sabato 29 giugno 2013

devirilizzazione della Liturgia e del sacerdozio

La discontinuità: cioè la devirilizzazione della Liturgia e del sacerdozio nel Novus Ordo Missae



Testo ripreso da Rorate Caeli in quanto interessantissimo tramite Esistenzialmente periferico. Ne approfitto e lo pubblico anche qui, con molta gratitudine, con alcune integrazioni iniziali:



1. C'è un grande articolo di don Richard G. Cipolla sulla "devirilizzazione" della liturgia Novus Ordo: che non ho il tempo di tradurre, ma di cui prendo appunti qui sotto.

Ciò a cui il cardinale si riferiva risiede nel nucleo stesso della forma Novus Ordo della Messa romana e nei scottanti e profondi problemi che hanno afflitto la Chiesa a partire dall'imposizione del Novus Ordo Missae nel 1970. Si potrebbe essere tentati di cristallizzare la constatazione del card Heenan come femminilizzazione della liturgia. Ma questo termine sarebbe inadeguato e alla fine ingannevole dato che esiste un aspetto mariano autentico della Liturgia che è senza dubbio femminile. La liturgia porta la Parola di Dio, la liturgia offre il Corpo della Parola all'Adorazione e lo dà come Cibo.

[...] Quando si parla della femminilizzazione della liturgia si rischia di essere fraintesi come se si volesse svalutare il significato dell'essere donna e della femminilità stessa. Pur senza adottare il punto di vista piuttosto macho di Cesare sugli effetti della cultura sui soldati, si può certo parlare di una devirilizzazione del soldato che assorbe la sua forza e la sua determinazione nel fare ciò che deve. Non si tratta di un rigetto del femminile: descrive piuttosto l'indebolimento di che cosa significa essere uomo.
Questo termine devirilizzazione, è quello che voglio utilizzare per descrivere ciò che il card. Heenan ha visto quel giorno del 1967 durante la celebrazione della prima messa sperimentale.
Il cardinale John C. Heenan, pur non ostile alla Novus Ordo, nel 1967 così si esprimeva: Da noi, a venire regolarmente a Messa sono non solo donne e bambini, ma anche padri di famiglia e uomini giovani. Se offrissimo loro il tipo di cerimonia che abbiamo visto ieri [la "Messa Novus Ordo", ndt] presto ci ritroveremmo [nelle parrocchie] un'assemblea composta solo da donne e bambini.
In latino, sia vir che homo significano "uomo". Ma vir riguarda l'uomo... "virile", virtuoso, serio, estraneo al sentimentalismo (attenzione: non al "sentimento", ma al "sentimentalismo"), capace di sacrificarsi, desideroso di darsi una disciplina, di sacrificarsi per un bene più alto, pronto anche al martirio. Per questo il sacerdote non può essere che vir.
Nella sua forma Novus Ordo - quella che il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI ha definito in un certo senso fumosamente anche se comprensibilmente forma ordinaria del Rito romano - la liturgia è stata devirilizzata. Bisogna ricordare il vero significato della parola vir in latino. Tanto vir quanto homo significano uomo; ma solamente la parola vir possiede la connotazione dell'uomo eroe ed è inoltre la parola più spesso utilizzata per "marito". L'Eneide comincia con le famose parole: arma virumque cano (canto delle armi e degli ereoi). 

Quanto il card Heenan vide profeticamente e correttamente nel 1967 fu l'eliminazione virtuale della natura virile della liturgia, la sostituzione dell'oggettività maschile, necessaria per il culto pubblico della Chiesa, con la morbidezza il sentimentalismo e la personalizzazione centrata sulla personalità materna del sacerdote. 

Il popolo radunato in Assemblea nella liturgia si colloca in una relazione mariana nei riguardi della liturgia: attenzione, apertura, ponderatezza, attesa di essere riempiti. All'interno della Liturgia il sacerdote come padre che annuncia pronuncia e confeziona la Parola in modo che la Parola possa divenire Cibo per coloro che si trovano all'interno di quella suprema attivazione dell'Ecclesia che è la liturgia. È il sacerdote che offre Cristo al Padre ed è questo l'atto che contiene il ruolo distintivo di cosa significhi essere un sacerdote. Pertanto la paternità del sacerdote rende il suo ruolo distinto non solamente in funzione della sessualità ma anche ontologicamente. Il sacerdote sta in pedi di fronte all'altare in persona Chirsti, cioè in persona Verbi facti hominem, non semplicemente come homo, parola che trascende la sessualità, ma in persona Christi viri: nel senso homo factus est ut fiat vir, ut sit vir qui destruat mortem, ut sit vir qui calcet portas inferi : Dio si è fatto uomo in modo da poter essere quell'uomo-eroe che avrebbe distrutto la morte e schiacciato sotto il suo piede le porte dell'inferno. 

Alcune caratteristiche della liturgia Vetus Ordo:
  • La liturgia Vetus Ordo è comunemente definita "austera", "concisa", "nobile", "semplice". In cui non c'è traccia di "sentimentalismo". Il card. Newman diceva che il sentimentalismo è velenoso per la fede: ebbene, la liturgia Vetus Ordo è come una medicina contro quel veleno.
  • Nella liturgia Vetus Ordo il silenzio è "centrale" nel rivolgersi a Dio. Le sue formule liturgiche sono fisse e concise. Mai una parola di troppo. Tra veri amici, ci si capisce anche stando uno di fronte all'altro in silenzio.
  • La liturgia Vetus Ordo è rigorosa, non solo nelle sue "rubriche" ma nella sua essenza. È l'uomo che si piega alla liturgia, non la liturgia che si piega all'inventiva umana. Scegliere di seguire una "regola", una "disciplina", è un atto virile. La liturgia è qualcosa che si riceve, non qualcosa che si crea al momento.
  • La liturgia Vetus Ordo riesce perfino a nobilitare gesti come il bacio (il sacerdote che bacia l'altare, i ministranti che baciano gli oggetti da porgere al sacerdote, eccetera) depurandoli dal sentimentalismo, dall'ambiguità e dalla carica erotica. Facendoli diventare gesti di adorazione. Il bacio si presta all'ambiguità solo in presenza di sentimentalismo.
Ancora d. Cipolla:
Non c'è nulla di più potente per la "devirilizzazione" del sacerdote che l'abitudine moderna di celebrare Messa rivolti verso il popolo. Al di là della sua natura non tradizionale, al di là dell'essere fondata su svenevoli e infondati appelli all'antichità (contro tali archeologismi liturgici si scagliò Pio XII nella Mediator Dei), al di là dell'imposizione forzosa di un terribile equivoco sull'essenza della Messa (ottenendo cioè che l'aspetto secondario di "pasto conviviale" praticamente eliminasse l'aspetto primario del Sacrificio), quest'abitudine di celebrare rivolti al popolo, slegata dalla Tradizione, è stata una delle prime cause della devirilizzazione del sacerdozio.

Durante uno dei miei numerosi viaggi in Italia notavo come molti dei passeggini per bambini fossero costruiti in modo tale che il bambino fosse seduto "di fronte" alla madre che spingeva il passeggino. Questo mi sembrava strano, dato che negli Stati Uniti il bambino siede nella stessa direzione in cui spinge la madre. Quando ho chiesto il perché ad un amica, mi ha detto che ci sono troppe mamme italiane che vogliono tenere continuamente a vista il bambino, in modo da potergli sorridere, parlare in maniera infantile, insomma essere sicure che il legame sia sempre fisso. La classica relazione madre-figlio viene portata in maniera perversa a livelli come questi, viene portata al punto che si pensa che ci sia un continuo bisogno di un contatto visivo tra madre e figlio, a scapito del contatto col mondo esterno che "danneggerebbe" la relazione.

Non pretendo che l'analogia appena descritta sia esatta o completa per spiegare l'orientamento del sacerdote verso il popolo; piuttosto, direi che quell'innovazione radicale nella celebrazione della Messa ha trasformato il ruolo del sacerdote da quello del "padre che offre il sacrificio al Padre" a quello della "mamma" bisognosa di dare contatto visivo, spiegazioni liturgiche e talvolta perfino gesti banali, come se i fedeli fossero bambini, riducendo così il suo ruolo da sacerdote a mamma ansiosa. Questa riduzione dell'assemblea a bambini obbligati a stare di faccia rivolti alla mamma-prete impedisce ai fedeli di vedere "al di là del sacerdote", impedisce di capire che è Dio ad essere adorato nel sacrificio di Cristo.

Per usare un'altra analogia: la celebrazione "di faccia" al popolo è come una recita scolastica dove ognuno ha un ruolo da seguire sotto la direzione del sacerdote-professore-regista che controlla che tutto fili liscio. Questo concetto viene descritto da alcuni liturgisti come "dimensione orizzontale" della liturgia, in opposizione alla dimensione "verticale" che dà il senso di trascendenza. Sono in fin dei conti stupide definizioni che partono dall'errato presupposto che la liturgia sia sotto il controllo del sacerdote e dei ministri e che uno dei loro compiti sia di assicurarsi che entrambe le "dimensioni" siano presenti e in qualche modo bilanciate.

È chiaro che questo approccio è profondamente opposto al fatto che la liturgia sia un dono ricevuto da Dio e che sia centrata sull'adorazione di Dio attraverso un sacrificio. Le rubriche del Novus Ordo incoraggiano questa visione, che è radicalmente non tradizionale, della liturgia, indebolendo continuamente le istruzioni delle rubriche con espressioni come «o con altre parole», «o in qualche altro modo», «o come da consuetudini del luogo». Al di là di quel romanticheggiante rifarsi alla frase di san Giustino martire sul celebrante che offre la Messa "secondo la sua abilità" (come se questa fosse una frase normativa della liturgia); al di là della discutibile idea di immaginare il sacerdote come capace di attingere dalla Tradizione o dalla propria sensibilità liturgica per supplire a ciò che manca nelle rubriche riguardo a ciò che si deve dire o fare: questa concezione in stile "recita scolastica" rende impossibile celebrare la liturgia nella maniera in cui è stata intesa nella Tradizione. Per la Tradizione la radice del termine "liturgia" riguarda un'adorazione pubblica intesa come un dovere, officium, un dovere certamente basato sull'amore, ma senza dubbio un dovere. È questo il senso tradizionale di liturgia come officium che si è consolidato ed è diventato visibile ed è stato vissuto nel rito romano tradizionale.
2. Traduzione/riassunto di alcuni pezzi della seconda parte dell'articolo.

Due risultati della "devirilizzazione" della liturgia e del sacerdozio.

Primo risultato: la musica che il Novus Ordo ha prodotto, sia quanto ad accompagnamento di particolari momenti della Messa, sia quanto ai canti da cantare durante la liturgia. Nel migliore dei casi si tratta di qualcosa di "funzionale" alla comodità della celebrazione, nel peggiore dei casi è spazzatura sentimentaleggiante che i vecchi inni protestanti sembrano corali di Bach. Quando la Messa è ridotta ad un'assemblea che celebra sé stessa, la musica si riduce ad un metodo per suscitare qualche sentimento della gente.

Lo stesso avviene con le letture della Messa, che nel Novus Ordo sono "funzionali" ad uno scopo didattico. La Messa non più intesa come liturgia (che va al di là della ragione, che "forma", che "in-forma", che richiede attenzione su qualcosa di soprannaturale, che va oltre le parole e il canto, e che perciò non è banalmente da "capire" o da "studiare"), ma come scuola, con il sacerdote-maestrina che deve continuamente spiegare agli alunni ciò che vedono e ciò che sentono. Dal punto di vista "funzionalista", il canto tradizionale va troppo al di là di quel che serve per la celebrazione.

Secondo risultato: l'abito sacerdotale, cioè l'abbandono della talare. La "devirilizzazione" del sacerdote passa anche per l'abbandono del suo abito distintivo, sostituito con camicie che oggi hanno il colletto "rimuovibile". Dunque il sacerdote non è più l'uomo che sta tra la Terra e il Cielo, non è più quello che offre il Sacrificio: ha drasticamente minimizzato il proprio ruolo, vuole "confondersi" nella società.

La veste talare è un'affermazione della virilità del sacerdozio, in forte contrasto col modello mondano (il rude giocatore di football o il modello di Armani in jeans attillati, con richiami animaleschi e sessuali). Il sacerdote non è un "clergyman" (letteralmente: una persona appartenente al clero), non è un "leader religioso", ma è colui che offre il Sacrificio, la cui vita è centrata sull'offrire il Sacrificio, e che non può essere in alcun modo "secolarizzato". La talare è come il mantello dei profeti, è il segno del distacco dal mondo.

Ed infatti il prete "devirilizzato" confonde il distacco con l'arroganza, la freddezza, il clericalismo: ironicamente, proprio l'opposto della verità. Il periodo post-conciliare ha visto la nascita di un clericalismo mascherato: il "presidente" dell'assemblea in realtà "presiede" tutto (come se fosse un wedding-planner).

Il più grave effetto della devirilizzazione della liturgia è la "discontinuità" (reale e percepibile) tra il Novus Ordo e il rito romano tradizionale.

La "discontinuità" nella liturgia è come la "discontinuità" nella matematica: un punto in cui la funzione non è continua, c'è un buco. I cattolici vissuti "dopo" il punto di discontinuità, cioè coloro che hanno esperienza del solo Novus Ordo, non hanno idea di cosa sia stata la liturgia "prima" della discontinuità: la considerano qualcosa di straniero, di esotico [giudicandola con parametri superficiali: "il latino non si capisce; la consacrazione detta a voce sommessa non si sente"...].

Nella matematica le funzioni "discontinue" possono avere la stessa formula prima e dopo il punto di discontinuità, ma possono anche avere formule diverse. Quest'ultimo è il caso della liturgia: il Novus Ordo è essenzialmente una nuova formula, che usa le stesse variabili ma per indicare qualcosa di diverso. L'apparenza, la forma, la struttura della nuova formula sono infatti ben diverse da quella precedente il "buco". Questo è un serio problema per l'integrità della fede cattolica espressa nella celebrazione della santa Messa. La Messa Tradizionale è stata descritta "potente e strana", come diceva san Benedetto; "semplice, sobria, a volte un po' austera, certamente bella, e che esprime una forte linearità, capace di dolcezza, grande espressività, adatta ad ogni temperamento, capace di smuovere i più intimi angoli dell'anima", come diceva un antico Antifonale Monastico. Da un lato abbiamo la Messa Tradizionale, e dall'altro abbiamo il Novus Ordo devirilizzato.

Questo è esattamente ciò che il cardinale Heenan vide quel giorno del 1967 con la Messa di collaudo del Novus Ordo a Roma. Vide già subito i risultati della mentalità "funzionalista" che non capisce il cerimoniale e confonde la semplicità con un semplicismo infantile. Vide la "novità" del Novus Ordo, una novità che non cresceva organicamente alla Tradizione ma piuttosto da un preciso ceppo della teologia liturgica costruita sul razionalismo post-illuminista. Vide la devirilizzazione della liturgia e previde il drammatico calo di frequenza alla Messa. Visse abbastanza a lungo da vedere pure l'inizio della perdita del senso del sacro, anche se non abbastanza da vedere la devirilizzazione del sacerdozio e le relative conseguenze quanto al calo di vocazioni e al crollo della castità e del celibato.
 

venerdì 28 giugno 2013

FESTIVAL BIBLICO

IL FESTIVAL BIBLICO DI VICENZA FA SALIRE IN CATTEDRA LA DEPUTATA DEL PD, ABORTISTA
La diocesi di Vicenza e dalla Società San Paolo, col sostegno del Progetto Culturale della Chiesa Cattolica, si dichiarano convinti dell'importanza vitale del dialogo con l'uomo contemporaneo
di Renzo Puccetti
 
 
Ho letto su La Nuova Bussola Quotidiana il racconto fatto da un testimone dell'intervento che la deputata del Partito Democratico Michela Marzano ha svolto nell'ambito del Festival Biblico, una kermesse, si legge nei ringraziamenti degli organizzatori, promossa dalla diocesi di Vicenza e dalla Società San Paolo, col sostegno del Servizio nazionale per il Progetto Culturale della Chiesa Cattolica. Non ho assistito personalmente alla relazione della politica del PD, ma il resoconto che ho letto è stato così avvincente che confesso di non avere resistito e ho cercato di saperne un po' di più. Per farlo non c'è molto da girare, basta un computer ed una connessione alla rete. Primo Click, sezione "perché un festival biblico"; gli organizzatori si dichiarano convinti della «importanza vitale del dialogo tra le sacre Scritture ebraico-cristiane e l'uomo contemporaneo» e della «esigenza occidentale di un umanesimo etico-spirituale socialmente condiviso». Ottimo! Come? Sono ancora gli organizzatori a dirlo: «creare occasioni di scoperta del Testo sacro attraverso un ascolto intelligente della Tradizione, capace di declinarsi attraverso modi e linguaggi nuovi […] che invita a un incontro globale con la Bibbia, interpellando i cinque sensi e il cuore, la ragione, le emozioni e le relazioni». Corbezzoli! Davvero un bel programma.

Secondo click, sezione "i relatori 2013". Si scopre che l'onorevole Marzano è una blasonata docente di filosofia che insegna a Parigi alla facoltà di Scienze Umane e Sociali dove, secondo i curatori del Festival Biblico, si occupa di filosofia morale e politica con particolare attenzione rivolta al «posto che occupa al giorno d'oggi l'essere umano in quanto essere carnale» e alla «analisi della fragilità umana». Giunto a questo punto penso che ci sia qualcosa che non quadra; possibile che istituzioni del mondo cattolico e della Chiesa di così alto livello si prestino ad avallare qualcosa di meno che rispettoso della dottrina cattolica e del dettato biblico, oggetto del loro impegno divulgativo? Mi viene il dubbio che il resoconto che ho letto possa essere originato da qualche equivoco. Terzo click, lettura di alcune pagine di una delle opere citate in calce al profilo dell'onorevole Marzano. Leggo: «La legalizzazione dell'aborto non obbliga nessuna donna ad abortire se non lo vuole. Non obbliga nessuno a considerare l'aborto moralmente legittimo. Permette solo a tutte coloro che non possono, o non vogliono, portare avanti la gravidanza di farlo nelle migliori condizioni». Ancora: «Al contrario, coloro che vogliono criminalizzare l'aborto non solo cercano d'imporre agli altri la loro concezione del mondo e della morale ma sono anche indifferenti di fronte alle tragiche conseguenze che potrebbe avere, per molte donne, il fatto di tornare a praticare l'aborto clandestino. Anche da un punto di vista etico, e non strettamente femminista, l'aborto è il male minore».
Siete curiosi di conoscere le ragioni profonde con cui l'autrice spiega la propria difesa dell'aborto? Eccovi serviti nella stessa pagina: «Non solo perché la vita di una donna - che esiste, vive, soffre, agisce – è infinitamente più preziosa di quella di un essere che non è ancora nato, ma anche perché sono convinta che non basta vivere perché la propria vita abbia un senso». Ora il lettore da una fonte di conoscenza filosofica di così alto rango potrebbe con qualche liceità pretendere spiegazioni di quelle che appaiono incoerenze interne (anche il bambino vive, soffre e agisce nelle modalità che gli consente la propria condizione, perché dovrebbe essere infinitamente meno prezioso?), fallacie argomentative (una legge che legalizzasse l'omicidio non obbligherebbe a commetterli, non obbligherebbe a considerarlo l'omicidio un atto moralmente legittimo, ma magari permetterebbe chi non desidera continuare ad avere tra i piedi un ostacolo alla propria felicità di eliminarlo nelle migliori condizioni) e predicati monchi (se non basta vivere perché la vita abbia un senso, è certo che privato della vita il senso viene interrotto con essa).
Al di là quindi del senso di tremenda delusione intellettuale, ancora prima che morale, suscitato da chi non dovrebbe avere difficoltà con gli elementi basilari della logica aristotelica e con la morale formale kantiana, quello che interessa qui sottolineare è il crescente senso di nausea alimentato dal susseguirsi di episodi riferiti dalle cronache che lasciano interdetti. All'indomani del crescente successo della marcia nazionale per la vita, dello sforzo profuso dal laicato cattolico nella raccolta delle firme per l'iniziativa "Uno di noi", della risposta dei ginecologi cattolici e dei giuristi per la vita all'attacco all'obiezione di coscienza all'aborto portato da un grosso sindacato italiano, a pochi giorni dalla celebrazione dell'enciclica Evangelium vitae del beato Giovanni Paolo II, una teorica dell'abortismo libertario viene invitata in un'iniziativa diocesana non a una disputa, non a un dibattito, non a un contraddittorio, ma a tenere una "lectio magistralis", così come con una certa pompa la si è voluta presentare. È con questi attori che "l'uomo contemporaneo" si avvicinerà alla Bibbia?
"Tu mi hai intessuto nel grembo di mia madre", "Le mie ossa non ti erano nascoste quando fui formato in segreto", "Nel tuo libro erano già scritti tutti i giorni che erano stati fissati per me, anche se nessuno di essi esisteva ancora". È il salmo 139 che canta l'onniscienza di Dio. Ci sia fatto capire, è onorando gli autori di questi contenuti che secondo la diocesi di Vicenza e la Società San Paolo "i cinque sensi, il cuore e la ragione" verranno interpellati per meditare su dignità dell'uomo e sacralità della vita innocente? Il bambino abortito non è sufficientemente carnale? Non è sufficientemente fragile? È così che si serve Dio autore della vita? È stato posto in cattedra un personaggio che lancia accuse d'indifferenza e di ostacolo alla civiltà contro chi si oppone alla legalizzazione dell'aborto; mi interrogo se è con queste iniziative che si veicola "un ascolto intelligente della Tradizione" che guarda caso però definisce le leggi abortiste "corruzione della legge" (EV, 72) a cui si ha l'obbligo morale di opporsi (EV, 73). È col cibo avariato che si tutelano gli infermi? È con l'apertura ai lupi che si veglia sul gregge? Oppure, e vorrei tanto sbagliarmi, questo è quanto riesce a produrre una ONG pietosa.
 
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12-06-2013

giovedì 27 giugno 2013

Gay Pride

Perchè a Palermo il Family Day infastidisce i cattolici più del Gay Pride



(di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro) Il lettore immagini un giovane di belle speranze seduto al banco dell’esame scritto di giornalismo che si trovi tra le mani la seguente traccia: Il candidato scriva un articolo a commento di queste due notizie di agenzia:

Palermo, 14 giugno“Adnkronos”«Ciascuna parola in questa occasione è equivocabile. La parola “contro”, soprattutto, è dannosa. La “Giornata” della famiglia non deve essere contro qualcuno, non è e non deve essere una manifestazione di muscoli o di forza. La logica del Vangelo, infatti, non è quella della lotta, ma è quella del sussurrare la verità alla ricerca sempre della più profonda verità dell’uomo». A dirlo è il vescovo delegato Cesi (Conferenza episcopale siciliana) per la famiglia e i giovani, monsignor Calogero Peri, in vista del “Family Day” che si terrà sabato 22 giugno al Parco Ninni Cassarà, a Palermo. In contemporanea con il corteo conclusivo del Gay Pride nazionale, che invaderà le strade del capoluogo siciliano, più di trenta associazioni famigliari daranno vita alla Giornata della famiglia. «Vorrei che ci fosse la capacità ‒ aggiunge ‒ di smetterla di fare fronti contrapposti. Nella storia la soluzione dei problemi non è mai stata nella lotta, ma nell’ascoltare l’altro, nel dire la verità. Certo, non bisogna rinunciare alla propria prospettiva ma bisogna affermarla come dono, come ricchezza».

Palermo, 22 giugno “Adnkronos”«È partito pochi minuti fa dal Foro italico di Palermo il Gay pride nazionale. Ad aprire il corteo sono il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, Vladimir Luxuria, la top model Eva Riccobono, l’attrice palermitana Barbara Tabita, l’assessore comunale alla Cultura Francesco Giambrone. Migliaia i partecipanti alla manifestazione. Subito dopo le prime file ci sono decine di bandiere di Rifondazione comunista. Sono numerosi i carri che sfileranno lungo le strade di Palermo fino ad arrivare ai cantieri culturali della Sisa».

Come in qualsiasi esame, anche durante quello di giornalismo, il primo pensiero del candidato è più o meno il seguente: “Ma come fanno a inventarsi delle assurdità del genere?”. E il povero candidato ne ha tutte le ragioni. “Vladimir Luxuria” pensa il candidato prima di mettersi a scrivere “è da poco balzato/a alle cronache nazionali ed estere per essersi fatto/a comunicare niente meno che dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, durante i funerali di don Andrea Gallo. Come è possibile inventarsi la notizia che si a in prima fila al Gay Pride? Se ha fatto la comunione, vuol dire che si è convertito/a… Va bene inventarle grosse, ma a tutto c’è un limite”.

Ma questo è ancora niente, perché il povero candidato è ancora più turbato dalla notizia di agenzia con la dichiarazione sul “Family Day” del delegato dei vescovi siciliani per la famiglia. “Qui hanno proprio esagerato” dice tra sé il candidato sentendo il mormorare dell’intera aula che condivide tutta la sua perplessità, cattolici compresi. “Immaginare un vescovo che non abbia il coraggio di schierarsi apertamente contro una manifestazione dell’orgoglio omosessuale, con i tempi che corrono, ci può anche stare. Ma pensare che questo vescovo, delegato per la famiglia, spari addosso a una manifestazione in sostegno alla famiglia è davvero troppo. Cambio traccia”.

Purtroppo, come quasi tutti sanno, le due notizie “Adnkronos” non sono inventate, e se l’ipotetico candidato all’esame può decidere di cambiare traccia, il povero cattolico è costretto a fare i conti con la dura realtà. La quale mostra che i componenti dell’ipotetica commissione d’esame di giornalismo sono tutt’altro che perfidi immaginatori di trame alla Dan Brown. Si sono limitati alla semplice cronaca: contra facta non valet argumentum. Che, tradotto pedestramente ad uso dei chierici postconciliari significa: contro i fatti non valgono le argomentazioni.

Non valgono, per esempio, le argomentazioni di coloro che, non sapendo più che altro argomentare, hanno difeso l’improvvida e scandalosa comunione data dal cardinale Bagnasco a Vladimir Luxuria spiegando che bisognava evitare un gesto provocatorio. Ma non sarebbe proprio questo che deve fare il cristiano? Libero da ogni rispetto umano, non dovrebbe affermare senza alcun timore la verità? E non dovrebbe usare anche gesti di fermezza che, magari quelli sì, possono indurre un peccatore a ravvedersi?

Ma serve il coraggio, con tutte le considerazioni che a suo tempo fece Alessandro Manzoni. Tanto che risulta sempre più difficile trovare pastori capaci di andare contro l’onda montante dell’omosessualismo. Il timore di finire linciati sui giornali e in televisione è palpabile ed evidente. Gli insegnamenti semplici e inequivocabili della dottrina, quando vengono ricordati, sono sempre attenuati da una serie di ma, di però, di tuttavia che finiscono per snaturali. E dove la dottrina non sia ancora stata completamente snaturata, si raccomanda, coma fa monsignor Peri, di sussurrarla, di non contrapporla all’errore. Di più, bisogna ascoltare l’altro, anche quando sfila nel Gay Pride.

Il dialogo, già pernicioso come metodo, è divenuto contenuto. Per questo monsignor Peri non ha esitato a scagliarsi contro gli organizzatori del “Family Day”. Loro sì che, nella sua visione, sono fuori luogo, verrebbe da dire degli eretici se nella Chiesa di oggi ci fosse ancora il coraggio di usare questo concetto. Questi poveri reperti fossili di una fede che non è più di moda non vogliono professare la religione del dialogo che ormai ha conquistato tutti i livelli. Quando si insegna che l’importante è camminare insieme perché in tal modo, alla fine del viaggio sono cadute le differenze, non si può tollerare coloro che ancora si interrogano su dove finisce il viaggio e su come ci si arriva.

In questa prospettiva, bisogna chiedersi se la dichiarazione dei vescovi siciliani sul “Family Day” sia cosiddetto fuoco amico o se, invece, non sia fuoco mirato per abbattere gli avversari della religione del dialogo. Una questione di sostanza, dunque, e non di metodo, che conduce all’ipotesi ancora più drammatica di un cambiamento di orizzonte sulla questione omosessuale.

Non si spiegano altrimenti le uscite di membri della gerarchia cattolica che intendano in qualche modo dialogare con la cultura omosessualista. Con il risultato che, con sempre più forza e autorevolezza, ormai si comincia ad aprire alle unioni civili per gli omosessuali. Per esempio, lo hanno sostenuto, recentemente, monsignor Vincenzo Paglia e l’ex cerimoniere pontificio Piero Marini.

E qui, l’ipotetico candidato all’esame di giornalismo si chiede: ma non vorranno dire che l’atto omosessuale, da peccato che grida vendetta al cospetto di Dio è diventato un peccato a gradazione variabile a seconda di quanto dice la legge di uno stato laico? E non sarà che, una volta dato il via alle unioni civili, si arriverà anche al matrimonio? E non sarà pure che, come è accaduto per la legge sull’aborto, dopo averla combattuta, ora i vescovi la definiscono una legge che non va toccata, anzi va applicata integralmente e, come la costituzione della Repubblica italiana, è la più bella del mondo?

Ma si sa come sono in candidati all’esame di giornalismo. Si fanno un sacco di domande, anche sulle questioni di principio e sulla dottrina, invece di lasciar fare ai pastori. E forse fanno bene.

(Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro)

martedì 25 giugno 2013

Liturgia e pastorale

Liturgia e mancanza della pastorale (o della cura delle persone)



 
 
Padre Alexander Shmemann
(1921-1983)
Quanto stiamo dicendo in questo blog, riguardo alla liturgia tradizionale, dà per scontato che esista nel lettore una buona sensibilità verso il culto cristiano.
Una persona ha questa sensibilità se, a monte, ha avuto una formazione. Normalmente un buon sacerdote, che vive la liturgia con pietà e coscienza, è in grado d’influenzare positivamente le persone e quindi di formarle.

In ambito italiano abbiamo avuto una persona che, in tal senso, era un esempio: l’abate Mario Righetti (1882-1975), autore di una corposa opera sulla storia della liturgia. Questo sacerdote riuscì a compilare tale lavoro erudito pur essendo parroco e, come tale, teneva spesso conferenze formative ai suoi stessi parrocchiani.

Molti altri, pur non essendo come lui, hanno fatto, lungo il tempo, un buon lavoro, se non altro per la testimonianza d'una vita di pietà. Io stesso ho alle spalle diversi esempi di tal genere.

Tutte queste generazioni di sacerdoti cattolici facevano parte di una corrente che, a livello internazionale stava riscoprendo lo spirito della liturgia negli anni precedenti al Concilio Vaticano II. Questa corrente, inizialmente, era promossa da alcuni importanti monasteri.

Se è vero che in questa corrente di riscoperta c’erano tante anime e tendenze (anche quelle che poi contribuiranno ad avvicinare il culto cattolico a quello protestante), vi furono pure seri tentativi di vivere in modo profondo la liturgia diffondendone una dettagliata conoscenza.

Nell’attenzione ai testi liturgici, in tal movimento, noto una certa sensibilità umanistica, ossia quanto di meglio l’umanesimo ha potuto lasciare in ambito cristiano. L’Umanesimo, come si sà, si muoveva verso una valorizzazione del testo studiato, una sua sapiente diffusione, un suo approfondimento in relazione alle fonti. Ebbene tutto questo, è difficile negarlo, ha influenzato pure lo studio della liturgia in ambito occidentale. Gli stessi messalini domenicali latino-italiano che si stampavano qualche tempo addietro ed erano ampiamente diffusi, rivelavano, qua o là, appunti filologici e storici, riflesso di questa mentalità.

L’Oriente bizantino nella liturgia ha sempre avuto un diverso approccio d’ordine più mistico-contemplativo. Il testo liturgico, in quest’ambito, non è tanto oggetto di ricerca filologica e storica, quanto di una manducatio, come si direbbe medioevalmente, ossia di un'assimilazione che diviene vita. Per comprendere come si deve vivere la liturgia in Oriente è necessario vedere come vivono le comunità monastiche che la celebrano. In ambito letterario i commenti di un grande teologo e liturgista russo, Alexander Shmemann, hanno fatto scuola. Costui, contrarissimo ad ogni formalismo, cercava di accompagnare le persone verso le cose  essenziali con linguaggio profondo e semplice.

Nelle comunità parrocchiali ortodosse, soprattutto oggi, esistono molte realtà. Non tutte hanno capito o colto l'insegnamento di Shmemann. Esistono comunità curate (penso, ad esempio, a certe parrocchie francesi) ma pure comunità neglette in cui il culto è poco più di una forma esteriore quando non assume puro valore etnico...

Contrariamente a ciò, una comunità dovrebbe essere caratterizzata da un minimo d’attenzione alla liturgia celebrata dal momento che riguarda intimamente tutti. Perché questo sia possibile è sempre necessaria la presenza d’un clero ben formato.
Tranne qualche rara lodevole eccezione, questo non è il caso italiano.

Posso illustrare la situazione in ambito ortodosso in Italia in modo semplice raccontando qualche fatto emblematico recentemente accaduto.

PRIMO FATTO
Festa di Pentecoste in una chiesa greco-ortodossa. Due signore (non greche ma neppure italiane), cercano di seguire la liturgia ma hanno molta difficoltà. Le signore sono ortodosse. Ad un certo punto, il sacrestano porge loro gentilmente un fascicoletto mal fotocopiato con i testi della liturgia in greco traslitterato e italiano. Questo fascicolo proviene assai probabilmente da una chiesa greco-cattolica del sud Italia poiché in quella parrocchia non si sente il "bisogno" di fare altrettanto. La signora più giovane sfoglia il libretto e non lo capisce. Eppure conosce  la lingua italiana. Non riesce a trovare il punto esatto in cui si sta svolgendo la liturgia. Una persona, dietro di lei, l'aiuta indicando la pagina giusta. Neppure il tempo di qualche minuto e il testo in traduzione (di cui avevano bisogno) viene chiuso e messo da parte.
Del fatto si devono notare i punti seguenti:
  • disorientamento totale per quanto riguarda la struttura generale della liturgia. Una persona che la conosce e le è familiare, infatti, è in grado di trovare le pagine esatte anche in un libro di una lingua non conosciuta: se personalmente lo dovessi fare su un libro in russo mi orienterei.
  • Indifferenza finale verso il testo tradotto con conseguente accomodamento ad una fase “pre-razionale”. Queste persone sembrano seguire la liturgia esattamente come fanno i bambini. I loro preti su questo pare non abbiano nulla da ridire. A loro vanno bene dei fedeli impreparati forse... per non sentirsi giudicare!

SECONDO FATTO
Stessa chiesa, stessa domenica.
Alla liturgia è presente, sin dal suo inizio, una signora anziana, una parrocchiana molto assidua. La signora si può tranquillamente definire una fedele nel vero senso della parola.
La liturgia prosegue il suo corso: Apostolo, Vangelo, grande ingresso, anafora… La signora pare seguire con attenzione ogni momento liturgico. Ad un certo punto, poco prima della comunione, un rappresentante della comunità passa tra le persone con un vassoio per raccogliere eventuali offerte. Contemporaneamente distribuisce delle foglie profumate che indicano la grande festa celebrata. La signora, come risvegliandosi da un torpore, gli chiede: “Ma che festa è?”. “È Pentecoste”, le risponde l’altro. “Ah, però”, continua la signora, “non lo sapevo!”.
Da questo secondo fatto si enuclea quanto segue:
  • La signora è una fedele, viene spesso in chiesa. E’ greca, quindi dovrebbe comprendere più di qualcosa della liturgia ma, “stranamente”, pur ascoltando le letture bibliche non ci capisce gran che; ha forse visto l’icona della Pentecoste, disposta alla venerazione di tutti ma, pure qui, pare non averci capito molto. Avrà forse sentito il canto dell'apolytikion nel quale si parla della Pentecoste, ma forse non l'avrà compreso … Il fatto è talmente strano che uno si chiede con quale atteggiamento queste buone persone seguano la liturgia!
  • Solo verso la fine della funzione la signora ha capito cosa si stesse celebrando, nonostante tutti i segni che venivano posti e solo dopo che le era stato detto chiaramente. Evidentemente, entrando in chiesa, non si era posta alcuna domanda di tal genere. Ci si chiede: ha senso tutto ciò? Ha senso entrare in chiesa e non chiedersi il motivo per cui lo si fa, cosa si sta andando ad ascoltare? Temo che molti fedeli ortodossi sono adagiati su questo livello!

Questi due fatti indicano una certa indifferenza ai testi e agli eventi liturgici, sia per incomprensione non colpevole sia per una vera e propria scelta di non comprenderli. E’ come se una maggiore “intelligenza” liturgica non li riguardasse (al più riguarda il prete) mentre al semplice laico è sufficiente un’assistenza passiva, una pura presenza fisica. Mi è un poco difficile scusare questo tipo di partecipazione pensando ad un improbabile approccio di tipo “mistico”, come si suppone avvenga nei monasteri…
D'altronde in quella stessa parrocchia un laico greco ad una mia domanda se mai nella metropoli greca esistesse una specie di lezionario con le letture bibliche lungo lanno liturgico, mi disse: "Non chiedere queste cose!". Risposta incredibile e vergognosa ma vera, indice di una mentalità generale! Se in chiesa non si entra per fare un cammino, con l'ausilio pure di mezzi concreti come dei libri, per cosa si entra? Per un puro autocompiacimento etnico?

TERZO FATTO
In quest’ultimo fatto abbiamo un’altra prospettiva, anche questa abbastanza criticabile.
Il luogo in cui è avvenuto è una parrocchia greco-ortodossa del sud Italia durante la Settimana santa. Un gruppo di studenti greci segue la funzione. Alcuni tra loro hanno dei testi stampati in Grecia che consentono una conoscenza migliore su quanto viene celebrato. Evidentemente in Grecia, a differenza dell’Italia, una parte del clero ha a cuore una migliore partecipazione e si preoccupa di fare delle pubblicazioni. Alla fine della funzione questi ragazzi, come se non avessero assistito a nulla di coinvolgente, si rivolgono ad altri in modo scortese e burbero. Evidentemente la celebrazione non ha toccato le loro vite.

Tutti questi fatti hanno un comune denominatore: in Italia non esiste una cura pastorale efficace verso i fedeli. L'impressione è avvalorata non solo da questi fatti (che paiono essere tuttaltro che sporadici) ma da un andazzo assurdamente passivo assai probabilmente impresso o favorito da chi è responsabile.

La liturgia da sola non basta, e lo abbiamo visto, poiché ognuno tende a ricavare un suo modo di parteciparvi, modo che spesso non è sufficiente e ha risultati assai carenti, per non dire proprio fuorvianti.

Questa coscienza che, nel mondo cattolico tra le due guerre mondiali, aveva fatto espandere il movimento liturgico, pare lasciare completamente indifferente il clero ortodosso della penisola italiana con i risultati che inevitabilmente si producono.

Possono dei credenti, che vivono in modo così spensierato, riuscire a rimanere indenni dal secolarismo che affligge tutte le Chiese? Non pare essere questa domanda ad assillare il clero ortodosso italiano che, tuttavia, si sbraccia a chiedere il sostegno dell'otto per mille …

lunedì 24 giugno 2013

devozione mariana

DE MARIA NUMQUAM SATIS





O mia signora, sovrana che regni su di me,
madre del mio  Signore,
serva del Figlio tuo,
madre del creatore del mondo,
ti supplico con tutte le mie forze:
fà che riceva lo Spirito del tuo Signore,
lo Spirito del tuo Figlio,
lo Spirito del mio Redentore,
perché di te possa penetrare la vera essenza,
di te possa dire cose vere e giuste,
e tutte io possa amarle.

Tu sei beata fra le donne,
pura tra le madri,
signora tra le ancelle,
regina tra le sorelle.

Ecco, tutte le genti ti dicono beata,
beata ti riconoscono le schiere angeliche,
beata ti esaltano tutti i profeti,
beata ti celebrano tutte le genti.

Ti esalterò come tu devi essere esaltata,
ti amerò come tu devi essere amata,
ti loderò come tu sei degna di lode,
ti servirò come la tua gloria
merita di essere servita.

Vengo a te, che sola sei madre di Dio e vergine,
davanti a te mi prostro,
strumento dell'incarnazione del mio Dio;
davanti a te m'inchino,
 o sola madre del mio Signore;
fà che siano cancellati i miei peccati;
rivelami la profonda dolcezza del tuo Figlio,
concedimi di parlare della fede nel Figlio tuo
e difenderne la purezza;
dammi anche di restare unito a Dio e a te,
sottomesso a te e al tuo Figlio,
di servire te e il tuo Signore:

lui come mio Creatore,
te come madre del mio Creatore;
lui come Signore di ogni potere,
te come serva del Signore universale;
lui come Dio, te come madre di Dio,
lui come mio Redentore,
te come strumento della mia redenzione.

Io sono tuo servo,
perché il mio Signore è tuo Figlio;
tu sei la mia sovrana,
perché sei l'ancella del mio Signore;
io sono il servo dell'ancella del mio Signore,
perché tu, la mia regina,
sei diventata madre del tuo Signore;
sono divenuto servo,
perché tu sei diventata la madre del mio Creatore.

Ti prego, ti prego, o Vergine santa,
che io abbia Gesù da quello Spirito,
dal quale tu stessa lo hai generato.
Riceva l'anima mia Gesù
per opera di quello Spirito
per il quale la tua carne lo ha concepito.
Che io conosca Gesù da quello Spirito
da cui tu hai conosciuto,
accolto e partorito Gesù.
Che io dica di Gesù cose umili e grandi
in quello Spirito in cui tu proclami
di essere la serva del Signore, desiderando
che di te si faccia secondo la parola dell'angelo.
Che io ami Gesù in quello stesso Spirito,
nel quale tu lo adori come Signore
e lo contempli come Figlio.

Ti prego, o serva del Figlio tuo,
o segno nobilissimo della mia libertà!
O immagine luminosa delle mie origini pure!
Ascoltami, Gesù, Dio Figlio dell'uomo:
che io serva la Madre tua
in modo che tu riconosca che te io ho servito;
che sia mia sovrana,
in modo che io sappia di essere, così, gradito a te;
mi tenga sempre in suo potere,
in modo che tu sia mio Signore.   s.Ildefonso

LA BELLEZZA SALVERA' IL MONDO

LA BELLEZZA SALVERA' IL MONDO
          (Dostoevskij )

REQUIEM PER IL GRANDISSIMO MOZART



Nozze gay

Nozze gay, la resa dei vescovi francesi 
Massimo Introvigne



Quello che succede nella Chiesa cattolica in Francia, dopo le grandi manifestazioni contro la legge Taubira che ha introdotto il matrimonio e le adozioni omosessuali, è di qualche interesse per l'Italia, dove rischiamo di vedere presto lo stesso film.

Riassumo, per comodità del lettore, solo le ultime puntate della saga. 4 giugno:  il Consiglio «Famiglia e società» della Conferenza episcopale francese (CEF), presieduto dal vescovo di Le Havre mons. Jean-Luc Brunin e che comprende vescovi ed esperti, pubblica il documento «Proseguiamo il dialogo!»,  dove invita alla riconciliazione fra quanti - anche all'interno del mondo cattolico - hanno militato su sponde opposte nella questione del matrimonio omosessuale. 10 giugno: diverse voci del mondo cattolico conservatore - non necessariamente legato agli ambienti cosiddetti «lefebvriani» - chiedono che la CEF revochi l'incarico ai componenti del Consiglio «Famiglia e società», accusati d'insegnare una dottrina in materia di unioni omosessuali non conforme al Magistero della Chiesa. 13 giugno: interviene il Consiglio permanente della CEF che, senza sconfessare il Consiglio «Famiglia e società» - e ovviamente senza revocarne i membri - precisa però che tra chi manifestava contro e chi a favore della legge Taubira la Chiesa non è neutrale; che chi si opponeva a una legge che apre «ferite» nel corpo sociale aveva ragione; che il suo impegno «non è stato vano» e che dovrà continuare occupandosi di «altri campi dove la vigilanza è richiesta per il rispetto della persona umana», allusione evidente alla legge sull'eutanasia il cui iter legislativo è già cominciato in Francia.

Ma che cosa si legge nel documento «Proseguiamo il dialogo!»? A leggerlo di dritto e di rovescio - meglio due volte, perché cede talora a quel linguaggio «ecclesialese», comprensibile solo ai professionisti dei piani pastorali, tante volte sconsigliato da Papa Francesco - si scopre anzitutto che non include nessuna apologia dell'omosessualità, così che alcune critiche su questo punto appaiono sopra le righe e ingiustificate. Il documento afferma che la persona omosessuale dev'essere accolta «incondizionatamente» nella comunità cristiana, espressione che può certo prestarsi a equivoci. Ma precisa che «l'accoglienza incondizionata della persona assolutamente non implica in nessun modo l'approvazione di tutti i suoi atti», che la «differenza sessuale fra un uomo e una donna è l'elemento fondamentale» perché si possa parlare di matrimonio, il quale - per essere conforme a quanto la Chiesa insegna - dev'essere caratterizzato da «unità, indissolubilità, fedeltà e apertura alla vita».

Fin qui, dunque, tutto bene. Si può discutere l'accostamento pastorale che consiglia a chi si senta fortemente attratto da una persona dello stesso sesso di mantenere con questa persona un'«amicizia» la quale, senza negare la presenza di un'«attrazione sessuale», «scelga di non cedere» a tale attrazione. Il Consiglio «Famiglia e società» spiega che, in fondo, questa «amicizia casta» è la stessa che si può consigliare a chi si senta attratto da una persona dell'altro sesso che non è il suo legittimo coniuge. Si possono condividere le considerazioni sul fatto che la nostra società oggi non concepisce più un'amicizia separata dalla sessualità, e che quanto oggi sembra ambiguo in altre epoche era normale e permetteva di coltivare relazioni amicali durature che non si trasformavano in relazioni sessuali. Sul piano prudenziale, però - con tutto il rispetto per gli illustri esperti laici e professori universitari che fanno parte insieme con i vescovi del Consiglio «Famiglia e società» -, ci si può chiedere se il consiglio di mantenere una frequentazione e un'amicizia con una persona nei cui confronti si provi un'attrazione illecita, resistendo strenuamente a questa attrazione, sia oggi realistico. La maggioranza dei confessori probabilmente offre consigli diversi.

Quello però che mi turba di più nel documento «Proseguiamo il dialogo!» - e che ha indotto probabilmente il Consiglio permanente della CEF, pur senza sconfessare apertamente il Consiglio «Famiglia e società», a intervenire - è l'aspetto, per così dire, politico. Il documento è la presa d'atto di una sconfitta, e invita i cattolici a dare «prova di maturità democratica, accettando senza violenza che il proprio punto di vista non abbia prevalso». Tutto il tono del testo è quello di un mesto invito a ripiegare le bandiere, tornare a casa e accettare sportivamente la sconfitta aprendo una stagione di testimonianza silenziosa che tace e si limita a predicare con l'esempio, prova di «maturità spirituale». Operando, anzi, per la riconciliazione, la «coesione nazionale» e l'unità fra cattolici che hanno militato su fronti opposti, atteso che «all'interno della comunità cattolica, queste divergenze non mettono in pericolo l'unità ecclesiale». La riconciliazione, aggiunge il documento, potrà essere trovata impegnando i movimenti e le parrocchie su altri temi più condivisi, tra cui si citano i diritti dei Rom e quelli degli esodati (che ci sono anche in Francia). I giovani che considerano questi temi poco importanti dopo essersi entusiasmati per le manifestazioni contro la legge Taubira devono essere «accompagnati» con pazienza a uno studio più completo della dottrina sociale della Chiesa.

È vero che il documento attribuisce le «divergenze» fra cattolici sulla legge Taubira a diversi modi di derivare «conseguenze politiche» dai principi, e non da diversi principi, e contiene una riserva sulle adozioni omosessuali, su cui manifesta una più decisa opposizione. Ma bene ha fatto l'istanza superiore, cioè la presidenza della Conferenza episcopale, a precisare che in quelle «divergenze» qualcuno aveva ragione e qualcuno aveva torto.

Mi permetto però di dire che neppure il comunicato del Consiglio di presidenza della CEF va al cuore del problema, su cui è opportuna in Francia - come altrove - una riflessione ulteriore. Davvero si tratta di accettare la sconfitta, di «comportarsi da cittadini» - come afferma il documento «Proseguiamo il dialogo!» - «assumendo democraticamente la posizione di minoranza»? O la minoranza, anche sconfitta,  può legittimamente aspirare a diventare domani maggioranza? Le leggi ingiuste devono essere accettate e contrastate solo con la testimonianza silenziosa, oppure - come ha detto Papa Francesco parlando il 15 giugno proprio a parlamentari francesi - le leggi possono anche essere abrogate? E, se ci si limita alla testimonianza silenziosa o si parla d'altro, come creare un clima in cui le leggi ingiuste possano essere cambiate?

Qualcuno ha visto nel documento «Proseguiamo il dialogo!» un ennesimo esempio della deriva omosessualista in certi settori della Chiesa. Mi sembra un'esagerazione: sia pure - per riprendere l'espressione di un vescovo siciliano di cui «La Nuova Bussola Quotidiana» si è recentemente occupata - «sussurrando» la verità piuttosto che proclamandola con vigore, il documento riafferma sul piano strettamente morale i principi fondamentali del Catechismo. Sul piano politico, invece, mi sembra di scorgere nel testo una grande stanchezza. I vescovi e gli esperti del Consiglio «Famiglia e società» si chiedono se davvero «essere cattolici richieda essere sempre "contro" riforme presentate da altri come un progresso», se non si rischi di dare l'impressione di volere «imporre la fede o un punto di vista religioso».

S'insinuano qui precisamente i rischi denunciati dal cardinale Burke in occasione del convegno romano per la «Giornata dell'Evangelium vitae» il 15 giugno. Ci si lascia intimidire dalla critica secondo cui i cattolici non sposeranno persone dello stesso sesso ma non possono impedire di farlo ai non cattolici, anziché rispondere che qui sono in gioco principi di diritto naturale che la ragione può e deve riconoscere a prescindere da qualunque opzione religiosa. Peggio ancora, ci si lascia intrappolare dal mito del progresso irreversibile e ineludibile, per cui si pubblica stancamente qualche documento «sussurrato» per amor di firma, ma in fondo si rimane convinti che la sconfitta è inevitabile e certa, e che tanto vale accettarla «democraticamente» per evitare di farsi dare dai media anche dei cattivi perdenti.

Se non si superano queste due autentiche superstizioni che la propaganda laicista insinua anche nei «buoni» - talora persino nei vescovi - ogni sconfitta prepara la sconfitta seguente. Serve a poco indicare come prossima fermata l'eutanasia, se si pensa che anche lì i cattolici non potranno «imporre un punto di vista religioso» ai non credenti - quasi che la difesa della vita umana valesse solo per chi crede e non fosse anch'essa, com'è, un'esigenza della legge naturale - né, alla fine, presentarsi come quelli che sono sempre «"contro" riforme presentate da altri come un progresso».

In un bel discorso del 7 giugno agli studenti dei Gesuiti, Papa Francesco ha invitato alla virtù dimenticata della «magnanimità», che spinge alle cose grandi e a combattere battaglie apparentemente impossibili. Dirottare le proprie energie dalle battaglie difficili per la vita e per la famiglia ad altre - come quelle sui Rom o gli esodati - che riscuotono il facile applauso dei media corrisponde alla tentazione di non essere scomodi, di compiacere il mondo, di farsi applaudire anziché criticare dai poteri forti che controllano l'opinione. È la tentazione della «mondanità spirituale» di cui parla spesso il Pontefice. Chi è magnanimo, ha detto il Papa il 7 giugno, «non ha paura di andare controcorrente, anche se non è facile». Combatte anche le battaglie impossibili, perché sa che nulla è impossibile a Dio.

sabato 22 giugno 2013

scampoli di omelia

Omelia XII Domenica anno C

XII Domenica anno C

Il Vangelo di Luca si caratterizza per il fatto che indica una svolta decisiva alla “vita pubblica” di Cristo a Cesarea di Filippo, dove il Signore fa quasi un indagine valutativa sul periodo dell’ apostolato precedente, per poi annunciare che ormai si impone il cammino a Gerusalemme, perché nessun profeta è mai morto fuori di essa (Lc 13:33). Così Gesù intraprende il suo cammino indurendo il volto (Lc 9,51). Gesù incontrerà resistenze ed incomprensioni, sul futuro che prospetta, anche da parte degli stessi Apostoli.  
La lettura tratta dal profeta Zaccaria ci offre delle espressioni molto significative della futura identità umile e dolce del Messia.
Colui che hanno trafitto: Capiremo chi sia alla luce della Passione di Gesù. Ed a quella stessa luce intravediamo la restaurazione della Gerusalemme futura. Così siamo chiamati a contemplarlo crocifisso ma anche a vivere la con-passione alle sue sofferenze, per essere partecipi della sua gloria. Nel brano odierno si parla del pianto per il lutto, che però non può essere sterile sentimentalismo, come quello delle pie donne sulla via del calvario; san Paolo ci invita addirittura a completare nella nostra carne ciò che manca alla passione di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr Col 1,24) ed ancora a Timoteo: “ soffri anche tu insieme con me per il Vangelo” (2 Tim. 1,8 ).
Spirito di grazia e di consolazione: parlare di grazia è sempre parlare di un dono di Dio. E’ per grazia che Gerusalemme e la Chiesa saranno consolate. Ed il Signore non la farà mancare, perché è assolutamente necessaria per vincere il pessimismo in cui il Maligno ci vuole rinchiudere, disperando del perdono di Dio per le innumerevoli infedeltà all’ alleanza. La consolazione, il pentimento ed il perdono sono necessari per rialzarsi e ripartire nella vita buona della volontà di Dio nel suo progetto di amore per noi. Dio dispensa con prodigalità la sua grazia ma noi siamo attenti e recettivi? La distrazione uccide l’ amore, anche quello di Dio verso di noi.
Guarderanno a Colui che hanno trafitto: pensiamo ai presenti sul Calvario, l’ Addolorata, l’ apostolo prediletto, … san Francesco …. i santi stigmatizzati ….  E ripetiamo: passione di Cristo confortami! La contemplazione delle sofferenze del Redentore ci deve portare al pentimento per il peccato, “è stato trafitto per le nostre infedeltà” (Is 53,5). “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Come siamo stati causa di sofferenza lo dobbiamo essere anche di riparazione. Per cui il Crocifisso dice: “ io vi ho dato l’ esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Gv 13,15). Lo sforzo apostolico del cristiano non consiste nell’instaurare un programma di ordine sociale, ma parte da una scossa interiore nel considerare come l’ amor con l’ amor si paga, se Lui ha dato la sua vita per noi anche noi dobbiamo dare la vita gli uni per gli altri (1Gv 3,16). I grandi convertiti hanno compreso come dopo avere incontrato Cristi non avrebbero potuto più fare ameno di vivere per Lui.
La lettura evangelica ci parla del pensiero della morte che incombe su Gesù. L’ ostilità dei capi del popolo sta aumentando, ed anche da un punto di vista popolare Egli sta perdendo consensi, soprattutto quando la gente s’ accorge che il messia non ha ambizioni politiche, e non è disponibile a moltiplicare il pane per sfamare gratuitamente le persone ( Gv 6,26 ). Ma Gesù sa che la Redenzione deve necessariamente passare per la porta stretta della Passione. Tuttavia quest’ultima non è mai disgiunta dal pensiero della Risurrezione: “ io ho il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo” (Gv 10,17). La Passione del Signore è un atto di amore liberamente offerto. Anche noi come Lui possiamo trasformare la tragica sorte di mortali in un atto di amore e di adesione alla volontà divina. La Passione di Gesù rappresenta ciò che non sarebbe mai dovuto avverare, ma annunciando la sua morte Egli stesso afferma che il Figlio dell’ uomo deve molto soffrire e dopo la Risurrezione: “non era forse necessario che il Cristo sopportasse queste sofferenze?” Ma siamo davanti ad un mistero: il misterium iniquitatis ed il mistero dell’ amore di Dio per noi, che non ha risparmiati il suo Figlio, il suo unico figlio ma lo ha consegnato come capro espiatorio per la salvezza di ogni uomo.

venerdì 21 giugno 2013

ECUMENISMO

EGO SEPARAVI VOS A COETERIS
UT ESSETIS MEI (Lev. 20)

ECUMENISMO




Ecumenismo: tema quanto mai attuale e termine molto abusato dopo il Concilio Vaticano II, che provoca entusiasmo in alcuni ed orrore in altri. Ma di cosa stiamo parlando? E perché ci sono pareri così discordanti tra gli stessi cattolici?

Prima di tutto vorrei introdurre brevemente due correnti di pensiero che devono essere conosciute per meglio approcciarsi alla comprensione del movimento ecumenico stesso; sto parlando dell’irenismo e del pancristianesimo; solo in seguito analizzerò l’origine ed il significato dell’ecumenismo, oggi divenuto prassi consolidata nella vita della Chiesa.

Irenismo
Per “irenismo”, greco “εἰρήνη”, noi dobbiamo intendere quella corrente teologica che tende alla pace universale da raggiungersi a tutti i costi, pur sacrificando la verità; il termine compare già del XVII secolo, indicando quell’orientamento dottrinale che protende ad unificare i punti comuni nelle differenti “confessioni cristiane” in vista di una totale e pacifica unione; divenne noto nel 1825 per via delle discusse posizioni di Johann Adam Möhler, il quale estendeva il concetto cattolico di tradizione come organico sviluppo del dogma attraverso la storia.

Più tardi le posizioni di Möhler determinarono un discutibile “rinnovamento cattolico” grazie anche agli scritti del cardinale J.H. Newman, ricordato dai modernisti come uno dei “padri assenti” durante il Vaticano II. Nella “teologia irenista” è evidente l’intenzione di ritrovare una “concordia piuttosto umana, formale, animata da un amore che però non è partecipato «dallo Spirito di Verità» procedente dal Padre e mandato da Cristo (Cfr. Unitatis Redintegratio, 11; Gv. XVI,12-15)” [Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, Sinopsis, 1992, pp. 269-270].

L’“irenismo” non considera la Chiesa cattolica come Maestra docente universale, bensì ritiene che tutti debbano imparare da tutti. La storia ci insegna che con personaggi del calibro di Melantone, Contarini, Erasmo, Leibniz e con lo stesso Newman il, “movimento irenista” prese piede in ambienti dapprima protestanti e poi tipici del cattolicesimo liberale, fino a confluire nel “movimento ecumenico” [Enciclopedia Treccani, v. Irenismo].

***
Di “irenismo” ci parla anche Pio XII nell’enciclica Humani generis (1950) esprimendo una dura condanna e definendo i criteri del “metodo apologetico”:
“Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi e dai teologi cattolici, che hanno il grave còmpito di difendere le verità divine ed umane e di farle penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono bene conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po’ di verità, sia infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche che teologiche.
Se i nostri cultori di filosofia e di teologia da queste dottrine, esaminate con cautela, cercassero solo di cogliere i detti frutti, non vi sarebbe motivo perché il Magistero della Chiesa avesse a interloquire. Ma, benché Noi sappiamo bene che gli insegnanti e i dotti cattolici in genere si guardano da tali errori, è noto però che non mancano nemmeno oggi, come ai tempi apostolici, coloro che, amanti più del conveniente delle novità e timorosi di essere ritenuti ignoranti delle scoperte fatte dalla scienza in quest’epoca di progresso, cercano di sottrarsi alla direzione del sacro Magistero e perciò sono nel pericolo di allontanarsi insensibilmente dalle verità Rivelate e di trarre in errore anche gli altri.
Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave, perché si copre maggiormente con l’apparenza della virtù. Molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui sono fra loro divisi i buoni e gli onesti; essi abbracciano perciò una specie di “irenismo” che, omesse le questioni che dividono gli uomini, non cerca solamente di ricacciare, con unità di forze, l’irrompente ateismo, ma anche di conciliare le opposte posizioni nel campo stesso dogmatico.
E come un tempo vi furono coloro che si domandavano se l’apologetica tradizionale della Chiesa costituisse più un ostacolo che un aiuto per guadagnare le anime a Cristo, cosi oggi non mancano coloro che osano arrivare fino al punto di proporre seriamente la questione, se la teologia e il suo metodo, come sono in uso nelle scuole con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, non solo debbano essere perfezionate, ma anche completamente riformate, affinché si possa propagare con più efficacia il regno di Cristo in tutto il mondo, fra gli uomini di qualsiasi cultura o di qualsiasi opinione religiosa.
Se essi non avessero altro intento che quello di rendere, con qualche innovazione, la scienza ecclesiastica e il suo metodo più adatti alle odierne condizioni e necessità, non ci sarebbe quasi motivo di temere; ma alcuni, infuocati da un imprudente “irenismo”, sembrano ritenere un ostacolo al ristabilimento dell’unità fraterna, quanto si fonda sulle leggi e sui principî stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell’integrità della fede, crollate le quali, tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina”.

***
Pancristianesimo
Con il termine “pancristianesimo” individuiamo quei movimenti religiosi di derivazione protestante che vogliono unificare la complessità delle “chiese” cristiane, tutte in una, o una in tutte, “facendo leva sulle verità dette «primarie», perché da tutte professate, e lasciando ciascuna libera di sostenere quelle «secondarie»” [Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, Sinopsis, 1992, p. 373].
Sostanzialmente i “pancristiani” vogliono ridurre il cristianesimo ad un unico comune denominatore del dogma, così snaturando la religione stessa, intaccando tremendamente la morale, il culto, la liturgia, la disciplina, ecc. La Chiesa Cattolica secondo il “pancristianesimo” non può essere depositaria della totale, vera e unica fede, nella sua globalità per mezzo del Magistero, poiché non può esistere un’unica verità trasmessa dagli Apostoli e confermata da Pietro a tutti i legittimi Successori.
Per i “pancristiani” non ha valore la celebre frase latina attribuita a san Cipriano, “Extra Ecclesiam nulla salus” o “Salus extra ecclesiam non est” [Epistola 72 a papa Stefano], espressione che è attinta alla già dottrina di Cristo. Il “pancristianesimo” rigetta anche l’articolo CXIV del Catechismo tridentino:
Terza proprietà della Chiesa è il dirsi cattolica ossia universale, epiteto che le conviene a buon diritto perché, come attesta sant’Agostino: Da Oriente a Occidente si diffonde con lo splendore di un’unica fede (Sermo 242, 4). Essa non è, come le nazioni civili o le conventicole eretiche, ristretta nei confini di un regno o nell’ambito di una razza; ma abbraccia nel seno della sua carità tutti gli uomini: barbari o sciti, schiavi o liberi, maschi o femmine (Gal. III,28). [...] Del resto tutti i fedeli, da Adamo a oggi e da oggi alla fine del mondo, i quali professano la vera fede, appartengono alla medesima Chiesa, che è stata edificata sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti. Tutti questi sono stati costituiti e fondati su quella pietra angolare che è Cristo, il quale delle due cose ne ha fatta una e ha annunciato la pace ai vicini e ai lontani (Ef. II,14-20). Si dice universale anche perché quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa, non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono nell’arca”.

***
Lapidaria fu la condanna che Pio XI inflisse al “pancristianesimo” per mezzo della Mortalium animos (1928):
“Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana. [...][Ci sono uomini che] sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio.
Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. [...] Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse [...] E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo.
Ma sotto queste insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica. Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo [...] Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani.
Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro»), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: «Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno» (II Giov.,10)”.

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Ecumenismo
Appurato quello che brevemente c’è da sapere su “irenismo” e “pancristianesimo”, possiamo passare all’“ecumenismo”.
Brevi cenni: il termine “Ecumene”, anche “oikoumene”, deriva dal greco “οἰκουμένη”, participio medio passivo del verbo “οἰκέω”, “abitare”: “οἰκουμένη (γῆ)” indicava la porzione di Terra conosciuta e abitata dall’uomo, per cui l’Ecumene è “la casa dove tutti viviamo” [Wikipedia, v. Ecumene]. Nel Nuovo testamento: “απογραφεσθαι πασαν την οικουμενην” l’Impero romano in ILc. 2,1; “εδειξεν τας Βασιλειας της οικουμενης” il mondo in IILc. 4,5; “ο πλανων την οικουμενην” la signoria di Satana sul mondo in Ap. 12,9; “και κηρυχθησεται τουτο το ευαγγελιον της Βασιλειας εν ολη τη οικουμενη” il mondo degli esseri umani in IVMt. 24,14 [Pontificia Fac. Teol. Italia Mer., v. Ecumene - Ecumenismo].
“Ecumenismo è quella tendenza all’unità della Chiesa cristiana, favorita dal Protestantesimo che, frazionato in molte sètte, aspira ad una comune fede professata dalle diverse confessioni (compresa la Cattolica) secondo un pluralismo nelle forme di esperienza religiosa, che per vie differenti condurrebbero verso l’unica Chiesa del futuro” [Dizionario del Cristianesimo, E. Zoffoli, Sinopsis, 1992, p. 158] .
Oggi pare che questo “ecumenismo” si sia sviluppato in contraddizione agli insegnamenti ed alla volontà di Cristo; sembra infatti che sia discorde con la costituzione di una unica e vera Chiesa fondata da Lui, nella Quale i membri professano uguali dogmi, morale, riti e sono soggetti dell’unica Gerarchia visibile in una unica disciplina.

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Leggiamo nell’enciclica Satis Cognitum (1896) le parole di Papa Leone XIII:
“Da quanto si è detto appare dunque che Gesù Cristo istituì nella chiesa «un vivo, autentico e perenne magistero», che egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l’autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi. [...]Se dunque si conosce che una verità è stata rivelata da Dio, e tuttavia non si crede, ne segue che nulla affatto si crede per fede divina. Infatti quello stesso che l’apostolo Giacomo sentenzia del delitto in materia di costumi, deve affermarsi di un’opinione erronea in materia di fede: «Chiunque avrà mancato in un punto solo, si è reso colpevole di tutti». (Gc. 2,10). [...] colui che, anche in un punto solo, non assente alle verità rivelate, ha perduto del tutto la fede, in quanto ricusa di venerare Dio come somma verità e «proprio motivo di fede»: perciò sant’Agostino dice: «In molte cose concordano con me, in alcune poche con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me, a nulla approdano loro le molte in cui con me convengono». E con ragione; perché coloro che della dottrina cristiana prendono quello che a loro piace, si basano non sulla fede, ma sul proprio giudizio: e non «rendendo soggetto ogni intelletto all’obbedienza a Cristo» (IICor. 10,5) obbediscono più propriamente a loro stessi che a Dio. «Voi – diceva Agostino – che nell’evangelo credete quello che volete, e non credete quello che non volete, credete a voi stessi piuttosto che all’evangelo»”.
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Come “unificare” in una “unica chiesa” chi vive con integrismo – così come si conviene – la fede cattolica e chi è visibilmente apostata, scismatico, eretico … senza che questi abiuri e si converta?

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Adesso compariamo Pio XI in Mortalium animos, con mons. George F. Dillon in Grand Orient Freemasonry Unmasked (1950).

- Pio XI in Mortalium animos:
“[...] Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il Protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. [...]E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo. A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. [...] Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti. Poiché la mistica Sposa di Cristo nel corso dei secoli non fu mai contaminata né giammai potrà contaminarsi, secondo le parole di Cipriano: «Non può adulterarsi la Sposa di Cristo: è incorrotta e pudica. Conosce una casa sola, custodisce con casto pudore la santità di un solo talamo» (De cath. Ecclesiae unitate, 6) [...]Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. [...] Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica » (S. Cypr., Ep. 48 ad Cornelium, 3), ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » (ITm. 11,15) faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei. [...]Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace » (Ef. 4,3)”.

- Mons. George F. Dillon in Grand Orient Freemasonry Unmasked
Al capitolo 14 cita estesamente l’Istruzione Permanente dell’Alta Vendita emessa dalla Carboneria: “Il Papato ha esercitato in tutti i tempi un’azione decisiva sugli affari d’Italia.[...] il Papato trova una devozione illimitata, pronta per il martirio, e ciò con entusiasmo [...] il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della Rivoluzione Francese: la definitiva distruzione del Cattolicesimo [...] Ora, quindi, per assicurarci un Papa nella maniera richiesta è necessario predisporre per quel Papa una generazione adeguata al regno del quale sogniamo. Lasciate da parte l’età avanzata e quella media, andate alla gioventù, e, se possibile, fino all’infanzia. In pochi anni il giovane clero avrà, per forza di cose, invaso tutte le funzioni. Essi governeranno, amministreranno, e giudicheranno. Essi formeranno il consiglio del Sovrano. Saranno chiamati a scegliere il Pontefice che regnerà; e quel Pontefice, come la maggior parte dei suoi contemporanei, sarà necessariamente imbevuto dei principii italiani ed umanitari che stiamo per mettere in circolazione. [...] Cercate il Papa del quale diamo il ritratto. Volete stabilire il regno degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia? Fate marciare il clero sotto la vostra bandiera in modo che creda sempre di marciare sotto la bandiera delle Chiavi Apostoliche. Volete causare la sparizione delle ultime vestigia di tirannia ed oppressione? Gettate le vostre reti come Simone Bar-Jona. Gettatele nelle profondità di sacrestie, seminari e conventi [...].
L’errore nella Chiesa non può esserci, l’indefettibilità è promessa mantenuta; solo il supremo Magistero potrà un giorno dipanare questa confusione?

C. Di Pietro