giovedì 31 ottobre 2013

un mondo in rovina

 Tenere le posizioni e restare in piedi in un mondo di rovine

di Enrico Maria Romano

Che la società italiana (ed europea) di questo scorcio di XXI secolo sia profondamente malata è diventata una di quelle asserzioni certe e ovvie le quali, seppur facenti parte della contingenza storica, si impongono di fatto come fossero verità di fede o di ragione. La crisi economica non c’entra nulla.Anzi, proprio una “decrescita” del consumismo e del profitto, così come un superamento della logica mercantile del capitalismo, potrebbero costituire delle parziali e benefiche vie di uscita dal male abnorme che ci circonda e che non è nelle cose materiali come tali, ma nella brama di possesso delle stesse, ovvero nella vita vissuta all’insegna della comodità, dell’edonismo e del benessere fisico.

La malattia fondamentale della modernità tardiva che stiamo vivendo sta, essenzialmente, nella perdita della tradizione intesa anzitutto come patrimonio di valori, di “miti” e di assiomi che hanno fatto grandi, nei secoli, le nazioni e gli antichi popoli d’Europa. Ma quali sono questi valori-miti-assiomi di cui sopra? Ebbene, eccone un campione, un po’ alla rinfusa: il valore catartico del sacrificio e del dolore, l’amore inconcusso della patria e della propria famiglia, la fedeltà assoluta alla parola data e alla promessa fatta, il comune senso del pudore, la superiorità della saggezza dell’anziano rispetto al dinamismo del giovane, la impari dignità tra uomini e bestie, il primato dello studio intellettuale sulle pur stimabili attività manuali, l’apprezzamento speciale per la vita religiosa di frati, suore, monaci e monache. Se questi punti si sono evaporati o sono comunque svaniti nel nulla, ciò non è senza conseguenze drammatiche. Faccio notare che questi sopraelencati valori erano (e sono) accessibili a tutti, al di là del grado di scolarizzazione raggiunto e non hanno nulla a che vedere con certo elitismo culturale-estetico messo in mostra da alcuni. Si rileggano i valori posti a cardine della tradizione oggi perduta: nessuno di essi richiede la laurea in lettere classiche o titoli di presunta nobiltà (gli stessi indotti contadini di un tempo avevano stima del professore, mostrandosi in ciò più filosofi di quegli intellettuali di oggi che stimano maggiormente la cura del corpo che quella dell’anima); tutti quei valori perduti e da ristabilire però, richiedono buon cuore e buona volontà, ma anche un supporto sociale che è completamente svanito nel nulla, e non a partire dalla Rivoluzione francese, come a volte si dice, ma solo dal secondo dopoguerra. Infatti nel periodo che va dalla fine del ‘700 alla metà del ‘900 quei valori, giudicati assiologici dal sottoscritto, erano largamente condivisi dai popoli europei, non ultimo il già glorioso a vario titolo, popolo italiano.

Se vi era – e certamente vi era! – un maggior senso della famiglia nell’ambiente social-comunista degli anni ’50 e ’60 del Novecento, malgrado il dichiarato progetto marxista-rivoluzionario di cancellazione della famiglia stessa (cf. K. Marx, Ideologia tedesca), di quanto ne abbiano mediamente i giovani di oggi, né comunisti né purtroppo anti-comunisti, è segno che vi è stato in parallelo un quasi mutamento antropologico di fondo, destinato a portare al collasso ogni istituzione civile e pubblica. Che oggi si parli impunemente e senza rabbrividire di “diritti dei gay”, prediligendo una categoria sociale a tutte le altre categorie possibili all’interno del corpo sociale (come i postini, i calvi, gli zingari, i romanisti o i panettieri), questo è un segno ulteriore chevi è stata una perdita del senso della civiltà, oltre ogni limite di umana decenza.Inutile citare ancora le allarmanti statistiche disponibili, basta andare con occhio meticoloso sul sito dell’Istat o di analoghi enti, per verificare il crollo della famiglia, della morale, dell’educazione e della religione. Questi crolli evidentemente sono strettamente correlati: al crollo della famiglia per esempio (causata da divorzio e separazione, o anche dai matrimoni senza Dio), farà seguito quasi sempre la perdita della buona educazione nei giovani, così come la perdita della fede in un ventenne è quasi sempre accompagnata dal rifiuto pratico/teorico della morale naturale e cristiana.

L’ottimismo di Papa Francesco ha fatto credere a molti cattolici che i problemi sociali ed ecclesiali, pur gravi, siano quasi scomparsi e che il Papa creda che la società e la Chiesa stessa siano vicine alla soluzione dei problemi stessi. Ma non è così. D’altra parte, il Papa non può contraddire i suoi immediati predecessori, e sia Paolo VI che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno detto, con viva preoccupazione, che il “fumo di Satana” (nella Chiesa), “l’apostasia silenziosa” (in Europa) e  la “dittatura del relativismo” (nel mondo intero), erano e sono dei mali tremendi e tremendamente diffusi, da cui forse solo l’aiuto dall’alto ci potrà liberare. A questo punto però che fare? Stanti così le cose, come agire per risollevare la situazione della società? A volte si dice, e non è sbagliato (ma rischia di essere vago): farsi santi e questo basterà. Fosse così facile, oggi, farsi santi! E poi alcuni fanno consistere la santità in una vita meramente devota e pia, con molta religiosità, messe, rosari e stop. Mentre si prepara l’apocalisse, anzi durante l’apocalisse in atto, ci si mette a dire il santo Rosario e chi s’è visto, s’è visto! Sarebbe meglio, secondo me, senza omettere il Rosario di cui sopra, cercare nel nostro piccolo ambiente sociale e familiare, di riprodurre quella società umana e cristiana, che a livello pubblico stiamo rapidissimamente perdendo (o abbiamo perso già al 90%). Chiaro o no?

Nelle amicizie, nel lavoro, nelle parrocchie e nei gruppi che frequentiamo cercare di portare avanti questa duplice linea guida: da un lato denunciare apertamente i mali del tempo senza timori di sorta, avendo soltanto la cautela di non terrorizzare i pusilli, di non fare un danno maggiore e di essere graduali ed elastici come lo fu lo stesso Cristo nel proclamare la sua divinità e nel fondare la sua Chiesa. Lui che tutto poteva, attese i tempi di Dio e non partì con l’evangelizzazione a 18 anni, sbandierando la sua divinità, facendo portenti su richiesta e scomunicando a destra e a manca. Ci vuole una certa pedagogia e un certo savoir faire nel descrivere la realtà terrifica che ci sta davanti. Se dico ai bambini che lo Stato italiano per pura ideologia ammazza nei suoi ospedali migliaia di bambini all’anno (cosa verissima dall’approvazione della 194), forse rischio di scandalizzarli un po’, dunque è meglio andarci piano, senza mai negare la verità, pur abominevole che sia. D’altra parte, è d’uopo cercare con vivo impegno e forte zelo di avere quella carità, quella dolcezza, quella pazienza, quell’apertura di cuore e di mente che si dovrebbe avere nella società cristiana la quale, se è severa nei valori e non concede nulla a Satana e ai suoi accoliti, è altresì forgiata dalla buone maniere (e non dal manierismo borghese!), dalla dolcezza del tratto, dalla bontà e dall’elevatezza dei costumi come ci hanno insegnato innumerevoli santi.

Se nelle nostre famiglie cattoliche, unite e armoniose, si respirerà quell’atmosfera evangelica che ha reso immortale la cristianità italiana, e se tante famiglie si uniranno per quanto possibile tra loro, non senza l’aiuto di oasi spirituali sacerdotali e religiose, allora potremo sperare di invertire il corso, per nulla predeterminato, della storia e della politica. Senza fare come gli statunitensi amish e vivere separati dal resto del mondo definito impuro e decadente, potremo “separarci” dall’immondo mondo di oggi, grazie alla vita virtuosa che condurremo, se ne abbiamo la volontà. Vita virtuosa che è resa facile ed accessibile proprio dalla costituzione di piccole cristianità, sparse ma legate tra loro da vincoli di amicizia e di fraternità.Non bisogna indietreggiare nelle idee e negli ideali, ma senza la costituzione di centri di resistenza e di contrattacco, sarebbe difficilissimo non essere contagiati dai numerosi virus della modernità tardiva, tendenzialmente morta e mortifera. La famiglia cattolica deve essere oggi un baluardo: famiglia sana e forte, di buona cultura (se possibile) e ben educata, allegra e gioviale ( riso fa buon sangue e chi è triste pecca…), combattiva e pia, intransigente nei principi e misericordiosa colle anime sbandate dal nemico comune.

Questo potrebbe essere un piccolo programma di vita per tutti gli amici del blog e un buon proposito per cercare di restare in piedi in un mondo in rovina.

Vaticano II, i mutamenti e le cause

l'inverno della Chiesa... 
Il nuovo libro della Siccardi



Il dibattito sull’ermeneutica del Concilio Vaticano II, che si era proficuamente aperto sotto il pontificato di Benedetto XVI, sembrerebbe non rientrare più negli interessi di Papa Francesco, che vive pragmaticamente e con determinazione la nuova Chiesa uscita dall’Assise che si aprì 50 anni fa. Tuttavia i problemi nati prima, durante e dopo l’ultimo Concilio non sono cancellati: in psicanalisi si afferma che i problemi, seppure rimossi, permangono se non risolti, così il dibattito teologico, storico, spirituale continua ad essere al centro di un sano, acceso e schietto confronto culturale che permette di non rimuovere una questione che, nonostante si cerchi di far finta di niente, esiste e si incancrenisce sempre più.

Il 15 ottobre sarà in distribuzione un nuovo libro di Cristina Siccardi dal titolo L’inverno della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, i mutamenti e le cause, pubblicato da Sugarco (pp. 304, € 23,00). L’autrice, partendo da fatti storici e contemporanei fa comprendere come realmente l’Assise abbia deliberatamente cambiato i propri connotati pastorali, i quali hanno minato la stessa dottrina. I mutamenti hanno trovano il loro punto di appoggio proprio nei documenti prodotti nel Vaticano II e non da una loro errata interpretazione.  Quest’opera offre, senza ipocrisie, un panorama realistico di che cosa sia accaduto nel Concilio più discusso della storia e quali siano state e continuino ad essere le sue conseguenze.

Si legge sulla quarta di copertina:
«Signore, da chi andremo?» (Giovanni 6, 67), forse dal Concilio Vaticano II? Sono trascorsi 50 anni dall’apertura del Concilio più studiato della storia e quello meno chiaro della storia: quali sono i suoi frutti? Come sono cambiate in questi decenni le figure del vescovo, del sacerdote, del monaco, del religioso, della suora, del chierichetto, del catechista? Che cosa presentavano gli schemi preparatori del Concilio per decidere di non prenderli in considerazione? Nell’anno della Fede, Papa Francesco e Benedetto XVI hanno dedicato ad essa un’enciclica, la Lumen Fidei. Ma che cosa significa e che cosa comporta possedere la Fede? Il libro offre delle risposte storico-spirituali a tali interrogativi.

In molti, ormai, paragonano la nostra epoca a quella del IV secolo, quando sant’Atanasio pronunciava queste parole: « Oggi, è l’intiera Chiesa che soffre. Il sacerdozio è vilipeso oltre ogni dire e – quel che è peggio! – il santo timore di Dio viene beffeggiato da un’empia irreligiosità. [...] La fede non ha avuto il suo inizio da oggi, ma ci è venuta dal Signore, tramite i suoi discepoli. Che non si abbandoni, dunque, ai nostri giorni, quella tradizione, conservata nelle chiese fin dal principio; né siamo noi infedeli a ciò che ci è stato affidato! ».

« Da alcune descrizioni si ha l’impressione che dopo il Vaticano II tutto sia cambiato e tutto quanto lo precede non sia più valido o lo sia solo alla luce del Vaticano II. [...] Sebbene esso non abbia emanato alcun dogma e abbia voluto considerarsi più modestamente al rango di Concilio pastorale, alcuni lo rappresentano come se fosse per così dire il super-dogma, che rende irrilevante tutto il resto ». (Benedetto XVI)
 
«L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio ». (Paolo VI)
 
«Quando il Concilio ha fatto delle innovazioni, esso ha scosso la certezza delle verità insegnate dal Magistero autentico della Chiesa come appartenenti definitivamente al tesoro della Tradizione ». (Mons. M. Lefebvre)
 
«Il Concilio Vaticano II [...] ha proposto insegnamenti autentici non certo privi di autorità. Il suo Magistero è autorevole e supremo. Ma solo chi ignora la teologia [...] potrebbe attribuire un grado di “infallibilità” a tutti i suoi insegnamenti. Laddove essi suscitino dei problemi, il supremo criterio ermeneutico è rappresentato dalla Tradizione, vivente e perenne, della Chiesa». (R. de Mattei)
 
«È la prima volta nella storia della Chiesa che un Concilio divide invece di unire; è la prima volta nella storia della Chiesa che un Concilio crea problemi invece di risolverli. Cercando di inglobare il mondo moderno nella Chiesa, i suoi membri ne sono rimasti umanamente imbrigliati con contraddizioni, dubbi, errori propri della modernità». 
 

tutti i Santi

Solennità di tutti i Santi



Celebriamo la solennità di tutti i Santi nel mese stesso in cui celebreremo la solennità di Cristo re e la prima lettura ci aiuta a contemplare e ad unirci alla liturgia degli angeli e dei beati in cielo: tutti stavano in piedi davanti all’ Agnello, avvolti in vesti candide e portando palme nelle mani. E tutti si inchinarono profondamente e adorarono Dio. Chi sono quelli vestiti di bianco? Potremmo dire con il vangelo coloro che hanno creduto e seguito l’ Agnello dovunque andasse, nello spirito delle Beatitudini. Con la festa di oggi si svela il fine della storia dell’ esistenza di ogni uomo; tutto va verso il suo intimo compimento: concittadini dei santi e familiari di Dio, essere partecipi della vita della Trinità.

Il sigillo del Dio vivente ci fa pensare al profeta Ezechiele (cap. 9): il segno distintivo di coloro che non si sono dati all’ idolatria, ma anche al sangue con cui furono segnate le porte delle case degli ebrei in Egitto per preservarle dall’ Angelo sterminatore di Es 12. Per i Cristiani è chiaro che questo segno di appartenenza e di inserimento nel numero dei salvati è lo Spirito santo che è Signore e da la vita. La vita eterna per ogni uomo, perché Dio vuole che tutti siano salvi e giungano alla conoscenza della Verità, e per questo ha inviato gli Apostoli a predicare il vangelo a tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. Con gioia e fiducia oggi la Chiesa militante guarda verso il cielo contemplando una moltitudine immensa di ogni razza, popolo e lingua …. Si contempla la salvezza universale dei singoli e dell’ intero universo. La liturgia del Cielo, descritta dalla prima lettura di oggi, trasforma quanti vi partecipano rendendoli un cuore solo ed un’ anima sola nella lode Dio, che si compiace dell’ uomo vivente in pienezza.

La contemplazione del fine della nostra esistenza e della storia deve corroborare il quotidiano impegno nel mondo ed orientare coloro che sono nel mondo ma non del mondo, giacchè il mondo odia ciò che non gli appartiene ( Gv 15,18-21). I santi padri ci mettono in guardia ricordandoci che dobbiamo seguire l’ Angello come agnelli, finchè saremo agnelli vinceremo ma se diventiamo lupi perderemo. Il schiettezza del Vangelo di oggi ci invita ad assumere uno stile di vita estremamente semplice nella sequela del Cristo evitando ragionamenti tortuosi nel tentativi utopico di mettere insieme Cristo e lo spirito del mondo.

Poveri in spirito. Non si tratta con questa precisazione di ovviare il fatto che possiamo essere comunque ricchi. Ma si tratta di rendersi conto che la libertà del proprio spirito è fatta anche di libertà nei confronti del proprio successo personale, dell’ attaccamento alle cose ….

Beati gli afflitti. I santi padri chiedevano con insistenza il dono delle lacrime. Del resto il dolore e l’ afflizione possono essere indicative della nostra presenza al Regno,  Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il Signore. Preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato (Ps 33). Piangere per la constatazione del peccato nel mondo può essere la spinta propulsiva per affrontare il cammino che resta da fare per l’ avvento del Regno di Dio, ma è anche un dono della grazia di Dio presente nel cristiano, chi soffre percepisce che il regno di Dio è vicino (cfr Lc 10, 8-12).

Beati i miti. Non sono i deboli che non sanno imporsi per conquistare il potere o la terra. La terra sarà loro perche essa è di Dio, è Lui che detiene il dominium altum. Il potere appartiene a Dio (Ps 62, 11) , è Lui che abbatte uno e innalza l’ altro (Ps 74, 8).

Beato chi ha fame e sete della giustizia. Sperimentiamo che non esiste una giustizia affidabile sulla terra, ma anche che nessuna realizzazione personale ci rende giusti. La giustificazione viene solamente da una azione gratuita di Dio. E’ Lui che ci rende giusti. Guariti da lui possiamo praticare la giustizia attorno a noi.  

Misericordiosi: essere misericordiosi significa riflettere sul nostro volto di creature nuove il volto del Figlio di Dio. La misericordia è l’ altro aspetto della giustizia di Dio (cfr. Mt 9,13). Essere misericordiosi significa donare ciò che cerchiamo per noi: il perdono che ci salva

Puri di cuore: chi ha occhi puliti, riesce a vedere la bellezza del mondo (cfr. Lc 11,34). Solo con questi occhi possiamo accoglierci l’ un l’ altro, e riporre le maschere. Occhi puri e cuore puro sono quanto ci permette di affrontare la verità della nostra storia in piena fiducia, di guardare il mondo senza sgomento, perchè Dio continua a operare per salvarlo.

Operatori di pace: operare la pace non è semplicemente stringersi la mano dopo aver litigato. Non può dipendere semplicemente alla nostro buona volontà. Ope­rare la pace significa, seminare la pace di Dio. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14, 27)


Perseguitati per la giustizia: questo ultimo appello alla giustizia, ci costringe ad essere realisti: l’ amore non è amato. Il vangelo non ci rende ingenui tappandosi gli occhi. Gli occhi devono essere, in­vece, ben aperti sulla opera che stiamo compiendo, sull'amore che stiamo donando, sulla fiducia di cui stia­mo vivendo. Solo in questo modo non pretenderemo che la nostra opera sia ripagata dal successo e riusciamo ad accogliere qualsiasi risposta negativa senza farci travolgere e restando saldi nella fede che ci salva.  Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,12-19).

mercoledì 30 ottobre 2013

il Vescovo di Limburg

L’olio di nardo ed il Vescovo di Limburg




(di Mauro Faverzani) Fa discutere la rimozione del Vescovo di Limburg, Mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, decisa formalmente a causa delle spese sostenute per la costruzione della sede vescovile, spese ritenute eccessive. C’è chi ritiene che contro di lui si sia abbattuta una campagna mediatica. C’è chi, come il quotidiano “Die Welt”, solleva dubbi di procedura e di diritto circa le modalità seguite, trovando quanto meno strano che «sia stato non il Vescovo, ma il Capitolo della Cattedrale ad approvare la costruzione».

Perplessità ampiamente documentate dall’agenzia d’informazione cattolica tedesca “Kath-net”, mentre in Diocesi, tra clero e fedeli, cresce l’impressione che, in realtà, l’intera vicenda ed il clamore ad essa riservata siano stati semplicemente un pretesto, «per cacciare l’uomo», come pubblicato ancora da “Die Welt”.

Perché? Di certo il fatto che Mons. Tebartz-van Elst si collochi da sempre su posizioni tradizionali lo ha posto non solo in minoranza all’interno della Conferenza Episcopale Tedesca, bensì inviso ai soliti ambienti catto-progressisti. In una Chiesa, quella di Germania, ove sempre più forti si levano le voci liberaleggianti di chi, contro la Sacra Scrittura e contro il Magistero, chiede che i preti si sposino, che i Vescovi vengano eletti “democraticamente” dal popolo e che le donne accedano al sacerdozio, non stupisce che gli scandali si abbattano su chi canti fuori dal coro.

L’episodio dell’Arcidiocesi di Friburgo, con la richiesta giunta dal locale Ufficio di Pastorale Familiare di riammettere ai Sacramenti i cattolici divorziati e risposati parla da solo. Senza che ciò abbia provocato reazioni nelle Gerarchie, dettesi anzi disposte a parlarne al prossimo Sinodo. A tali ambienti certamente non sarà sfuggito questo giovane Vescovo, Mons. Tebartz-van Elst, più volte e da tempo incontratosi con i pochi Confratelli nell’episcopato con lui in sintonia, per discutere della situazione grave in cui versa la Barca di Pietro e concordando circa la necessità di mettersi in gioco. L’impressione od anche solo il timore, paventati sulla stampa, che non si cercasse che l’occasione per fermarlo trova così corpo, accreditandosi almeno come verosimile e plausibile.

Cosa stupisce in tutta questa vicenda? Il metodo. Colpisce il puntiglio e la costanza, con cui ci si è presi la briga di informare costantemente Papa Francesco in merito. Colpisce la fretta, con cui si è proceduti all’allontanamento di Mons. Tebartz-van Elst, impedendogli di esercitare il suo ministero, pur permanendo al momento in carica, e rimpiazzandolo con un nuovo Vicario Generale. Qui si è esercitata con forza un’inedita autorità, viceversa mai utilizzata in altri casi ben più gravi. Casi, in cui in discussione non v’erano fatti amministrativi, bensì abusi morali e dottrinali.
  
Qui non si è di fronte ad un episodio come quello dell’ultraprogressista ex-Arcivescovo Weakland di Milwakee, che pagò con 450 mila dollari, sottratti dalle casse dell’Arcidiocesi, il silenzio dell’amante omosessuale. Per non citare i problemi provocati in molte Diocesi da sodomiti e pedofili a tutti i livelli. Né sono in discussione le “bizzarre” idee di alcuni alti prelati, favorevoli al riconoscimento delle cosiddette “unioni civili” omosessuali ed al matrimonio dei preti, come il Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, Mons. Robert Zollitsch, oppure al ricorso alla “pillola del giorno dopo” in caso di stupro, come l’Arcivescovo di Colonia, il Card. Joachim Meisner. Peraltro sentiti entrambi dal Santo Padre, proprio prima di ricevere il Vescovo di Limburg e comunicargli la triste notizia. Si è deciso d’intervenire subito e con la mano pesante. Nonostante la posta in gioco fosse semplicemente l’aver eventualmente “abbellito” troppo la sede vescovile, fatto evidentemente imperdonabile in un tempo di pauperismo architettonico ecclesiale.


Le accuse, tra l’altro, sono ancora tutte da dimostrare: eventuali responsabilità dovranno essere accertate infatti dalla Commissione istituita dalla Conferenza Episcopale Tedesca. Eppure la “rimozione” c’è già stata. Uno dei pochi casi, nella Chiesa, di azione “preventiva”. C’è chi parla già addirittura di trasformare il complesso in una mensa per poveri, in una biblioteca per preti, in un asilo, in un ospizio religioso o in un ritrovo per giovani…Predicar la povertà va bene. Ma il dubbio che, anche nella Chiesa, stia imperversando una sorta di “spirito del pauperismo” o di “ventata del catarismo” sorge. Pur senza entrare nel merito della questione specifica, vi fu chi contestò che a Cristo si cospargessero i piedi con il prezioso olio profumato di vero nardo, dicendo: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Costui fu Giuda Iscariota. E sappiamo la storia come sia andata… (Mauro Faverzani)

"Sacrosanctum Concilium"

Omelia di S. E. Mons. Filipazzi 
in occasione del 50° 

della promulgazione 

della "Sacrosanctum Concilium"


Splendida omelia di S.E. Mons. Filipazzi, Nunzio Apostolico in Indonesia, per l'apertura della Conferenza nazionale in occasione dei 50 anni dalla promulgazione della Costituzione "Sacrosanctum Concilium" del Concilio Vaticano II. 

Da leggere assolutamente, da meditare. Deo Gratias!

MAKASSAR il 15.10.2013


1. Questa Celebrazione Eucaristica apre la conferenza nazionale voluta per ricordare i 50 anni dalla promulgazione della Costituzione "Sacrosanctum Concilium" del Concilio Vaticano II. La celebrazione della Santa Messa accompagnerà e concluderà questi giorni di studio, riflessione e discussione. A tal riguardo, vorrei ricordare a tutti che la Santa Messa non è mai un atto secondario o solamente formale. 
            Non è un atto secondario rispetto alle conferenze e ai dibattiti di questi giorni. Infatti, la liturgia celebrata ha la precedenza sul suo studio, rimane infinitamente più grande e più importante di tutte le nostre considerazioni su di essa. La "Sacrosanctum Concilim" ci ha ricordato che "ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (SC, 7). Occorre coltivare tale consapevolezza di fede davanti alla liturgia, in modo da non ridurla mai a oggetto da manipolare a piacimento. Come rilevava Benedetto XVI, "purtroppo, forse, anche da noi Pastori ed esperti, la liturgia è stata colta più come un oggetto da riformare che non come soggetto capace di rinnovare la vita cristiana" (Discorso, 6 maggio 2011). Dobbiamo accostarci ad essa, sia quando la celebriamo sia quando la studiamo, con l'atteggiamento riverente di Mosè che si avvicina al roveto ardente, segno della presenza del Dio vivente.
            Allo stesso modo questa S. Messa non deve essere considerata un gesto formale, che si compie che si usa fare in occasione dei nostri incontri e nel corso delle nostre iniziative. Il fatto di aprire, condurre avanti e concludere questa conferenza liturgica con la Celebrazione Eucaristica richiama un altro insegnamento del Concilio Vaticano II, secondo il quale "la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia" (n. 10). Da questa sorgente di grazia che sono i Sacri Misteri celebrati dalla Chiesa deriva anche la luce e la forza per poter riflettere sulla liturgia e trarne opportune risoluzioni d'impegno. Allo stesso tempo, ciò che in questi giorni verrà detto e fatto dovrà tendere a che la liturgia sia sempre meglio celebrata e compresa e e possa portare frutto nella vita.
            "Il giusto per fede vivrà": nella prima lettura S. Paolo, citando il profeta Abacuc, ci ha ricordato che la fede è il principio che deve illuminare e guidare tutta la nostra vita, compresa la nostra conoscenza, anzitutto quando essa si esercita sulle realtà che riguardano Dio e la salvezza. Quindi se vogliono approfondire le realtà sacre, tale studio dev'essere guidato soprattutto dalla luce della fede. Che durante questa conferenza, ma poi sempre quando si riflette sulla liturgia, tutti siano sempre guidati dalla luce della fede, dono che invochiamo durante questa Santa Eucaristia!   

            2. Iniziamo questa conferenza nazionale celebrando la memoria di S. Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa.
            Fare memoria dei Santi sottolinea un'importante dimensione della liturgia, richiamata  dalla conclusione del Prefazio di ogni Messa: "... uniti agli Angeli e agli Arcangeli e a tutti i santi del cielo, cantiamo senza fine l’inno della tua lode: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli" (Prefazio dei Santi, I).
            La Costituzione liturgica del Vaticano II ha così illustrato tale dimensione della liturgia: "Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria" (SC, 8).
            Nella liturgia il Cielo si affaccia sulla nostra terra (cfr. Benedetto XVI, Esor. Ap. Sacramentum Caritatis, 35), Dio in tutta la sua maestà si mostra a noi, e noi incontriamo Cristo "il più bello fra i figli dell'uomo". Papa Francesco ho ricordato che la "bellezza di quanto è liturgico... non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio " (Omelia, Messa crismale 2013). Come la gloria di Dio si manifesta nella creazione (le perfezioni di Dio - dice S. Paolo ai Romani -,  "ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute"), così essa risplende nella preghiera ufficiale della Chiesa. È questo che rende bella la liturgia terrena della Chiesa, una bellezza che è intrinseca alla liturgia stessa e che non dipende in primo luogo dal nostro sforzo di renderla tale, ricorrendo magari a mezzi umani che non sono consoni alla liturgia stessa. Noi dobbiamo piuttosto permettere a questa bellezza divina di manifestarsi grazie al nostro modo di celebrare la liturgia. Fede, amore, silenzio, ordine, rispetto dei segni, dei gesti e delle parole liturgiche: tutti elementi necessari affinché possa essere percepita e vissuta l'intrinseca bellezza delle sacre celebrazioni.
            Purtroppo, si è diffusa la mentalità e la conseguente prassi per le quali la liturgia dovrebbe continuamente cambiare, dovrebbe adattarsi alle singole comunità, dovrebbe divenire interessante attraverso la nostra inventiva. Ma celebrazioni frutto di questa logica non manifesteranno la vera bellezza della Chiesa! Lo stesso bisogno di trovare sempre nuovi espedienti per rendere interessante la liturgia, indica quanto sia inconsistente ed effimera una bellezza creata da noi.
            Lo Spirito Santo illumini i lavori di questa conferenza nazionale e la vita liturgica in Indonesia affinché sempre più sia compresa la vera natura della bellezza della liturgia e tutti, ministri e fedeli, siano impegnati a farla risplendere in ogni celebrazione.        

            3. "Nella vita di S. Teresa ci offri un esempio, nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno" (Prefazio dei Santi, I). Il culto dei Santi ci fa incontrare questi uomini e donne, che con noi formano l'unica Chiesa di Cristo, invitandoci ad imitarli e ad affidarci all'aiuto della loro intercessione presso Dio.
            In che cosa può ispirare l'esempio della grande Santa spagnola a questa conferenza sulla liturgia?
            La vita e l'opera di Teresa d'Avila si colloca in un'epoca segnata, da una parte, dalla Riforma protestante iniziata da Martin Lutero e, dall'altra, dalla Riforma cattolica, cioè la risposta della Chiesa cattolica alle esigenze di rinnovamento ecclesiale che si concretizzò soprattutto nell'opera del Concilio di Trento e nell'azione di tanti Santi e Sante di quel secolo. All'epoca della Santa carmelitana, dunque, si contrapponevano due tipi di riforma: una riforma che ha rotto l'unità visibile della Chiesa di Cristo e una riforma che ha prodotto, invece, una rifioritura di vita cristiana, i cui benefici influssi giungono fino a noi.  
            La storia ci mostra che quasi ad ogni epoca si fronteggiano nella Chiesa vere e false riforme. Anzi, all'interno di ogni processo di rinnovamento della vita ecclesiale, possono essere frammischiati elementi di vera riforma e altri che, invece, impoveriscono e deturpano il volto della Chiesa Occorre perciò individuare dei criteri per discernere fra vera e falsa riforma.
            Ora, tali criteri non possono essere soggettivi o meramente pragmatici, ma, essendo la Chiesa una realtà divino-umana, che si può conoscere veramente solo con la luce della Rivelazione divina, devono essere criteri di fede. Se guardiamo la bimillenaria esperienza della Chiesa se ne possono individuare alcuni. Ogni vero rinnovamento della Chiesa deve compiersi in piena adesione alla dottrina della Chiesa; va condotto avanti nel rispetto della struttura gerarchica e della disciplina della Chiesa; deve edificare la comunione e l'unità della Chiesa, evitando ogni tendenza disgregatrice; deve rispettare l'eredità spirituale e devozionale del passato; deve contrastare le tendenze della natura umana decaduta e gli influssi della mentalità mondana; deve essere realizzata con atteggiamento di pazienza e umiltà.
            Questi criteri devono guidare anche la realizzazione di quanto il Concilio Vaticano II ha stabilito cinquant'anni or sono circa la liturgia. Questo mezzo secolo ha visto luci e ombre, aspetti positivi e negativi nella vita liturgica della Chiesa; ciò dipende anche dal fatto che le indicazioni del Concilio non sono state sempre realizzate secondo tali principi di ogni vera riforma ecclesiale.
            Invece, se guardiamo alla vita e all'opera di S. Teresa di Gesù, vi ritroviamo la piena realizzazione di queste esigenze della vera riforma ecclesiale. Al termine della sua vita ella poté esclamare con ragione: "Sono una figlia della Chiesa", e per questo ella diede impulso ad un vero e duraturo rinnovamento. La sua intercessione ottenga che le riflessioni di questi giorni, ma soprattutto la vita liturgica delle comunità cristiane in Indonesia siano sempre fedelmente ispirate a questi criteri, in modo che "il popolo cristiano ottenga più sicuramente le grazie abbondanti che la sacra liturgia racchiude" (SC, 21).

            4. La colletta della memoria odierna ci ha ricordato che lo Spirito Santo ha "suscitato nella Chiesa S. Teresa d'Avila per indicare una via nuova nella ricerca della perfezione". La Chiesa ce la propone non solo come modello, ma anche come maestra di vita spirituale. Nel 1970 il Servo di Dio Paolo VI la proclamò - prima donna insieme a S. Caterina da Siena - dottore della Chiesa.
            Come ricordava quel Pontefice, dottrina di Teresa "sono i segreti dell'orazione": guidata dallo Spirito Santo, ella li ha conosciuti "per via di esperienza" e "ha avuto l'arte di esporli". Dunque, ella porta alla Chiesa e al mondo soprattutto "il messaggio dell'orazione" (Omelia, 27 settembre 1970).
            Per S. Teresa la preghiera è "un colloquio tra amici e una familiarità con Dio, con cui in segreto conversiamo sapendo di essere da lui amati” (La Vita, 8, 5) ed è incentrata sulla contemplazione della Santissima Umanità di Cristo.
            È interessante il fatto che lo stesso Paolo VI abbia messo in connessione questo messaggio di S. Teresa di Gesù, dottore della Chiesa, con l'attuazione della riforma liturgica promossa dal Vaticano II: "Il messaggio dell’orazione! Viene a noi, figli della Chiesa, in un’ora segnata da un grande sforzo di riforma e di rinnovamento della preghiera liturgica" (Omelia, 27 settembre 1970).
            Nel contesto di questa conferenza nazionale sulla liturgia, l'insegnamento di S. Teresa ci richiama che anche la preghiera ufficiale della Chiesa deve condurre alla "familiarità con Dio", dev'essere vero colloquio con Lui. Non si tratta di un'affermazione scontata, perché la preghiera liturgica è esposta al pericolo di restare solo esteriore.
            Il richiamo all'interiorità risuona continuamente nelle parole dei profeti dell'Antico Testamento. Il Signore Gesù ha chiesto molte volte ai suoi discepoli la sintonia delle parole e delle opere con l'atteggiamento interiore del loro cuore. Anche nel Vangelo di oggi Egli invita a vivere consapevoli che "Colui che ha fatto l’esterno" ha "fatto anche l’interno", per cui non basta la purezza esteriore.  
            Il Concilio Vaticano II, in sintonia con il Magistero dei Pontefici da San Pio X a Pio XII, ha raccomandato la "piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche" (SC, 14) da parte dei fedeli. Da allora molto si è discusso sul significato di tale partecipazione. Al riguardo, Benedetto XVI ha fatto rilevare che con "tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione" (Esor. Ap. Sacramentum Caritatis, n. 52). Purtroppo sappiamo bene quanto questa concezione riduttiva della partecipazione alla liturgia sia diffusa in teoria e in pratica.
            Va ribadito, come insegnava il Servo di Dio Pio XII, che "l'elemento essenziale del culto deve essere quello interno", perché, "diversamente, la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto" (Enc. Mediator Dei). Per questo la "Sacrosanctum Concilium" chiede "la partecipazione attiva dei fedeli, sia interna che esterna" (n. 19); vuole che "i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione d'animo, armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano" (n. 11). La vera attuazione della riforma della liturgia deve quindi condurre tutto il popolo cristiano a pregare veramente nella liturgia e con la liturgia. Occorre che la liturgia sia guida e alimento della preghiera del cristiano, come anche auspicava il Movimento liturgico che ha preceduto la "Sacrosanctum Concilium". Per questa ragione in nome della preghiera liturgica non si può tralasciare né la preghiera personale, né i "pii esercizi" che dalla liturgia scaturiscono e alla quale riconducono (cfr. SC, 13).    
            Alla fine la vera realizzazione della riforma liturgica dipende da questo: se chi partecipa alla liturgia davvero prega sempre più con quella profondità di colloquio con Dio che oggi vediamo risplendere in S. Teresa. È significativo che il Beato Giovanni Paolo II, ricordando dieci anni or sono l'approvazione della "Sacrosanctum Concilium", abbia indicato questa priorità: "la pastorale liturgica... deve instillare il gusto della preghiera" (Lett. Ap. Spiritus et Sponsa, 14). Mi sembra un programma valido anche per questo incontro e per l'azione pastorale di tutta la Chiesa in Indonesia: dare il gusto della preghiera!                  

            5. Se volessimo riassumere le riflessioni finora fatte, potremmo dire che tutto nella liturgia, nella sua celebrazione e nel suo studio, esige la fede. La fede ci fa comprendere cos'è la liturgia e come dobbiamo celebrarla. La fede ci offre anche i giusti criteri per promuovere la vita liturgica dei fedeli e della comunità. È questa una verità che l'Anno della Fede, che stiamo celebrando, ci richiama con forza.
            In ogni Celebrazione Eucaristica la Chiesa invoca con questa fede dal Padre il dono dello Spirito Santo per santificare i doni del pane e del vino "perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo" e su di noi "perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito" (Preghiera Eucaristica III).
            Ogni opera di riforma autentica é anzitutto frutto dell'azione purificatrice e santificatrice dello Spirito Santo nelle anime. È stato Lui a trasformare i cuori di uomini e donne - i Santi - che hanno rinnovato la Chiesa e il mondo.             Fu così anche per S. Teresa, alla cui intercessione oggi affidiamo l'impegno di tutti nella Chiesa in Indonesia a celebrare e a vivere sempre più adeguatamente, cioè con viva fede, i santi misteri.
            Grazie a questa fede la grande Santa spagnola vedeva in ogni Santa Messa il rinnovarsi della presenza viva e salvifica del Signore Gesù nella storia dell'umanità, presenza pari a quella della Sua vita terrena: "Se, quando era nel mondo, il solo tocco delle sue vesti sanava gli infermi, come si può dubitare, avendo fede, che non farà miracoli così intimamente unito a noi, e non ci darà quanto gli chiederemo, trovandosi nella nostra casa?" (Cammino di perfezione, 34,8). Di sè scriveva: "Il Signore le aveva dato una fede così viva che quando udiva dire da alcuni che avrebbero voluto vivere al tempo in cui Cristo, nostro Bene, era in questo mondo, rideva dentro di sé, sembrandole che, se lo si possedeva nel santissimo Sacramento così realmente come allora, null’altro dovesse loro importare" (34,6).
            S. Teresa ci ricorda anche come un tale incontro col Signore esiga di essere ricambiato da parte nostra: "Sua Maestà pertanto ci usa una grande misericordia nel volere che ci rendiamo conto della sua presenza nel santissimo Sacramento. Ma farsi vedere apertamente, comunicare le sue grandezze e distribuire i suoi tesori, non vuol concederlo se non a coloro di cui scorge l’ardente desiderio che hanno di lui, perché questi sono i suoi veri amici" (34,13).     
            Chiediamo a S. Teresa di ottenerci questa fede e questo amore mentre celebriamo i sacri misteri oggi e ogni giorno! Amen.

Papa - Scalfari

Socci: Il Papa si è pentito per l'intervista a Scalfari

Francesco impiccato a una frase sulla coscienza attribuitagli da Barbapapà. Il Pontefice avrebbe contestato il pezzo rilanciato sull'Osservatore Romano





C’è confusione e smarrimento, in alcune aree del cattolicesimo, per i primi mesi di papa Francesco. E c’è chi soprattutto tramite la rete soffia sul fuoco di questo malessere, per alimentare il dissenso e per amplificare i dubbi, delegittimando il Papa. Tutto fa brodo per attaccare Francesco, perfino il colore delle scarpe o il fatto che dica «Buongiorno» e «Buon pranzo».
Ogni inezia viene guardata col sospetto di eterodossia e di infedeltà alla tradizione. Ma degli atti ufficiali del suo magistero se ne infischiano. Nemmeno considerano il documento più importante che finora ha firmato, la sua prima enciclica, la «Lumen fidei», dove fa completamente sua la meditazione sulla fede di papa Benedetto. E lo scrive apertamente. Così pure snobbano il suo magistero quotidiano. Per esempio anche in questi giorni più volte ha esaltato la famiglia e il matrimonio e in una serie di altri interventi ha ribadito l’insegnamento della Chiesa sulla vita, dal suo inizio alla sua fine naturale. Inoltre ha fatto pubblicare dal Prefetto dell’ex S. Uffizio un documento sull’accesso ai sacramenti dei divorziati-risposati che ribadisce tutto il magistero cattolico di sempre (documento che deve aver deluso non poco i modernisti).

Il bene e il male
Ma tutto questo non è considerato. Mentre il Papa da settimane viene «impiccato» (moralmente) a una battuta attribuitagli da Eugenio Scalfari nel corso di un colloquio privato che poi è stato pubblicato sulla Repubblica il 1° ottobre. Si tratta di quelle due righe sulla coscienza, il bene e il male. Da settimane nella rete (e in qualche giornale) ribolle il malcontento di certi cattolici che, scandalizzati, sollevano sospetti sul Papa per quelle due righe. Nessuno di loro sembra porsi la domanda più ovvia: papa Francesco pensa veramente che ognuno possa decidere da solo cosa è bene e cosa è male e autogiustificarsi così? Possibile che il Papa professi un’idea per la quale non avrebbe più alcun senso né essere cristiani, né credere in Dio (tantomeno fare il Papa)? È evidente che si tratta di una colossale baggianata. Qualunque persona in buonafede si rende conto facilmente che è assurdo aver alimentato tanta confusione per quelle due righe. Se poi qualcuno, più sospettoso, continuasse ad avere dei dubbi gli basterebbe, per chiarirsi le idee, ascoltare il magistero quotidiano di Francesco. Anche venerdì scorso, in quella splendida catechesi sulla confessione, ha detto l’esatto opposto; e la confessione - com’è noto - è uno dei suoi temi preferiti, su cui torna continuamente. Un tema tipico della tradizione cattolica e ben poco frequentato da modernisti e progressisti. Come la devozione alla Madonna e la lotta alla corruzione del diavolo, su cui Francesco torna spesso.
Ma chi sta col «randello» del pregiudizio in mano, con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire. Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione. 
Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco. Il «mestiere» del Papa è uno dei più difficili e delicati al mondo, tanto più oggi sotto i costanti riflettori dei media. Merita comprensione chi, abituato a frequentare le periferie di Buenos Aires come un parroco che porta conforto ai più derelitti, si è trovato d’improvviso sotto i riflettori del mondo a ricoprire il ministero di Vicario di Cristo. Concediamogli almeno il tempo di prendere le misure. Bergoglio viene dall’Argentina e non conosce né la Curia né l’Italia, tantomeno i  media. È un generoso, uno che va verso l’altro desideroso di abbracciarlo, che cerca di partire dai semi di verità che trova nell’interlocutore e da lì fare dei passi verso la luce di Cristo.
Non so cosa il papa sapesse di Scalfari e come si sia svolto quell’incontro. Però una volta che il malinteso si è prodotto il Papa ha cercato di evitare equivoci. A padre Lombardi è stato detto di far presente che quell’intervista non era stata da lui rivista, è uscita dalla penna di Scalfari dopo una chiacchierata informale. Soprattutto - come padre Lombardi ha sottolineato - essa non fa parte in alcun modo del magistero di papa Francesco. Ma anche in questo caso ci sono i «troppo zelanti» che l’indomani, il 2 ottobre, hanno rilanciato quell’intervista addirittura sull’Osservatore romano. Pare che il Papa se ne sia rammaricato e che il 4 ottobre, durante la visita ad Assisi, se ne sia lamentato col direttore Gian Maria Vian. C’è anche un video (guardalo su Liberotv) che probabilmente immortala proprio la protesta di papa Francesco per quell’improvvida iniziativa. Il Papa si è reso conto che è facile essere strumentalizzato dai media. Per questo un pezzo da novanta della Segreteria di Stato, il monsignore americano Peter Brian Wells, il 18 ottobre scorso, in un evento pubblico ha invitato ad attingere direttamente ai testi del magistero del Pontefice perché «le parole di papa Francesco sono spesso diverse da quelle che gli vengono attribuite da certi organi di stampa».


Certo, in Vaticano c’è un problema di comunicazione. Ma non da oggi: anche Benedetto XVI incappò nel doloroso malinteso di Ratisbona. Dipende molto dai media, da loro superficialità, approssimazioni o dalla malafede del pregiudizio. Ma non è tutta colpa dei media. I cristiani - in primis i pastori - di fronte all’epoca dei media onnipresenti devono far tesoro dell’esortazione di Gesù, il quale mandando i suoi apostoli nel mondo prescrive loro di essere «candidi come colombe», ma anche «prudenti come serpenti» (Mt 10,16). Oggi poi, alla forzatura di certi media che attribuiscono arbitrariamente a Francesco un profilo «sovversivo», fanno da sponda - come dicevo - certi fondamentalisti che alimentano all’interno della cristianità la stessa idea. Il disorientamento che si produce così non va sottovalutato.

Il rischio scisma
Anche un sociologo attento come Massimo Introvigne ha lanciato l’allarme, mettendo in guardia dal rischio di imboccare la via che porta allo scisma. Perché la sofferenza è manifestata soprattutto da buoni cattolici ed ecclesiastici finora fedeli al papa che dicono di sentirsi orfani di Benedetto XVI. Fedeli che però, spesso, hanno male interpretato il magistero di papa Benedetto, si son sentiti una minoranza dalla parte della ragione, contro una maggioranza dalla parte del torto. Sia pure in buona fede ne hanno dato un’interpretazione politica, quella che divide anche la Chiesa fra progressisti e conservatori. Non capendo che Ratzinger, come papa Francesco, trascendeva del tutto questa logica. Sono buoni cattolici che hanno ideologizzato arbitrariamente certi sacrosanti contenuti del magistero di Ratzinger, come le cose importanti e preziose che egli ha insegnato sulla liturgia. 
Papa Francesco ha detto che non ha nessuna intenzione di cancellare il «motu proprio» di Papa Benedetto che liberalizza la liturgia tradizionale, quindi dovrebbe essere esente dalle loro critiche, ma viene bersagliato egualmente, accusato di dare poca importanza alla liturgia, fino a contestazioni ridicole, come quella di chi lo rimprovera di non portare le scarpe rosse che sarebbero simbolo dei piedi piagati di Cristo crocifisso. Questi sedicenti ratzingeriani infine dimenticano che Papa Benedetto ha proclamato fin dall’inizio la sua affettuosa sequela al nuovo Papa e ha ricordato a tutti - alla vigilia del Conclave - il fondamento del cattolicesimo: «Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura». Se non si crede questo, come ci si può dire cattolici?


di Antonio Socci
www.antoniosocci.com

martedì 29 ottobre 2013

Preghiera Eucaristica II

La preghiera Eucaristica II sarebbe di Sant'Ippolito? Per modo di dire.




Un post pepato e ben documentato fa bella mostra di sè sul blog messainlatino aperto di recente.
Da qualche tempo si discute animatamente sulla preghiera eucaristica II del Messale Romano di Paolo VI, una abile invenzione ispirata al testo di un certo pseudo-Ippolito (ma qualcuno pensa addirittura fosse una preghiera di ambiente ariano). Comunque sia, il post di Messainlatino, fa una bella analisi, attraverso un puntiglioso raffronto fra i testi autentici di questo autore del II secolo e i rimaneggiamenti moderni, che portano il nome di preghiera eucaristica II.
Alla fine, chiunque legga senza pregiudizi, potrà vedere che - al limite - gli estensori della "preghiera eucaristica più breve del messale" si sono tutt'al più ispirati allo scritto del buon Ippolito, accuratamente tagliando tutto quello che poteva vagamente ferire orecchie "moderne" e abbondantemente integrando. La cosa più vistosa è invece il vero e proprio "assassinio" dell'epiclesi post-consacratoria (rimproverato anche dagli orientali), sacrificata alla ragion teologica della moderna latinità che aborrisce ogni epiclesi dopo la trasustanziazione (ma accetta di buon grado le invocazioni allo Spirito Santo per l'unione dei comunicandi).
Non vi tedio ulteriormente e vi lascio leggere con tutta l'attenzione necessaria la bella analisi che trovate qui: 


Chi è padrone del passato, 


è padrone del futuro. 


La preghiera eucaristica di Ippolito




Alzi la mano chi, manifestando a qualche prete il proprio interesse per il rito antico, non si è sentito rispondere con sufficienza che la riforma liturgica è stata un ritorno alla più antica e autentica Tradizione, sfoltita delle "incrostazioni medioevali", mentre i fautori della Messa tridentina sono afflitti da una visione miope e incompleta della tradizione, limitata al periodo successivo alla Controriforma e al Concilio di Trento ("si chiama tridentina ben per questo, ‘sta messa, no?"). Tanto vero, prosegue di solito questo sacerdote ipotetico (ma molto reale), ripetendo quanto appreso sui testi di liturgia del seminario, la riforma liturgica ha restaurato non solo l’orientamento originario verso il popolo ("Gesù mica dava le spalle agli Apostoli!"), ma anche tesori della liturgia dei primi secoli, come la preghiera dei fedeli e la preghiera eucaristica di S. Ippolito, la più antica che si conosca, anteriore di secoli rispetto al canone romano della Messa tridentina (che è attestato "solo" dal quarto secolo d.C.).
Il fedele amante della tradizione, a questo punto, è di solito costretto ad incassare; magari penserà tra sé che, se la liturgia dei primi secoli era proprio come quella di oggi, la diffusione del cristianesimo nel mondo ha avuto davvero molto di inspiegabile e di miracoloso. Se ha confidenza col sacerdote, il fedele gli farà notare la contraddizione tra il criticare le incrostazioni medioevali e insieme un’idea di tradizione che non risalirebbe oltre il Concilio di Trento, che fu ben posteriore alla fine del Medioevo; ma il discorso finirà comunque con una sostanziale resa agli argomenti, in apparenza incontrovertibili, del prete insofferente di questi petulanti che "vogliono spostare all’indietro le lancette della storia".
Ma la diffusione di internet ha questo di buono: ha reso accessibile a chiunque, con pochi clic, testi che, chiusi nelle biblioteche, erano finora appannaggio esclusivo di studiosi e liturgisti; e questi ultimi, in maggior parte modernisti, non li andavano certo a divulgare.
O meglio, se divulgavano, ecco che cosa scrivevano: "Quanto alla seconda [preghiera eucaristica], si noti che è presa quasi letteralmente dal più antico testo liturgico conosciuto, quello della Tradizione apostolica di sant'Ippolito (inizio del III secolo). Quello stesso Ippolito che, dopo essersi opposto al papa Callisto da lui accusato d'essere troppo indulgente coi peccatori, si ritrovò con il successore di questo pontefice, s. Ponziano, condannato come lui per la fede, ad essere deportato in Sardegna!" (Y. CONGAR, La crisi nella Chiesa e Mons. Lefebvre, Queriniana, 1976, p. 32). Abbiamo evidenziato noi quell’avverbio "quasi letteralmente", perché giudicherete voi quanto sia appropriato.
Ma ora, dicevamo, anche il fedele qualsiasi che abbia voglia di documentarsi un po’ (è già un punto di partenza leggere la nostra pagina sugli scritti liturgici dell’allora card. Ratzinger), scopre agevolmente che quelle affermazioni sono una vera e propria mistificazione, un travisamento della storia. Come aveva ben capito George Orwell (nel suo profetico libro 1984), domina il futuro chi è in grado di riscrivere il passato. Ma oggi, grazie a internet, possiamo recuperare, dai "buchi della memoria" dove li avevano cacciati i riformisti, i dati seguenti:
- La Messa tridentina non è per niente ... tridentina, perché il Papa S. Pio V, dopo il Concilio di Trento, si limitò a rendere universale il rito in uso a Roma da secoli (cioè dai tempi dei più antichi Messali conosciuti e, nella sostanza, fin dai tempi di S. Gregorio Magno, mille anni prima).
- La celebrazione verso il popolo è una creazione interamente moderna, prima d’ora (e quindi anche ai tempi apostolici) del tutto sconosciuta.
- La seconda preghiera eucaristica introdotta col nuovo Messale, che non solo è la più usata (anche perché la più corta), ma siccome attribuita ad Ippolito sarebbe più antica e venerabile del canone romano della Messa tradizionale, è in realtà ben lungi dall’essere identica "quasi letteralmente" all’originale di Ippolito. Solo circa la metà delle parole di quest’ultimo sono state trasfuse nella preghiera eucaristica numero 2 (e nel suo prefazio proprio che, peraltro, è nell'uso spesso sostituito da altro testo). Sono state, tra l’altro, omesse parti estremamente significative, ma sgradite ad orecchi 'modernisti': "spezzare le catene del demonio, calpestare l'inferno, illuminare i giusti, fissare la norma", o l’invocazione allo Spirito Santo dopo la consacrazione "per confermare la loro fede nella verità, affinché ti lodiamo e ti glorifichiamo per Gesù Cristo". Per contro la formulazione moderna aggiunge, per almeno due terzi, testo del tutto difforme da quello di Ippolito. Non ci credete? Giudicate voi da questo raffronto sinottico: le parti in verde sono quelle effettivamente corrispondenti (e spesso non nelle parole né nella loro collocazione, ma solo nei concetti generali); quelle in rosso, le parti del canone di Ippolito che i riformatori hanno del tutto tagliato; infine le parti in nero non sottolineate sono le parole della preghiera eucaristica II aliene rispetto al testo di Ippolito. Così la prossima volta saprete cosa rispondere ad un prete saccente...




Anafora di Ippolito (circa 215 d.C.)
Ti rendiamo grazie, o Dio, per mezzo del tuo diletto figliolo [puerum] Gesù Cristo, che negli ultimi tempi hai inviato a noi come salvatore, redentore e messaggero della tua volontà; egli è il tuo Verboinseparabile, per mezzo del quale hai creato tutte le cose e fu di tuo gradimento; che hai mandato dal cielo nel seno di una vergine e, accolto nel grembo, si è incarnato e si è manifestato come tuo figlio, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine. Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le mani nella passione per liberare dalla sofferenza coloro che confidano in te. 
Mentre si consegnava liberamente alla passione per distruggere la morte, spezzare le catene del demonio, calpestare l'inferno, illuminare i giusti, fissare la norma e manifestare la risurrezione, preso il pane ti rese grazie e disse: "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo che sarà spezzato per voi".
Allo stesso modo fece col calice dicendo: "Questo è il mio sangue che sarà versato per voi. Quando fate questo, fatelo in memoria di me". Ricordando dunque la sua morte e la sua risurrezione, ti offriamo il pane e il calice e ti rendiamo grazie per averci fatti degni di stare alla tua presenza e di renderti culto. E ti preghiamo di inviare il tuo Spirito Santo sull'offerta della santa Chiesa. Unendo in una sola cosa, dona a coloro che partecipano dei santi misteri la pienezza dello Spirito Santo per confermare la loro fede nella verità, affinché ti lodiamo e ti glorifichiamo per Gesù Cristo tuo figliolo, per il quale gloria e onore a te con lo Spirito Santo nella tua santa Chiesa ora e nei secoli dei secoli. Amen. 
[Pseudo-IPPOLITO, Tradizione apostolica, Introduzione, traduzione e note a cura di Elio Peretto, Roma, Città Nuova, 1996, pp. 108-111]





Preghiera eucaristica II (Messale 1970)

Prefazio 
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogoa te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.
Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose, e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria.
Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.
Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo a una sola voce la tua gloria:
Santo, Santo, Santo...
Consacrazione
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Egli, 
offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: "Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi". Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: "Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti [latino: pro multis] in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me".
Mistero della fede.
Assemblea: Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta. Oppure: Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta. Oppure: Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra [nelle domeniche:] e qui convocata nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua gloria immortale: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa N., il nostro Vescovo N., e tutto l’ordine sacerdotale.
Ricòrdati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione, e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto.
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen 
Il testo originale greco del canone di Ippolito è perduto; ci è giunta solo la traduzione in latino. Per chi desidera operare il raffronto tra il testo d’Ippolito nel latino in cui ci è pervenuto con quello, pure in latino, della Prex Eucharistica II del Messale di Paolo VI, riportiamo i due testi di seguito in caratteri più piccoli:



ANAFORA DI IPPOLITO (circa 215 d.C.)
Gratias tibi referimus, Deus, per dilectum puerum tuum Jesum Christum, quem in ultimis temporibus misisti nobis salvatorem et redemptorem et angelum voluntatis tuae, qui est verbum tuum inseparabile, per quem omnia fecisti et bene placitum tibi fuit, misisti de caelo in matricem virginis, quique in utero habitus incarnatus est et filius tibi ostensus est, ex Spiritu Sancto et virgine natus. Qui voluntatem tuam complens et populum sanctum tibi acquirens, extendit manus cum pateretur, ut a passione liberaret eos qui in te crediderunt.
Qui cumque traderetur voluntariae passioni, ut mortem solvat et vincula diaboli dirumpat, et infernum calcet et iustos illuminet et terminum figat et resurrectionem manifestet, accipiens panem gratias tibi agens dixit: Accipite, manducate, hoc est corpus meum quod pro vubis confringetur.
Similiter et calicem dicens: Hic est sanguis meus qui pro vobis effunditur. Quando hoc facitis, meam commemorationem facitis.
Memores igitur mortis et resurrectionis ejus, offerimus tibi panem et calicem, gratias tibi agentes quia nos dignos habuisti astare coram te et tibi ministrare.
Et petimus ut mittas Spiritum tuum Sanctum in oblationem sanctae ccclesiae: in unum congregans des omnibus qui percipiunt sanctis in repletionem Spiritus Sancti ad confirmationem fidei in veritate, ut te laudemus et glorificemus per puerum tuum Jesum Chrislum, per quem tibi gloria et honor Patri et Filio cum Sancto Spiritu in sancta ecclesia tua et nunc et in saecula saeculorum. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA II (Messale 1970)
Vere dignum et iustum est, aequum et salutare, nos tibi, sancte Pater, semper et ubique gratias agere per Filium dilectionis tuae Iesum Christum, Verbum tuum per quod cuncta fecisti: quem misisti nobis Salvatorem et Redemptorem, incarnatum de Spiritu Sancto et ex Virgine natum. Qui voluntatem tuam adimplens et populum tibi sanctum acquirens xtendit manus cum pateretur, ut mortem so1veret et resurrectionem manifestaret. Et ideo cum Angelis et omnibus Sanctis gloriam tuam praedicamus, una voce dicentes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus
Vere Sanctus es, Domine, fons omnis sanctitatis.
Haec ergo dona, quaesumus, Spiritus tui rore sanctifica, ut nobis Corpus et Sanguis fiant Domini nostri Iesu Christi. Qui cum Passioni voluntarie traderetur, accepit panem et gratias agens fregit, deditque discipulis suis, dicens:
Accipite et manducate ex hoc omnes: hoc est enim Corpus meum, qui pro vobis tradetur
Simili modo, postquam cenatum est, accipiens et calicem, iterum tibi gratias agens dedit discipulis suis, dicens:
Accipite et bibite ex eo omnes: hic est enim Calix Sanguinis mei novi et aeterni testamenti, qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Hoc facite in meam ommemorationem.

Mysterium fidei.

Acclamazioni dei fedeli (omissis)
Memores igitur mortis et resurrectionis eius, tibi, Domine, panem vitae et calicem salutis offerimus, gratias agentes quia nos dignos habuisti astare coram te et tibi ministrare. Et supplices deprecamur ut Corporis et Sanguinis Christi participes a Spiritu Sancto congregemur in unum.
Recordare, Domine, Ecclesiae tuae toto orbe diffusae, ut eam in caritate perficias una cum Papa nostro N. et Episcopo nostro N. et universo clero.
Memento etiam fratrum nostrorum, qui in spe resurrectionis dormierunt, omniumque in tua miseratione defunctorum, et eos in lumen vultus tui admitte. Omnium nostrum, quaesumus, miserere, ut cum beata Dei Genetrice Virgine Maria, beatis Apostolis et omnibus Sanctis, qui tibi a saeculo placuerunt, aeternae vitae mereamur esse consortes, et te laudemus et glorificemus per Filium tuum Iesum Christum.
Per ipsum, et cum ipso, et in ipso, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria per omnia saecula saeculorum.

Citiamo, per concludere il discorso, quanto scritto da P. CANTONI, Novus Ordo Missae e fede cattolica, Quadrivium, 1988, p. 115 s. (interamente consultabile a questo link): "La II Prex eucharistica è quella che ha sollevato (e solleva) più problemi. Il riferimento sacrificale è in essa veramente assai tenue. Generalmente, nel rispondere alle critiche, ci si è accontentati di trincerarsi dietro l'origine venerabile per antichità di questa preghiera. [..] Basta un confronto, anche superficiale, con l'antica anafora per rendersi conto di cosa valga questo argomento. Anche p. Lanne, che non può certamente essere annoverato fra gli avversari della riforma liturgica, rileva che "nella nuova anafora romana... quanto si riferisce all'opera salvatrice di Cristo è stato arbitrariamente abbreviato perché male si adattava alla mentalità moderna. Cristo con la sua Passione libera coloro che credono in lui; egli ha spezzato i vincoli del diavolo, calpestato l'inferno, illuminato i giusti ... Il testo ippolitiano dice: "Et petimus ut mittas spiritum tuum sanctum in oblationem sanctae ecclesiae, in unum congregans de omnibus qui percipiunt sanctis in repletionem spiritus sancti ad confirmationem fidei in veritate ut ..." ... È’ stata ritenuta... la domanda perché coloro che partecipano al Corpo e al Sangue di Cristo siano uniti come una sola cosa mediante lo Spirito Santo, mentre è scomparso l'oggetto di questa unione per opera dello Spirito: la confermazione della fede nella verità. Si noterà che questa soppressione corrisponde a quella fatta poco prima nella commemorazione dei vari elementi dell'opera salvatrice di Cristo: la Passione libera coloro che credono in lui. Per ben due volte quindi in questa anafora d'Ippolito la fede viene posta al primo piano, mentre è scomparsa nel nuovo testo. Tutta l'eucaristia come proclamazione della fede risente di una certa incrinatura" [E. LANNE, Introduzione a M. THURIAN, L’Eucaristia Memoriale del Signore, Sacrificio di Azione di grazie e d’intercessione, Ed. A.V.E., 1971, p. XXIV s.]".