martedì 22 gennaio 2013

Comunione in mano?

NON MITTENDUS CANIBUS

 

A proposito delle considerazioni di p. Francesco M. Budani, dei Francescani dell'Immacolata, sulle modalità di amministrazione e ricezione della Santa Comunione. 


Rimaniamo ancora sconcertati, nonostante le manifeste e ripetute dimostrazioni di incoerenza di (....) norme palesemente contraddittorie. Pare infatti che, ogni volta che la Sede Apostolica emana un documento disciplinare, esso dia disposizioni su una materia specifica e al tempo stesso deroghi, nello stesso documento, alla ratio della norma che intende fissare.

Leggiamo su Una Fides un interessante e lodevolissimo articolo di padre Budani, nel quale egli sostiene che l'amministrazione della Santa Comunione sulla lingua del fedele è un diritto, mentre è una concessione l'amministrazione della stessa nelle mani. 

L'articolo cui fa riferimento il pio Francescano è l'Istruzione Redemptionis Sacramentum, emanata il 25 Marzo 2004 dalla Congregazione per il Culto Divino su ordine del Santo Padre. 

Nell'Istruzione si precisa:

[92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.

Ecco ciò che ci sconcerta: nella stessa norma si afferma un principio giusto e corretto (l'amministrazione in bocca), si autorizza la deroga (l'amministrazione sulla mano) e poi si precisa che se c'è pericolo di profanazione non si debba dare la Comunione sulla mano. 

Qualsiasi sacerdote sa benissimo, come ricorda p. Francesco Maria, che il pericolo di profanazione c'è sempre, perché le particole, essendo di pane friabile, possono facilmente perdere delle particelle o delle briciole. In altri tempi - quando il solo sacerdote poteva toccare le Specie Eucaristiche - era uso setacciare le ostie e porle nella pisside prive di frammenti: in alcune sacristie si trova ancora il vaglio con cui il Sacrista svolgeva questa operazione che incuriosiva i chierichetti.

Ovviamente il postconcilio ha abituato i sacerdoti a disinteressarsi completamente di questi vieti comportamenti intrisi di rubricismo postridentino. Così non solo non si setacciano le ostie prima della loro consacrazione, ma spesso accade che lo stesso celebrante, per purificare la patena e la pisside (o quella orribile ciotola che dovrebbe svolgere le funzioni di entrambe) usi il purificatoio e non le dita, che dovrebbe poi astergere nel calice prima di purificare anche quello. I frammenti possono rimanere attaccati al purificatoio, che a differenza del corporale non è custodito nella borsa (peraltro ormai caduta in disuso e non prescritta dalle rubriche del nuovo rito). Non parliamo di far lavare i sacri lini da un chierico e poi di gettare l'acqua nel sacrario...

Nessuno si perita di passare la patena sul corporale per raccogliere eventuali frammenti, e non di rado la purificazione dei vasi sacri è affidata ai ministranti, alla credenza, mentre la Presenza Reale nelle Sacre Specie (che permane anche nelle particelle dell'ostia) imporrebbe di farlo all'altare e sul corporale. 

Noi stessi, in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes, abbiamo visto coi nostri occhi - e con gravissimo scandalo - un sagrestano laico prendere l'Ostia magna dal tabernacolo e, appoggiandosi sul banco della sacristia, tagliarla con le forbici per adattarla alla lunetta dell'ostensorio. Se non fossimo stati presenti a redarguire l'empio sforbiciatore, non vogliamo immaginare quale sarebbe stata la sorte dei ritagli...

Non si può pensare che dei chierici abituati a trattare in questo modo la Ss.ma Eucaristia possano avere una qualche sensibilità per il pericolo di sacrilegio: nessuno glielo insegna in Seminario, ed anzi è ormai abitudine invalsa dire ai futuri sacerdoti che fragmenta non sunt sacramenta (sic!), come noi stessi abbiamo sentito dire da un confratello del Seminario Romano.

Torniamo alla Istruzione Redemptionis Sacramentum e traduciamo quelle norme usando una similitudine:

La norma è che ad un incrocio si passi con il semaforo verde e ci si fermi con il rosso. Tuttavia, in certi casi, è possibile passare con il rosso. Ma se vi è rischio di incidenti passando col rosso, allora si passi solo col verde.
O anche:

In un deposito di combustibile è fatto divieto usare fiamme libere. Tuttavia, in certi casi, è possibile accendere dei fuochi. Ma se vi è rischio di incendio, allora non si usino fiamme libere.
E ancora:

Il vostro parlare sia sì sì, no no: tutto il resto viene dal Maligno. Tuttavia, in certi casi, potete dire anche sì no e no sì. Ma se vi è rischio che non vi si capisca, allora dite sì sì, no no.
Ecco: siccome c'è sempre rischio di profanazione, non si capisce come la Sede Apostolica possa autorizzare le Conferenze Episcopali, e come le Conferenze Episcopali possano concedere ai loro fedeli di ricevere la Comunione sulla mano, con l'ipocrita postilla di evitare la profanazione. 

Se c'è anche il remoto rischio di profanazione, basta imporre tout court che la Comunione si dia in bocca. In nessun caso, a meno di non essere dotati di poteri di preveggenza, un sacerdote può sapere se quella particola che prende dalla pisside è perfettamente integra e priva di frammenti; quindi, se nel deporla sulla mano del fedele quei frammenti dovessero perdersi, con o senza piattello (che in questo caso non ha alcuna utilità), ecco concretizzato il rischio di profanazione. Ergo: niente Comunione in mano, mai. 

Prima Comunione secondo il rito neocatecumenale

Ancora una volta abbiamo sotto gli occhi delle contraddizioni talmente evidenti. Da una parte ribadisce un principio sacrosanto, poi concede una deroga che ex se contraddice quel principio, e poi ci ricorda che se da quella deroga derivasse una contraddizione al principio, essa non può essere praticata.

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