mercoledì 2 gennaio 2013

capodanno

Un tempo che si chiude, un tempo che si apre




Questa celebrazione eucaristica si pone come spartiacque tra il tempo che si chiude e quello che si apre, tra un anno da cui vogliamo congedarci in pace e il nuovo, il 2013, che vogliamo accogliere nella fede come un dono, un’offerta che Dio ci pone dinanzi, un libro tutto da scrivere. Ci disponiamo a celebrare i santi misteri nella Solennità di Maria, Madre di Dio: a lei affidiamo l’intercessione per le nostre povere vite e, iniziando la celebrazione, chiediamo umilmente perdono dei nostri peccati.

Omelia
La comunità religiosa e quella civile – quella religiosa rappresentata dal Vescovo e dai sacerdoti presenti, quella civile rappresentata dal sindaco e da alcuni amministratori – si raccoglie in preghiera in questo momento di svolta. Certamente il tempo è una convenzione – alcuni dicono – ma al di là dell’aspetto convenzionale, struttura le nostre vite, segna solchi sui nostri corpi, sui nostri volti, le rughe. Avevamo una pelle liscia, limpida, rosea quando eravamo bambini; il tempo ha lasciato le sue tracce sul volto, sul cuore. Ed è sul tempo che siamo chiamati a riflettere in questa notte-cerniera: un tempo che si chiude, un tempo che  si apre, stagioni, stanze della nostra vita così bella e così fragile. Vogliamo cantare, in questa Eucaristia, la bellezza d’essere qui al mondo, al di là di ogni problema e prima di ogni dolore. La vita è un dono, un’opportunità meravigliosa d’esserci. E l’essere ha un valore immenso, al di là d’ogni limitazione. Insieme con questa bellezza, consideriamo in questa notte, in questa sera, anche la fragilità della vita. Forse la bellezza affonda le sue radici nella fragilità e la fragilità nasce come fiore dalle spine. Forse, se vivessimo senza fine non ci sarebbe gusto. C’è un Padre della Chiesa, Ireneo di Lione, che dice che la morte è una grazia che Dio ha posto come fine al male. Una vita senza fine sarebbe stata – una vita umana, una vita sulla terra – una interminabile e insolvibile catena di peccati e quindi, la morte viene a interrompere il male, il nostro male personale, quello della nostra generazione, e ad aprirci nuove prospettive. Facciamo tutto questo sotto lo sguardo di Maria. Siamo già entrati nella Solennità di Maria, Madre di Dio, e la Chiesa pone questa immagine della Madre col  Bambino come frontespizio di un nuovo anno, a dire che la maternità è l’origine e la custodia della vita. In qualche maniera ognuno di noi è “madre”, anche gli uomini, anche noi uomini; “madre”, nel senso che riceviamo un dono e, speriamo, lo alleviamo. “Levare” e “allevare” è portare in alto, secondo il rituale antico, che avevano anche i romani, di sollevare il bambino. Una volta partorito, il bambino ancora sporco di sangue veniva messo nelle mani del padre, che aveva potere di vita e di morte su quell’essere: poteva lasciarlo cadere e poteva sollevarlo. E lasciarlo cadere significava “non lo voglio, non lo riconosco”, e dunque significava condanna, morte. E anche se il bambino non moriva all’atto in cui cadeva, sarebbe morto, sarebbe stato ucciso, non era riconosciuto, e quindi si invocava quel gesto del sollevare, da cui viene “allevare”. Allevare, sollevare, è mettere in alto, lanciare in alto e dire: lo voglio, l’accetto, è mio,voglio viverlo, voglio accudirlo, mi prendo cura di lui. In questo senso siamo tutti padri e madri, padri e madri di noi stessi. Quando gli antichi dicevano che l’uomo è fabbro del suo destino, al di là della matrice non cristiana dell’espressione, intendevano dire che l’uomo alleva se stesso. Noi ci stiamo educando, ci stiamo allevando, speriamo, ci stiamo sollevando di anno in anno, di giorno in giorno, di dolore in dolore, di fallimento in fallimento, di delusione in delusione, di gioia in gioia, di luce in luce. Ma sappiamo, guardando questo anno 2012 dal quale ci concediamo, un anno difficile per tutti, che nonostante il nostro sforzo di sollevamento pesi, non sempre abbiamo lanciato in alto. E allora siamo qui anche per dire miserere, per dire: Signore, abbi pietà di noi, sana Tu le ferite, chiudi Tu ciò che di irrisolto noi ci lasciamo alle spalle, sii Tu a colmare le valli ad abbassare i monti dell’orgoglio, come ci ha detto Isaia nel Tempo di Avvento. Ti affidiamo questo anno, l’abbiamo vissuto, è stato bello viverlo, pur con tanta difficoltà, ma abbiamo bisogno del Tuo sguardo di misericordia.

Per quanto riguarda invece questo anno nuovo, come un libro non ancora aperto, intonso, come un quaderno su cui non sia stata ancora scritta nessuna parola, chiediamo la benedizione di Dio. Abbiamo ascoltato, nel testo di benedizione dell’Antico Testamento: Dio rivolga il Suo sguardo su di te e ti doni la Sua pace. La invochiamo per noi qui presenti, per le comunità che rappresentiamo, quella religiosa, di fede, e quella civica; la invochiamo per le nostre famiglie. Invochiamo un supplemento d’amore che venga da Dio, certo, e Dio continuamente ci colma le mani di amore, il cuore di amore, ma che sia assunto, questo amore, con più amore. Diceva il testo di una vecchia canzone di Mango: Questo sirtaki – è una danza – danzalo se puoi, se vuoi, con più amore. Significa, da parte mia, essere Vescovo con più amore, essere sindaco con più amore, essere parroco con più amore, essere sposato con più amore, essere padre, essere… qualsiasi sia il nostro compito. Possiamo fare le cose in una maniera pedante, ma le stesse cose hanno un supplemento d’anima quando le accompagniamo con un sorriso, quando pur nella difficoltà riusciamo a cantare, quando anche in un momento di angoscia riusciamo a mettere questo supplemento, questo lievito della vita che è l’amore. Ecco, vi auguro, carissimi fratelli e sorelle, di mettere tanto amore in questo anno che viene. Non è importante vivere tanto tempo, anche se noi ci auguriamo cento anni – i formulari li conoscete bene, non sempre sono proprio delle benedizioni – ma il tempo che il Signore ha stabilito per noi, e ci piace pensare che ci sia un tempo per noi, un tempo fissato, programmato, sul pentagramma di Dio, sul quadrante del cuore di Dio, piccolo o lungo, esteso o breve, sia un tempo intenso, sia un tempo appassionato, sia un tempo colmo di amore. Lo dico a tutti, lo auguro a tutti, in particolare vorrei augurarlo a Manlio, che concelebra con noi questa Eucaristia e che sta celebrando il suo primo Natale da prete e che appena pochi mesi fa era qui, disteso, all’atto di una morte da cui nasceva una vita, quella da presbitero, che egli sta appena assaggiando. Auguro a lui, che è giovane e che ha tanto tempo davanti, di affrontare le giornate, anche nella Palermo sanguinosa e dolente nella quale vive, e dovunque il Signore lo invierà, di vivere il suo tempo, il suo Ministero con amore. Sai, Manlio, tutti facciamo le stesse cose, diciamo le stesse parole, celebriamo gli stessi Sacramenti, leggiamo lo stesso Vangelo, ma non è lo stesso per tutti. Sai bene che tra un gesto e un altro, tra una messa e l’altra – anche se la Chiesa ci insegna, e tu lo sai bene, che i Sacramenti sono ex opere operato (a prescindere dalla dignità del celebrante) – c’è uno scarto che fa la differenza, e questo scarto si chiama santità. La santità, che noi pensiamo sempre come qualcosa di lontanissimo nella nostra vita, è null’altro che la voglia di mettere amore nelle cose, anche in quelle più semplici. Coraggio, chiudiamolo questo anno, come si chiude una stanza: congediamoci grati e andiamo avanti, qualsiasi cosa il Signore ci darà da vivere. Amen.
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Saluto finale

Ci sono tante padelle che friggono a quest’ora. Mi sono chiesto, questo pomeriggio, come mai la tradizione ci faccia friggere tanto pesce a Natale e alla vigilia dell’anno nuovo, tutte cose che vengono dal mare. Forse per fare memoria della nostra origine, perché veniamo dalle acque salate del grembo materno. Magari – mi piace pensarlo e vi affido questo augurio – perché siamo chiamati a grandi spazi, all’immensità. Quando vi arriveranno gli aromi delle fritture pensate anche a questa lettura. Siamo chiamati a prendere il largo, come dice Gesù a Pietro: Prendi il largo! E ci stacchiamo dalla banchina, dal porto del 2012, e cominciamo a veleggiare verso questo nuovo anno, con la benedizione di Dio.

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