concistoro pubblico in San Pietro.

Si è trattato oltretutto di un fatto che ha contraddetto ciò che Benedetto aveva annunciato (“sarò nascosto al mondo”). Perché questa emergenza?

GIORNALISTI

A questo proposito devo precisare che – contrariamente ad altri, a cui forse allude Tornielli – personalmente non ho mai contrapposto i due papi, rilevando che appaiono davvero come Mosè che prega sul monte e Giosuè che combatte nella valle. Insieme per salvare la Chiesa in un momento così drammatico come forse in duemila anni mai ha vissuto.

Con Tornielli, che conosco da 30 anni e di cui mi reputo amico, ho avuto anche di recente un piccolo bisticcio.
Mi aveva colpito il fatto che in due pezzi consecutivi, sabato e domenica, avesse usato, per Benedetto, le espressioni “primo fra i cardinali” e poi “vescovo emerito di Roma”, pur sapendo bene che Benedetto aveva rifiutato di assumere proprio quelle qualifiche e aveva optato invece per “Papa emerito”.
Avevo chiesto, scherzosamente, a Tornielli perché riteneva di degradare Benedetto, ma mi ha risposto con stizza e allora ho abbozzato.

Personalmente credo che il compito di noi giornalisti non sia quello di “normalizzare” una situazione obiettivamente unica, magari improvvisandoci tifosi di un papa o di un altro (che certo non hanno bisogno di tifosi).
Il nostro compito è quello di cercar di capire, di porre domande, di far emergere la complessità di una situazione. Può darsi che le nostre domande e il nostro indagare possano disturbare, ma il nostro dovere è cercare la verità sempre (anche il nostro dovere di cristiani del resto è questo).

ZUCCHETTO

Ho motivo di ritenere, ad esempio, che sia stato fatto notare a papa Benedetto che, fra le domande da me poste, c’era la constatazione del mancato bacio dell’anello, nei due incontri pubblici fra i due papi.
Pare che per questo Benedetto, al Concistoro di sabato, abbia fatto il gesto di togliersi la berretta davanti a Francesco (mai fatto in precedenza), gesto che è stato enormemente amplificato dai vaticanisti.

Tutta quell’enfasi però mi pare fuori luogo perché è ovvio che Francesco è il papa regnante: Benedetto fin da prima del Conclave gli ha assicurato reverenza e obbedienza. Come tutti noi cattolici dobbiamo fare (personalmente su queste colonne ho sempre sostenuto e difeso papa Francesco).

Ma i fatti sono testardi, esistono e interrogano: proprio l’enfasi sulla berretta mi pare metta in rilievo ancora una volta che pure sabato scorso non c’è stato il bacio dell’anello (un aspetto che resta misterioso e fa riflettere).

Se per la prima volta Benedetto dovesse fare il gesto del bacio dell’anello dovremmo pensare che ci sono state su di lui pressioni molto forti (e che anche nel passato ce ne siano state).

In ogni caso il mistero s’infittisce.
Antonio Socci 
Da Libero, 27 febbraio 2014

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2014/02/ora-il-mistero-e-ancora-piu-fitto.html 

mercoledì 26 febbraio 2014

apparecchio alla buona morte

“Atto solenne di preparazione per morire santamente” dalle opere di S. Alfonso de’ Liguori


Matera, Chiesa del Purgatorio



Mio Dio, essendo certa la mia morte, e non sapendo quando sarà, intendo da ora di prepararmi a quella, che è il momento più bello della vita di un cristiano perché attua l’incontro definitivo con Cristo Amore; e perciò affermo di credere quanto crede la S. Chiesa, e specialmente il mistero della SS. Trinità, l'Incarnazione e Morte di Gesu-Cristo, il paradiso e l'inferno, perché tutto l'avete rivelato Voi che siete la stessa Verità. Io merito mille inferni, ma spero dalla vostra pietà per i meriti di Gesu-Cristo il perdono, la perseveranza finale e la gloria gioiosa del paradiso. Vi benedico per quanto mi avete donato finora e per quanto volete donarmi. Affermo che v'amo sopra tutte le cose, perché siete un bene infinito; e perché v'amo, mi pento sopra ogni male di tutte le offese che vi ho fatte, e propongo prima morire e perdere tutto piuttosto che più offendervi. Vi prego a levarmi la vita e tutto quello che ho piuttosto che permettere ch'io v'abbia da perdere con un altro peccato.Vi ringrazio, Gesù mio, di tutte le pene che avete patite per me, e di tante misericordie che mi avete usate, dopo che vi ho tanto offeso.Amato mio Signore, mi rallegro che siete infinitamente beato. Godo che siete amato da tante anime in cielo ed in terra. Vorrei che tutti vi conoscessero e vi amassero. Affermo che qualunque persona m'avesse offeso, io la perdono per amor vostro, o Gesù mio; e vi prego a farle bene fin d’ora. Affermo che desidero in vita ed in morte i SS. Sacramenti; ed intendo da ora di cercare l'assoluzione delle mie colpe, quando in morte non potrò darne segno.Accetto con pace la mia morte e tutti i dolori che l'accompagneranno, in unione della morte e dolori, che patì Gesù sulla croce. Ed accetto, mio Dio, tutte le pene e tribolazioni, che prima di morire mi verranno dalle vostre mani. Fate di me e di tutte le cose mie tutto quel che vi piace. Datemi il vostro amore e la santa perseveranza, e niente più vi domando. Madre mia Maria, assistetemi sempre, ma specialmente nella mia morte; e frattanto aiutatemi a conservarmi in grazia di Dio. Voi siete la speranza mia. Sotto il vostro manto voglio vivere e morire. S. Giuseppe, S. Michele Arcangelo, Angelo mio Custode, soccorretemi sempre, ma soprattutto nell'ora della mia morte. 



E voi mio caro Gesù, voi che per ottenere a me una buona morte, avete voluto fare una morte così amara, non m'abbandonate allora. Io da ora a Voi m'abbraccio, per morire abbracciato con Voi. Io merito l'inferno, ma mi abbandono alla vostra misericordia, sperando nel sangue vostro di morire nella vostra amicizia e di ricevere da Voi la benedizione, nella prima volta che vi vedrò da misericordioso giudice mio. Nelle vostre mani impiagate per mio amore raccomando l'anima mia. In Voi spero di non essere allora condannato all'inferno e di essere ammesso alla gloria e alla gioia del Paradiso. «In te,Signore, ho sperato, non sia confuso in eterno». Vedo già che la causa delle mie cadute è stata il non ricorrere a voi, quando io ero tentato, a domandarvi la santa perseveranza. Per l'avvenire propongo fermamente di raccomandarmi sempre a voi, e specialmente quando mi vedrò in pericolo di ritornare ad offendervi. Propongo di ricorrere sempre alla vostra misericordia, invocando sempre i Ss. Nomi di Gesù e di Maria: sicuro che pregando non lascerete voi allora di darmi la forza ch'io non ho di resistere a' miei nemici. O Maria, Madre ottenetemi la grazia di raccomandarmi in tutt'i miei bisogni e per sempre al vostro Figlio, ed a voi. O Signore Gesù aiutatemi sempre, e specialmente nella mia morte; fate ch'io spiri amandovi, sicché l'ultimo respiro della mia vita sia un atto d'amore, che mi trasporti da questa terra ad amarvi in eterno nella gioia del paradiso. Gesù, Giuseppe, e Maria, assistetemi nella mia agonia. Gesù, Giuseppe, e Maria, a voi mi dono, e voi ricevete in quel punto l'anima mia.