E se la colpa fosse del meno sospettato? Ovvero: il microfono e il suo influsso sulla comunicazione liturgica
Ogni tanto mi piace fare incursioni, anche sul blog, nel campo di studio e d'interesse che continua ad appassionarmi dai tempi dei faticosi corsi di Scienze della comunicazione e giornalismo. Sul numero di Dicembre 2012 della Rivista americana First Things, che si occupa del fenomeno religioso e delle sue conseguenze sociali, ho trovato un articolo degno di nota e scritto bene, e non ho resistito a rilanciarlo (visto che comunque farà parlare e discutere abbastanza....). Le questioni che suscita non sono nuove, ma oggi assumono una piega che le fa più rilevanti: è il momento di "educabilità" che permette o meno di essere ricettivi a determinati stimoli.
Il testo di Marshall McLuhan, laico, teorico delle comunicazioni sociale e consultore al Concilio Vaticano II, a cui il professor Kevin White si riferisce massicciamente nell'articolo, si intitola in edizione italiana: La luce e il mezzo. Riflessioni sulla religione, Armando, 2002. Un libro che consiglio caldamente.
Il capitolo citato è in particolare il XIII (pp. 123-130). Il esso il guru cattolico e canadese delle comunicazioni conclude le sue ampie osservazioni sul modificarsi delle relazioni provocate dall’uso dell’amplificazione elettronica della voce, con questa affermazione: “il microfono ha prodotto sulla liturgia degli effetti che nessuno immaginava né aveva previsto”.
A distanza di parecchi anni dalle intuizioni di McLuhan è ora di riesaminare in maniera seria e non ideologica certe argomentazioni da lui esposte e certe sue previsioni oggi avveratesi.
Per questo ho fatto l’immane fatica notturna di tradure l’articolo che qui presento. Mi pare che ponga bene i termini della problematica e mostri parecchi aspetti di ciò che – di solito – il sacerdote dà per scontato, senza pensare agli effetti del modo del comunicare in Chiesa, durante il culto.
Nessuno è così ingenuo da pensare: "da domani non uso più il microfono", ovviamente. Ma prendere sul serio le scienze umane, tra cui le scienze del comunicare e la psicologia della comunicazione in particolare, è un frutto maturo della stagione conciliare. Non vogliamo certo sottovalutare il dialogo tra scienza e fede, solo perché alcune analisi mettono in crisi posizioni che parevano pacifiche e intangibili!
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di Kevin White, professore associato di filosofia presso l'Università Cattolica d'America.
Il clero cattolico e i laici sembrano accettare l'uso dei microfoni a Messa, senza dubbio, come qualcosa di positivo, o almeno come un elemento inevitabile dell’ambiente elettronico in cui tutti quanti oggi viviamo e ci muoviamo, come i pesci nuotano in acqua. Tuttavia, quello del microfono, è uno sviluppo molto recente e piuttosto strano, e verrebbe da pensare che esso dovrebbe aver dato adito a discussioni ben più di quanto in realtà non abbia fatto.
Dal punto di vista della percezione sensoriale umana, la messa è innanzitutto un evento nella dimensione del suono, il suono della voce umana. Ci si riferisce alla Messa come qualcosa detta da un prete, e si diceva che i fedeli che ascoltavano Messa.
Quest'ultima espressione ha dato un nome al silenzio passivo con cui i fedeli assistevano alla Messa. TS Eliot una volta ha descritto la maniera in cui i poeti trasformano la loro esperienza in poesia come "un passivo partecipare alla manifestazione", una frase che potrebbe essere applicato all’atteggiamento dei fedeli che, si diceva, ascoltavano la Messa. Come un poeta compone poesie, così un cattolico ricompone se stesso, a Messa, in uno stato d'animo di attesa silenziosa.
L'idea di ascoltare la Messa è stato oggi sostituito dall’ideale della “partecipazione attiva” alla Messa, e essere attivi, si pensa, significa produrre un suono, oltre che assistere ad un evento sonoro. Questo ideale proviene dal movimento liturgico del XIX e dell'inizio del XX secolo.
La “partecipazione attiva” alla liturgia dai fedeli è stata incoraggiata fin dal 1903, in un Motu proprio di Pio X sulla musica sacra. È stata inoltre favorita con l'approvazione della Santa Sede nel 1922 della “Santa Messa dialogata”, durante la quale il popolo avrebbe recitato insieme le risposte alle preghiere del sacerdote (precedentemente riservate ai ministri o chierichetti NdT). Nella Messa di Paolo VI, che è stato il rito comune in Occidente da quando è stata promulgato nel 1969, il popolo di solito risponde ad un sacerdote che sta di fronte a loro, e che prega nella loro lingua, parlando in un microfono che proietta la sua voce attraverso altoparlanti puntati su di loro.
I microfoni, occasionalmente, furono utilizzati durante la messa anche prima degli anni ‘60, ma da allora sono diventati equipaggiamento “di serie”. Un motivo per la loro introduzione sembra essere stato che dotavono il sacerdote di una voce pari, come volume, a quella dell’assemblea con la quale poteva quindi porsi in dialogo.
Ma i microfoni aprirono anche nuove possibilità di partecipazione ai membri stessi dell’assemblea: essi hanno iniziato a leggere, a fare annunci, e guidare gli altri nella preghiera e nel canto. Sono rare le Messe di oggi in cui non vi sia più di un microfono e più di una voce amplificata.
Il poeta seicentesco George Herbert ha coniato la brillante metafora della preghiera come tuono invertito. Il microfono a messa, si potrebbe dire, va in qualche modo a trasformare la metafora in verità letterale, a scapito della sua forza metaforica e del suo fascino. Acusticamente, oggigiorno, molte messe hanno parecchio in comune con altri eventi contemporanei in cui voci proiettate elettronicamente riempiono l'aria, comprese le manifestazioni politiche, i concerti di musica pop, gli eventi sportivi, i film al cinema, e il viaggiare in aeroporti e stazioni della metropolitana. Questi eventi si svolgono in cavernoso, roboanti camere dell’eco in cui folle di persone sono sottoposte a voci innaturalmente forti e dal timbro metallico.
Un microfono permette a chi lo usa di imporre la propria voce, e in tal modo il suo pensiero e la personalità, su molte più persone rispetto a quanto poteva un antico oratore. Ora un oratore pubblico è chiunque abbia un microfono. Il dilettante di fronte a un microfono è tentato di indulgere al piacere di trasmettere i suoi pensieri e sentimenti, con grande divertimento o fastidio del suo pubblico. L'oratore più abile prende il controllo del microfono e della situazione, usando la sua voce amplificata per altri scopi. Cantanti popolari e politici populisti sono stati maestri nell’uso del microfono, mormorando, con perizia, in maniera più forte di quanto chiunque potesse mai gridare.
Le diverse parti della Messa richiedono diversi atteggiamenti retorici. Un predicatore affronta l’assemblea in maniera massimamente diretta e aperta, come un particolare essere umano parla ad altri. Un lettore della Scrittura assume una posizione più distaccata, proclamando il testo a tutti coloro che si trovano ad essere presenti. Può essere o no il sacerdote a predicare o a legge dalla Scrittura, ma deve essere lui che recita il Canone, seguendo il canon actionis, cioè la norma della preghiera, dell’azione di grazia.
L'azione della Messa è allo stesso tempo un atto di un sacerdote ordinato, un’azione di tutta la Chiesa, e l'azione di Cristo. Nel caso del sacerdote, l'azione è in gran parte una questione di linguaggio. Anche se a volte parla all’assemblea, la maggior parte di quello che dice è un indirizzato direttamente a Dio Padre, e nel rivolgersi a Dio, di tanto in tanto, e in modo un po' impersonale, menziona gli altri presenti alla Messa chiamandoli circumstantes, "coloro che stanno in piedi qui intorno”.
Filtrati attraverso un sistema di sonorizzazione, questi diversi atteggiamenti vengono omogeneizzati. Per un membro dell’assemblea, la preghiera, il dialogo, le letture, l’omelia e gli annunci parrocchiali sono tutti emanati da una stessa fonte: il più vicino altoparlante.
Dal mio banco, vedo il sacerdote che guarda verso di me, ma sento la sua voce provenire da un'altra direzione, quella dell'altoparlante.
Questa disparità tra la direzione della vista e la direzione del suono è una dissonanza cognitiva tipica di alcuni degli eventi contemporanei di cui sopra. Ma almeno il viso del sacerdote e la sua voce elettronicamente amplificata almeno vanno d'accordo nell’essere rivolti verso di me. Ma proprio qui vi è un’ulteriore e più stridente dissonanza tra il suo, fa un lato, stare di fronte a me e parlare nella mia direzione, e, dall'altro, il suo indirizzare le sue parole a Dio Padre. Non è facile interpretare una voce insistentemente proiettata verso se stessi come destinata a qualcun altro.
Nel 1974, Marshall McLuhan sosteneva che il microfono sia stato la causa prossima sia dell'eliminazione del latino dalla Messa, sia del voltarsi del sacerdote per rivolgersi di faccia all’assemblea. Prima dell’introduzione dei microfoni, un prete diceva sottovoce la messa in latino, con le spalle all’assemblea. Da qualsiasi distanza, la sua voce era indistinta, anche se un cattolico istruito poteva seguire quanto veniva detto da un messale contenente il testo latino della Messa o una traduzione di esso.
McLuhan inoltre riteneva che, ha quando il microfono ha cominciato a rendere ogni sillaba pronunciata dal sacerdote chiara e cristallina a tutti, è diventato intollerabile per lui non esprimersi in una lingua compresa da tutti. E dal momento che sembrava pressante che il prete fosse capito da tutti, sembrava anche innaturale che il sacerdote fosse di schiena rispetto all’assemblea radunata. E così il sacerdote fu voltato verso il popolo, e ha iniziato a celebrare la Messa nella loro lingua.
McLuhan ha anche suggerito che i microfoni hanno condotto ad assemblee percepite con dimensioni ridotte. Questo accade perché i microfoni rendono possibile a chiunque in chiesa di essere udito da tutti gli altri. Anche se in realtà solo pochi parlano davvero, la possibilità che chiunque possa rivolgersi a tutti produce un forte senso di prossimità artificiale, e di conseguenza un desiderio di vicinanza reale e di superamento delle divisioni spaziali e delle distanze tra le persone.
L'antica regola per il numero di gli ospiti da invitare a cena era: “non meno delle Grazie e non più delle Muse”, cioè, non meno di tre e non più di nove. Il principio guida era l'unità della conversazione a cena, che, si pensava, ha bisogno di almeno quattro persone, tra cui il padrone di casa, per essere tenuta viva, ma risulta difficile da mantenere nella sua unità quando vi partecipano più di dieci persone. I microfoni producono l'illusione che una conversazione intima e unitaria possa avvenire tra migliaia di persone.
Riconosciuta l'illusione per quello che è, le persone sono portate allora a cercare altrove ciò che era falsamente promesso, vale a dire una calda relazione umana. Anche le chiese piccole iniziano a sembrare troppo grandi, e diventa preferibile celebrare la Messa in un ambiente privato, tra amici, in una piccola stanza dove non sono necessari microfoni.
D'altro canto, i microfoni possono intensificare l'illusione di intima conversazione tra numerosissime persone fino al punto in cui anche grandi chiese cominciano a sembrare troppo piccole. Una Messa detto all'aperto, in uno stadio, sfrutta appieno il potere dei microfoni di evocare una sensazione di unità in una moltitudine.
Ancora più impressionante in questo senso è la trasmissione elettronica della Messa, che unisce una "assemblea" diffusa su vasti territori geografici. La prima trasmissione radiofonica della Messa fu effettuata dalla Basilica di San Luigi re di Francia a St. Louis, in Missouri (USA), per il Natale 1922. La prima trasmissione televisiva della Messa fu invece da Notre Dame a Parigi nel Natale 1948.
L’abitudine, come sempre accade, finisce per diventare una seconda natura. Siamo ora talmente abituati all'amplificazione elettronica e alla trasmissione della Messa che abbiamo dimenticato quali straordinarie innovazioni sono state. Qual è il significato spirituale di queste potenti modificazioni artificiali del dire e ascoltare il Santo Sacrificio della Messa? La questione sembra proprio richiedere ancora la considerazione dei pensatori cattolici.
Fonte: First Things
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<!--[if !supportFootnotes]-->[1]<!--[endif]--> “Drop the Mic”, il titolo originale, è in realtà un’espressione gergale riferita al gesto dei rapper nelle contese canore. Essi lasciano cadere il microfono dopo che l’hanno usato, con soddisfazione, per la loro applaudita performace.
Testo preso da: Cantuale Antonianum http://www.cantualeantonianum.com/#ixzz2FhGHosjF
http://www.cantualeantonianum.com
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