mercoledì 31 agosto 2016

un dio queer

Dai Camaldolesi di Monte Giove si ragiona su un Dio «queer». 

Per v. e V. va tutto bene




Riportiamo la pubblicità  del seminario organizzato a metà ottobre presso l'eremo di Monte Giove. Ogni commento pare superfluo.


Dal 14 – 16 Ottobre 2016 all’Eremo di Monte Giove (Fano, Provincia di Pesaro e Urbino) il Gruppo di Ricerca su Spiritualità ed Omosessualità organizza il  ritiro-laboratorio “A immagine e somiglianza di un Dio queer”. Che cosa ha da dire, alla vita di gay e lesbiche, il Dio delle teologie queer? Quanto c’è di sconvolgente nel modo di essere e di amare delle persone LGBTI, che possa essere ritrovato nel Dio della tradizione ebraico-cristiana?

E, viceversa, in quale misura gay, lesbiche, trans o intersessuali, costruiscono un’identità personale ispirata ad un Dio “altro”, e quanto invece a modelli culturali che appartengono semplicemente alla società in cui cresciamo?
Ci proponiamo di fare un percorso di approfondimento e di integrazione corpo-spirito, con la teologa e pastora Daniela Di Carlo e l’insegnante di Biodanza SRT Maria Monti.

Incontro-laboratorio aperto a tutti/tutte. I lavori si terranno negli ambienti della foresteria dell’Eremo di Monte Giove, in forma di approfondimento teorico, condivisione, attività col corpo, sperimentazione su meditazione e preghiera.

La quota richiesta a persona è di 150 euro (dalla cena del venerdì al pranzo della domenica). I posti disponibili sono limitati, le iscrizioni si accolgono in ordine di arrivo, dando priorità a coloro che parteciperanno per l’intero periodo. Per chi non volesse pernottare all’Eremo, ma rimanere ai pasti, il costo sarà di 15 euro per ogni pranzo o cena, con obbligo comunque di iscrizione (40 euro).
Vi aspettiamo per riscoprire insieme una spiritualità cristiana inclusiva e liberante. Tutte le informazioni alla pagina: http://www.grispom.it/10
Modulo di iscrizione on-line: http://www.grispom.it/10/iscrizione

e-mail: info@grispom.it oppure grupponeb@gmail.com
da «Progetto Gionata»

martedì 30 agosto 2016

la sinistra rabbia ad Amatrice

“perché soffrire, se è inutile?




“No, non è il momento di parlare  loro di Dio…” così più o meno (cito a memoria) ho sentito per radio preti, frati e un vescovo che “davano conforto” a terremotati, a  quelli che ad Amatrice hanno perso i familiari, o anche solo la casa, la roba e l’auto. Il tono, fra timoroso e depresso, faceva capire perché:  i sopravvissuti gli si erano rivoltati contro. I bravi religiosi avevano steso una mano e quelli glie l’avevano morsicata, rabbiosi; pieni di rabbia contro Dio, ovvio.

Ahimé, la cosa è  comprensibile. Da cinquant’anni la Chiesa proclama un Dio ottimista  e tutto bontà; un Dio  che non castiga mai, al punto che anche l’inferno è vuoto, e guai se provate a dire che malattie, guerre, sciagure possono essere “punizioni e avvertimenti”; un Dio progressista e benefico;  la Messa non è più “sacrificio della croce”  ma “cena  pasquale”, non  evoca la morte giudiziaria  nel supplizio, ma la resurrezione.  Dal Concilio, la Chiesa ha assicurato   che non è l’uomo nato per servire Dio, ma il contrario:  Dio è al servizio dell’uomo : “La sola creatura che Dio ha amato per sé stessa”, canta la Gaudium et Spes:  “tutti i beni della terra debbono ordinarsi in funzione dell’uomo, centro e vertice di tutti questi”, che “è stato costituito  signore della intera creazione visibile per governarla e usarla glorificando Dio”.


Suort Mariana
Suor Mariana
Poi arriva il terremoto, muoiono trecento familiari ed  amici, bambini e nonnette, e tu scopri, povero frate o prete, che i sopravvissuti non vogliono “le consolazioni della fede” (quali poi?), ma una cosa precisa: sapere perché Dio, tutto misericordia e onnipotenza, non ha salvato gli amici e i parenti, o la Fiat Punto schiacciata dal pietrisco, o le persone morte sotto le solette di cemento armato usate come tetti.  

Altrimenti vada al d–, lui e il suo Dio, questa non gliela perdoniamo! Ma quali preghiere!

Spero si siano resi conto, frati e suore e qualche bravo vescovo che hanno avuto la mano addentata da questi (chiamiamoli) fedeli, della triste realtà:  che quello che provano a predicare dal Concilio in poi, il Dio al servizio dell’uomo “centro cima, creatore e governante della creazione” è un falso Dio. Che può funzionare più o meno nelle giornate della gioventù, nei raduni festosi e le domeniche in piazza san Pietro (più o meno), ma non ha nulla da dire a chi ha perso le figlie sotto le macerie; non ha la parola giusta per “spiegare” quel che è successo e succede da migliaia di anni all’uomo, il mistero della sofferenza inflitto da quella natura di cui sarebbe “il coronamento” e il signore. Il Signore è un altro, e  si vede qui.

“perché soffrire, se è inutile?”

Terribile  la condizione di una Chiesa ammutolita, morsicata dai ‘fedeli’. Terribile la condizione dei fedeli, degli uomini d’oggi davanti alla tragedia: subire una irrimediabile sofferenza senza motivo, di cui non ci  si sa dar ragione, che si rigetta invece di accettarla, che non porta alcuna espiazione, è già un condizione  molto simile all’inferno; se ci aggiungi le imprecazioni, la rabbia e le bestemmie,  la somiglianza con la dannazione eterna  diventa quasi identità.



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Lo dico dopo aver letto il blog di Costanza Miriano, grande persona credente. Essa aveva lanciato una campagna di preghiere, fra gli amici credenti, perché raccomandassero al Padre le anime di coloro che, essendo morti nel sonno e senza il tempo di raccomandare le anime a Dio, avevano bisogno di questo aiuto.

Ebbene: il blog è stato investito da migliaia di “bestemmie” e “insulti surreali”; gente che “schiumando di rabbia e vomitando offese”  le lanciava accuse più che irrazionali, deliranti psichiatriche. Per lo più sul tono del politicamente corretto: pregare per i morti “violava la privacy” dei morti medesimi; offendeva la loro autonomia e libertà (“come ti permetti, se loro non credevano?”), senza riflettere un attimo che un cadavere non ha più autonomia né libertà alcuna. Alcuni hanno minacciato di denunciarla,  supponendo (non del tutto a torto) che qualche procuratore  avrebbe aperto una pratica su questo  intollerabile sopruso, consistente nel raccomandare a Gesù le anime di estranei, approfittando del fatto che “Non possono rifiutare” né difendersi (da che? Dalla salvezza  eterna…).  La Costanza segnala “tra i più arrabbiati diversi sedicenti cattolici”.  Quelli suppongo che hanno “accolto in pieno la novità del Concilio”; ossia che l’uomo da Dio non deve aspettarsi che la gioia; perché infatti soffrire, se è inutile?
E’ la domanda che risuona nell’inferno.

Ma questa rabbia mi è ben nota: non posso affrontare il tema della religione e della sua necessità, senza suscitare (non nel mio sito, ma in altri che mi riprendono) la stessa canea di rabbiosi  scherni, di derisioni, di odio – tutto in misura eccessiva, palesemente immotivata.

Sono interventi che mi dispiace non aver raccolto, per mostrare la loro demenzialità sbavante; sono esorcismi di povere anime perse, che  con l’insulto e la derisione esorcizzano la paura che le anima: e se fosse vero? Se dovessi cambiar vita? Anime che non vogliono esser salvate, che non vogliono che si preghi per loro – un altro ingrediente dell’inferno.

Il punto è che questo ribollire di rabbia, odio e terrore, questo  pandemonium di cui frati e preti  hanno fatto esperienza andando  tra “la gente comune” colpita da una sciagura, ci metterà poco a coagularsi in azione. Azione collettiva,  di piazza, o legislativa. Tra quei miei lettori sbavanti c’è  chi si è stupito: come mai al mio paese la chiesa è più grande  del municipio (perché c’era da secoli prima…ma lui, ignorante come scarpa scalcagnata, sente questo come un sopruso – un sopruso contro la  laicità secolarizzata, la modernità in cui vive  come un insetto nel formaggio). Un altro, a proposito degli attentati-strage islamici, approfitta per ululare: “Bisogna vietare tutte le religioni!  Sono la causa dell’intolleranza e delle guerre! Milioni di vittime dell’Inquisizione!”.

Prima o poi, più  prima che poi, questo ululare e strillare   diverrà atto legislativo; il parlamento lo approverà;  magari sotto la  pressione ‘popolare’ che avrà cominciato ad ammazzare suore e preti e a distruggere chiese.
Non voglio evocare qui il terzo segreto di Fatima, o le visioni  di Cornacchiola. Mi par d’aver capito che quei preti ad Amatrice e dintorni abbiano sentito un pericolo sconosciuto, estremo.

“Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla, se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”.  

M’ero sempre domandato   perché il sale insipido non bastava che fosse gettato via, ma sarebbe stato “calpestato dagli uomini”. Temo di averlo più chiaro.



http://www.maurizioblondet.it/quella-sinistra-rabbia-si-sente-ad-amatrice/

Musica Notturna a Madrid


la Famiglia e il Diavolo


domenica 28 agosto 2016

degenerazione della chiesa

La degenerazione della Religione in religiosità. Il nuovo protestantesimo che avanza.











All’epoca di Cicerone, i sacerdoti, nei giorni comandati, ripetevano come filastrocche formule antiche, scritte in un linguaggio arcaico e misterioso. Le ripetevano per consuetudine, per inerzia, senza comprendere più il significato.
Di lì a poco, la Religio Romana sarebbe semplicemente crollata, sotto i colpi – dapprima – di culti orientali dilaganti fra le masse urbane e, quindi, sotto la nuova luce del Cristianesimo. L’immenso deposito di fede dell’età regia e repubblicana, semplicemente, era svanito, dimenticato e perduto per sempre, per la degradazione e l’impoverimento spirituale di coloro cui era demandato il compito di tramandarlo ed accrescerlo.

Nei secoli della propria esistenza, in seguito, il Cristianesimo ha forgiato – sotto la guida delle proprie gerarchie e della Patristica – un altrettanto sconfinato deposito di conoscenza, di pratiche e di riti. Anche in chiave cristiana, dunque, si può dire che  il termine “religione” assuma diverse ed articolate accezioni.

Il primo significato da considerare, e il più denso di conseguenze, è quello che non riguarda la mera – e spesso superficiale – pratica religiosa delle masse, ma il patrimonio di fede, di conoscenza e di riflessione dottrinale che, secolo dopo secolo, le figure più eminenti della Cristianità hanno elaborato, in particolare mediante lo studio e la comprensione delle Scritture.

Giocoforza, si tratta di un sapere non riservato a chiunque, ma che costituisce, per così dire, il “nocciolo duro” della fede. Il rito, il governo della Chiesa universale e, soprattutto, la conoscenza della Legge divina sono patrimonio, anzitutto, delle gerarchie ecclesiali, ossia di coloro che, dedicando la propria vita e i propri talenti alla Chiesa, maggiormente sono tenuti ad approfondire e a coltivare gli aspetti più specifici e complessi della Dottrina.

In via discendente, allontanandosi da tale centro nevralgico, inevitabilmente il grado di approfondimento della dottrina cristiana decresce, fino ad assumere – negli strati più diffusi delle masse che si definiscono “credenti” – il livello di una mera prassi, ancorata a poche e superficiali nozioni. Sotto tale aspetto, la “religione” sfuma nella “religiosità”, ossia in un senso del divino immediato ed istintivo, che poggia su elementi di tipo moralistico (“si deve fare X”; “non si deve fare Y”).

Questo stato di cose, nella storia della Cristianità, è sempre esistito. Nondimeno, il patrimonio di fede non è mai venuto meno nella propria straordinaria complessità e ricchezza proprio per l’opera di una gerarchia organizzata, quella ecclesiastica, posta al timone del Popolo di Dio e assumente una funzione orientatrice delle comunità sottoposte alla propria giurisdizione. Non far dimenticare che oltre la semplice religiosità esiste un universo complesso e superiore, dunque, è il merito e la missione principale della gerarchia ecclesiastica.

A partire dal XVI secolo, come noto, la Cristianità è stata gravemente depauperata dalla c.d. Riforma protestante, che ha inteso sovvertire completamente la situazione sopra brevemente descritta. In particolare, i diversi riformatori protestanti si sono scagliati – per quanto qui interessa – contro i due maggiori pilastri sui quali poggia la Chiesa universale: l’esistenza di una gerarchia sacerdotale e l’affidamento a tale gerarchia del compito di interpretare le Sacre Scritture.

Così, si è assistito a qualcosa di veramente singolare e distorto: l’eliminazione – nei Paesi protestanti – di una vera gerarchia sacerdotale e l’elaborazione del principio della c.d. “libera interpretazione” delle Scritture da parte di ciascun fedele, sotto la labile guida di un “pastore”, peraltro non integralmente votato al sacerdozio, ma piuttosto integrato nella medesima condizione sociale della propria comunità religiosa.

Ciò ha avuto, quale contraccolpo, una duplice conseguenza. Da un lato, la soppressione di una gerarchia ecclesiale – intesa quale organismo gerarchico di tipo tradizionale – ha comportato la frammentazione dei medesimi protestanti in una miriade di comunità differenti, spesso composte da poche centinaia di individui ciascuna, sulla base – ad esempio – dell’influsso carismatico di un singolo pastore o pensatore. Tolta la cornice, è ovvio che lo specchio si disgreghi.

Dall’altro lato, la “volgarizzazione” del patrimonio dottrinale – con la “libera interpretazione” delle Scritture – ha condotto ad un enorme impoverimento delle pratiche, dei riti e del medesimo bagaglio concettuale delle comunità protestanti rispetto alle comunità rimaste fedeli alla Chiesa cattolica.
Così, dunque, nel mondo protestante il messaggio cristiano – inevitabilmente – si è impoverito fino ad assumere, nella sostanza, il grado di una generica “religiosità” e di un moralismo non elaborato e non supportato da un valido sostegno dottrinale. 

Ciò, senza esulare dell’oggetto del presente intervento, ha assunto un’incidenza decisiva su molti caratteri che ancora oggi contraddistinguono i c.d. Paesi riformati: pragmatismo, materialismo, dedizione smodata ai commerci, perdita delle radici identitarie, spregiudicata tendenza al mondialismo. E, fattore maggiormente significativo, un crescente allontanamento dal reale messaggio evangelico in nome di una generica ed onnicomprensiva “tolleranza”.

Fino a tempi relativamente recenti, la Chiesa cattolica, intesa come insieme delle proprie gerarchie, culminanti – ovviamente – nella carica pontificale, è apparsa pressoché immune da una tale deriva.

E, infatti, l’esistenza stessa di un Ordine sacerdotale custode dell’ortodossia ha consentito di tenere a freno, fra i portatori del messaggio cristiano nel senso più organico e completo del termine, le spinte centrifughe e disgregatrici che, pure, provenivano dalla “base”, ossia dall’indifferenziata moltitudine delle comunità ormai solo nominalmente cristiane (es. la tolleranza verso il divorzio o l’aborto, il c.d. “catto-comunismo”, la parificazione della religione cristiana a qualsiasi altro credo in nome del “dialogo fra le religioni”, l’apertura alle coppie omosessuali, ecc.).

L’esistenza di un tetto solido, ossia di una gerarchia preparata, spiritualmente risoluta e di elevato livello dottrinale, dunque, ha preservato per secoli l’edificio della Chiesa dalle spinte distruttrici della “modernità”. Purtroppo, tuttavia, le cose – in futuro – sembrano avviate ad un esito diverso e molto più infelice.

E infatti, in maniera sempre più incalzante, le gerarchie ecclesiali, anche di livello più elevato, al fine di “recuperare popolarità” presso le masse, stanno cedendo terreno rispetto a sempre maggiori compromessi e concessioni. Ciò, in almeno tre distinte – ma concorrenti – direzioni.

Anzitutto, la dottrina cristiana – intesa come “catechismo” in senso ampio – è ritenuta, in maniera implicita o dichiarata, eccessivamente complessa per una divulgazione a livello globale e adeguata alle epoche attuali. Così, dunque, le questioni teologiche vengono accantonate a favore di messaggi di più immediata comprensione – e di maggiore “successo” – per le masse.
In questa direzione, si confrontino i sempre più frequenti riferimenti, anche in sede liturgica, a temi quali la generica “fratellanza” fra i popoli, la “comprensione” per le persone in stato extra Ecclesiam (divorziati, conviventi non sposati, omosessuali, ecc.), il pacifismo esasperato, ecc.. Inoltre, sempre più spesso i temi sopra richiamati vengono affrontati in termini evasivi e possibilistici, anziché con il vigore di un netto rifiuto che si attenderebbe da una Istituzione latrice di un messaggio super-umano.

In secondo luogo, l’immagine della gerarchia ecclesiastica – e in primis del Pontefice – è sempre più abbassata al livello delle masse e ridotta al rango di “personaggio mediatico”. Così, dunque, sempre più rapidamente si sta colmando quel naturale gradino che separava l’Ordine sacerdotale dalle comunità poste sotto la sua giurisdizione.

Si tratta di un mutamento di polarità decisivo e devastante: la gerarchia ecclesiale, infatti, sembra ricercare il consenso delle masse quale fondamento della propria legittimazione, senza invece rammentare che l’unica sovranità deriva dall’alto, ossia dalla Divinità. Si sta creando, dunque, un innaturale legame di tipo “cesaristico” fra le masse e la gerarchia della Chiesa, per cui solo la “popolarità”, la “vicinanza” e la “simpatia” può assicurare seguito fra i fedeli.



E infine, il messaggio cristiano – impoverito a livello dottrinale e subordinato al gradimento delle masse – si sta sempre più avvicinando al concetto di “morale universale” che caratterizza le comunità protestanti: in questa accezione, il “fare del bene” diventa tolleranza nei confronti di chiunque, anche verso il peggior nemico della propria comunità identitaria. Il “male” è lottare per la propria gente; è fare distinzioni; è riconoscere il merito; è voler assegnare a ciascun individuo, a ciascun popolo il proprio ruolo e la propria collocazione storica e geografica, fonte di ricchezza e di complessità.

Il messaggio evangelico, dunque, viene sempre più tradotto in termini semplicistici, buonisti e rarefatti, e per ottenere il maggior gradimento mediatico possibile si avvicina pericolosamente ad un semplice “comportati da bravo bambino”, rivolto però al mondo intero.

D’altro canto, vi è il rischio che la gerarchia ecclesiale, rivolta in maniera eccessiva alla ricerca di un consenso e all’appianamento di qualsiasi distacco, col tempo non sia più in grado di comprendere la straordinaria complessità e ricchezza del patrimonio dottrinale, spirituale e culturale cristiano, finendo per ridursi ad un mero simulacro di se stessa.

Vi è da sperare che, anche con l’intercessione di Potenze più che umane, il nesso con la Tradizione millenaria cristiana non venga perduto. Che restino sempre orecchie in grado di comprendere ed occhi in grado di vedere, oltre che menti – fra Sacerdoti e credenti – capaci di non ridurre il patrimonio religioso a semplice e dozzinale morale.

http://ordinefuturo.net/2016/08/26/la-degenerazione-della-religione-in-religiosita-il-nuovo-protestantesimo-che-avanza/

sabato 27 agosto 2016

processi virtuosi???

"Che si tratti di processi virtuosi 

nessuno per ora può dirlo"









di Giulio Meiattini OSB

Si ha l’impressione che l’affermazione della superiorità del tempo sullo spazio obbedisca a un interesse: quello di avviare processi. […] Ma pur apprezzando lo stimolo di papa Francesco, davvero l’avviare processi è così vitale oggi, tanto da diventare una priorità? Davvero puntare a questo obiettivo e richiamarlo in modo pressante è ciò di cui hanno più bisogno l’uomo o la società attuali, in specie i cattolici? È questo ciò che serve maggiormente in questa congiuntura globale della vita della Chiesa?

Mi sia lecito esprimere un forte dubbio in proposito. Oggi è già in atto un grandissimo numero di processi, per giunta addirittura travolgenti e di proporzioni spesso gigantesche. La tanto citata “liquidità” della nostra società e delle nostre culture, le migrazioni dal sud al nord del mondo, lo spostamento degli equilibri geopolitici, i mutamenti valoriali e le trasformazioni apportate dalla tecnica nella sfera dell’etica, giustificano appieno la felice espressione dello stesso pontefice: “Non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”.

I mutamenti sono già in atto, sono numerosi, di portata enorme e dall’estensione planetaria. […] Tanto che mi sembra di poter dire che il problema principale dell’uomo odierno non è quello dell’immobilismo, quanto il non aver più dei marcatori e dei misuratori dei processi in atto. I movimenti in corso sono altamente autoreferenziali: cioè non hanno delle esternalità relativamente stabili che li possano in qualche modo misurare od orientare. Non hanno delle finalità o un senso. […]. Se tutto si muove, e se il “cambiamento” fine a se stesso sembra essere l’unica cosa che rimane, tutto è reso equipollente. […] La parola stessa “processo”, che il papa usa, appare così neutra che di per sé qualunque cambiamento è definibile come processo. Anche il degrado è un processo. Ma se l’importante è processualizzare e cambiare, e non mi si dice il dove e il come a cui deve portare il processo-cambiamento né il suo perché, allora, nella moltiplicazione dei cambiamenti, tutto si equivale. […]

La mia opinione è che oggi, da parte della Chiesa, la parola che ci si aspetterebbe non è: avviare processi. Questi, come ho detto, già sono in atto a dismisura, sia positivi sia negativi, e non aspettano noi cristiani per continuare la loro corsa o per autoalimentarsi.

I processi avviati al tempo della caduta dell’impero romano e delle invasioni dei nuovi popoli euroasiatici, non furono avviati dal cristianesimo: ma questo seppe renderli meno devastanti e gradualmente incanalarli grazie a una visione orientata del mondo.

Anche oggi ci si aspetterebbe che nella labilità e provvisorietà delle configurazioni sociali e culturali, economiche, politiche ed etiche, si offrissero dei criteri di valutazione e discernimento, dei riferimenti, delle topografie che servissero per comprendere all’incirca dove siamo e dove forse andiamo. Insomma, delle bussole e delle carte per orientare i fedeli e gli uomini del nostro tempo.

L’umanità attuale, soprattutto nei paesi riconducibili alla cultura occidentale e al suo influsso, non soffre di immobilismo, ma di disorientamento per eccessiva mobilità. Si tratta di guidare e governare, per quanto possibile, le energie già in moto, perché non confluiscano in un pericoloso caos, ma diventino costruttive di nuovi assetti vivibili. Anche le grandi lobby di potere, non di rado, si servono della strategia della destabilizzazione – avviando processi, guarda un po’! – per ottenere determinate reazioni a loro favorevoli. Avviare processi non è per principio innocente, farlo può essere anche nell’interesse del potere da cui il papa giustamente ci mette in guardia. […]

La conclusione alla quale personalmente approdo è che dai pronunciamenti magisteriali sarebbe da attendersi un linguaggio più sorvegliato e una maggiore lucidità di pensiero. Per il bene di tutti, dal momento che un esercizio corretto della ragione è un buon servizio non solo per la teologia e la vita della Chiesa, ma anche per una comunicazione virtuosa col mondo della cultura. Perché più che una maggiore importanza della realtà sull’idea, andrebbe ricordato che l’idea fa parte della realtà, essendo il pensiero un modo dell’essere e il "medium" attraverso cui l’essere per noi è conoscibile e diventa "verum".

Non curare l’idea e il processo di ideazione (anch’essa un processo!), cioè il pensiero, rischierebbe di estraniarci dall’essere che viene all’idea. L’imprecisione nell’uso dei concetti e nell’esercizio del pensiero non crea intesa, ma equivoci e confusione. La costituzione conciliare "Dei Verbum", espressione di una ricca teologia della storia della salvezza e in piena conformità alla natura sacramentale della Chiesa, ci ricorda l’inseparabilità dei gesti e delle parole, dei fatti e del linguaggio. Non esiste una superiorità dei gesti sulle parole né viceversa.

Mi preoccupa constatare che del principio-postulato qui esaminato viene fatto un uso enigmatico anche nel contesto di un documento come "Amoris laetitia":

“Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono essere risolte con interventi del magistero” (n. 3).

Mi chiedo: quale nesso c’è fra il principio richiamato e la conseguenza tratta? Forse si intende dire che i pronunciamenti del magistero (anche di "Amoris laetitia"?) sono un sintomo di fissazione immobilista o conservazione di “spazi di potere”? L’implicito sinceramente mi sfugge.

In ogni caso possiamo dire che, all’insegna di questo principio, l’effetto c’è stato: si è avviata, a seguito dell’esortazione postsinodale sulla famiglia, una serie di “processi”: dibattiti, controversie, interpretazioni diametralmente opposte, polarizzazioni, perplessità di fedeli e sacerdoti, incertezze nelle conferenze episcopali. 

Che si tratti di processi virtuosi questo nessuno per ora può dirlo. Personalmente oso dire che forse non è questo che sul tema della famiglia oggi maggiormente serviva. 

Perché, dopo ben due sinodi, neanche una pagina è stata spesa in questa esortazione sulla preparazione e formazione al matrimonio cristiano? E dire che la "relatio finalis" del secondo sinodo vi aveva dedicato un’attenzione significativa, anche se ancora non del tutto sufficiente, a mio parere. Siamo proprio sicuri che oggi i sacramenti vengano dati a dei “cristiani”?

Sono convinto che questo sia il vero processo che la Chiesa ha urgente bisogno di avviare: generare alla fede e alla vita cristiana degli autentici credenti attraverso il battesimo e l’iniziazione cristiana. Poi viene il resto, anche il matrimonio, anche la costruzione della pace sociale e del bene comune.

Ma al battesimo e al catecumenato c’è ancora qualcuno che pensa sul serio? Il battesimo non è un postulato, né un’idea astratta. Battezzare e rendere discepoli i popoli è il cuore della missione della Chiesa, è il mandato di Gesù.

https://apostatisidiventa.blogspot.it/2016/08/capitan-uncini.html


venerdì 26 agosto 2016

sia benedetta la birra

Sant’Arnoldo, il patrono dei birrai

 "Egli osservò che i forti bevitori di birra erano più resistenti alle epidemie, diffusissime a quell’epoca, e forzò i membri della comunità a bere birra abitualmente, benedicendone una vasca e rimescolandola con il proprio bastone pastorale."

 "La birra è arrivata nel mondo dal sudore dell'uomo e dall'amore di Dio".

Sant'Arnolfo di Metz (582 - 641)


 


Sant’Arnoldo o Sant’Arnolfo (Arnulf) di Metz è il patrono dei birrai. Le tradizioni di devozione  a tale  santo, si dividono rispetto a due ipotesi: alcune lo designano come erede di una nobile famiglia di antica origine, nato nel seicento e  vescovo di Metz, altre come monaco benedettino del XV secolo e vescovo di Soissons.

La tradizione più antica narra che nel 612 Arnolfo, figlio di Arnoaldo di Metz, vescovo di Metz e margravio della Schelda, venne nominato vescovo di Metz, la capitale dell’Austrasia, nonostante non fosse nemmeno consacrato alla vita religiosa. Dopo una intensa vita politica, che lo vide al centro di numerose trame di potere e di guerra, si ritirò nell’eremo colombaniano di Remiremont, dove morì in fama di santità nel 641. La sua salma venne traslata a Metz, dove venne sepolto nella basilica a lui intitolata. La tradizione cristiana vuole che durante la processione con cui furono traslate le reliquie si verificò un miracolo legato alla birra. Era il 18 luglio ed il caldo estivo rendeva insopportabile il cammino dei fedeli a scorta del Santo. La processione si fermò nel paese di Champignuelles, nella cui unica osteria era rimasto un solo boccale di birra: ciascuno degli oltre 5000 fedeli riuscì a bere a sazietà da quell’unico boccale, che non rimase mai vuoto.


Iconografia di Sant’Arnoldo, rappresentato come protettore dei birrai.

Una seconda e più recente biografia, identifica  Sant’Arnoldo in un fiammingo, nato a Pamele, nel Brabante, morto nel 1087, che fu vescovo di Soissons e in seguito abate benedettino di Oudenburg.  Egli  osservò che i forti bevitori di birra erano più resistenti alle epidemie, diffusissime a quell’epoca, e forzò i membri della comunità a bere birra abitualmente, benedicendone  una vasca e rimescolandola con il proprio bastone pastorale.
Queste due tradizioni cristiane  assicurano, da secoli, a Sant’Arnoldo  le simpatie dei birrai e degli appassionati di birra!


http://www.giornaledellabirra.it/approfondimenti/santarnoldo-il-patrono-dei-birrai/ 

 

Chapter VIII of the Rituale Romanum, a liturgical manual dated 1614, includes special blessings for almost anything you might use on a daily basis, literally — the chapter is titled “Blessings of things designated for ordinary use.” In it, you will findblessings for cheese or butter, for seeds, for salt or oats for animals, fishing boats, tools used by mountain climbers and, naturally, for beer.
Included in the Rituale Romanum by Pope Paul V, the blessing (in Latin) goes:

P. Adjutorium nostrum in nomine Domini.
A. Qui fecit caelum et terram.
P. Dominus vobiscum.
A. Et cum spiritu tuo.

Oremus.

Benedic, + Domine, creaturam istam cerevisiae, quam ex adipe frumenti producere dignatus es: ut sit remedium salutare humano generi, et praesta per invocationem Nominis tui sancti; ut, quicumque ex ea biberint, sanitatem corpus et animae tutelam percipiant. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

 
Preghiamo.
Benedici, + Signore, questa birra, tua creatura, che ti sei degnato di produrre con fior di frumento: affinché sia rimedio salutare al genere umano, e concedi che, per l' invocazione del tuo santo Nome, chiunque ne berrà riceva la salute del corpo e la tutela dell' anima. Per Cristo nostro Signore. Amen.

in nome della pastorale

Quale pastorale? 

 



Nel precedente post del 22 agosto promettevo un approfondimento sulle lettere pastorali. L’intervento si rendeva necessario dopo aver accennato a tali scritti nell’intervista rilasciata al sito Cooperatores veritatis. Eccomi dunque qui a mantenere la promessa, precisando però che non ho nessuna intenzione di fare un trattato sulle lettere pastorali, ma solo cercare di capire in che senso vada inteso l’aggettivo “pastorale” ad esse attribuito. Si noti che le due lettere a Timoteo e quella a Tito non sono sempre state designate in tal modo. Il primo a farlo è stato D. N. Berdot nel 1703, seguito poi da P. Anton nel 1726. Sono state cosí chiamate perché indirizzate a due “pastori” della Chiesa e perché trattano del modo di guidare le comunità loro affidate.

Naturalmente non mi soffermerò sulla questione dell’autenticità paolina di queste lettere, perché esula dal nostro interesse. Per una trattazione equilibrata del problema rimando alla “Introduzione alle lettere pastorali” nella TOB; mentre trovo del tutto inadeguate le premesse alle singole lettere nella Bibbia della CEI (Unione editori e librai cattolici italiani, I coedizione, 2008). Come osservazione generale, faccio solo notare che il soffermarsi eccessivamente sulla questione dell’autenticità di un testo va di solito a scapito dell’attenzione ai suoi contenuti.

L’interesse che mi spinge a considerare le lettere pastorali è quello di verificare se troviamo in esse l’opposizione, oggi comune, fra “pastorale” e “dottrina”. Da una lettura, anche solo superficiale, delle tre lettere, tale opposizione non emerge in alcun modo. Anzi, direi che la preoccupazione principale del pastore debba essere, innanzi tutto, la conservazione e la difesa della dottrina.

Per prima cosa, cerchiamo di cogliere il contesto storico in cui si situano queste lettere. Si stanno diffondendo nelle comunità cristiane le prime eresie. Non voglio entrare nella questione (che ha ovviamente ricadute sul problema dell’autenticità) se si tratti di eresie a carattere gnostico (e che quindi rimanderebbero a una datazione posteriore delle lettere) o semplicemente di carattere giudaico (e che quindi sarebbero compatibili con una datazione anteriore). Quel che ora ci interessa è il fatto che nelle comunità affidate a Timoteo e a Tito sono presenti delle eresie. Se ne parla in 1Tm 1:3-11; 4:1-7; 6:3-10; 2Tm 2:14-21; 3:1-9; Tt 1:10-16. Il solo elenco dei passi fa capire quanto sia centrale nelle lettere pastorali la preoccupazione per la diffusione di false dottrine, nei confronti delle quali si deve avere un atteggiamento di totale chiusura. In qualche caso si parla anche di vera e propria “scomunica”: si vedano i casi di Imeneo (1Tm 1:20; 2Tm 2:17), Alessandro (1Tm 1:20; 2Tm 4:14) e Fileto (2Tm 2:17). Si noti che non si usano, come oggi ci aspetteremmo, espressioni del tipo “va’ in cerca della pecorella smarrita”; ma espressioni ben piú dure, quali “li ho consegnati a Satana” (1Tm 1:20).

La lotta contro le eresie avviene con la salvaguardia dell’“integrità della dottrina” (Tt 2:7). Il termine “dottrina” (in greco διδασκαλία, letteralmente “insegnamento”) ricorre 15 volte nelle pastorali: 1Tm 1:10; 4:6; 4:13; 4:16; 5:17; 6:1; 6:3; 2Tm 3:10; 4:2; 4:3; Tt 1:9 (2 volte); 2:1; 2:7; 2:10. In diversi casi essa è accompagnata dall’aggettivo “sana” (ὑγιαίνουσα): 1Tm 1:10; 2Tm 4:3; Tt 1:9; 2:1. In un caso è detta “buona” (καλή, letteralmente “bella”): 1Tm 4:6. In un altro caso essa è definita “secondo la pietà” (κατ’ εὐσέβειαν, espressione tradotta nella nuova versione CEI con “conforme alla vera religiosità”). È ovvio che proprio l’insistenza sulla fedeltà alla “dottrina”, assente nelle altre lettere paoline, costituisce uno degli argomenti portati a sostegno della non-autenticità delle lettere pastorali.

L’idea che tale dottrina vada conservata intatta viene espressa attraverso un altro concetto caratteristico delle lettere pastorali, il “deposito” (παραθήκη, derivato dal verbo παρατίθημι, col significato di “cosa depositata presso qualcuno e affidata alla sua cura”): 1Tm 6:20; 2Tm 1:12; 1:14 (in quest’ultimo caso qualificato come καλή, “buono”). In tutti e tre i casi il termine “deposito” è retto dal verbo “custodire” (φυλάσσω). Nella nuova traduzione della CEI il termine “deposito” è scomparso: è stato sostituito con “ciò che ti/mi è stato affidato” (1Tm 6:20; 2Tm 1:12) o con “il bene prezioso che ti è stato affidato” (2Tm 1:14). Nella seconda lettera a Timoteo troviamo anche una splendida enunciazione del concetto di “tradizione”: «Le cose che hai udito da me davanti a molti testimoni, trasmettile (παρατίθημι) a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare (διδάσκω) agli altri» (2Tm 2:2).

Un altro termine ricorrente nelle pastorali è “verità” (ἀλήθεια): 1Tm 2:4; 2:7; 3:15; 4:3; 6:5; 2Tm 2:15 (λόγος τῆς ἀληθείας, “parola della verità”); 2:18; 2:25; 3:7; 3:8; 4:4; Tt 1:1; 1:14. In tutto, 13 ricorrenze. Un’espressione che torna piú volte è “conoscenza della verità” (ἐπίγνωσις ἀληθείας): 1Tm 2:4; 2Tm 2:25; 3:7; Tt 1:1.

Come si può vedere, ci troviamo di fronte a tutta una serie di concetti “inattuali”: dottrina, deposito, conoscenza, verità. Inattuali perché visti oggi con sospetto: essi, secondo la mentalità corrente, rischiano di trasformare il cristianesimo in una ideologia, mentre la sua essenza risiederebbe esclusivamente nell’amore e nella misericordia. La pastorale viene oggi contrapposta alla dottrina, perché, anziché preoccuparsi della custodia di un corpus di verità astratte, dovrebbe piuttosto preoccuparsi di “accogliere”, “accompagnare”, “integrare” le persone. Non voglio escludere a priori la legittimità di tale tipo di pastorale. Non posso però fare a meno di rilevare la sua assoluta novità e la sua discontinuità, almeno sul piano terminologico e concettuale, con la pastorale intesa in senso tradizionale. Per cui sarebbe opportuno, come minimo, preoccuparsi di dare una fondazione biblica e teologica a questa nuova pastorale. Un dato comunque è certo: dell’attuale pastorale non c’è ombra nelle lettere pastorali, le quali invece sono tutte preoccupate proprio di ciò che la nuova pastorale guarda con sospetto. A prescindere dall’autenticità paolina, le lettere pastorali fanno parte del canone biblico e sono quindi parola di Dio. Una domanda: ma la parola di Dio non dovrebbe essere il punto di riferimento della vita della Chiesa e quindi anche della sua pastorale?
Q

mercoledì 24 agosto 2016

mons. Francesco Sirufo

 
 
Sabato 20 agosto 2016, alle ore 18.00, in Piazza Maria Santissima di Anglona (accanto alla Cattedrale) a Tursi, la Celebrazione di Ordinazione episcopale di S. E. Mons. Francesco Sirufo.
 
Presbitero della Diocesi di Tursi-Lagonegro, è stato eletto il 20 maggio 2016 Arcivescovo di Acerenza. Al giorno dell’elezione era parroco di Viggianello, prefetto degli Studi dell’Istituto Teologico del Seminario Maggiore di Basilicata, docente di Diritto canonico, vicario giudiziale e vicario episcopale per la Formazione permanente del Clero e dei Sacerdoti di primo ministero e Amministratore diocesano di Tursi-Lagonegro, incarico che ha terminato con l’insediamento di Mons. Vincenzo Orofino avvenuto il 25 giugno scorso.
 
Il ministero del Vescovo si qualifica come segno vivente, in mezzo alla Comunità, del Cristo supremo pastore del popolo di Dio e dell’azione ininterrotta dello Spirito Santo. Per la sacramentalità dell’ordinazione il Vescovo entra a far parte costitutiva del Collegio Episcopale, cioè del corpo dei pastori, ai quali è conferito il compito di essere autentici maestri di fede, pontefici e pastori, e come tali presiedono al gregge del Signore ‘in persona’ di Cristo Capo. La missione episcopale si esprime compiutamente nel servizio alla comunione fra tutti i membri del popolo di Dio nell’unità della Chiesa universale, nell’annunzio missionario del Vangelo ai lontani e nella presenza operosa fra i poveri.
 
Secondo veneranda tradizione, per indicare che l’eletto viene associato al Collegio Apostolico, al Vescovo ordinante principale, S.E. Mons. Vincenzo Orofino, Vescovo di Tursi-Lagonegro, sono associati altri due Vescovi, S.E. Mons. Salvatore Ligorio, Arcivescovo Metropolita di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, e S.E. Mons. Francesco Nolè, Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano e già Vescovo di Tursi-Lagonegro, gli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi della Basilicata e una rappresentanza di altre regioni.
 
La celebrazione secondo l’ordinamento previsto dalla Liturgia Romana. Le orazioni e le letture sono state scelte fra i testi della «Messa rituale: Per gli Ordini sacri». Dopo la proclamazione del brano evangelico si invocha il dono dello «Spirito Santo che regge e guida», perché scenda sul Vescovo eletto.
 
Quindi, a nome della Chiesa e con il consenso del Santo Padre, capo del Collegio Apostolico, l’Amministratore diocesano di Acerenza, don Filippo Nicolò, presenta l’eletto perché riceva l’Ordinazione Episcopale. Il Vescovo eletto, prima di ricevere l’Ordinazione, manifesta il proposito di custodire la fede ed esercitare il ministero episcopale in comunione con tutta la Chiesa.
Si chiede l’intercessione dei Santi, perché ogni celebrazione liturgica manifesta la comunione con la Chiesa celeste. Quindi l’imposizione delle mani da parte del Vescovo ordinante principale e degli altri Vescovi presenti e la preghiera di Ordinazione perché sul Vescovo eletto venga effuso lo Spirito del sommo sacerdozio e questo presbitero venga associato al Collegio Apostolico.
 
Seguono i Riti esplicativi che manifestano il servizio a cui è chiamato il Vescovo: pascere, insieme a tutti i vescovi, con mansuetudine, fedeltà e pienezza di cuore il gregge di Dio sparso su tutta la terra: l’unzione con il sacro Crisma, la consegna del libro dei Vangeli, dell’anello, della mitra e del pastorale, l’insediamento e l’abbraccio di pace. Terminata l’Orazione dopo la Comunione, il Vescovo ordinato, accompagnato dai due Vescovi ordinanti, attraversa l’assemblea liturgica e imparte a tutti la benedizione.
 
S. E. Mons. Francesco Sirufo inizierà il suo ministero episcopale nell’Arcidiocesi e nella Città di Acerenza con l’ingresso e la celebrazione liturgica sabato 3 settembre 2016 alle ore 16.00.
 
 
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martedì 23 agosto 2016

cristiani putrefatti

auto-distruzione della chiesa

distruzione di una chiesa in Francia
«Provate, staccate il crocifisso, fate scendere dal suo piedistallo la statua della Vergine Immacolata, chiudete il tabernacolo e dalle vostre scuole fate uscire Gesù Cristo. Uscirà, questo divino proscritto; ma non uscirà da solo. Dietro di Lui se ne andranno il pudore, il rispetto, la pietà filiale e l'amor di patria. E sapete cosa resterà? Prima di tutto rimarrà l'impudicizia e, con l'impudicizia, un'immoralità il cui flusso impuro crescerà sempre di più perché non ci sarà più una diga. In effetti, l'esperienza quotidiana è che la barbarie sta arrivando. Non siamo che all'inizio, ma aspettate ancora dieci anni, dieci anni di scuola senza Dio, ossia senza legge e senza fede, e allora potrete chinarvi e guardare qualcosa che è in piena decomposizione: sarà la Francia di quei tempi»

Mons. Louis Baunard, 1828-1905
 
Il Signore, d'altronde, ci aveva già avvisato: «Senza di me non potete far nulla» (Vangelo san Giovanni, cap. 15, v.8).

http://unafides33.blogspot.it/2016/08/qualcosa-che-e-in-piena-decomposizione.html

lunedì 22 agosto 2016

La sposa chiacchierata

La chiesa adultera

 
 
L'indagine sulla Chiesa viene alterata e si inquina quando, invece della verità per se stessa (che è sempre un bene assoluto e un valore trascendentale), si cercano guadagni «categoriali», quali il consenso, l'approvazione, la concordanza da parte del mondo extraecclesiale.
 

Non è che si debba mirare alla polemica e al dissenso. Tutt'altro: la carità deve sempre ispirare ogni atto del credente, e quindi anche la sua attività intellettuale. Ma non bisogna mai dimenticare che il grado minimo dell'amore è appunto l'omaggio incondizionato alla verità: dell'amore verso Dio, che è autotrasparenza e purissima luce; e dell'amore verso i fratelli i quali, anche quando non se ne avvedono, hanno prima di ogni altra cosa fame e sete della conoscenza salvifica.

In altre parole, è necessario che la nostra meditazione non sia viziata da alcuna sollecitudine di natura, per così dire, «politica»; cioè funzionale al conseguimento di qualche risultato estrinsecamente vantaggioso.
II giusto atteggiamento è quello del bambino, che non ha timore a proporre i suoi «perché» e a sollecitare che gli si risponda, senza darsi pensiero delle convenienze sociali e di ciò che è praticamente «opportuno» (o, come adesso si usa dire, «politicamente corretto»).
 

Particolarmente quando si tratta della Chiesa, vale quanto è stato giustamente detto circa la nostra possibilità di accedere alla comprensione del disegno del Padre: «Dobbiamo entrare nella scuola di Dio da piccoli e inermi fanciulli, se vogliamo essere introdotti dalla sua mano e mediante la sua luce nella profondità dei suoi misteri» (Cardinale Biffi, La sposa chiacchierata)

domenica 21 agosto 2016

catacombe pugliesi e neomartiri

I 300 cristiani perseguitati dagli islamici in Puglia

Notizia di oggi [qui]. La riproposizione in scala ridotta ma non meno drammatica delle situazioni dei luoghi di origine, in un contesto già degradato e povero di risorse. Alla faccia di chi sostiene che sono "risorse" i "nuovi arrivi"il chi numero non accenna a decrescere, anzi... E tutto questo nel nostro Paese, allo sbando totale!
 

Fedeli cristiani segregati in Italia, costretti a celebrare messe clandestine, Crocifissi nascosti per evitare che vengano distrutti, bruciati da fanatici islamici. Tutto questo nel Gargano, a 40 km dalla tomba di San Padre Pio in Puglia. La storia, incredibile, la racconta Cristiano Gatti sull'Espresso e Repubblica ne anticipa una parte. Si tratta di 300 immigrati africani, lavoratori stagionali dei campi di pomodoro, che vivono in una vera e propria bidonville sotto costante minaccia di musulmani che vengono da fuori: "Abbiamo paura, sì. Da due anni la domenica preghiamo tra di noi senza farci vedere".
Di fatto il ghetto di Rignano Garganico è la riproposizione su piccola scala dei drammi della Nigeria e di altri Paesi africani dove i cristiani vengono perseguitati, picchiati, uccisi. "La bidonville aumenta di 10 nuovi arrivati ogni 24 ore. Ha già superato il record di 2mila abitanti e, con la raccolta dei pomodori, si avvia verso i 3mila. Troppa manodopera. Il risultato è che trovano lavoro per non più di 3 o 4 giorni al mese". I racconti dei cristiani sono atroci. Un nigeriano custodisce una croce, due legnetti di fortuna legati insieme alla bell'e meglio: "L'abbiamo fatta con i resti della baracca della fedele che ogni domenica ospitava la messa. La baracca l'hanno bruciata una notte di due anni fa. Poi qualcuno ci ha fatto capire che, se non volevamo altri incendi, non dovevamo pregare davanti ai musulmani. Anzi non dovevamo proprio farci vedere. Noi cristiani siamo una minoranza. Trecento contro duemila, troppo pochi. Così per paura abbiamo dovuto rinunciare alla messa. Solo a Pasqua abbiamo chiesto che venisse un prete. Almeno a Pasqua. Per il resto, preghiamo di nascosto. Loro hanno 3 moschee qui. Ma nessuna baracca può essere usata come chiesa". "I braccianti musulmani sono solidali con noi", spiega, rivelando che i persecutori sono "spie dei caporali", africani anche loro, che per ora non hanno dichiarato la loro vicinanza a Boko Haram o Isis. Ma l'intolleranza sta aumentando anche nel ghetto, con l'arrivo di nuovi immigrati: "Oggi ci dicono che non vogliono vedere croci o immagini di Gesù. Papa Francesco dovrebbe venire qui e scoprire con quanta fatica viviamo".

sabato 20 agosto 2016

incantesimo diabolico

L’esecuzione dell’Occidente

Se cerchiamo riparo da ciò che ci attende, torniamo alla Messa di sempre, implorando da Dio la grazia che numerosi sacerdoti possano celebrarla ovunque. Non di quelli che chiamano in chiesa i musulmani a maledirci e ad oltraggiare Nostro Signore durante il santo Sacrificio; quelli hanno già perso la testa.


don Elia.
 
La società occidentale assomiglia a un prigioniero che, spensieratamente, si stia scavando la fossa con le proprie stesse mani, mentre un miliziano gli tiene puntato contro il mitra con il quale sta per trucidarlo. L’insensata spensieratezza che impazza nel Primo Mondo ci impedisce di vedere la triste realtà. Anche a Berlino, ai primi di maggio del ’45, molti si abbandonarono ad orge sfrenate, ma per “esorcizzare” la disperazione di vedere l’inesorabile rovina e l’incombente morte o prigionia. Noi continuiamo invece a illuderci di essere perfettamente liberi e di non esserlo mai stati tanto prima d’ora. L’incantesimo diabolico che stordisce gli stolidi sudditi della demo(no)crazia sta toccando il culmine, così che le trame occulte del potere progrediscono costantemente, senza incontrare una resistenza adeguata, mediante progetti di legge talmente aberranti da risultare disgustosi a chiunque sia sano di mente. I pochi che vi si oppongono si scontrano con il muro di gomma dell’indifferenza o del cinismo, guardati con sospetto come se i matti fossero loro.

L’Impero Romano crollò a causa non della crisi economica, come pretende la storiografia marxista, ma della crisi spirituale provocata dalla corruzione morale. L’edonismo materialista epicureo, che fin dal I secolo a.C. era dilagato nell’alta società, aveva avuto ricadute deleterie sulla moralità pubblica e privata. Non a caso Karl Marx si laureò in filosofia con una tesi su Epicuro; nella sua smania frustrata di autoaffermazione, il giovane marrano (ebreo “convertitosi” per convenienza) passò presto da Lutero al culto di Satana, come testimoniano i poemetti a lui dedicati, e maturò – si fa per dire – un odio acerrimo contro il cristianesimo. Tutta la sua sgangherata teoria economico-politico-sociale non è altro che un mezzo per distruggere la fede nei cuori degli uomini e asservirli di nuovo al demonio: lotta di classe, rivoluzione e dittatura del proletariato… tutti miseri pretesti per irretire le coscienze ed espellerne Cristo. Devastante potere di certe idee e promesse!

Sul versante opposto, i nemici di Dio infiltratisi nella Chiesa Cattolica hanno tolto il baluardo soprannaturale che proteggeva i popoli e il mondo da completa rovina: la santa Messa, ritoccata e codificata da san Pio V, ma non certo da lui inventata, bensì ricevuta da epoca antichissima. Il nuovo rito, totale rifacimento elaborato in modo del tutto artificiale e imposto con metodi brutali, è un culto reso non più a Dio, ma all’uomo; non è più il Sacrificio della dottrina cattolica, ma la riunione fraterna dell’eresia protestante. Nel celebrarlo, un sacerdote che, per grazia divina, abbia conservato la retta fede deve fare uno sforzo continuo per ricordarsi che sta parlando con Dio e rendendo presente l’atto della Redenzione universale, la cui continua rinnovazione incruenta espia, preservandola così dalla distruzione, l’interminabile sequenza di peccati con cui l’umanità, due millenni dopo il dono della salvezza, continua ad offendere il Creatore.

Quanti sacerdoti e fedeli pensano a questo, durante la Messa? La maggioranza non possiede più nemmeno la nozione di sacrificio espiatorio e propiziatorio. Che in chiesa, poi, si vada ad adorare qualcuno, è un’ipotesi stravagante; sussiste unicamente – ma solo al catechismo – l’idea che ci si venga a ringraziare il buon Dio: ma per che cosa? Per la vita, la famiglia, i talenti, le vacanze… tutto è disperatamente appiattito sul piano naturale. I pastoralisti, forti della loro infallibile scienza, scatteranno subito osservando che, nella cultura attuale, è semplicemente impensabile proporre qualcosa di più, dato che nessuno lo capirebbe. Certo: hanno creato di proposito questa situazione, demolendo la fede e spegnendo ogni sentimento religioso, per poi concludere che essa ci obbliga a continuare così, onde bloccare sul nascere qualsiasi tentativo di cambiamento…

L’Occidente, lasciato in balìa di Satana, delle sue opere e delle sue seduzioni, attende il colpo di grazia, ma non lo sa; per questo è così spensierato. Qualche isolata Cassandra, qua e là, prova a dare un caritatevole avvertimento, ma nessuno può sentirla; chi, talvolta, riesce a superare il muro di omertoso silenzio è immediatamente respinto come un guastafeste e un uccello di malaugurio (per dirla in termini decenti, che non s’usano più). Nel sistema mediatico, saldamente controllato dall'imperialismo tecnocratico dalle molte facce, non sono ammesse voci fuori dal coro, ma solo imbonitori di speranze illusorie e fallaci. Quanta gente, del resto, legge unicamente le pagine dello sport e dello spettacolo? La mente imbottita di futilità, la pancia piena di cibi nocivi, il sangue inquinato di alcool e droga… una maniera dolce di suicidarsi per prevenire l’esecuzione. Sempre meglio di un colpo alla nuca – cerca di convincersi l’inconscio collettivo manipolato a menadito. Perché, in fondo in fondo, tutti sanno di essere minacciati, ma cercano di non pensarci.

La vera minaccia, ovviamente, non è quella degli attentati pianificati dai servizi segreti; quelli servono solo a scatenare reazioni emotive di massa che assecondino svolte politiche e giustifichino progressive restrizioni della libertà. La minaccia reale – oltre al dilagare del cancro, della violenza privata e delle malattie sessualmente trasmissibili – consiste nel progetto di drastica riduzione della popolazione mondiale che politicanti e banchieri consacrati al diavolo intendono realizzare tra breve con ogni mezzo, dalla guerra totale ai cataclismi naturali provocati dall’uomo, per non parlare della sterilizzazione di massa indotta dall’ideologia del gender. Sono decenni, poi, che in un assordante silenzio prosegue lo sterminio di Stato in ospedali pubblici e cliniche private: solo in Italia sono quasi sei milioni, altro che olocausto! Già questo crimine orrendo, da solo, merita inimmaginabili castighi… quelli che Dio sta per mandare servendosi dei Suoi stessi nemici, dopo aver esaurito i Suoi continui, quanto inascoltati, ammonimenti e richiami.

La misericordia esige pentimento sincero e decisa correzione della propria condotta, rinnegamento dell’errore ed emendazione delle colpe, riparazione del male commesso e fermo proposito di non più peccare. Perché il Figlio di Dio, altrimenti, sarebbe morto sulla croce, dopo aver affidato agli Apostoli il mandato di rinnovarne il Sacrificio redentore in ogni luogo e in ogni tempo? Solo grazie ad esso, ora, i peccatori possono convertirsi e cooperare, come è giusto e necessario, alla propria stessa salvezza, unendo le loro penitenze a quella Passione che è sorgente di tutte le grazie. Guai a chi finge di ignorare tutto questo e propina ai fedeli una parodia della misericordia! Sarebbe meglio per lui non essere nato. Guai a chi ha distorto il significato e inficiato il valore della santa Messa! Non può certo stare in Paradiso. Se cerchiamo riparo da ciò che ci attende, torniamo alla Messa di sempre, implorando da Dio la grazia che numerosi sacerdoti possano celebrarla ovunque. Non di quelli che chiamano in chiesa i musulmani a maledirci e ad oltraggiare Nostro Signore durante il santo Sacrificio; quelli hanno già perso la testa.
 
 

domenica 14 agosto 2016

noi ipnotizzati

Terrorismo, Meluzzi: "I media utilizzano la psichiatria per minimizzare e depistare" 

 

 

"Ipnotizzati dal politicamente corretto, siamo incapaci di chiamare le cose col loro nome. Questo ci rende fragili e impreparati a questa guerra. Ogni giorno arrivano migliaia di islamici. Rischiamo di soccombere"
I terroristi islamici erano terroristici islamici anche per i grandi media, un tempo. Poi il politicamente corretto li ha derubricati a terroristi generici, omettendo la matrice religiosa e ideologica. Quindi un altro salto carpiato: non son più nemmeno terroristi ma persone disturbate, instabili, depresse, magari perché divorziate, bullizzate, residenti in periferia, con un lavoro precario o abbandonate dalla fidanzata. Qualsiasi giustificazione pur bizzarra è ben accetta, a patto di scansare la parola Islam.

Alessandro Meluzzi, psichiatra, cosa sta succedendo ai media?
Il meccanismo mediatico tende a utilizzare le categorie della psichiatria per minimizzare, per depistare rispetto alla realtà delle cose. C’è un utilizzo assolutamente improprio della psichiatria. E lo dice uno che fa lo psichiatra da 35 anni.

Eppure quella psichiatrica pare diventata l’unica chiave di lettura.
Non si può pensare di buttare in depressione, in psicosi, in disturbo della personalità un confronto tragico come quello che abbiamo di fronte, che ha certamente degli aspetti di follia ma in senso simbolico e metaforico. Certamente è difficile che ci possa essere un reclutamento al terrorismo se coloro che vengono reclutati al terrorismo non avessero delle falle nella struttura di personalità. Ma questo è valso nelle rivoluzioni e nelle guerre di tutte le epoche.

Se l’analisi dei media è così fuorviante, non c’è il rischio di sottovalutare il fenomeno?
Siamo di fronte a una vera guerra rispetto alla quale bisogna essere attrezzati. Non esito a usare la parola guerra. È un confronto di civiltà, l’attacco più insidioso alla civiltà europea dopo la seconda guerra mondiale, rispetto al quale siamo fondamentalmente impreparati. Ipnotizzati dal politicamente corretto, incapaci di chiamare lo cose col loro nome.

Questo aggrava la situazione?
Questo ci rende particolarmente vulnerabili, impreparati e fragili. Anche perché è in corso una migrazione di tipo apocalittico e biblico: arrivano ogni giorno alcune migliaia di islamici. E arrivano in una condizione di fondamentale disadattamento psicosociale, condizione base per un reclutamento di massa dall’immediato futuro.

Quali prospettive abbiamo?
Quella di ricordare un importante filosofo della politica che si chiamava Lenin: diceva che “i fatti hanno la testa dura”. Li si può rigirare come si vuole, ma avendo la testa dura si ripresentano in tutta la loro crudezza. Una situazione che l’Occidente ha contribuito a creare, attraverso la destabilizzazione delle cosiddette primavere arabe: ha creato un bubbone che ora sta trasmigrando da noi. O la nostra cultura, la nostra civiltà imparerà a sviluppare degli anticorpi e a difendersi, o soccomberà di fronte a una struttura rigida e assolutamente inaggredibile dalle chiacchiere qual è l’Islam fondamentalista. Che alla fine produrrà un effetto di destabilizzazione incontenibile su tutta la linea. Si tratta di follia, ma non psichiatrica. Sarà follia ideologica, sociologica, antropologica. Ma buttare tutto questo in clinica psichiatrica è un’offesa alla storia e un’offesa alla psichiatria.

C’è un limite al politicamente corretto?
Deus quos perdere vult, dementat primum: Dio fa diventare pazzi coloro che vuole distruggere. È quello che ci sta capitando. E questo sì, è psichiatrico.
[Fonte]