sabato 31 dicembre 2016

Gaudete! Christus est natus


Gaudete! Christus est natus ex Maria Virgine.

Tempus adest gratiæ
Hoc quod optabamus,
Carmina læticiæ
Devote reddamus.
Gaudete! ...

Deus homo factus est
Natura mirante,
Mundus renovatus est
A Christo regnante.
Gaudete! ...

Ezechielis porta
Clausa pertransitur,
Unde lux est orta
Salus invenitur.

Gaudete! ...

Ergo nostra concio,
Psallat iam in lustro;
Benedicat Domino:
Salus Regi nostro.
Gaudete! ...

Gioite! Cristo è nato da Maria Vergine!
È giunto il tempo di grazia
che abbiamo tanto desiderato,
rendiamo con devozione
inni di gioia.

Gioite! ...

Dio si è fatto uomo,
meraviglia della natura,
il mondo è rinnovato
da Cristo regnante.
Gioite! ...

La porta di Ezechiele che era chiusa
è stata attraversata,
là dove è sorta la luce
si trova la salvezza.
Gioite! ...

Perciò il nostro canto
risuoni già in segno di purificazione,
benedica il Signore:
salve al nostro Re.
Gioite! ...

Auguri Auguri Auguri

BUON ANNO


 
A chi con un sincero “ti voglio bene” sa riempire le tue giornate 
e te lo dimostra.
A chi scrive canzoni e non ha ancora composto la più bella.
A chi scrive libri e “istiga” alla lettura.
A chi ha fatto il giuramento di Ippocrate 

e lotta con ardore per i diritti di ogni cittadino ammalato.
A chi ha ricevuto una diagnosi infelice 

e combatte la rassegnazione con la speranza.
A chi si prende cura degli altri perché sa che è dando che si riceve.
A chi anche stanotte provvederà a rendere pulita e sicura la tua città.
A chi riesce ad abbracciarti anche quando dici di voler stare solo/a.
A chi ha subito un lutto in famiglia, o perso un caro amico 

ma sa che un giorno lo ritroverà.
A chi ha ri-trovato un amico 

e sa di aver ricevuto un tesoro prezioso e irrinunciabile.
Ai genitori che hanno sacrificato la vita per i figli e continueranno a farlo.
Ai figli che sanno dimostrare riconoscenza e gratitudine verso i propri genitori.
A chi sta per diventare madre e sogna per suo figlio/a un mondo migliore.
A chi sa indossare il sorriso sulle labbra 

anche quando porta una pena nell’anima.
A chi è capace di perdono per avere un cuore libero dall’odio e dal rancore.
A chi ha consacrato la sua vita a Dio e rinnova le sue scelte ogni giorno con umiltà, coraggio, coerenza e gioia.
A chi sa farsi domande ed è paziente nel ricevere risposte.
A chi naviga per mare e sa che c’e sempre qualcuno/a che lo aspetta.
A chi sa ascoltare e non guarda mai l’orologio quando parla con te.
A chi ancora sa stupirsi davanti a un tramonto, a un’alba, 

all’erba che spunta al mattino e avvizzisce la sera.
Buon Anno ad ogni uomo e donna sulla Terra 

che ha capito che la civiltà dell’Amore si costruisce.
 
BUONA ANNO A TE 


(Sergio Palumbo)

venerdì 30 dicembre 2016

Love is Love





il fato incombe e la tragedia cova



Nel '500, i cardinali Piazza-Colonna e Canareggio sono disposti a tutto per ascendere al soglio pontificio (il secondo ha addirittura avvelenato l'ultimo papa). Dopo aver tentato invano di ottenere il voto del povero e moribondo Felicetto de li Caprettari, durante il conclave ottengono lo stesso numero di voti e cominciano a eliminare i cardinali che credono abbiano sostenuto l'avversario. Per interrompere la carneficina, il cardinale decano propone di eleggere qualcuno che non abbia molto da vivere, per un papato di transizione, ed entrambi pensano subito a Felicetto de li Caprettari. Ma quando viene annunciata la grande notizia al moribondo, questi rivela che il suo stato di salute era solo una finzione, portata avanti per dieci anni, secondo un piano accuratamente architettato proprio per arrivare a quel risultato.

giovedì 29 dicembre 2016

un topo che non gli piace la topa

O dolci baci e languide carezze

 

Non c’è più limite all’indecenza e l’infanzia, con i suoi miti e i suoi modelli rivisitati, è privata della sua innocenza.



 
Nel caso della trasmissione di Rai Tre “Stato Civile” sono con il popolo della famiglia in tutto e per tutto e stigmatizzo, se solo sapessi cosa vuol dire, le scelte “artistiche”di quella Bignardi. 

Nemmeno un anno fa il caso di quei genitori di Massa Carrara che hanno (giustamente) ritirato da scuola la figlioletta di sette anni perché la maestra aveva letto una fiaba in cui era la principessa a salvare il principe dal drago e non viceversa! Dice, che c’entra? C’entra eccome! Fai passare una cosa del genere, che stravolge i sacri valori della famiglia, e ti ritrovi con le coppie omosessuali in prima serata.

E stai sicuro che domani quella maestra di Massa Carrara leggerà ai suoi alunni una bella fiaba in cui alla fine il principe e il drago fanno outing e se ne vanno mano nella mano a vivere la loro torbida storia d’amore, mentre la principessa lascia il castello, si trasferisce in città e diventa amica della Bignardi!

Non c’è più limite all’indecenza e l’infanzia, con i suoi miti e i suoi modelli rivisitati, è privata della sua innocenza. 

Già mi immagino Topolino che un bel giorno confessa a Minnie di essere omosessuale. E mi immagino Minnie che gli risponde: “Lo so bene, Mickey, che te sei un topo che non gli piace la topa. Credevi ‘un me ne fossi accorta? D’altronde io son vent’anni che me la intendo con Pippo. Se aspettavo te stavo fresca!” Già mi immagino Tex Willer e Kit Carson, i due rangers del Texas, in Luna di Miele nella prateria stile “I segreti di Brokeback Mountain”, quel film di pervertiti che già nel nome della montagna, per chi sa l’inglese, era un esplicito quanto brutale manifesto dell’Arcigay! Già mi immagino il sindaco di Gotham City che unisce in matrimonio Batman e Robin, “Pipistrello” e “Pettirosso”, sempre per chi sa l’inglese, a braccetto contro il crimine, nei loro pittoreschi costumini.

È proprio vero che Dio li fa e poi li accoppia! Pensate a quando anche Superman si confesserà: “Anche io son gay, come Topolino. Anzi, sono un supergay! È la kriptonyte verde che mi fa diventare etero, accidenti a chi l’ha inventata!” Non ci resta che Donald Trump.

Se mi diventa frocio anche lui lascio la Terra e parto con un astronauta per la prima missione su Marte. In sette mesi di viaggio nello spazio, chissà che non nasca qualcosa tra di noi …

http://www.unita.tv/opinioni/o-dolci-baci-e-languide-carezze/

verso un papato ereditario?

FRATELLO FRANCESCO, DACCI PIÚ CARDINALI. L’appello parte dal sito dei gesuiti cileni Reflexión y Liberación: “Perché quando te ne andrai non sia più possibile tornare indietro”

 

Più in fretta…
Più in fretta…
L’autore Faustino Vilabrille Linares si presenta in una pagina web come “un prete di campagna” che ha trascorso quasi tutta la sua vita in una parrocchia delle Asturie “composta da 18 paesi, nessuno dei quali con l’acqua a domicilio”. Meno anonimo il sito che lo ospita, Reflexión y Liberación, che fa capo a gesuiti del Cile ed è letto ed apprezzato in molte parti dell’America Latina. L’appello è inequivoco sin dal titolo, che in spagnolo suona così: “Hno. 

Papa Francisco, necesitamos más Cardenales y otros Obispos”. Nella parte centrale del testo rivolto al Papa argentino padre Vilabrille, un ottantenne che “dopo il pensionamento ha collaborato come volontario in una parrocchia del quartiere di Gijón e in Cooperazione di Caritas internazionale, pianta come un macigno l’argomento centrale del suo ragionamento fondamentandolo con qualche statistica previa. “Hai nominato di recente un numero importante di cardinali più coerenti con la tua linea di rinnovamento della Chiesa. Stai mettendo fine allo storico eurocentrismo della gerarchia cattolica. Quando sei stato eletto 61 cardinali elettori erano europei e 56 di altri paesi. Con l’ultimo che hai eletto cambiano le proporzioni: sono già 67 gli extraeuropei e 54 gli europei”.

Ma non basta. Vilabrille – e con lui i confratelli del sito che lo ospita – si fa portavoce della richiesta al Papa di “continuare creando cardinali che siano nella linea di una autentica evangelizzazione, fino a raggiungere un numero sufficiente perché quando tu verrai meno (cuando tu faltes) resti assicurata la tua linea rinnovatrice della Chiesa e non ci sia possibilità di marcia indietro come vogliono alcuni, perché da questo dipende non solo il futuro della Chiesa ma la sua influenza decisiva nel cammino dell’umanità e di tutto il Sistema Terra come spieghi nell’enciclica Laudato Si…”.

Il cerchio si chiude con il paragrafo successivo dell’articolo pubblicato da Reflexión y Liberación: “E poiché i cardinali attualmente provengono praticamente sempre dalla schiera dei vescovi, come sono i secondi così saranno i primi”. Ergo nomina anche più vescovi della tua sensibilità e della tua linea perché quelli che appartengono “ad una tappa reazionaria affermano esplicitamente che il tuo pontificato è una parentesi transitoria e quando non ci sarai più tutto tornerà ad essere come era prima della tua elezione”.


http://www.terredamerica.com/2016/12/28/fratello-francesco-dacci-piu-cardinali-lappello-parte-dal-sito-dei-gesuiti-cileni-reflexion-y-liberacion-perche-quando-te-ne-andrai-non-sia-piu-possibile-tornare-indietro/

elefantiasi in vaticano

Una Curia Romana “semper reformanda”?


Giovedí scorso, 22 dicembre, Papa Francesco ha ricevuto i Prelati della Curia Romana per il tradizionale scambio degli auguri natalizi. Quest’anno il discorso, che il Pontefice è solito rivolgere ai presenti per l’occasione, si è incentrato sulla riforma della Curia Romana. I media si sono praticamente limitati a riportare il passaggio riguardante le resistenze all’opera di riforma, nelle quali si è voluto vedere un riferimento ai quattro Cardinali che hanno sottoposto al Papa alcuni dubia a proposito dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia:
In questo percorso risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze: le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano delle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima; esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.

Papa Francesco ci ha ormai abituati a questo stile e a questo linguaggio, per cui, a mio parere, non mette conto disquisire sull’opportunità per un Pontefice di esprimersi in tali termini: Papa Bergoglio è cosí; dobbiamo farcene una ragione. Mons. Georg Gänswein, nell’intervista rilasciata l’estate scorsa alla Schwäbische Zeitung, aveva giustamente rilevato: «Che nei discorsi, rispetto ai suoi predecessori, di tanto in tanto sia un po’ impreciso, e addirittura irrispettoso, si deve solo accettare. Ogni Papa ha il suo stile personale».


Ciò su cui vorrei invece soffermarmi è l’argomento del discorso: la riforma della Curia Romana. Mi sembra del tutto legittimo che, in un incontro con i membri della Curia Romana, il Papa parli della riforma che sta gradualmente trasformando quella realtà. Ciò nonostante, credo che sia altrettanto legittimo avanzare qualche riserva, non tanto sull’opportunità di tale riforma (sulla qual cosa non ho titolo a esprimermi), quanto sulle aspettative, a mio parere eccessive, che si alimentano o si nutrono in proposito.

La nota 12 del discorso fa un po’ la storia delle quattro riforme della Curia Romana avvenute negli ultimi cent’anni, tre delle quali negli ultimi cinquanta:
1910: Pio X, Costituzione apostolica Sapienti consilio
1967: Paolo VI, Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae
1988: Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Pastor Bonus

La quarta riforma dovrebbe essere quella in corso, annunciata il 13 aprile 2013 (precisamente un mese dopo l’elezione di Papa Bergoglio). A queste quattro riforme, di cui una in fieri, vanno aggiunti gli interventi circoscritti di Benedetto XV (1914-1922) e Benedetto XVI (2005-2013).

Quello che nella nota non si dice è che la riforma precedente a quella di Pio X era avvenuta nel 1588, per opera di Sisto V, con la Costituzione apostolica Immensa Aeterni Dei. Il che significa che per oltre trecento anni (segnati da innumerevoli e radicali rivolgimenti politici e culturali) non si era piú sentito il bisogno di riformare la Curia. Negli ultimi decenni la riforma della Curia Romana sembrerebbe invece essere diventato il problema numero uno della Chiesa cattolica.

La riforma sistina (1588) si spiega come applicazione dei decreti del Concilio di Trento (1545-1563) al governo centrale della Chiesa e dello Stato pontificio. La riforma di San Pio X (1910) fu resa necessaria dalla fine del potere temporale dei Papi (1870) e dalla imminente pubblicazione del Codice di diritto canonico (1917).

Il Concilio Vaticano II, ovviamente, si occupò anche della Curia Romana, dedicando a essa due numeri del Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa (Christus Dominus):
9. Nell’esercizio della sua suprema, piena e immediata potestà sopra tutta la Chiesa, il Romano Pontefice si avvale dei dicasteri della Curia Romana, che perciò compiono il loro lavoro nel suo nome e con la sua autorità, a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori.
Tuttavia i Padri del Santo Concilio esprimono il desiderio che questi dicasteri, i quali hanno finora reso senza dubbio un prezioso aiuto al Romano Pontefice e ai pastori della Chiesa, vengano riorganizzati in modo nuovo e conforme alle necessità dei tempi, dei paesi e dei riti, specialmente per quanto riguarda il loro numero, il loro nome, le loro competenze, i loro metodi di lavoro e il coordinamento delle loro attività. Come pure desiderano che, in considerazione del ministero pastorale dei Vescovi, sia piú esattamente definito l’ufficio dei Legati del Romano Pontefice.

10. Poiché questi dicasteri sono stati costituiti per il bene della Chiesa universale, si esprime parimenti il desiderio che i loro membri, il loro personale e i loro consultori, come pure i Legati del Romano Pontefice, nei limiti del possibile, siano in piú larga misura scelti dalle diverse regioni della Chiesa. Cosí gli uffici, ossia gli organi centrali della Chiesa cattolica, presenteranno un carattere veramente universale.
Viene altresí auspicato che tra i membri dei dicasteri siano annoverati anche alcuni Vescovi, specialmente diocesani, che possano in modo piú compiuto rappresentare al Sommo Pontefice la mentalità, i desideri e le necessità di tutte le Chiese. Da ultimo i Padri conciliari stimano che sia molto utile che i sacri dicasteri chiedano, piú che in passato, il parere di laici che si distinguano per virtú, dottrina ed esperienza, affinché anch’essi svolgano nella vita della Chiesa il ruolo che loro conviene.

Come si può vedere, il Concilio aveva dato indicazioni abbastanza precise, che furono poi tenute presenti da Paolo VI (il quale, non dimentichiamolo, conosceva bene la Curia Romana, avendovi trascorso buona parte della sua vita) per realizzare, nel 1967, una radicale riforma degli organi centrali della Chiesa. Cinque anni dopo, nel 1973, Papa Montini costituí una commissione per lo studio degli effetti della riforma. Nel 1983 poi fu pubblicato il nuovo Codice di diritto canonico. Si arrivò cosí, nel 1988, a una ulteriore riforma, promossa da Giovanni Paolo II. Basta dare una scorsa veloce alla Costituzione apostolica Pastor Bonus, per rendersi conto che si trattava di uno sforzo notevole di riorganizzazione, che poteva far pensare a una riforma pressoché definitiva. E invece, ancora una volta, ci si accorse che il problema della Curia Romana non era stato affatto risolto. Corre voce che, a un certo punto, Papa Wojtyla, scoraggiato, avesse abbandonato la Curia al suo destino, preferendo girare il mondo per annunciare il Vangelo e avere un contatto diretto con i fedeli.

Anche agli inizi del pontificato di Benedetto XVI si parlava insistentemente di riforma della Curia Romana. Si sentiva il bisogno di uno snellimento, di una semplificazione. Ci si era accorti che, a forza di erigere nuovi organismi (si pensi ai vari segretariati, consigli e commissioni), la Curia si era trasformata in un “mostro” affetto da elefantiasi. Sembrava che si potesse facilmente sfrondare accorpando diversi dicasteri. E in effetti, nel 2006 il nuovo Pontefice procedette all’unificazione di alcuni Consigli; ma già nell’anno successivo dovette tornare sui suoi passi e, come se non bastasse, creò un nuovo dicastero, il Pont. Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.

Ma l’aspetto piú inquietante a proposito del pontificato di Papa Ratzinger sono le dichiarazioni rilasciate pochi mesi prima di morire, il 27 marzo 2015, da Padre Silvano Fausti, gesuita, confessore del Card. Martini. Probabilmente tali dichiarazioni vanno ridimensionate: erano state presentate dai media come la rivelazione di informazioni riservate in suo possesso; sentendo l’intervista originale (al minuto 10:54 della seconda parte), si ha l’impressione che si tratti piuttosto della rielaborazione/interpretazione personale di qualche mezza confidenza fattagli dal Confratello Cardinale. In ogni caso, sembrerebbe che ci sia stato una specie di accordo fra Martini e Ratzinger durante il Conclave del 2005, in base al quale i voti dell’Arcivescovo emerito di Milano, già malato, sarebbero andati a Ratzinger — esperto di Curia, “intelligente e onesto” — proprio allo scopo di riformare la Curia stessa.
Martini avrebbe quindi aggiunto: «Se riesci a riformare la Curia, bene; se no, te ne vai». Il 2 giugno 2012 (tre mesi prima della sua scomparsa), in occasione della visita del Papa a Milano, il Card. Martini gli avrebbe ricordato il “patto” stretto in Conclave, dicendogli: «È proprio ora [di dare le dimissioni]; perché qui non si riesce a far nulla». Otto mesi dopo, Benedetto XVI annunciò la sua rinuncia al pontificato. Per non essere riuscito a riformare la Curia? Mah.

Con l’elezione di Papa Francesco, la riforma della Curia sembrerebbe essere divenuta uno dei principali obiettivi del suo pontificato. Come abbiamo visto, un mese dopo l’elezione (13 aprile 2013), la Segreteria di Stato diffondeva, in modo alquanto irrituale, un comunicato nel quale annunciava:
Il Santo Padre Francesco, riprendendo un suggerimento emerso nel corso delle Congregazioni generali precedenti il Conclave, ha costituito un gruppo di Cardinali per consigliarLo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana.

Io stesso mi ero occupato della cosa su questo blog. Lí per lí sembrava che il lavoro del nuovo Consiglio dei Cardinali (in un primo momento otto; successivamente nove) sarebbe stato piuttosto spedito. Secondo il Card. Óscar Rodríguez Maradiaga, Coordinatore del Consiglio, la riforma doveva essere pronta nel 2015. Nel febbraio di quell’anno, Mons. Marcello Semeraro, Segretario del Consiglio, in una intervista a Famiglia Cristiana, affermò che non si sarebbe andati «molto piú in là dell’inizio del 2016». Siamo alla fine del 2016, ma la riforma della Curia è ancora di là da venire. L’enumerazione di queste vicissitudini non può non farci fare alcune riflessioni.

1. La Curia Romana è una realtà umana, uno strumento a servizio del Romano Pontefice e della Chiesa universale. Essa non appartiene alla costituzione divina della Chiesa (teoricamente, potrebbe anche non esserci); non per questo ci si può sentire autorizzati a sminuirne frettolosamente il servizio e l’utilità o, peggio, a nutrire l’illusione che se ne possa fare a meno. In quanto realtà umana, essa può — forse deve — essere periodicamente riformata.

2. Che la Curia vada periodicamente riformata, non significa che ogni Papa che viene eletto deve sentirsi obbligato a fare una riforma della Curia. Le istituzioni, per poter funzionare, necessitano di una certa stabilità. Il pensiero che tutto debba cambiare in maniera ricorrente non giova certamente all’autorevolezza e alla credibilità delle istituzioni. Probabilmente sono piú consigliabili interventi mirati, parziali e circoscritti, effettuati quando se ne vede l’impellente necessità, piuttosto che le riforme globali, che andrebbero riservate ai momenti di “svolta” nella storia della Chiesa (come la riforma sistina dopo il Concilio di Trento, quella piana dopo la fine dello Stato Pontificio e quella montiniana dopo il Vaticano II).

3. In ogni caso, qualsiasi riforma burocratica (perché di questo si tratta) rimane sempre un problema relativo. Non può essere il primo né, tanto meno, l’unico problema della Chiesa. Al primo posto, fra le preoccupazioni della Chiesa, devono esserci la conservazione e l’approfondimento del depositum fidei (problema dottrinale) e la diffusione del Vangelo (problema pastorale). Il resto, per quanto importante possa essere, rimane pur sempre secondario e funzionale agli obiettivi prioritari della Chiesa.

4. Un sano “distacco” nell’attuazione delle pur necessarie riforme testimonia la convinzione che la vera riforma della Chiesa non sta nei cambiamenti strutturali, ma nella conversione e nella santificazione delle persone. Allo stesso tempo, esso dimostra che tutto ciò che è umano, per quanto reformatum, rimarrà sempre reformandum; continuerà sempre ad avere dei difetti. Per cui talvolta ci si dovrà chiedere se sia proprio il caso di procedere a una riforma, o se non sia meglio accettare quella realtà cosí com’è, con le sue imperfezioni, senza farsi eccessive illusioni su una sua eventuale riforma. Ogni realtà umana si rivela “viscida”: ci sfugge dalle mani, non riusciamo a tenerla sotto controllo. È interessante notare che di solito si parte con l’intenzione di semplificare, e si finisce invece per complicare; si vorrebbe snellire, e alla fine ci si accorge di aver ulteriormente appesantito (eterogenesi dei fini). In questa prospettiva, le “primizie” della riforma in corso non lasciano bene sperare: la moltiplicazione degli organismi economici (Commissione referente per lo IOR; COSEA; Comitato di sicurezza finanziaria; Autorità di informazione finanziaria; Segreteria per l’economia; Consiglio per l’economia; Ufficio del Revisore generale) e la costituzione dei mega-dicasteri (Segreteria per la comunicazione; Dicastero per i laici, la famiglia e la vita; Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale) fanno presagire che, nella nuova Curia, all’elefantiasi si aggiungerà con molta probabilità la confusione delle competenze.

5. La consapevolezza degli inevitabili limiti propri di ogni realtà umana non deve portare a concludere sbrigativamente che le curie (il discorso che si fa sulla Curia Romana vale per tutte le curie, diocesane o religiose) siano realtà irrecuperabili, formate solo da elementi corrotti, il cui unico interesse sarebbe l’arricchimento personale, la doppia vita, l’arrivismo e la sete di potere.
Queste sono tentazioni presenti dappertutto, anche fra i cosiddetti “preti di strada”; anzi, mi sembra ancora piú grave servirsi dei poveri come di un trampolino per far carriera. La stragrande maggioranza degli uomini di curia svolge il proprio incarico con disinteresse, competenza, professionalità, spirito di servizio e senso del dovere. Forse, una volta ogni tanto, una parola di ringraziamento non guasterebbe e si rivelerebbe piú efficace di tante rampogne.

6. Ciò che sembra piú preoccupante è che questa insistenza sulla riforma della Curia Romana è l’indice di un ripiegamento della Chiesa su sé stessa. È come se la Chiesa, anziché guardare attorno a sé, si limitasse a fissare il proprio ombelico. È significativo che i trecento anni (Sei-, Sette- e Ottocento), in cui non si è avuta alcuna riforma della Curia, con tutte le difficoltà che li hanno caratterizzati, sono stati anche i secoli di maggiore espansione missionaria: quella Chiesa, che avrà pure avuto tanti limiti, pensava a evangelizzare, non a riformare la Curia. Oggi ci preoccupiamo, forse giustamente, di rendere piú trasparente ed efficace la burocrazia, ma nel frattempo abbiamo perso qualsiasi slancio missionario. E forse è questo ciò di cui dovremmo preoccuparci maggiormente.
Q

9.000.000 DI CATTOLICI ABBANDONANO LA CHIESA



BRASILE. LE CIFRE DI UN DISASTRO PASTORALE. NOVE MILIONI DI CATTOLICI ABBANDONANO LA CHIESA IN DUE ANNI.



Marco Tosatti
Dal Brasile vengono le cifre di un disastro. Un sondaggio di Datafolha ha rilevato che gli adulti che si dichiarano cattolici sono passati dal 60 per cento nel 2014 al 50 per cento nel dicembre del 2016.
Questo vuol dire che in due anni circa nove milioni di fedeli hanno deciso di lasciare la Chiesa.
Un dato certamente sconcertante; tanto più se si considera che per la prima volta nella storia sulla cattedra di Pietro siede un Pontefice che provien dal subcontinente latino-americano.
Datafolha ha mostrato che nello stesso periodo c’è stato un incremento importante di persone che non professano nessuna religione. Sarebbero passati dal 6 al 14 per cento negli ultimi due anni.
Nel 2012 la percentuale dei  cattolici dichiarati era del 64,6 per cento.
Il sondaggio indica che il 43 per cento dei cattolici brasiliani vivono nella regione del sudeste, la più sviluppata del Paese, mentre nel nord e nel oeste, si giunge appena al 15 per cento della popolazione.
Il sondaggio di Datafolha ha un margine di errore del 2 per cento. E’ stato realizzato nell’ultimo mese in 174 municipi a livello nazionale, intervistando 2828 persone di età superiore ai sedici anni.
In Brasile, anche se questa recente valanga di abbandoni non ha segnato un’espansione degli evangelici, è opportuno ricordare che metà dei protestanti provengono  dalla Chiesa cattolica.

La maggior parte delle conversioni avvengono prima dei venticinque anni, e i convertiti citano come motivo del cambiamento un maggior rapporto con Dio (77 per cento) e lo stile di culto delle nuove Chiese (68 per cento).

Il segretario della Conferenza Episcopale del Brasile, dom Ulrich Steiner,  ha dichiarato a La Folha di San Paolo che il numero di persone disposte a lottare per la giustizia è più importante della percentuale di cattolici.

mercoledì 28 dicembre 2016

cornacchia guasta-natale



Una cornacchia si è seduta in cima ad un alto abete. Si è guardata attorno con espressione autoritaria e ha emesso un grido di vittoria. 

A questo essere rumoroso sembra davvero che l'abete debba tutto: la sua esistenza, la sua bellezza slanciata, il verde sempre vivo, la forza nella lotta col vento. 

Questa superbia della Cornacchia è stupefacente. Grande benefattrice dell'abete silenzioso! E l'abete neppure trema; sembra che non veda la cornacchia; meditabondo leva i suoi rami verso il cielo. Sopporta tranquillamente l'ospite rumoroso. Nulla turba i suoi pensieri, la sua serietà, la sua pace. Tante nubi sono già passate su di lui, tanti uccelli si sono fermati qui! E se ne sono andati, così come tu te ne andrai. Questo non è il tuo posto, non ti senti sicura e urlando così cerchi di supplire alla mancanza di forza. 
Io sono cresciuto da questa terra e sono piantato con le mie radici nel suo cuore. 

E tu, nube passeggera, che getti un'ombra di tristezza sulla mia cima dorata, sei in balia dei venti. Bisogna sopportarti tranquillamente. Tu gracchi la tua canzone noiosa, senza anima e povera, poi te ne vai. Che cosa riesci a fare con un urlo? Io resto, per perseverare nel raccoglimento, per costruire la mia pazienza, per sopportare turbini e tempeste, per andare sempre più in alto, tranquillamente. Non mi oscuri il sole, non mi affascini, non muti il fine del mio salire. C'era il bosco e voi non c'eravate, non ci sarete e ci sarà il bosco. Una favola? No, non è una favola. 

(Card. Stefan Wyszynski, Appunti dalla prigione 1953-1956, 17 gennaio 1954, domenica)

martedì 27 dicembre 2016

Natale: gioia della vita semplice

Fabrice Hadjadj:  
«Natale dovrebbe essere sinonimo di vita semplice»
 
 
 
 
Figura in ascesa di un cattolicesimo francese senza complessi, il filosofo Fabrice Hadjadj è un critico pungente delle nostre società iperconnesse. Il suo modello alternativo? Gesù, certamente, ma anche gli Hobbit e la Piccola casa nella prateria. Incontro con un pensatore spiazzante.
(Le Temps, 25 dicembre 2016) 
 
Nella penombra della capella di Bourguillon, a Friburgo, Fabrice Hadjadj s'inginocchia per salutare le Vergine. Il filosofo francese insegna da alcuni anni all'Istituto Philantropos, una sortra di collegio cristiano con convitto per ragazze, ubicato vicino a questa capella venerata dai friburghesi.
 
Prolisso e riflessivo, Fabrice Hadjadj non è un intellettuale parigino come gli altri: è la figura di punta di un nuovo movimento cattolico, allo stesso tempo ben introdotto nelle élites francesi e portatore di un messaggio decisamente politico. «Un approccio consapevole di essere minoritario nella società, ma senza complessi», commenta lo specialista delle religioni Jean-François Mayer. Nel caso di Fabrice Hadjadj questo pensiero prende una piega corrosiva, molto critica verso la civiltà globalizzata.
 
Le Temps: Talvolta lei viene presentato come il "guru" di un attivismo cattolico di cui François Fillon sarebbe il campione. È così?
 
Fabrice Hadjadj: Non ho contatti diretti con François Fillon, anche se abbiamo qualche conoscenza in comune. In Francia nel momento in cui si cerca di pensare la famiglia, il rapporto alla nascita e alla terra, si viene etichettati come «reazionari». Nel momento dell'ascesa di Françoic Fillon e del ritorno, di fronte all'islam, della questione cristiana nel dibattito politico si sono cercate delle figure e "Libération" mi ha canonizzato come «santo patrono» e «guru» della «cattosfera». Ma non sono un guru della destra. Non sono nemmeno di destra, se la destra corrisponde al tecnoliberialismo criticato in maniera radicale dai miei lavori. Ciò non toglie, tuttavia, che dopo la «Manif pour tous» i cristiani sono entrati di nuovo nello spazio pubblico.
 
— François Fillon incarna dunque tutto ciò?
 
— È stato primo ministro di Sarkozy, ma sembra meno opportunista e più un uomo di convinzioni. Da quel che ho capito il suo cattolicesimo è più sincero di quello dei suoi predecessori, ma soggiacendo alla gesuitica distinzione tra etica della convinzione e etica della responsabilità non lo esprime in pubblico. Si evolverà? L'adesione di molti cattolici alla sua candidatura mostra in ogni caso che le cose stanno cambiando. I cattolici uniscono in lui la speranza di un'apertura, di una deideologizzazione del rapporto col cristianesimo in Francia.
 
Lo spazio pubblico è sempre politico-religioso
— Come spiegare questo ritorno della questione cristiana? E perché ora?
— Questo accade solo ora in Francia per via della sua certezza di essere portatrice dei «valori universali», un fatto che la rinchiude in una sorta di provincialismo sufficiente. I politici francesi non riescono a comprendere questo ritorno del religioso perché credono all'universalità del laicismo, della secolarizzazione, della relegazione della religione nella sfera privata. È per questo che sono così indifesi di fronte all'islam, che non combacia con la loro griglia di lettura. Ora, questo fenomeno del ritorno del religioso — ipotizzando che sia mai partito — è in atto da anni. Prendete soltanto l'anno 1979: l’ayatollah Khomeyni in Iran, Solidarność in Polonia, la rivoluzione sandinista in Nicaragua, così impregnata di teologia della liberazione... Prima ancora c'è Israele, ma anche la guerra d'Algeria, di cui è la linfa, una volta caduta la maschera del comunismo.
 
Lo spazio pubblico è sempre politico-religioso, che lo si voglia o meno. È per questo che lo Stato deve assicurare uno spazio alla religione: è la condizione di una vera laicità. Il potere politico deve dire che la salvezza delle anime non è affar suo, che lavora per la prosperità temporale di un paese, ma allo stesso tempo deve riconoscere che la salvezza delle anime è essenziale, e assicurare uno spazio a chi è testimone di questo mistero, nei limiti della libertà religiosa, e dunque al di fuori di ogni violenza fondamentalista. Se non lo fa, cade nel laicismo, cioè si costituisce come religione dell'antireligione, col suo clero, con le sue scomuniche, la sua fede nell'autocostruzione dell'uomo.
 
Un prodotto delle multinazionali biotecnologiche
— Il laicismo porta a quel che lei pure denuncia da più di vent'anni, l'avvento dell'uomo aumentato, del cyborg?
— Non direttamente. I governanti francesi si inseriscono nella logica dell'Uomo Nuovo della Rivoluzione francese: una utopia ancora politica, e non tecnologica. Ma quale giovane oggi si riconosce ancora nella storia nazionale del «patto repubblicano»? Non funziona più. E questo ci porta a una situazione senza precedenti: l'Uomo Nuovo non è più il Cittadino, ma il Cyborg. Ora, questo superuomo è in realtà un super-arnese, completamente inserito in e dipendente da un dispositivo tecno-economico. La sua presunta liberazione è una alienazione totale. Quando la vostra coscienza si troverà su un supporto non biologico, potrete pure essere immortali ma anche incepparvi, essere piratati. In ogni caso integralmente dipendenti da un servizio di assistenza e da un fornitore di servizi... Non sarete più figli dei vostri padri, bensì un prodotto delle multinazionali biotecnologiche.
 
Cos'è una vita umana?
— Lei critica, alla stregua del papa, il paradigma tecno-economica. Ma non è una formidabile forza di progresso, di emancipazione per l'umanità?
— È un progresso, certo, ma gli oggetti, non per il soggetto umano: l'impresa tecno-liberale poco alla volta ha spossessato l'uomo di ogni sapere pratico che gli consentiva una certa autonomia rispetto al mercato. Il sogno dell'uomo aumentato è il sogno di uomo che è stato prima diminuito. È quanto mostra molto bene Michel Houellebecq nei suoi romanzi, dove mette in scena un uomo consumatore tanto diminuito da sognare tanto la tecnocrazia quanto l'islam, e questo proprio perché è stato privato delle sue facoltà più essenziali. È per questo che si ridurrà a mendicare al sistema degli impianti oppure a una salvezza automatica.
 
Ora, cos'è una vita umana? Se lei guarda La piccola casa nella prateria si trova davanti un padre di famiglia che lavora la terra, ripara la propria casa, canta coi figli, suona il violino, ha voce in capitolo nell'assemblea del villaggio, va a messa per ringraziare Dio. Tutto questo lo abbiamo ancora? Oggi lavoriamo in un ufficio senza bene sapere a che cosa e se la grande distribuzione si inceppa moriamo di fame nel giro di pochi giorni. La tecnologia ha distrutto le tecniche più umane. Abbiamo creduto che il lavoro veramente umano fosse puramente intellettuale, ma è un errore: la nostra intelligenza passa sempre attraverso le nostre mani. Un tempo trasmettevamo i ferri del mestiere, dei saperi pratici. Ma oggi cosa trasmettiamo? L'innovazione vi intrappola in una obsolescenza che fa sì che non vi sia più nulla da trasmettere. Privati delle nostri mani, privati di una esistenza veramente umana, sogniamo di essere direttamente installati nel mondo virtuale.
 
Ecologia integrale
— Davanti a questo incubo postumano lei si richiama all'ecologia integrale. Di che si tratta?
— Io sostengo innanzitutto quello che si chiama distributismo: dobbiamo ovviamente avere a che fare con le multinazionali, con le nuove tecnologia, ma bisogna anche riappropriarsi dei mezzi di produzione per assicurare la propria sussistenza, riscoprire una economia locale e familiare. I giovani sono completamente saturi di tecnologia. Ecco perché alcuni si danno al jihad. Altri, più illuminati, ricercano la terra. I «neocontadini» sono sempre più fondamentali. Alcuni dei miei vecchi studenti hanno fondato un eco-villaggio a sud di Lione. Dico ai cattolici che non difendere una famiglia eterea, indifferente al modello economico: perché la famiglia sia un luogo vivo, interessante, esse deve essere un luogo in cui si produce, dove entriamo in rapporto con la natura, dove trasmettiamo una cultura.
 
Conosco una giovane coppia a Bruxelles che si è sistemata con altre famiglie. Hanno un orto, dei maiali, dei polli, e lavorano fuori a mezza giornata, per esempio di un'azienda di digitalizzazione... Questi giovani riscoprono una vita con una autentica densità umana, vale a dire carnale e spirituale. Il virtuale non li affascina più perché è stato loro donato nuovamente il reale. Il mio modello, se volete, sono gli Hobbit di Tolkien! Il ritorno al locale risolverà una gran parte dei problemi ecologici facendoci uscire da una crisi che è prima di tutto antropologica.
— Ma, precisamente, in tutto questo dove sta l'ecologia, nel senso di protezione della natura, degli animali?
— Parlando dell'ecologia integrale, papa Francesco parte dall'ecologia scientifica, quella degli ecosistemi e dell'interdipendenza dei viventi gli uni dagli altri. Ma poi va oltre: questa interdipendenza è anche quella degli uomini, del corpo e dello spirito, infine quella della creatura e del Creatore. Il santo padre mette in rapporto la devastazione materiale e la devastazione spirituale. È perché l'uomo non è più capace di vivere l'incarnazione, l'interiorità, la fede in una provvidenza, che ... acquistando dei prodotti che lo distoglieranno dal proprio vuoto. Quando non sappiamo più contemplare il reale, lo divoriamo. Ecco perché l'ecologia integrale è radicata nel vero oikos [«casa» in greco antico]: la famiglia, la prima unione data dall'Autore della natura. Il problema principale non è l'eguale ripartizione delle ricchezze, ma l'eguale ripartizione del capitale, dei mezzi di produzione. Se vogliamo limitare i danni dell'iper-industrializzazione bisogna restituire di nuovo alla famiglia, al quartiere, al villaggio la loro vitalità di luoghi di produzione economica, culturale, artistica e dunque anche politica. Uno spazio pubblico, ma in una giusta dimensione. La casa deve riscoprire il giardino e il laboratorio. Questo sarebbe un autentico contatto con la natura, e non una fantasia buona per la tappezzeria.
 
Natale, luogo di affermazione del paradigma tecno-liberale
— Che pensa del Natale, che oggi appare come un'orgia consumistica? Quale significato deve ritrovare questa festa?
— Il mondo effettivamente approfitta del Natale per lasciarsi andare all'iper-consumo. È un'usurpazione molto problematica. Abbiamo reso il Natale un luogo principe dell'affermazione del paradigma tecno-liberale. Acquistiamo giocattoli fabbricati in Cina per bambini ai quali non sappiamo più raccontare una storia, ci ingozziamo di cibo industriale, della carne soprattutto, senza interrogarci sulla dimensione sacrificale della macellazione. Riappropriarsi del Natale vuol dire anzitutto interrogarsi su questo, rendendosi conto che non corrisponde in nulla a quel che avviene a Betlemme. Laggiù il Verbo si è fatto carne in una famiglia umana, in una economia domestica, fino a diventare carpentiere come suo padre, fino a paragonarsi a un pastore o a un vignaiolo.
 
È la vita pura e semplice, in mezzo al bue e all'asino, che si manifesta nel presepe. Non dico che un simile modo di vivere non presentasse alcun problema. Non rifiuto neppure il progresso. Ma penso che il progresso degli oggetti debba essere subordinato al progresso del soggetto, e che al di là dei problemi ci sia un mistero. Non tutto si gioca nella digitalizzazione del mondo. È buona cosa inventare un nuovo gadget elettronico, è infinitamente meglio creare lo stesso ingegnere, voglio dire mettere al mondo un uomo. Si tratta di accettare pienamente l'avventura umana, dalla nascita alla morte, come luogo della suprema offerta. Ben sapendo che il paradiso celeste non sarà mai quaggiù sulla terra. Perché, come dice Claudel, nel momento in cui l'uomo vuole creare il paradiso in terra realizza un molto rispettabile inferno.
[...]
 
Questionario di Proust
— Se fosse un animale?
­— Un cane, senz'altro. Del genere Golden Retriver: cacciatore, giocherellone, capace di sognare ai piedi del padrone. E tanto docile da essere impiegato per guidare gli ipovedenti e per risvegliare le persone colpite da handicap mentali.
— Se fosse un oggetto?
— Una brocca. Riempita di acqua fresca. Per gli assetati del deserto. Del resto non ho mai compreso per quale motivo «brocco» possa mai essere un insulto [cruche, «brocca», vuol dire anche «scemo»].
— Non uscirebbe mai di casa senza...
— La mia fede nuziale. Mi rendo conto che, anche da nudo, la porto.
— L'applicazione più preziosa dell'iPhone?
— La modalità aereo. O il bottone Interrompi. Qualche mi serve anche per fare pesi e per tenere un libro aperto.
— L'ultimo libro letto?
— Le Odi di Orazio e Quanti guai, piccolo Nicolas [un libro per bambini creato da René Goscinny, lo stesso autore di Asterix].
— L'ultima volta che ha pianto?
— Poco fa. Piango quasi tutti i giorni. Spesso di tristezza e di gioia, come se il «piangere-ridere» fosse il fondo della mia anima.
 
Biografia
15 settembre 1971 — Nascita a Nanterre in una famiglia ebraica di estrema sinistra.
1 marzo 1995 — Pubblicazione di Objet perdu, opera collettanea che co-dirige assieme a Michel Houellebecq e Dominique Noguez.
11 aprile 1998 — Battesimo presso l'abbazia di Saint-Pierre de Solesmes.
22 agosto 2001 — Matrimonio con Siffreine Michel, attrice di teatro franco-svizzera, con la quale ha avuto ad oggi sette figli.

a Natale si festeggia la nascita di Maometto

Il Vaticano a Natale dell'anno scorso ha festeggiato Maometto... 

 

http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2016/12/il-vaticano-di-bergoglio-natale.html
 
 Mai come dall'inizio di questo pontificato abbiamo dovuto constatare la ragione del detto: ogni giorno ha la sua pena. Ciò che siamo costretti a registrare oggi, con dolore oltre che con grande indignazione è inaudito.
 

Come meravigliarci delle blasfeme commistioni che hanno visto i musulmani nelle nostre chiese persino durante l'Eucaristia; gli pseudo presepi con la Madonna che indossa il burka, ecc.?
 
La notizia è dello scorso anno ma leggiamo ora che per la prima volta da 457 anni la notte tra il 24 e il 25 dicembre 2015 ha visto coincidere la ricorrenza della nascita di Gesù e di Maometto. Una citazione improponibile lo conferma. Padre Vincent Feroldi, responsabile delle relazioni con i musulmani della Conferenza episcopale francese, nell'occasione ha scritto: 
"Comunità cristiane e musulmane avranno il cuore in festa. Renderanno grazie a Dio, ciascuna nella propria tradizione, per questa buona novella che è la nascita di Gesù o di Maometto, nascite che saranno fonte di incontro tra uomini e donne credenti e Colui che è fonte di vita, fonte della vita. In tale unità di data rarissima molti vogliono vedervi un segno di Dio".
Non sono mancate neppure le parole di Don Cristiano Bettega, direttore dell'Ufficio della CEI per l'ecumenismo e il dialogo:
"Quest'anno musulmani e cristiani si trovano a celebrare nello stesso giorno la nascita di due figure imprescindibili e preziose della storia". 
Duro il commento di Magdi Allam, che scrive: 
"È arrivato il momento che la Chiesa sappia che se Maometto fosse vissuto oggi e avesse personalmente decapitato 600 o 900 ebrei maschi adulti così come fece nel 627 a Medina (...) sarebbe stato arrestato e condannato alla pena capitale perpetua per crimini contro l'umanità". E ancora: "C'è qualcuno nella Chiesa che è al corrente che Allah nel Corano ha condannato l'ebraismo e il cristianesimo come miscredenza e che tutti i non musulmani devono essere annientati?", chiede provocatorio. Dunque, la conclusione: "Oggi ci stiamo arrendendo persino dentro casa nostra, scegliendo l'eutanasia e affidando all'islam carnefice il compito di staccare la spina".
Io non ho più parole. Mi limito a inserire tre link a precedenti articoli che illustrano ampiamente l'assurdità di quanto sta accadendo, oltre che l'apostasia ormai conclamata degli attuali responsabili di organismi ecclesiali.
 
Richiamo l'attenzione di tutti su contenuti che mostrano la verità e che, se risultano sistematicamente ignorati dal potere egemone, devono essere custoditi e riaffermati da sacerdoti e fedeli ai quali, oggi, è chiesto di abbandonare ogni tepidezza e confessare come unico Signore il Signore Nostro Gesù Cristo. Perché è di questo che si tratta. 

la logica dell’eresia

PRONTI A DARE RAGIONE

di don Alfredo Morselli





1. Se si cede su un punto, salta tutto.

Il Cardinale Caffarra, in occasione di un importante convegno svoltosi a Roma, nel novembre 2015 [1], rispondendo a una domanda circa la possibilità di ammettere alla ricezione dell’Eucarestia i divorziati civilmente risposati, affermò che ciò “non è possibile”: e questo perché "una tale ammissione vorrebbe dire cambiare la dottrina del matrimonio, della Eucarestia, della confessione, della Chiesa sulla sessualità umana e quinto, avrebbe una rilevanza pedagogica devastante, perché di fronte a una tale decisione, specialmente i giovani, potrebbero concludere legittimamente: - allora è proprio vero, non esiste un matrimonio indissolubile - ” [2].

Le affermazioni dell’Arcivescovo emerito di Bologna, mai confutate, sono ancora più attuali, dopo i dubia presentati al Papa dal gruppo dei quattro Cardinali, di cui lo stesso Caffarra fa parte.

In queste note proveremo a spiegare come il Cardinale Caffarra abbia perfettamente ragione, e come la prassi e/o l’ipotesi di ammettere alla S. Comunione i divorziati civilmente risposati comporti effettivamente quello sfacelo dottrinale così chiaramente prospettato.

2. Gli articoli di fede non sono proposizioni svincolate le une dalle altre.

Le proposizioni del Credo si chiamano articoli, perché esse sono compaginate e collegate tra loro come le membra del corpo umano solo collegate tramite articolazioni: negando una sola verità della fede, si finisce - per conseguenza logica - col negane molte altre, se non tutte.

Il Magistero non ha taciuto circa questo nesso tra gli enunciati di fede: il Vaticano I ha parlato di nexus mysteriorum inter se [3], il Vaticano II ha parlato di gerarchia delle verità [4], il Catechismo ha ripreso entrambe le affermazioni, e ci parla di mutui legami coerenza dei dogmi [5].

Il Card. Schömborn ha spiegato poi che con gerarchia delle verità non si intende un (imprecisato) gruppo di verità certe - obbligatorio a credersi -, e altre verità (sempre imprecisate) facoltative per la fede: 
"Gerarchia delle verità significa […] un "principio strutturale organico", da non confondersi con i "gradi di certezza". Tale principio afferma, inoltre, che le diverse verità di fede sono ordinate a/e in funzione di un centro, un nucleo centrale, ma non però che le verità non poste al centro siano, per ciò stesso, meno vere” [6].
Questo nucleo centrale, indicato nel Catechismo di S. Pio X come i due misteri principali della fede (Unità e Trinità di Dio e Incarnazione, Passione e Morte del Nostro Signore Gesù Cristo), in quanto “centro organico”, comprende in sé - in un certo modo - tutti gli altri misteri.

Facciamo un esempio per spiegare questo concetto: “la resurrezione dei morti” dipende da “il terzo giorno è resuscitato”: non per niente San Paolo afferma che, se si nega la resurrezione dei morti, si finisce col negare ala resurrezione di Cristo:
“Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato!” [7]
Così la “vita eterna” dipende dal “Pane della vita”:
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” [8].
Si capisce allora come in alcuni luoghi, fin dall’antichità [9], la recita del Credo fosse accompagnata, nella liturgia, dal segno della croce (rimasto tuttora prescritto, dopo la recita del simbolo, nella forma extra-ordinaria del rito romano). 

Il segno di croce - “segno ammirabile, che congiunge magnificamente l’espressione cristologia e redentrice della fede alla sua espressione trinitaria” [10] - posto alla fine del Credo, indica che i due misteri principali comprendono in sé tutti gli articoli appena proclamati.

Questo stretto legame però comporta anche che un solo articolo non creduto risalga a guastare anche i due misteri principali - o nucleo centrale - della fede.

3. Le tessere del domino.

Cosa comporta dunque ammettere i divorziati civilmente risposati conviventi more uxorio alla ricezione della SS. Eucarestia?
Elencherò i numerosi errori che ne conseguono: molti di questi errori, se sostenuti pervicacemente, sono vere e proprie eresie; il can. 761 del CIC afferma:
“Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica”.
Il CIC descrive qui l’eresia formale, includendo la pertinacia, che è una disposizione dell’eretico: ma un’affermazione può essere eretica materialmente, cioè non considerando tanto come essa è sostenuta, ma prendendo in esame l’enunciato in sé e per sé.

Quando affermo che alcune affermazioni sono eretiche, non intendo né affermare che i pastori siano eretici, né che alcuni documenti siano eretici: ma sono eretiche alcune affermazioni che potrebbero essere dedotte dagli stessi documenti: soprattutto se, partendo da essi, si volessero bypassare le condizioni richieste dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, perché i divorziati risposati possano accedere all'Eucarestia:
“Ciò importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna [non sposati sacramentalmente], per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” [S. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 25-10-1980, § 7] [11].
In questo senso si è espresso recentemente anche il Card. Brandmüller:
"Chi pensa che l'adulterio persistente e la ricezione della Santa Comunione sono compatibili è un eretico e promuove scisma" [12].
Vediamo ora come, qualora si cercasse di rendere compatibili adulterio ed Eucarestia, verrebbe a crollare pressoché tutto l'edificio della nostra santa fede cattolica.


1ª eresia: è lecito accedere all’Eucarestia non in grazia di Dio.


Che la suddetta affermazione sia eretica, è evidente per il fatto che vengono contraddette verità proposte costantemente dalla Chiesa come fondate sulla S. Scrittura; così insegnava S. Giovanni Paolo II:
«Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell'apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, “si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale”» [13].
"La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia" [14].
Per poter ammettere i divorziati civilmente risposati conviventi more uxorio alla ricezione della SS. Eucarestia, cercando vanamente di non contraddire la plurisecolare Tradizione della Chiesa, bisogna sostenere che in qualche caso l’adulterio non è peccato mortale; ma così facendo, si incorre nelle seguenti due eresie (la 2ª e la 3ª):

2ª eresia: non esistono atti intrinsecamente cattivi (cioè atti che, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, sono sempre peccato grave)


Al contrario, San Giovanni Paolo II insegna:
Alla luce della Rivelazione e dell'insegnamento costante della Chiesa e specialmente del Concilio Vaticano II… Ciascuno di noi conosce l'importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell'insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l'autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l'intera società, con la riaffermazione dell'universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi. 
Nel riconoscere tali comandamenti il cuore cristiano e la nostra carità pastorale ascoltano l'appello di Colui che «ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19). Dio ci chiede di essere santi come egli è santo (cf Lv 19,2), di essere — in Cristo — perfetti come egli è perfetto (cf Mt 5,48): l'esigente fermezza del comandamento si fonda sull'inesauribile amore misericordioso di Dio (cf Lc 6, 36), e il fine del comandamento è di condurci, con la grazia di Cristo, sulla via della pienezza della vita propria dei figli di Dio. ” [15].
E il Catechismo ribadisce:
“ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene” [16].
3ª eresia: la fornicazione e l'adulterio non sono sempre peccati mortali.


Come anche questa affermazione sia eretica, si evince constatando come essa sia contraddittoria rispetto a quanto, ad esempio, ha dichiarato la Congregazione per la Dottrina della Fede:
“…secondo la tradizione cristiana e la dottrina della chiesa, e come riconosce anche la retta ragione, l'ordine morale della sessualità comporta per la vita umana valori così alti, che ogni violazione diretta di quest'ordine è oggettivamente grave” [17].
Per sostenere che la fornicazione e l'adulterio non sono sempre peccati mortali, si incappa in…

a) un assurdo uso di Gaudium et spes, usata per sostenere che in alcuni casi il peccato fa bene all’amore, applicando ad una relazione adulterina il principio per cui se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51; cf Amoris laetitia, nota 329)…

…e…

b) …nella 4ª eresia: le circostanze possono rendere buone azioni intrinsecamente cattive…


…quando invece il CCC afferma che:
“…le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva” [18].
Per sostenere che le circostanze possono attenuare la malizia della fornicazione e dell’adulterio, si cade in altre due eresie:

5ª eresia: talvolta può mancare l'aiuto di Dio per non peccare



6ª eresia: potrebbe esistere una situazione in cui non ci sia altra possibilità che peccare…


…quando invece San Paolo afferma:
“Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere” [19]
…e il Concilio di Trento definisce:
“Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l'impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi, (1Gv 5,3) il suo giogo è soave e il peso leggero (Mt 11,30). Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano - come dice lui stesso (Gv 14,23) - osservano le sue parole, cosa che con l'aiuto di Dio certamente possono fare” [20].
Siccome poi per accostarsi alla S. Comunione occorre confessarsi, allora viene a crollare il sacramento della Penitenza, dovendo ammettere che…

7ª eresia: è possibile assolvere chi non ha il proponimento di non più peccare…

…quando invece San Giovanni Paolo II insegna:
“Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire” [Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1676]” (CCC 1451). Inoltre “'atto essenziale della penitenza, da parte del penitente, è la contrizione, ossia un chiaro e deciso ripudio del peccato commesso insieme col proposito di non tornare a commetterlo, per l'amore che si porta a Dio e che rinasce col pentimento. Così intesa, la contrizione è, dunque, il principio e l'anima della conversione” [21].
Infatti, ribadisce San Giovanni Paolo II…
“…se questa disposizione dell’anima mancasse, in realtà non vi sarebbe pentimento: questo, infatti, verte sul male morale come tale, e dunque non prendere posizione contraria rispetto ad un male morale possibile sarebbe non detestare il male, non avere pentimento” [22].
Oppure dovendo ammettere che:

8ª eresia: chi è in stato di peccato mortale vive in grazia di Dio…

…quando invece il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che:
“Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia” [23].
Inoltre dobbiamo chiederci che fine faccia il precedente matrimonio dei divorziati civilmente risposati, che fine fa? Svanisce nel nulla, permane, o che altro? Se è fallito, il matrimonio non c’è più o sussiste?

Diventa difficile salvaguardare la seguente affermazione del Catechismo:
“Questa inequivocabile insistenza sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un'esigenza irrealizzabile [Cf. Mt 19,10]. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, [Cf. Mt 11,29-30] più pesante della Legge di Mosè” [24].
4. La concezione volontaristica della legge e l’eresia sulla misericordia

La legge è stata concepita - nella storia del pensiero - secondo due principali paradigmi:

a) una concezione che possiamo chiamare volontaristica, che può essere sintetizzata nel verso di Giovenale: “hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas” [25].

Secondo questo principio una legge ha la sua ragione d’essere solo nella volontà che la promulga, sia essa divina o umana.

b) Una seconda concezione, che possiamo chiamare intellettualistica, che è invece fondata sul principio “bonum est secundum rationem esse”: ovvero c’è un essere che precede la volontà del legislatore, a cui il legislatore stesso si deve adeguare. Ed è per questo che San Giovanni Paolo II ha potuto affermare che "l'esigente fermezza del comandamento si fonda sull'inesauribile amore misericordioso di Dio (cf Lc 6, 36)" [26].

Se si considera la proibizione ai divorziati civilmente risposati di accostarsi all’Eucarestia come un atto non misericordioso o come il lancio crudele di una pietra, si rischia di appoggiarsi sulla prima concezione della legge: secondo questa concezione, gli uomini decidono di imporre un certo carico o un certo peso; se questi dipendono solo dalla volontà del legislatore, potrebbero essere realmente insopportabili.

Ma se invece la legge è iscritta in ogni uomo, e dipende da un progetto sapiente di Dio: se il Padre, per creare l’uomo, ha guardato questo progetto, che è una persona, il Verbo (“Io ero presso di lui come artefice”; Prov 8,30), secondo il quale e in vista del quale sono state create tutte le cose… allora non può essere misericordia concedere all’uomo di non essere quello che è.

La legge guida l’uomo a vivere secondo la propria natura, ovvero - come dice San Tommaso d’Aquino, realizzando in sé l’immagine di Dio [27].

Assecondare un atto cattivo significa dire all’uomo: “siccome sono misericordioso, ti concedo di non realizzare in te l’immagine divina”: l’alternativa non è solo la mancanza dell’ottimo, ma la morte, salario del peccato, esito esiziale che il diavolo cerca di nascondere: “Non morirete affatto!” [28].

Non può essere misericordia far credere all’uomo che è bene ciò che è invece il suo male, e incoraggiare due persone che non sono marito e moglie a vivere come se lo fossero.

E così non può essere misericordia fare assumere un sacramento che significa la perfetta unione con Cristo mediante la fede e la carità, quando questa unione non è perfetta e in atto, ma è imperfetta riguardo alla fede e in potenza riguardo alla carità: e quindi le specie consacrate assunte si trovano ad essere imprigionate in un corpo, senza potere in alcun modo beneficare quella persona che - senza le dovute disposizioni - le riceve.

La concezione volontaristica della legge è una sorta di meta-eresia che pervade oggi l’atmosfera ecclesiale, humus nel quale si sviluppano ora l'una ora l'altra delle suddette eresie.

Conclusione

Eravamo partiti dalle affermazioni del Cardinale Carlo Caffarra, secondo le quali l’ammissione dei divorziati civilmente risposati all’Eucarestia, a meno che questi non vivano più more uxorio, comporta lo sfacelo di tutta la dottrina cattolica. Abbiamo visto che queste affermazioni sono tutt’altro che un’esagerazione.

Quando il porporato rilasciò le dichiarazioni testé esaminate, Amoris laetitia non era ancora uscita, e così egli poteva concludere l'intervista in questo modo:
“Le aperture di Papa Francesco sono diverse, non è una apertura che vuol dire cambiare la dottrina, vuol dire avere un atteggiamento vero, pastorale verso le persone, qualunque sia la loro condizione” [29].
Dopo A.L.?

Solo una risposta autorevole del Magistero, che risponda ai dubbi, e che chiarisca le ambiguità oggettive, può portare un po' di chiarezza, in questo clima di confusione che si è venuto a creare nella Chiesa, soprattutto a partire dai due ultimi sinodi sulla famiglia.

* * *

È proprio vero che il demonio, come dice Dante, è löico [30], estremamente logico, e, posto un errato principio, ne deduce una lunga serie di eresie, con una perfetta conseguenza logica.

Ma se il demonio è logico, la Madonna è sapiente, e con la sua sapienza, che infonde nei suoi devoti, schiaccia la testa del serpente eretico. Che l'attesa della certissima vittoria possa abbreviarsi.
NOTE
[1] "Permanere nella verità di Cristo" - Convegno internazionale in vista del Sinodo sulla famiglia, Roma, 30 settembre 2015. Per un resoconto esaustivo, cf. http://tinyurl.com/hwhbc3b.
[2] È possibile vedere il video dell’intervista qui: https://youtu.be/iKRLWE96RCw
[3] “Certo quando la ragione, illuminata dalla fede cerca assiduamente, piamente e nei limiti dovuti, con l’aiuto di Dio consegue una certa conoscenza molto feconda dei misteri, sia per analogia con ciò che conosce naturalmente, sia per il nesso degli stessi misteri fra loro e col fine ultimo dell’uomo” (“Ac ratio quidem, fide illustrata, cum sedulo pie et sobrie quaerit, aliquam Deo dante mysteriorum intelligentiam eamque fructuosissimam assequitur tum ex eorum, quae naturaliter cognoscit, analogia, tum e mysteriorum ipsorum nexu inter se et cum fine hominis ultimo”) DS/26, 3016. 
[4] “…esiste un ordine o «gerarchia» nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana” [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 11].
[5] CCC § 90: “I mutui legami e la coerenza dei dogmi si possono trovare nel complesso della Rivelazione del Mistero di Cristo” [Cf. Concilio Vaticano I: Denz.-Schönm., 3016: “nexus mysteriorum”; Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25].
[6] Joseph Ratzinger, Christoph Schömborn, Breve introduzione al catechismo della Chiesa cattolica, Roma 1994, p. 41.
[7] 1 Cor 15, 12-13.
[8] Gv 6,51.
[9] Cf. ad esempio i discorsi 57, 59 e 60 di S. Pietro Crisologo (PL XXXII, 360 D, 365 B, 368 C).
[10] “Signe admirable, qui joint magnifiquement l’expression christologie et rédemptrice de la foi à son expression trinitaire”; H. de Lubac, La foi chrétienne. Essai sur la structure du Symbole des Apôtres, Paris:Aubier-Montaigne, 1970/2, p. 91.
[11] Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, § 4.
[12] "Wer fortgesetzten Ehebruch und den Empfang der Heiligen Kommunion für vereinbar hält, ist Häretiker und treibt das Schisma voran", Der Spiegel, 23.12.2016, http://tinyurl.com/hbubhtk. 
[13] Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, 17-4-2003, § 36.
[14] Esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, § 84.
[15] Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 115, grassetto redazionale.
[16] CCC 1756.
[17] Dichiarazione circa alcune questioni di etica sessuale – Persona humana, 29 dicembre 1975.
[18] CCC 1754. 
[19] 1 Cor 10,13.
[20] Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11, DS/40 1536.
[21] Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2-12-1984, § 31, III.
[22] Lettera al Card. William W. Baum in occasione del corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, 22-3-1996, § 5.
[23] CCC 1861.
[24] CCC 1615.
[25] Satura VI, 223.
[26] Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 115.
[27] “…restat ut consideremus de eius imagine, idest de homine, secundum quod et ipse est suorum operum principium, quasi liberum arbitrium habens et suorum operum potestatem”: S. Th. Iª-IIae pr.
[28] Gen 3,4.
[29] Vedi note 1) e 2).
[30] Inferno, XXVII; 123.