Per favore, ridateci i tabernacoli
Non so se succede anche a voi. Quando entro in una chiesa, sempre
più spesso fatico a capire dov’è il tabernacolo. Mi tocca cercarlo, come
in una caccia al tesoro. E qualche volta non lo trovo proprio.
Così come la fantasia degli architetti si sbizzarrisce nel progettare
ed edificare chiese che sembrano tutto tranne che chiese cattoliche
(possono andare benissimo come palazzetti dello sport o come sale
protestanti, ma non come luoghi di culto cattolici), allo stesso modo
gli arredatori degli interni, presi da irrefrenabile voglia di novità e
cambiamento, spostano il tabernacolo negli angoli più strani e a volte
più remoti.
Ora io so di non avere occhi di falco. Sono miope e, quando arrivo
dalla luce esterna, impiego un po’ di tempo per adattarmi alla penombra
della chiesa. Però molto spesso non è questione di scarsa vista e di
luce. In tante chiese, purtroppo, il tabernacolo si trova in posizioni
improbabili, quasi che non fosse lui il padrone di casa, quasi che lo si
volesse nascondere come si fa con qualcuno di cui ci si deve un po’
vergognare.
Mi è successo anche oggi. Entro e non vedo. Va bene, mi dico, saranno
gli occhi. Guardo, riguardo. E non vedo. Perché il tabernacolo non c’è.
O, per lo meno, non è lì dove dovrebbe essere. È spostato a lato, molto
defilato, senza la luce rossa, nascosto dentro una specie di gabbia
d’acciaio. Perché c’è da dire anche questo: più viene messo ai margini,
più il tabernacolo, in quanto oggetto, diventa strano e assume fogge
inverosimili e assurde.
D’accordo, dopo la riforma conciliare, con l’altare e il celebrante
rivolti verso l’assemblea, il tabernacolo non può più stare sulla
tavola. Ma vogliamo dirlo chiaramente? Il tabernacolo, nel presbiterio,
deve stare comunque al centro, perché il suo contenuto è il centro di
tutto. Al centro non deve stare la sedia, che a volte sembra un trono,
del celebrante. Io non voglio adorare una sedia. No, al centro deve
stare il tabernacolo, la casa di nostro Signore. Perché tabernacolo
significa piccola casa, e tutto quanto l’edificio della chiesa, a ben
guardare, non è che un luogo costruito per accogliere e custodire quella
piccola casa dal contenuto infinitamente grande.
So che a questo punto persone molto esperte troveranno il modo di
spiegare che «sì però… va bene… tuttavia…». No. Chiedo che il
tabernacolo sia rimesso al centro, che sia immediatamente individuabile,
che abbia la sua lucina rossa piccola ma chiara, che gli sia reso
l’onore che merita. E che il fedele non debba fare la caccia al tesoro
per scoprire dov’è. Perché, quando entri in un’abitazione, il padrone di
casa ti viene incontro, e non è che tu devi metterti a cercarlo in giro
per le stanze.
Sapete qual è il mio dubbio? Che chi sposta il tabernacolo ai margini
non creda fino in fondo che lì c’è la presenza reale di Gesù.
Altrimenti non si spiega una simile scelta. Se tu sai che lì c’è Gesù,
se credi che quella sia la sua santa casa, ti viene naturale metterlo al
centro.
Sento già l’obiezione: ma quante storie, guarda che il Signore è
presente ovunque nel mondo e nell’universo, ovunque nel cuore delle
persone, non c’è bisogno di costruirgli una casa e di esporla. E invece
sì che c’è bisogno. Se crediamo che lì non c’è un simbolo, un ricordino,
un souvenir, ma proprio Lui, allora dobbiamo concludere che al
tabernacolo va riservata una posizione centrale.
Qualcuno dirà: ma, scusa tanto, quando la cena è terminata la tavola
viene sparecchiata, e dunque perché il pane dovrebbe restare lì, al
centro? Non è forse vero che, finito il banchetto, tutto quanto viene
riposto da un’altra parte?
Certo che sì. Ma per noi cattolici quello non è solo pane. È il pane
della vita, è nostro Signore in persona. Quindi non va riposto in un
angolo, coma una suppellettile qualsiasi.
Si dimentica anche che in ogni chiesa il fedele fa un percorso, anzi
un vero e proprio pellegrinaggio, un cammino spirituale il cui culmine
non è la sedia del celebrante e nemmeno l’altare, e nemmeno qualche
statua di santi. È nostro Signore.
E come non notare che questa tendenza a emarginare nostro Signore va
di pari passo con la tendenza a non inginocchiarsi? Troppo spesso si
entra in chiesa come in una semplice sala per assemblee, nella quale
chiacchierare e intrattenersi con gli altri fedeli. Ma tutto ciò un
cattolico non lo può accettare. L’atto di inginocchiarsi rispecchia la
disposizione dello spirito. È atto di adorazione. Non si entra in chiesa
per incontrare il signor parroco o gli amici. Vi si entra per adorare
nostro Signore. Ecco perché resto male quando in chiesa le persone non
si inginocchiano, non fanno bene il segno della croce e non stanno in
silenzio, ma chiacchierano fra di loro, formano capannelli, si salutano
come se si incontrassero per la strada.
Lo ripeto: noi cattolici non entriamo in chiesa come se fosse un’aula
per le assemblee della comunità. Entriamo nella casa del Signore, dove
dobbiamo tributargli tutto il nostro rispetto e tutta la nostra
adorazione. E se la Chiesa è casa di Dio, tutto deve essere in funzione
di Dio che si è fatto uomo ed è morto e risorto per noi. Non deve essere
in funzione di noi fedeli che vi entriamo.
Vorrei dunque fare una modesta proposta a vescovi, parroci,
religiosi: per favore, ridateci il tabernacolo. Sia ben visibile e
riconoscibile, al centro dell’abside. Ai lati mettiamoci la sedia del
celebrante, che è un ministro, un servitore, non il protagonista di uno
spettacolo. Sulle pareti non mettiamo cartelli, cartelloni e tazebao, ma
ci sia posto solo per immagini sacre, prima di tutto di Maria e poi dei
santi, così che possano sostenerci nell’adorazione e nella preghiera.
Il tutto, come si legge nel «Messale romano», sia ispirato a nobile
semplicità e dignità. La chiesa non è un luogo in cui procedere per
accumulo di oggetti, immagini, scritte, manufatti vari. E il Santissimo
Sacramento, all’interno del tabernacolo, sia collocato «in una parte
della chiesa assai dignitosa, insigne, ben visibile, ornata
decorosamente e adatta alla preghiera». Nel caso in cui questo luogo sia
una cappella, si faccia in modo che anch’essa sia ben visibile, adatta
all’adorazione e alla preghiera e unita strutturalmente al resto della
chiesa, così che non sembri un’aggiunta. E presso il tabernacolo resti
sempre accesa una lampada (non un faro da set cinematografico o da
studio televisivo, come ho visto in alcuni casi).
Sembrano accorgimenti di poco conto, ma non è così. È rispetto, è coerenza, è fede.
Benedetto XVI, nell’esortazione postsinodale «Sacramentum caritatis»,
lo spiega bene: è necessario che «il luogo in cui sono conservate le
specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla
lampada perenne, da chiunque entri in chiesa». Il fedele deve essere
aiutato e facilitato nel riconoscere la presenza reale di Cristo nel
Santissimo Sacramento. Non deve essere sviato, ostacolato, impedito.
A meno che non lo si voglia proprio sviare e ostacolare.
Aldo Maria Valli
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