martedì 22 gennaio 2013

perdono


Perdonare fa bene


perdonare
Mi rallegrano ma non mi stupiscono gli esiti di un interessante e recente lavoro che, monitorando 200 giovani, ha messo in luce come il perdono – ancora più di una generica distrazione - sia un esercizio positivo per il sistema cardiovascolare [1]. Non mi stupiscono perché liberare il cuore dalle croste del risentimento è il solo modo per farlo funzionare. E non solo per far funzionare il cuore, ma l’intera realtà, arricchendola di un piacevole imprevisto. Perché il perdono prima di tutto è questo: un imprevisto.

Lo aveva ben compreso Hannah Arendt: «L’atto del perdonare non può mai essere previsto; è la sola reazione che agisca in maniera inaspettata e che quindi ha in sé, pur essendo una reazione, qualcosa del carattere originale dell’azione. Perdonare, in altre parole, è la sola reazione, che non si limita a re-agire, ma agisce in maniera nuova e inaspettata» [2]. Il perdono come sorpresa, dunque, come feconda innovazione, come cambiamento di programma, come realtà nuova iniettata in quella esistente.

Ebbene, se il perdono è tutto questo – e molto altro ancora – non davvero è possibile stupirci del fatto che ci aiuti a vivere meglio e, magari, a vivere pure di più. Quello che invece mi stupisce è la nostra incapacità, spesso, di non capirlo. O, più ancora, la nostra abilità nel dimenticarlo. Quando dimentichiamo di perdonare. Quando dimentichiamo perfino l’esistenza di questo esercizio così salutare per la nostra vita e per quella degli altri. Ma soprattutto dimentichiamo che a perdonare, prima di tutto, liberiamo noi stessi.

Note: [1] Cfr. Larsen B.A. –Darby R.S. – Harris C.R. – Nelkin D.K.  – Milam P.  – Christenfeld N.J.S. (2012) The Immediate and Delayed Cardiovascular Benefits of Forgiving. «Psychosomatic Medicine»; Vol. 74 (7): doi:10.1097/PSY.0b013e318270ac23; [2] Arendt H., The Human Condition, The University of Chicago, Chicago 1958 (trad. it. Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1998, pp. 177-178).

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