lunedì 30 settembre 2013

GRANDE PUTIN

                Cosa ha detto Putin a Valdai


Se qualcuno avesse detto, quando avevo vent'anni, 

che la russia nel 2013 sarebbe stato l'unico paese europeo 

a riconoscere e difendere le sue radici cristiane, 

l'avrebbero fatto rinchiudere in un manicomio...

ma poi ricordo Fatima.

Maurizio Blondet 26 Settembre 2013 

I media occidentali hanno trovato degna di nota solo la battuta sarcastica su Berlusconi: «Lo processano perché va a donne. Fosse stato omosessuale, non avrebbero alzato un dito contro di lui». Ma Vladimir Putin, nel forum di discussione Valdai (1) con l’intervento di personalità internazionali (c’era anche Romano Prodi), ha detto ben altro. Ha affrontato il tema della crisi fondamentale di civiltà che devasta l’Occidente, e delle forze spirituali cui la Russia deve attingere, trovandole in sé, per difendersene. Si capisce che è un livello di temi e di linguaggio che i giornalisti occidentali stentano a capire, ne sono al disotto. Ecco alcuni passi del discorso:

 «Oggi ci occorrono nuove strategie per preservare la nostra identità in un mondo che cambia rapidamente, un mondo che è diventato più aperto, trasparente ed interdipendente. Questo fatto sfida praticamente tutti i popoli e i paesi in un modo o nell’altro, russi, europei, cinesi ed americani – le società di tutti i paesi, di fatto.

(...) Per noi (parlo dei russi e della Russia) le domande sul chi siamo e chi vogliamo essere sono sempre più in primo piano. Ci siamo lasciati alle spalle l’ideologia sovietica, e non c’è ritorno. Chi propone un conservatorismo fondamentale, e idealizza la Russia pre-1917, sembra ugualmente lontano dal realismo, così come sono i sostenitori di un liberalismo estremo, all’occidentale.

 È evidentemente impossibile andare avanti senza auto-determinazione spirituale, culturale e nazionale. Senza questo, non saremo capaci di resistere alle sfide interne ed estere, né riusciremo nella competizione globale. Oggi vediamo una nuova tornata di questa competizione, centrate sull’economico-tecnologico e sull’ideologico-informazionale. I problemi militari e le condizioni generali stanno peggiorando. Il mondo diventa più rigido, e spesso scavalca non solo il diritto internazionale, ma anche l’elementare decenza».

 Ogni Stato, ha continuato Putin, «deve disporre di forza militare, tecnologica ed economica; ma la cosa prima che ne determinerà il successo è la qualità dei suoi cittadini, la qualità della società: la loro forza intellettuale, spirituale e morale. Alla fin fine, crescita economica, prosperità ed influenza geopolitica derivano da tali condizioni della società. Se i cittadini di un dato Paese si considerano una nazione, se e fino a che punto si identificano con la propria storia, coi propri valori e tradizioni, e se sono uniti da fini e responsabilità comuni. In questo senso, la questione di trovare e rafforzare l’identità nazionale è davvero fondamentale per la Russia».

«E intanto, l’identità nazionale della Russia odierna subisce non solo la pressione oggettiva che viene dalla globalizzazione, ma anche le conseguenze delle catastrofi nazionali del ventesimo secolo, quando abbiamo provato il collasso del nostro stato per ben due volte. L’effetto è stato un colpo devastante ai codici culturali e spirituali della nostra nazione; abbiamo fronteggiato la rottura di tradizioni e consonanza della storia, con la demoralizzazione della società, con una perdita di fiducia e responsabilità. Queste sono le cause radicali dei tanti urgenti problemi che affrontiamo. La questione della responsabilità verso se stesso, verso la società e il diritto, è qualcosa di fondamentale per la vita di ogni giorno come per la vita del diritto».
 (...)
«L’esperienza ha mostrato che una nuova idea nazionale non compare da sé, né si sviluppa secondo regole di mercato. Uno Stato ed una società costruiti “spontaneamente” non funzionano, né funziona copiare meccanicamente le esperienze di altri Paesi. Tali imprestiti rozzi e tentativi di civilizzare la Russia dall’esterno non sono state accettati dalla maggioranza assoluta del nostro popolo. Ciò perché l’aspirazione all’indipendenza e alla sovranità nella sfera spirituale, ideologica e nella politica estera è parte integrante del nostro carattere nazionale. Detto tra parentesi, tali approcci sono falliti anche in altre nazioni. I tempi in cui modelli e stili di vita già bell’e fatti potevano essere inseriti in Paesi stranieri come programmi nei computers sono passati.

 Comprendiamo anche che l’identità e un’idea nazionale non può essere imposta dall’alto, per mezzo di un monopolio ideologico. È una costruzione molto instabile e vulnerabile, e lo sappiamo per esperienza personale; non ha futuro nel mondo moderno. Abbiamo bisogno di creatività storica, d’una sintesi dei costumi e delle idee nazionali migliori, una comprensione delle nostre tradizioni culturali, spirituali e politiche colte da diversi punti di vista; bisogna capire che (l’identità nazionale) non è qualcosa di rigido che durerà per sempre, ma piuttosto un organismo vivente. Solo così la nostra identità sarà fondata su solida base, diretta verso il futuro e non il passato. Questo è il principale argomento a riprova che un’ideologia di sviluppo deve essere discussa da persone che hanno visioni differenti, e diverse opinioni sul come risolvere dati problemi.

 Sicché tutti noi – i cosiddetti neo-slavofili e i neo-occidentalisti, gli statalisti e i cosiddetti liberisti – tutta la società deve lavorare insieme per creare fini comuni di sviluppo (...). Ciò significa che i liberisti devono imparare a parlare ai rappresentanti della sinistra e che d’altro canto i nazionalisti devono ricordare che la Russia è stata formata specificamente come stato pluri-etnico e multi-confessionale fin dalla sua nascita (...). La sovranità, indipendenza e integrità territoriale della Russia sono incondizionate. Qui ci sono “linee rosse” che a nessuno è permesso scavalcare. Per quanto differenti siano le nostre vedute, le discussione sull’identità e il nostro futuro nazionale sono impossibili se coloro che vi prendono parte non sono patriottici. Ovviamente intendo patriottismo nel più puro senso della parola».

Dopo aver delineato così la libertà di pensiero desiderabile in Russia e il limite che deve incontrare (nel comune senso della patria), Vladimir Putin pronuncia la critica più lucida alla «cultura» occidentale che il Sistema occidentale vuol imporre a tutta l’umanità, e ne addita l’intento suicida e, al fondo, satanico (Putin non esita a nominare Satana, né si fa scrupolo di parlare di spiritualità).

 Sono i passi più fondamentali:
  
«Altra grave sfida all’identità della Russia è legata ad eventi che hanno luogo nel mondo. Sono aspetti insieme di politica estera, e morali. Possiamo vedere come i Paesi euro-atlantici stanno ripudiando le loro radici, persino le radici cristiane che costituiscono la base della civiltà occidentale. Essi rinnegano i principi morali e tutte le identità tradizionali: nazionali, culturali, religiose e financo sessuali. Stanno applicando direttive che parificano le famiglie a convivenze di partners dello stesso sesso, la fede in Dio con la credenza in Satana.

 La “political correctness” ha raggiunto tali eccessi, che ci sono persone che discutono seriamente di registrare partiti politici che promuovono la pedofilia. In molti Paesi europei la gente ha ritegno o ha paura di manifestare la sua religione. Le festività sono abolite o chiamate con altri nomi; la loro essenza (religiosa) viene nascosta, così come il loro fondamento morale. Sono convinto che questo apre una strada diretta verso il degrado e il regresso, che sbocca in una profondissima crisi demografica e morale.

 E cos’altro se non la perdita della capacità di auto-riprodursi testimonia più drammaticamente della crisi morale di una società umana? Oggi la massima parte delle nazioni sviluppate non sono più capaci di perpetuarsi, nemmeno con l’aiuto delle immigrazioni. Senza i valori incorporati nel Cristianesimo e nelle altre religioni storiche, senza gli standard di moralità che hanno preso forma dai millenni, le persone perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Ebbene: noi riteniamo naturale e giusto difendere questi valori. Si devono rispettare i diritti di ogni minoranza di essere differente, ma i diritti della maggioranza non vanno posti in questione.

 Simultaneamente, vediamo sforzi di far rivivere in qualche modo un modello standardizzato di mondo unipolare e offuscare le istituzioni di diritto internazionale e di sovranità nazionale. Questo mondo unipolare e standardizzato non richiede Stati sovrani; richiede vassalli. Ciò equivale sul piano storico al rinnegamento della propria identità, della diversità del mondo voluta da Dio»...

Che dire? Putin accomuna la perdita della distinzione sessuale imposta per legge in Occidente con la perdita delle frontiere, o il divieto ad una comunità politica di distinguersi dalle altre aderendo alle proprie radici; l’uno e l’altro configurano «cancellazione di confini» voluti dalla medesima forza: forza del male, nemica della volontà di Dio. Globalizzazione ultra-liberista ed omo-promozione sono da lui sentite come «la stessa cosa», sgorganti dalla stessa volontà anti-umana.

 Certo non c’è un politico al mondo d’oggi che definisca così senza complessi la natura del conflitto che lo oppone all’americanismo e al suo sistema mondializzato: conflitto più che solo politico, ma escatologico (2). Siccome Putin non è un santo né un mistico, c’è da chiedersi dove abbia tratto questa capacità di valutazione metapolitica, questa speciale intelligenza. Forse l’amara esperienza personale cui allude, il crollo del sistema sovietico e della sua società; forse l’anima russa è capace di queste risonanze.

 Io tenderei a non escludere che nella formazione di certi alti gradi del KGB, ci sia stato un addestramento delle menti e dei caratteri ( intelligence in senso proprio) a tener conto, e a valutare nelle analisi politiche, accanto alle forze materiali e sopra di esse, quelle culturali e «spirituali», e ancor sopra, quelle dell’Invisibile. Nel denso, introvabile romanzo sullo spionaggio sovietico e i suoi agenti d’influenza – Il Montaggio – l’autore russo-francese Dimitri Volkoff tratteggia il capo supremo della Disinformazione e Manipolazione, «generale Mohammed Mohammedovic Abdulrakmanov, due volte Eroe dell’Unione Sovietica, due volte cavaliere dell’Ordine di Lenin, cekista d’onore» e astutissimo burattinaio e manipolatore di uomini-pedine, che agonizza nella sua dacia e – con grande imbarazzato stupore dell’agente Pitman, un siloviki ebreo che lo ammira – ha acceso un lumino rosso davanti all’icona, come un qualunque mugik vecchio-credente. Sarebbe dunque cristiano, questo gran manovratore leninista di razza uzbeka e di nome mohammadico?, si domanda Pitman scandalizzato e addolorato. Il generale Abdulrakmanov, dal suo divano in cui muore, gli dice: «Sai, non sono scontento della mia vita. Forse ho un po’ piegato la Storia nella buona direzione, e una o due volte ho preso a calci nel sedere il Chitano, e spesso l’ho fatto lavorare per me» (3).

 Forse sono solo fantasie. Ma non è fantasia che la Russia è tornata in sé, e la sua corazza sovietica e marxista s’è sgretolata, dopo essere stata consacrata al Cuore Immacolato di Maria, come chiese la Vergine a Fatima. E se vogliamo osare, c’è stata recentemente una giornata di digiuno ordinata dal Papa ai cattolici per sventare l’aggressione alla Siria che sembrava inevitabile... Il materialismo è stato per le masse. Certe forze, un buon cekista ha imparato a rispettarle, e a farle entrare nell’analisi strategica.

 Il sito Dedefensa invita a confrontare la riflessione del capo di Stato russo con «i luoghi comuni correnti nei discorsi (dei politici) del Blocco Occidentale-Americano, col loro catechismo morale d’occasione, di una infecondità intellettuale e spirituale che non cessa di stupire per il suo riduzionismo e imprigionamento concettuale (4). Il discorso di Putin è interessante per la sua volontà di usare dei riferimenti che, al contrario, liberano il pensiero... Per una volta non c’è bisogno di «leggere fra le righe» né chiedere una interpretazione agli addetti stampa, né da completare la comprensione dell’argomento attraverso il body language».

Non si potrebbe dir meglio. È anche riconoscibile lo stigma delle forze e delle proteste che vengono scagliate contro la Russia di Putin, e che paiono tanto degne di rilievo ai nostri media: la dissacrazione di basso rango, le Pussy Riots che ballano sull’altare, le Femen che strillano a seno nudo. E questa, l’ultima, riportata il 20 settembre dalle agenzie europee: «Spogliarelliste russe contro Putin per la pace in Siria – Le ballerine di un club moscovita di striptease hanno realizzato un calendario osé, per attirare l’attenzione della gente sul problema siriano. Ne dà notizia il sito Rkb Daily». (Mosca, calendario sexy contro la guerra in Siria dedicato a Putin e Obama)

Sul conflitto in Siria, le tre signorine dissentono da Putin

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Ecco chi si riduce a pagare l’intelligence, chiamiamolo così, occidentale, per fare un po’ di pandemonio. Spogliarelliste nude contro Putin. Entraineuses per la Siria. Il porno-club moscovita non approva che Assad consegni le armi chimiche. Notizia ripresa dal sito Rkb... Evidentemente, non trovano in Russia oppositori più seri da pagare, né siti informativi più prestigiosi. Sono sicuro che persino alla Cia si vergognano.

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1) Il Valdai International Discussion Club vuol essere un forum di pensiero aperto a vari ospiti esteri. Fondato dalla RIIA Novosti e dal think tank governativo russo Council on Foreign and Defense Policy, cerca di suscitare ed arricchire con dibattiti ed apporti ad alto livello al pensiero strategico. Un po’ come l’atlantista Gruppo Bilderberg, il Valdai deve il suo nome alla località dove ha tenuto la prima riunione nel 2004, l’hotel Valdai sul lago Valdaiskoye, nella zona di Novgorod, ricca di monasteri e memorie storiche dell’ortodossia. L’incontro in cui Putin ha parlato è avvenuto il 19 settembre.
2) Nel senso detto da San Paolo, Efesini 1-18: «...La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove».
3) Abdurakman chiama la suprema cerchia del Kgb «il Concistoro». «Noi del Concistoro siamo una fabbrica della verità. Uso esterno, uso interno. Al punto tecnico in cui siamo, tutte le immagini derivano da noi». E l’agente Pitman, di medio livello, ascoltando il generale morente, coglie «la verità. Anche lui aveva già intravisto un segreo di quest’ordine: coloro che hanno le chiavi della disinformazione devono avere anche quelle d’informazione, e le chiavi dell’informazione sono le chiavi del mondo». È stato il Kgb, sapendo la verità sulle statistiche economiche sovietiche e la perdita di terreno rispetto alla tecnologia occidentale, che tentò la riforma del sistema. La morte prematura del geniale capo del KGB, Yuri Andropov, fece sì che il progetto fosse condotto da Gorbaciov, il quale fallì. Putin è nutrito di questa esperienza.

4) Questo elemento di stupida, ripetitiva brutalità americanista è colto dal commentatore William Pfaff a proposito della soluzione escogitata ed imposta da Mosca per la Siria. La Casa Bianca continua a minacciare di bombardare la Siria, nonostante il regime siriano sia pronto a consegnare i suoi arsenali chimici, e pronto a firmare il trattato di bando di tali armi. «La Siria si assoggetta al diritto internazionale», scrive Pfaff, «il che è altamente significativo. Washington non sembra comprendere l’importanza della sottomissione del presidente Assad al diritto internazionale. Gli Usa sono diventati così indifferenti, anzi così abituati a violare il diritto internazionale, che non riesce a cogliere questo: che il resto del mondo vuol vedere Assad sottomettersi al diritto, e gli Stati Uniti (ed Israele) anche». Sono questi due ad essersi messi fuori dalla civiltà, e non lo capiscono. Mentre il nuovo presidente iraniano Rouhani stende la mano conciliante, annunciando d’essere disposto a discutere anche il suo programma nucleare, Netanyahu ha ordinato alla delegazione israeliana di uscire durante il discorso all’Onu del medesimo Rouhani; il governo e i giornali sionisti sono nel panico di fronte alla prospettiva di conciliazione, e incitano gli americani a non credere, a rifiutare la mano tesa, perché l’Iran vuol farsi comunque la Bomba e lanciarla sullo stato ebraico. Una puerile menzogna, commenta William Pfaff: «Gli israeliani lo sanno. La grossolana esagerazione del supposto pericolo è solo uno sforzo per indurre gli Usa a distruggere l’Iran come potenza regionale nel Medio Oriente, come hanno fatto per l’Iraq di Saddam, risparmiando così ad Israele la fatica...e il disonore».

satana

"Il diavolo scatena una guerra civile in Vaticano"
di Massimo Introvigne29-09-2013


Il 28 settembre - nel mezzo di un lungo weekend con i catechisti venuti a Roma da tutto il mondo per l'Anno della fede - Papa Francesco ha pronunciato un'impressionante omelia nella Messa per il Corpo della Gendarmeria Vaticana in occasione della festa del suo patrono, san Michele Arcangelo. Nell'omelia il Papa ha fatto allusione a episodi e scandali recenti e meno recenti per affermare che il diavolo sta creando una «guerra civile» in Vaticano, e che le chiacchiere e il pettegolezzo negli uffici della Santa Sede dovrebbero essere una «lingua vietata», perché si tratta di una lingua che genera il male.

«Nella rocca del Vaticano - ha detto Francesco - il male ha un passaggio attraverso il quale s’insinua per spargere il suo veleno: è la “chiacchiera”, quella che porta l’uno a parlare male dell’altro e distrugge l'unità. E dal contagio di questa “zizzania” nessuno è immune». Con accenti che ricordano gli ultimi mesi del suo predecessore Benedetto XVI, Papa Francesco denuncia senza mezzi termini che il male e il suo veleno sono entrati anche in Vaticano. Anche il ruolo delle forze armate vaticane è cambiato: «Napoleone [1769-1821] se n'è andato e non torna più», ha detto il Papa, «non è facile che venga un esercito qui a prendere la città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno».

Sono affermazioni molto forti. Francesco, il Papa della pace, denuncia che nella rocca stessa del Vaticano è in corso una guerra: quella del buio e della notte, dove si ordiscono tante trame oscure, contro la luce e il giorno. Occorre certo difendere materialmente «le porte e le finestre del Vaticano» - un lavoro necessario, troppo spesso lì entra chi non deve ed escono informazioni che non dovrebbero uscire - ma più importante ancora è difendere i cuori, come san Michele, contro il diavolo.
Il Pontefice svela chi c'è davvero dietro alle trame oscure e notturne che scuotono la rocca di Pietro. È il diavolo. Chi ha gli occhi e gli strumenti culturali e spirituali per vedere, scorge oggi «una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. E il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale».

Questa «è una guerra che non si fa con le armi che noi conosciamo: si fa con la lingua». Se non si vuole fare il gioco del diavolo, occorre fermarsi dove l'azione del Maligno inizia, «difenderci mutuamente dalle chiacchiere», che continuando a girare diventato veleno. «Chiediamo a San Michele che ci aiuti in questa guerra» - ha implorato Francesco - «mai aprire le orecchie alle chiacchiere. E se io sento che qualcuno chiacchiera, fermarlo! Qui non si può: gira la porta di Sant’Anna, va fuori e chiacchiera là! Qui non si può!».

A ben guardare, questa omelia veramente accorata non è estranea al tema del weekend con i catechisti iniziato venerdì sera, 27 settembre, con l'intervento di Francesco al Congresso internazionale della catechesi. Dopo avere ricordato l'affermazione di Benedetto XVI secondo cui «la Chiesa non cresce per proselitismo, cresce per attrazione», il Papa - lo fa spesso - ha affermato, «come i vecchi gesuiti» - ha tracciato l'itinerario che la catechesi oggi dovrebbe seguire distinguendo tre tappe: «uno, due, tre».
La prima tappa è stare con Gesù e lasciarsi guardare da lui, nella preghiera frequente e nel momento indispensabile dell'adorazione eucaristica. Questo è il punto di partenza della catechesi, non il titolo di catechista conseguito in qualche corso più o meno utile. «”Ho il titolo di catechista!”. Quello non serve, non hai niente, hai fatto una piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! È uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole… Ma io dico, dico, penso, medito, sento… Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! È un po’ noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista». Ogni catechista nell'Anno della fede dovrebbe porsi questa domanda: «Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo!».

Secondo passaggio, consueto nel Magistero di Francesco: chi è unito a Gesù «esce» e annuncia il Vangelo agli altri, anche a quelli che non si presentano al catechismo e non vanno mai in chiesa. «Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di “sistole - diastole”: unione con Gesù - incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti il cuore non batte più, non può vivere».

Terzo, ed è un altro tema su cui Papa Francesco torna spesso: «ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie». L'esempio del profeta Giona, che non voleva andare a Ninive come il Signore gli chiedeva perché lì gli abitanti erano ricchi e corrotti - non poveri materialmente, ma poveri di fede e di senso morale - offre al Papa l'occasione di spiegare per l'ennesima volta che «periferie» non va inteso solo in senso materiale. Ninive era una città ricca, ma rispetto alla fede era «periferia». E Giona scappa, perché pensa che lì non lo staranno a sentire e lo tratteranno male. Noi spesso facciamo come Giona: preferiamo parlare solo ai «nostri», perché è più facile e comodo, e non seguiamo il Signore che ci chiama ad andare anche nelle «periferie» dove temiamo che nessuno ci ascolti.

Ma, seguendo la paura, si rischia. «Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo, finisce per essere una statua da museo: e ne abbiamo tanti! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile». E Francesco ripete parole che ha già detto tante volte: «Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata!». «Ma attenzione! - ha aggiunto il Papa - Gesù non dice: andate, arrangiatevi», raccontate quello che volete. «Uscire» sì ma per annunciare il messaggio di Cristo, il messaggio della Chiesa, non il nostro.

Due discorsi forti, quello ai catechisti e quello alla Gendarmeria Pontificia, che si richiamano e si completano. Perché se non «usciamo», se non evangelizziamo, se rimaniamo a parlarci tra noi, prima o poi il nostro girare intorno a noi stessi si trasforma in chiacchiera e pettegolezzo. E qui entra il diavolo, per scatenare la sua «guerra civile». Anche in Vaticano.

domenica 29 settembre 2013

san Michele

Oggi la Chiesa ricorda l' Arcangelo Michele e, nel Novus Ordo, anche Gabriele e Raffaele

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/09/oggi-la-chiesa-ricorda-gli-arcangeli.html


Oggi che la Chiesa ricorda gli Arcangeli, ripropongo questo articolo con l'origine e il testo della preghiera a San Michele Arcangelo, da ricordare o riscoprire o imparare ex novo per chi non la conoscesse. Facciamone tesoro, insieme ai tanti strumenti di grazia che la nostra Chiesa ci ha donato e ci dona, nel Signore.


Il 13 ottobre 1884, Leone XIII finì di celebrare la Santa Messa nella cappella vaticana. Restò immobile per 10 minuti.

Poi, si precipitò verso il suo ufficio senza dare la minima spiegazione a chi era vicino a lui e che l'aveva visto divenire livido. Leone XIII compose immediatamente una preghiera a San Michele Arcangelo, dando istruzioni perché fosse recitata ovunque al termine di ogni Messa bassa. Successivamente il Papa darà la sua testimonianza raccontando (sinteticamente) di aver udito satana e Gesù e di aver avuto una terrificante visione dell'inferno : « ho visto la terra avvolta dalle tenebre e da un abisso, ho visto uscire legioni di demoni che si spargevano per il mondo per distruggere le opere della Chiesa ed attaccare la stessa Chiesa che ho visto ridotta allo stremo. Allora apparve S. Michele e ricacciò gli spiriti malvagi nell'abisso. Poi ho visto S. Michele Arcangelo intervenire non in quel momento, ma molto più tardi, quando le persone avessero moltiplicato le loro ferventi preghiere verso l'Arcangelo ».
Nel 1994, Papa Giovanni Paolo II ha chiesto che questa preghiera torni attuale : «che la preghiera ci fortifichi per la battaglia spirituale... Papa Leone XIII ha ha certamente avuto un vivo richiamo di questa scena quando ha introdotto in tutta la Chiesa una speciale preghiera a S. Michele Arcangelo... Chiedo a tutti di non dimenticarla e di recitarla per ottenere aiuto nella battaglia contro le forze delle tenebre e contro lo spirito di questo mondo».


  Papa Francesco per la benedizione della statua di san Michele lo trovate qui.

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia contro le malvagità e le insidie del diavolo, sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi ! E Tu, Principe della milizia celeste con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime. 

Amen
Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude. 

Amen.

SAN MICHELE

29 SETTEMBRE
DEDICAZIONE
DI  SAN  MICHELE  ARCANGELO



Oggetto della festa.
La dedicazione di S. Michele è la festa più solenne che la Chiesa celebra nel corso dell'anno in onore di questo Arcangelo, e tuttavia lo riguarda meno personalmente perché vi si onorano tutti i cori della gerarchia angelica. Nell'inno dei primi Vespri la Chiesa propone alla nostra preghiera l'oggetto della festa di oggi con le parole Rabano Mauro, abate di Fulda:

Celebriamo con le nostre lodi
Tutti i guerrieri del cielo,
Ma soprattutto il capo supremo
Della milizia celeste:
Michele che, pieno di valore,
Ha abbattuto il demonio [1].
Origine della festa.
La festa dell'otto maggio richiama il ricordo dell'apparizione al monte Gargano e nel medioevo si celebrava soltanto nell'Italia del Sud. La festa del 29 settembre è propria di Roma e segna l'anniversario della Dedicazione di una basilica oggi scomparsa, che sorgeva sulla via Salaria, a Nord-Est della città.
Il fatto della dedicazione spiega il titolo conservato alla festa nel Messale Romano: Dedicatio sancti Michaelis. Le Chiese di Francia e Germania, che nel Medioevo seguivano la liturgia romana, hanno attenuato spesso nei loro libri liturgici il titolo originario della festa, che venne presentata come festa In Natale o In Veneratione sancti Michaelis, così che dell'antico titolo non restava altro che il nome dell'Arcangelo.


L'ufficio di san Michele.
Anche l'Ufficio non poteva conservare il ricordo della dedicazione. Infatti gli antichi Uffici relativi alle dedicazioni celebravano il santo in onore del quale la chiesa era consacrata e non l'edificio materiale in cui egli era onorato; non avevano perciò niente di impersonale e rivestivano anzi un carattere molto circostanziato.
L'Ufficio di san Michele può essere considerato una delle più belle composizioni della nostra liturgia e ci fa contemplare ora il principe delle milizie celesti e capo degli angeli buoni, ora il ministro di Dio, che assiste al giudizio dell'anima di ogni defunto, ora ancora l'intermediario, che porta sull'altare della liturgia celeste le preghiere dell'umanità fedele.
L'Angelo turiferario.
I primi Vespri cominciano con l'Antifona Stetit Angelus, che deriva il testo dall'Offertorio della Messa del giorno: "Un angelo stava presso l'altare del tempio e aveva un incensiere in mano: gli diedero molto incenso e il fumo profumato si elevò fino a Dio". L'Orazione della benedizione dell'incenso alla Messa solenne designa il nome di questo angelo turiferario: "Il beato Arcangelo Michele". Il libro dell'Apocalisse dal quale son presi i testi liturgici ci spiega che i profumi, che salgono alla presenza di Dio, sono le preghiere dei giusti: "Il fumo degli aromi formato dalle preghiere dei santi salgono dalla mano dell'angelo davanti a Dio" (Ap 8,4).
Il Mediatore della Preghiera eucaristica.
È ancora Michele che presenta al Padre l'offerta del Giusto per eccellenza ed Egli infatti è designato nella misteriosa preghiera del Canone della Messa in cui la santa Chiesa chiede a Dio di portare sull'altare sublime, per mano dell'Angelo Santo, l'oblazione sacra in presenza della divina Maestà. È cosa molto sorprendente notare negli antichi testi liturgici romani che san Michele è sovente chiamato l'Angelo Santo, l'Angelo per eccellenza.
Probabilmente sotto il pontificato di Papa Gelasio fu compiuta la revisione del testo del Canone nel quale l'espressione al singolare Angeli tui fu sostituita con quella al plurale Angelorum tuorum. Proprio a quell'epoca, sul finire del V secolo, l'Angelo era apparso al vescovo di Siponto, presso il Monte Gargano.
Vocazione contemplativa degli Angeli.
Come si vede la Chiesa considera san Michele mediatore della sua preghiera liturgica; egli è posto tra l'umanità e la divinità. Dio, che dispose con ordine ammirabile le gerarchie invisibili (Colletta della Messa), impiega, per opulenza, a lodare la sua gloria il ministero degli spiriti celesti, che contemplano continuamente l'adorabile faccia del Padre (Finale del Vangelo della Messa) e, meglio che gli uomini, sanno adorare e contemplare la bellezza delle sue infinite perfezioni. Mi-Ka-El: Chi è come Dio? Il nome esprime da solo, nella sua brevità, la lode più completa, la più perfetta adorazione, la riconoscenza totale per la trascendenza divina e la più umile confessione della nullità delle creature.
Anche la Chiesa della terra invita gli spiriti a benedire il Signore, a cantarlo, a lodarlo e esaltarlo senza soste (Introito, Graduale, Communio della Messa; Antifona dei Vespri). La vocazione contemplativa degli Angeli è modello della nostra e ce lo ricorda un bellissimo prefazio del Sacramentario leoniano: "È cosa veramente degna... rendere grazie a Te, che ci insegni, che, per mezzo del tuo Apostolo, che la nostra vita è trasferita in cielo, che, con benevolenza comandi, di trasportarci in spirito là dove quelli che noi veneriamo servono e di tendere verso le altezze, che nella festa del beato Arcangelo Michele contempliamo nell'amore, per il Cristo nostro Signore".
Aiuto dell'umanità.
La Chiesa sa pure che a questi spiriti consacrati al servizio di Dio è stato affidato un ministero al fianco di coloro, che devono raccogliere l'eredità della salvezza (Ebr 1,14). Senza attendere la festa del 2 ottobre, dedicata in modo speciale agli Angeli custodi, la Chiesa già oggi chiede a san Michele e ai suoi Angeli di difenderci nei combattimenti che dobbiamo sostenere (Alleluia della Messa; Preghiera ai piedi dell'altare dopo l'ultimo Vangelo). Chiede ancora a san Michele di ricordarsi di noi e di pregare per noi il Figlio di Dio, perché nel giorno terribile del giudizio non abbiamo a perire. Nel giorno terribile del giudizio il grande Arcangelo, vessillifero della milizia celeste, difenderà la nostra causa davanti all'Altissimo (Antifona del Magnificat ai secondi Vespri) e ci farà entrare nella luce santa (Offertorio della Messa dei defunti).
Preghiera.
Da questa terra, nella lotta contro le potenze del male, possiamo rivolgere all'Arcangelo la preghiera di esorcismo che Leone XIII inserì nel rituale della Chiesa Romana:
"Principe gloriosissimo della celeste milizia, san Michele Arcangelo, difendici nel combattimento contro le forze, le potenze, i capi del mondo delle tenebre e contro lo spirito di malizia. Vieni in soccorso degli uomini, che Dio ha fatti a sua immagine e somiglianza e riscattati a duro prezzo dalla tirannia del diavolo.
La santa Chiesa ti venera come custode e patrono; Dio ti ha confidato le anime redente per portarle alla felicità celeste. Prega il Dio della pace, perché schiacci Satana sotto i nostri piedi, per strappargli il potere di tenere gli uomini in schiavitù e di nuocere alla Chiesa. Offri le nostre preghiere all'Altissimo perché sollecitamente scendano su di noi le misericordie del Signore e il dragone, l'antico serpente, chiamato Diavolo e Satana, sia precipitato, stretto in catene, nell'abisso, perché non possa più sedurre i popoli".


[1] Seguiamo la versione antica del Breviario monastico, non quella del Breviario Romano, ritoccata da Urbano VIII.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1114-1117

sabato 28 settembre 2013

nuova chiesa

A VOLTE RITORNANO ...

Liturgia papale - Città del Messico - 2002
da Il Riformista del 22 Dicembre 2007

di Paolo Rodari 

[...] Come un canto del cigno, il libro di Mons. Piero Marini [P. Marini,  Challenging Reform: Realizing the Vision of the Liturgical Renewal, 1963-1975, Liturgical Press, 2007] è stato pubblicato solo in lingua inglese, quasi fosse volutamente indirizzato innanzitutto al pubblico della protestante Inghilterra: terra dove le sperimentazioni in campo liturgico (anche negli ambienti cattolici) hanno trovato un terreno fertile su cui essere seminate, crescere e poi propagarsi. Del resto, fu Annibale Bugnini ai tempi del post Concilio, allorquando era segretario della commissione liturgica istituita da Paolo VI con lo scopo di applicare e precisare quel rinnovamento della liturgia che lo stesso Concilio aveva approvato, a spingere per una riforma più di rottura che di continuità con la tradizione passata, spinta che, di fatto, gli costò il posto, fino all’allontanamento da Roma avvenuto il 4 gennaio 1976: inaspettatamente fu inviato quale pronunzio apostolico in Iran. Della riforma liturgica Marini P. ha parlato a lungo nell’incontro di Westminster. Senza giri di parole ha detto al sua, spiegando come la riforma liturgica sancita nel Vaticano II fosse stata osteggiata a lungo, e poi pure affossata, direttamente dalla curia romana. Secondo quanto riporta il "National Catholic Report", per Marini P. « la riforma liturgica (del Vaticano II) non era intesa o applicata solo come riforma di alcuni riti», ma avrebbe dovuto essere « la base e l’ispirazione degli obiettivi per cui il Concilio era stato convocato». Proprio così. « L’obiettivo della liturgia - ha proseguito l’ex cerimoniere - non era altro che l’obiettivo della Chiesa e il futuro della liturgia è il futuro della Chiesa». Se così fu il Vaticano II, se questi erano i motivi profondi della sua convocazione, si capisce bene perché, ancora oggi, molti vescovi in tutto il mondo osteggino dichiaratamente l’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum con il quale Benedetto XVI ha voluto ripristinare l’antico rito rivisto nel 1962 da Giovanni XXIII: tornare a pregare come si faceva prima del Concilio viene visto in contraddizione con quanto la riforma, secondo l’interpretazione del fu Annibale Bugnini, doveva andare a sancire. Eppure - è cosa nota - il Vaticano II per Benedetto XVI fu soprattutto rinnovamento nella continuità, non rottura. E ciò vale innanzitutto per il cuore della vita di fede: la liturgia. Il passato vale ancora nel presente, lo innerva e lo rinvigorisce pur senza castrare quei cambiamenti che i tempi suggeriscono essere opportuni. Di qui il Summorum Pontificum, quel Motu Proprio voluto per dire alla Chiesa che l’antica liturgia vale ancora oggi, che il rito di Paolo VI, se sganciato dal passato, in un certo senso tradisce la secolare vita liturgica della Chiesa. 

da " Io sono un papa amabile: Giovanni Paolo II" di Piero Marini e Bruno Cescon, San Paolo, 2011, passim 

"Il passaggio da una liturgia romana caratterizzata dall'uniformità (uniformità della lingua e fissità delle rubriche) ad una liturgia più vicina alla sensibilità dell'uomo moderno, aperta all'adattamento e alle culture, espressione di una Chiesa comunionale che considera la diversità non come un elemento in sé negativo, ma come possibile arricchimento dell'unità". 

"Le liturgie sono diventate per così dire flessibili. È stata concessa la lingua volgare secondo le varie culture. Non abbiamo più il problema dell'identificazione ma piuttosto quello della pluralità, rivalutata quale arricchimento. Abbiamo ritrovato la molteplicità delle lingue e la possibilità di un adattamento." 


COMUNIONE SELF SERVICE
"A livello di riforma [il Consilium] si preoccupò di eliminare dal rito quegli elementi che erano tipici di Roma. Nell’ordo romano, per fare solo qualche esempio, si portavano sette candelieri perché Roma era divisa in sette colli; si usava il manipolo per segnalare la presenza delle diverse chiese; si celebravano le quattro tempora, legate alla benedizione delle campagne e la cultura occidentale contadina." 

Coda  

La Nacion, 20 Aprile 2013, intervista a Mons. Marini dal titolo "La Chiesa vive la speranza dopo anni di paura" 

"Si respira aria fresca, è una finestra aperta alla primavera e alla speranza. Fino ad ora abbiamo respirato il cattivo odore di acque paludose, con la paura di tutto e problemi quali i Vatileaks e la pedofilia. Con Francesco si parla solo di cose positive." 

"È necessario riconoscere le unioni di persone dello stesso sesso, ci sono molte coppie che soffrono perché non vengono riconosciuti i loro diritti civili."

un piccolo gregge




CRESIMA

Cresima a Madrid

Monseñor don Juan Antonio Martínez Camino, jesuíta, Obispo titular de Bigastro y Auxiliar de Madrid, y Secretario de la Conferencia Episcopal Española, confirió el sacramento de la Confirmación con la forma extraordinaria del Rito Romano a un grupo de jóvenes (por delegación de Su Eminencia el Cardenal Rouco Varela, Arzobispo de Madrid) y asistió en coro a la Santa Misa tradicional, el domingo 22 de septiembre, en el Tercer Monasterio de la Visitación (Salesas), en Madrid, España. La Misa fue celebrada por el canónigo don Raúl Olazábal, superior en España del Instituto de Cristo Rey Sumo Sacerdote.

Con el Secretario de la Conferencia Episcopal Española, son ya 338 los obispos que han oficiado o asistido a actos litúrgicos con la forma extraordinaria tras en la entrada en vigor del motu proprio Summorum Pontificum.











venerdì 27 settembre 2013

PUTIN

quando le nazioni hanno leaders e non pagliacci eterodiretti


Abituati come siamo all'immondezzaio umano politico-culturale occidentale, lo Zar appare sempre più come una luce solitaria su questo spettrale deserto di nichilismo popolato da oscene macchiette e da servi asservitori delle masse. La cosa ci rincuora almeno un po'. del resto già  Platone, ben prima di Putin, ammoniva: Quando il cittadino accetta che chiunque gli capiti in casa possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e c’è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine, così muore la Democrazia: per abuso di se stessa e, prima che nel sangue, nel ridicolo (Repubblica, Libro VIII).

Dio benedica la Santa Madre Russia

brani del Discorso tenuto
il 19 settembre scorso dal Presidente Vladimir Putin
al Valdai International Discussion 

«Altra grave sfida all’identità della Russia è legata ad eventi che hanno luogo nel mondo. Sono aspetti insieme di politica estera, e morali. Possiamo vedere come i Paesi euro-atlantici stanno ripudiando le loro radici, persino le radici cristiane che costituiscono la base della civiltà occidentale. Essi rinnegano i principi morali e tutte le identità tradizionali: nazionali, culturali, religiose e financo sessuali. Stanno applicando direttive che parificano le famiglie a convivenze di partners dello stesso sesso, la fede in Dio con la credenza in Satana. 

La “political correctness” ha raggiunto tali eccessi, che ci sono persone che discutono seriamente di registrare ppartiti politici che promuovono la pedofilia. In molti Paesi europei la gente ha ritegno o ha paura di manifestare la sua religione. Le festività sono abolite o chiamate con altri nomi; la loro essenza (religiosa) viene nascosta, così come il loro fondamento morale. Sono convinto che questo apre una strada diretta verso il degrado e il regresso, che sbocca in una profondissima crisi demografica e morale.



E cos’altro se non la perdita della capacità di auto-riprodursi testimonia più drammaticamente della crisi morale di una società umana? Oggi la massima parte delle nazioni sviluppate non sono più capaci di perpetuarsi, nemmeno con l’aiuto delle immigrazioni. Senza i valori incorporati nel Cristianesimo e nelle altre religioni storiche, senza gli standard di moralità che hanno preso forma dai millenni, le persone perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Ebbene: noi riteniamo naturale e giusto difendere questi valori. Si devono rispettare i diritti di ogni minoranza di essere differente, ma i diritti della maggioranza non vanno posti in questione.

Simultaneamente, vediamo sforzi di far rivivere in qualche modo un modello standardizzato di mondo unipolare e offuscare le istituzioni di diritto internazionale e di sovranità nazionale. Questo mondo unipolare e standardizzato non richiede Stati sovrani; richiede vassalli. Ciò equivale sul piano storico al rinnegamento della propria identità, della diversità del mondo voluta da Dio»...

giovedì 26 settembre 2013

La Verità vi fa liberi (Gesù)

“Non abbiamo adeguatamente combattuto 
perché non ci è stata insegnata la nostra fede cattolica, 

Soprattutto nella profondità necessaria 
per affrontare questi gravi mali del nostro tempo. 


E’ un fallimento della catechesi, sia di quella dei bambini 
sia di quella dei giovani che si è realizzata per cinquant’anni .....

Il card. Burke parla in America, 

e dice che sui valori 

c’è poco da discernere




Se non ci fosse stato il lungo colloquio del Papa con la Civiltà Cattolica, l’intervista al cardinale Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, sarebbe rimasta nascosta tra le pagine del mensile Catholic Servant, stampato a Minneapolis, e facilmente dimenticata. Ma poi Francesco ha parlato, ha detto che certe questioni, i cosiddetti princìpi non negoziabili, non devono diventare la priorità nell’agenda pastorale, che se ne deve parlare solo dentro a contesti determinati e che comunque su quei temi la posizione della chiesa è nota. Non serve ripeterle ogni giorno, insomma. Parole che in America, dove su quei princìpi si è imbastita la battaglia anche politica dell’ala conservatrice dell’episcopato oggi guidato da Timothy Dolan, hanno spiazzato. Ecco perché quell’intervista viene ripresa oggi, e viene dato ampio risalto a quanto diceva il cardinale Burke mentre a migliaia di chilometri di distanza, nella suite papale a Santa Marta, Bergoglio ricordava che “una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”. Oltre a parlare del Summorum Pontificum e della partecipazione dei cattolici alla messa, il cardinale Burke dedica ampio spazio proprio alla triade aborto-nozze omosessuali-contraccezione. Non teme di parlare di “allarmante rapidità in cui si sta realizzando l’agenda omosessuale”, fatto che “dovrebbe risvegliare tutti noi e spaventarci per quanto riguarda il futuro della nostra nazione”. Questo, aggiunge il porporato, “è un inganno, una menzogna circa l’aspetto più fondamentale della nostra natura umana, la nostra sessualità umana, che ci definisce”.



Bugie che non possono che provenire “da Satana”, chiarisce il cardinale già arcivescovo di Saint Louis. “E’ una situazione diabolica che mira a distruggere gli individui, le famiglie e alla fine la nostra nazione”. 
E’ il male imperante, dunque, frutto “di una cultura di morte, di una cultura contro la vita e contro la famiglia che esiste da tempo”. E la colpa, la responsabilità massima dello sfacelo “è dei cattolici”, spiega Burke: “Non abbiamo adeguatamente combattuto perché non ci è stata insegnata la nostra fede cattolica, soprattutto nella profondità necessaria per affrontare questi gravi mali del nostro tempo. E’ un fallimento della catechesi, sia di quella dei bambini sia di quella dei giovani che si è realizzata per cinquant’anni. C’è bisogno di un’attenzione molto più radicale, e posso dire ciò perché sono stato vescovo di due diverse diocesi”. Il risultato della catechesi superficiale dell’ultimo cinquantennio, secondo il porporato, “è che molti elettori adulti sostengono i politici con posizioni immorali, perché non conoscono la loro fede cattolica e il suo insegnamento in materia di attrazione per lo stesso sesso e il disordine intrinseco di rapporti sessuali tra due persone dello stesso sesso. Ecco perché – aggiunge – queste persone non sono in grado di difendere la fede cattolica”.

Fondamentale per il determinarsi della situazione corrente è stata “l’esaltazione della virtù della tolleranza, falsamente concepita come la virtù che sovrintende tutte le altre virtù”, dice Burke. In altre parole, spiega, “noi dovremmo tollerare altre persone nelle loro azioni immorali nella misura anche se ci pare di assecondare la morale sbagliata. La tolleranza è una virtù, ma non è certo la virtù principale, che è la carità. E la carità significa parlare della verità, soprattutto della verità riguardo la vita umana e la sessualità umana. Mentre noi amiamo l’individuo, noi desideriamo solo il meglio per chi soffre di un’inclinazione che lo porta a impegnarsi in rapporti sessuali con una persona dello stesso sesso. Noi dobbiamo biasimare queste azioni, perché sono in contrasto con la natura stessa, come Dio ci ha creati”. Quel che bisogna fare, nota il cardinal prefetto, è dire basta con “il falso senso del dialogo che si è insinuato anche nella chiesa. Non è possibile riconoscere pubblicamente chi sostiene aperte violazioni della legge morale, né rendere loro onori in qualche forma. Questo è uno scandalo, una contraddizione, è sbagliato”.