mercoledì 31 agosto 2011

d. Giuseppe A. Lavecchia

SACERDOS IN AETERNUM

24  Agosto 2011


Alitò su di loro e disse: « ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi ». Gv. 20, 22-23

Ricevi le offerte del popolo santo
per il sacrificio eucaristico;
renditi conto di ciò che farai,
vivi il mistero posto nelle tue mani,
e sii imitatore di Cristo
immolato per noi.
                                           dalla Lit.


Mons. Salvatore Ligorio Arcivescovo di Matera-Irsina
impone le mani a d. Giuseppe A. Lavecchia 



martedì 30 agosto 2011

FERRANDINA:
FESTA DI S. FILIPPO BENIZI 2011 









La prima puntata RaiUno l’ha mandata in onda in fascia notturna, martedì 23 agosto dopo l’una di notte.
Eppure “Musulmani Europei”, un’inchiesta in quattro puntate (da 50 minuti ciascuna) sull’Islam in Europa (Testi e regia: Luca De Mata. Supervisione: don Nicola Bux, teologo, e Mustaphà Mansouri, membro del Comitato per l’Islam in Italia presso il Ministero dell’Interno), avrebbe meritato ben altro orario. E, infatti, in Rai sembra l’abbiano capito: domani la messa in onda di “Musulmani europei” verrà anticipata.
Perché il documentario di De Mata è un tentativo coraggioso e inedito: raccontare dal campo la realtà musulmana in Europa. Quanti sono i musulmani nel nostro continente? Dove stanno? Cosa fanno?
Corpo centrale dell’inchiesta è la questione della convivenza, della comprensione, della tolleranza, della libertà, della democrazia, della reciprocità dei diritti, della centralità della persona e dell’integrazione. E’ un tema che riguarda tutti, non per pregiudizi di contrasto culturale, quanto per una reale e concreta paura della diversità, del non conosciuto futuro di tutti noi.
La domanda che viene posta è se sia possibile vivere il contatto con l’Islam percependolo come una grande opportunità per riscoprire valori forti quali solidarietà, preghiera, spiritualità e non intolleranza, quando non estremismo terroristico?
Trovi qui la prima puntata.

Pubblicato su palazzoapostolico.it martedì 30 agosto 2011

L'islam è la prima religione in Francia. O forse no

di Massimo Introvigne - Da "La Bussola Quotidiana" del 29-08-2011

Diversi giornali europei, compresi alcuni italiani, hanno dato rilievo nei giorni scorsi a uno studio pubblicato il 18 agosto dall'Hudson Institute di New York, il quale documenterebbe il sorpasso dei musulmani sui cattolici praticanti in Francia. Secondo lo studio, la pratica domenicale cattolica è scesa in Francia al 4,5% di coloro - il 64% - che si dichiarano cattolici, cioè in ogni weekend si recano a Messa un milione e novecentomila francesi, il 2,9% della popolazione totale. Per contro si dichiara "praticante" il 41% dei sei milioni di musulmani "etnici" presenti in Francia - dei quali il 75% si proclama "credente" - il che consentirebbe di stimare gli islamici praticanti a due milioni e mezzo, dunque ben di più dei cattolici che dichiarano di andare a Messa tutte le domeniche.

Meno rilevante, ancorché ampiamente pubblicizzato, è il dato delle nuove moschee e sale di preghiera costruite negli ultimi dieci anni in Francia: più di mille, contro venti nuove chiese cattoliche nello stesso decennio, che ha però visto la demolizione o la vendita - in alcuni casi proprio a musulmani che li hanno trasformati in moschee - di sessanta luoghi di culto cattolici. Questi numeri non sono sorprendenti, perché è evidente che il numero dei musulmani è molto aumentato per ragioni d'immigrazione e di demografia, mentre come minimo non è cresciuto quello dei cattolici.

Ma è vero che sono ormai di più i musulmani? Per rispondere a questa domanda occorre considerare tre elementi. La prima è che ogni statistica è autorevole quanto la è chi la propone. I dati grezzi vengono dall'IFOP, l'Istituto Francese di Opinione Pubblica, ente di ricerca molto autorevole con legami al mondo confindustriale transalpino, ma l'elaborazione è dell'Hudson Institute, una delle tante fondazioni del mondo conservatore americano diretta da esponenti della comunità ebraica degli Stati Uniti e fortemente filo-israeliana e anti-islamica, dunque interessata a sottolineare il «pericolo musulmano» in Europa. Ma va anche detto che si tratta di un istituto che lavora spesso per il governo statunitense e produce documenti di discreta qualità.

Il secondo elemento è che siamo di fronte a dati ottenuti tramite indagini telefoniche. A rigore l'indagine non ci dice quanti francesi vanno a Messa o «praticano» l'islam ma quanti, raggiunti da una telefonata, «dicono» di andare a Messa o affermano di essere musulmani praticanti. È stato dimostrato da tempo - tra l'altro in un'indagine italiana diretta dal sottoscritto insieme a PierLuigi Zoccatelli in Sicilia, che non è però l'unica in materia - che le affermazioni sulla pratica religiosa di chi risponde a interviste telefoniche non coincidono con le rilevazioni effettuate nello stesso periodo e nella stessa area alle porte dei luoghi di culto. In Italia - come in Polonia, dove sono stati condotti studi molto approfonditi sul tema - i dati evidenziano un «over-reporting», cioè il numero di coloro che affermano, raggiunti al telefono, di andare a Messa alla domenica è più alto delle presenze alla Messa rilevate con una minuziosa conta alle porte delle chiese. Per esempio, nella nostra indagine in Sicilia, la pratica dichiarata al telefono è del 30,1%, quella rilevata effettivamente nelle chiese è del 18,3%. Dati davvero molto simili sono emersi in Veneto. Se però in Italia è alto il numero di coloro che pensano che andare a Messa sia il comportamento socialmente preferibile, e forse aspirano ad andarci tutte le domeniche - così che rispondono di sì all'intervistatore anche se poi effettivamente non vanno a Messa -, in Francia diversi sociologi hanno ipotizzato che avvenga il contrario, che ci sia non un «over-reporting» ma un «under-reporting». È possibile cioè che in Francia andare a Messa sia ormai considerato qualcosa di fuori moda e socialmente «strano», così che alcuni che ci vanno non osano confessarlo all'intervistatore telefonico. Basta l'osservazione a occhio nudo a Parigi o altrove per capire che i francesi cattolici vanno a Messa molto meno degli italiani, ma che davvero siano scesi sotto il tre per cento della popolazione dovrebbe essere confermato da ulteriori indagini che procedano per conteggi presso le chiese - purtroppo complessi e costosi - e non solo per telefono.

Il terzo aspetto è quello che deve rendere cauti nel parlare di un "sorpasso" dell'islam. Anzitutto, non è corretto considerare cattolico solo chi va a Messa tutte le domeniche. Il cattolicesimo contemporaneo è fatto di cerchi concentrici: chi va in chiesa tutte le settimane, chi ci va una volta al mese, chi due volte all'anno e chi solo per i matrimoni e i funerali ma comunque si sente cattolico. In questo sistema complesso rimane comunque vero che anche per l'IFOP e per l'Hudson Institute il 64% dei francesi, cioè una solida maggioranza, si considera cattolico. E non si tratta solo di affermazioni di comodo, perché per esempio è proprio in Francia che diverse organizzazioni di sostegno alla Chiesa Cattolica nel mondo, tra cui l'Aiuto alla Chiesa che soffre, raccolgono il massimo di offerte. Chi non va a Messa ma mette mano regolarmente al portafoglio per la Chiesa è uno strano cattolico, ma nello stesso tempo è qualcuno che s'identifica non solo a parole con la comunità dove è stato battezzato.

Ma soprattutto il dibattito è infinito su che cosa significhi essere islamico "praticante". Se si parla di chi va in moschea, le poche indagini europee mostrano sia una bassissima affluenza sia un clamoroso over-reporting: circa il 7% dei musulmani europei dice di frequentare le moschee, ma i conteggi fuori del mese di Ramadan quasi ovunque si fermano sotto il 2%. Tuttavia, andare in moschea non equivale ad andare a Messa. Per la maggioranza delle scuole giuridiche e teologiche musulmane la frequentazione della moschea non è neppure uno dei doveri obbligatori del culto. È obbligatorio pregare, ma la preghiera quotidiana può essere fatta dovunque. È anche obbligatorio digiunare durante il Ramadan, ma da solo il digiuno del Ramadan prova di più un'identificazione etnica con la comunità che un vera pratica religiosa regolare. Con un criterio condivisibile, dunque, l'Hudson Institute non ha considerato i musulmani francesi che dichiarano di digiunare durante il Ramadan - che sarebbero quattro milioni e duecentomila, oltre il doppio dei cattolici che si dicono praticanti - ma solo quelli che affermano sia di osservare il Ramadan sia di essere fedeli alle preghiere quotidiane, appunto due milioni e mezzo di persone.

Se chiamiamo queste persone "praticanti" - il che corrisponde solo a uno dei possibili significati del termine per i musulmani, ma non è assurdo - effettivamente sono di più di coloro che dichiarano di andare a Messa tutte le domeniche in Francia. Tuttavia anche questa dei musulmani è una pratica "telefonica": si riferisce a chi "dice" di rispettare l'obbligo della preghiera quotidiana, oltre al Ramadan, e controllare se prega davvero è ancora più difficile che verificare quanti vanno effettivamente a Messa. In genere, i musulmani sono orgogliosi di esserlo e molte statistiche sulle pratiche religiose islamiche soffrono di un cronico over-reporting.

L'annuncio del "sorpasso" musulmano in Francia va dunque preso con benefico d'inventario. Restano però due dati certi. Il primo è che, nonostante tutta una letteratura sull'effetto secolarizzante che una società come quella francese dovrebbe avere sui musulmani, specie giovani, gli islamici continuano a crescere di numero e affermano almeno nei sondaggi telefonici una forte identificazione con la loro religione. La seconda è che, per quanto si debba considerare il possibile under-reporting, la pratica francese è comunque da molti anni la più bassa del mondo nei Paesi di tradizione cattolica, ed è verosimile che continui a scendere, anche se - come si è accennato - resistono altre forme d'identificazione con il cattolicesimo diverse dalla frequenza alla Messa.

Perché la Francia sia così diversa dall'Italia - dove la pratica dichiarata è dieci volte superiore, e quella effettiva, più difficile da misurare, probabilmente superiore intorno alle cinque volte - è una questione su cui i sociologi s'interrogano da anni. Le risposte fanno riferimento sia a un fattore esterno alla Chiesa - la propaganda laicista che dalla Rivoluzione francese in poi, soprattutto nelle scuole pubbliche, è più martellante che in Italia e che, nonostante sia spesso molto rozza, dopo oltre due secoli evidentemente ha ottenuto i suoi effetti - e a diversi fattori interni: il dominio di una teologia progressista, popolare fra gli intellettuali ma non fra il popolo, e la sorda ostilità di una parte della gerarchia - venuta meno, è vero, ma solo in anni recenti - ai movimenti laicali, che in Italia hanno invece avuto un ruolo decisivo. Sia come sia, ce n'è abbastanza per meditare. E per sperare che non sia vera l'affermazione, in tema di pratica religiosa, del cardinale Carlo Maria Martini a un seminario della Fondazione Agnelli di qualche anno fa secondo cui «l'Irlanda - dove allora si andava a Messa due volte più che in Italia, ma questo succedeva prima della crisi dei preti pedofili - è il nostro passato e la Francia è il nostro futuro». Ma dipende da noi, e dalla nuova evangelizzazione.

Nota di Messainlatino: Meditiamo, cari cattolici. Meditiamo! E buon lavoro, tra gli altri, a Mons. Fisichella, ricordandogli che, ne siamo convinti, la nuova evangelizzazione dell'Occidente passa (anche) dalla Liturgia Tradizionale.                                                                                             Roberto

lunedì 29 agosto 2011

30 AGOSTO
B. ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER
Vescovo



1. En, Ildefonse, laudibus
laetissimis te tollìmus,
tuum favorem seduli
dum quaeritamus caelicum.

2. Quam tu iuventa floridus
amplexus es iam Regulam,
hanc corde semper intimo
secutus es firmìssimus.

3. Pius, modestus, innocens,
intentus et scientiae,
oratìoni deditus,
pacem ferebas fratrìbus.

4. Quibus, ciente Spiritu,
cum praesul apte diceris,
virtutis offers iugiter
exempla pulchra et optima.

5. Tu caritatis percitus
zelique fiamma vivida,
ad sancta caeli culmina
fratres et omnes excitas.

6. Sit Trìnitatì gloria,
quam, te ìuvante, perpetim
cum gaudio videbimus,
tecum novantes cantica. Amen.

SECONDA LETTURA
Dagli scritti monastici del beato Alfredo lldefonso Schuster, vescovo (Dagli scritti)
Il monaco benedettino
Alla Messa in onore di san Benedetto e degli abbati in genere è assegnata quella pericope del Vangelo di Matteo, in cui san Pietro domanda al Signore: «Ecco, noi abbiamo abbandonato tutto, che cosa avremo in premio?». Rispose il Maestro: «Tutti voi che, abbandonando ogni cosa, vi siete posti alla mia sequela, nella rinnovazione, allorché il Figlio dell'Uomo si assiderà in trono nella gloria della sua maestà, prenderete posto su altrettanti troni, per giudicare anche voi le dodici tribù d'Israele. E chiunque per mio amore avrà fatto altrettanto lasciando ogni cosa propria, riceverà il centuplo anche in mezzo alle tribolazioni della vita presente, e conseguirà poi la vita eterna» (cfr. Mt 19, 27-29). Osserva san Pier Damiani che questa pagina del santo Vangelo è quella che ha presieduto alla fondazione di innumerevoli monasteri; è quella che ha popolato di anacoreti i deserti e le solitudini; è quella che ha inviato al cielo legioni di santi, santificando al tempo stesso tutta quanta la Chiesa militante. Purtroppo, i fedeli generalmente meditano poco questo brano evangelico, come forse non lo meditano abbastanza neppure i religiosi. Ecco donde trae origine un abbassamento di tono anche nel monachesimo.
San Girolamo osserva che molti filosofi nell'antichità greca hanno spregiato ed abbandonato i beni terreni, riducendosi a non possedere proprio più nulla; come fece, per esempio, Diogene, che gettò via siccome superflua persino la ciotola per bere alla pubblica fonte!
Ma la perfezione non sta qui; onde il Divin Maestro aggiunse a lode degli Apostoli: «E mi avete seguito». Ecco in che cosa propriamente consista la perfezione cristiana.
Rivestire la cocolla monastica e vivere in monastero; cantare i salmi in coro e processionare intorno al chiostro in ciascuna domenica; eseguire a perfezione un graduale, o un responsorio gregoriano: tutto questo non è ancora essere monaco.
E’ un buon monaco invece chi, eseguendo fedelmente tutto questo, attende soprattutto ad imitare Gesù, mite ed umile di cuore. Ecco perché alla fine del Medio Evo l'autore di un libro che contiene quasi la medulla della Santa Regola, volle imitarlo De Imitatione Christi.
Chi amorosamente segue Cristo ed abbraccia la sua Croce, tramite Regula, questi davvero è un buon monaco benedettino, il monaco appartiene alla categoria degli Angeli. Le sue occupazioni sono: l'esercizio delle opere di misericordia, la missione di pace, ed il sacrificio della Divina Lode.
Il concetto che lo stato monastico rispecchi in terra lo stato angelico è comune ai Padri di Oriente, i quali perciò chiamano addirittura angelico l'abito dei monaci perpetuamente a Dio consacrati. Gli Angeli che, secondo la leggenda, trasportarono da Alessandria al Sinai il corpo di santa Caterina, furono probabilmente i monaci, i quali ancor oggi lo custodiscono in quell'antichissimo cenobio ai piedi del Sacro Monte.
Considera, o monaco, la dignità tua. Indossi un abito angelico, professi una Regola Santa, sei compreso nella categoria degli Angeli, la tua vita ... dev'essere angelica. Si legge nelle storie del monachesimo egiziano che una volta il demonio si bisticciava con san Macario, al quale rimproverava l'inferiorità del suo stato: «In che cosa, o monaci, voi siete a noi superiori? Voi siete casti; ma noi non abbiamo neppure il corpo. Voi vegliate di notte; ma noi non conosciamo mai il sonno. Voi digiunate spesso; ma noi non gustiamo mai cibo alcuno. In che cosa, adunque, voi siete a noi superiori?». Rispose Macario: «Noi siamo umili, e voi siete superbi». Ciò udito, il diavolo, scornato, prese la fuga. Al pari degli Angeli, il monaco non ha più diritto alcuno sul suo corpo, se non quello di valersene per offrirlo in sacrificio al Signore, come fece Abramo col capretto ritrovato sul Moria.
A somiglianza degli Angeli, il monaco su questa terra né ha, né può avere mai il possesso dei beni materiali. Il suo possesso è il Signore, al quale detto col Salmista; «La mia porzione di eredita mio calice è il Signore: è lui che mi rende l'eredità (Sal 15).
Puro, umile e povero, che cosa manca al monaco perché sia un Angelo? “Monachus est angelus” perché, al pari degli Angeli, egli non è più di questo mondo ma ne vive quasi ai margini, affinché il mondo ne sia edificato.
Quando, col decorrere dei tempi e col modificarsi delle civiltà, i cristiani un giorno potranno domandare se il santo Vangelo è ancor oggi eseguibile la Chiesa mostrerà loro la vita religiosa in tutta la sua molteplice efflorescenza, dimostrando cosi perenne vitalità e l'attualità del Codice di Cristo

RESPONSORIO (Sal 15, 5-6; At 21).
II Signore è mia parte di eredità e mio calice, nelle tue mani è la mia vita.
Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi; * è magnifica la mia eredità.
Non ho desideralo né argento, né oro, né la veste di nessuno,
è magnifica la mia eredità.

ORAZIONE Dio onnipotente, che hai concesso al beato Alfredo Idefonso di edificare, come buon pastore, il gregge a lui affidato con le sue virtù esemplari, donaci di seguirne gli insegnamenti e di camminare senza incertezze sotto la guida del Vangelo fino a contemplarti nel tuo Regno eterno. Per il nostro Signore.

Deus, qui monasticae conversationis studio ac pastorali magni gregis cura beatum Ildefonsum (Alfredum) dedisti nobis esemplar insigne, ipsìus interventione concede, ut evangelicae perfectionis iter sedulo prosequamur, et ad fìdelium tuorum salutem semper impendamus affectum. Per Dominum.


domenica 28 agosto 2011

LETTERA APERTA A MONSIGNOR ADRIANO CAPRIOLI SUL DISASTRO DI REGGIO EMILIA


Eccellenza carissima,

sono all’incirca le due e mezza di notte e le confesso di non riuscire a prendere sonno dopo aver letto numerosi aggiornamenti sulla vicenda dell’adeguamento liturgico del duomo di Reggio Emilia. Forse è colpa di qualche mio lettore affezionato che mi ha sollecitato a occuparmi di una faccenda che avevo probabilmente sottostimato, forse è solo colpa del caldo, eppure credo che questo senso di angoscia che mi induce a scriverle scaturisca dalla natura poco cristiana della rivoluzione artistica e architettonica in atto nel duomo.

Lei, Eccellenza, ha raggiunto da qualche mese i 75 anni, età veneranda che solitamente ispira rispetto e devozione, sebbene personalmente abbia incontrato nel corso degli anni settantenni che si ostinano ad esercitare il proprio potere con spregiudicata prepotenza. Non credo, tuttavia, che questo sia il suo caso. O almeno lo spero. A 75 anni potrebbe essere nonno della mia generazione e custodire, per noi giovani, tesori di saggezza e di speranza, tramandare quanto di buono ha coltivato per questi lunghi anni e insegnarci il rispetto per le tradizioni: questo è in fondo il senso del tradere.

Supermega concelebration nel duomo adeguato...

In quanto Vescovo poi il suo tradere è ancor più antico e solenne: lei dovrebbe tramandare alle sue pecorelle d’ogni età la buona novella, una buona novella annunciata duemila anni fa con le parole, i gesti, gli avvenimenti, gli esempi della vita quotidiana della Palestina di duemila anni fa. Parole, gesti, avvenimenti, esempi che non certo a causa della loro vetustà vengono ignorati da molti contemporanei, quanto piuttosto per l’orgoglio e la tracotanza di un’umanità che crede esaurita nel presente e nel progresso la propria perfezione e vive il futuro come mera profezia di un accresciuto potere sulle cose e sulla vita, potere d’eternità mondana, potere di salute, potere di eterna giovinezza, amore del potere che è agli antipodi della salvezza ultraterrena.
Questo lei dovrebbe tramandarci e invece, abbracciando le leggi dell’umanità che si crede redenta solo dall’orgoglio e dalla tracotanza, ha deciso di trasformare la Cattedrale che una lunga sequela di Pastori della Chiesa le affidò anni fa, in una oscena galleria d’arte contemporanea, spezzando ogni continuità e sprofondando nella risibile follia che s’accompagna spesso al gusto del superfluo.

Non so se si sia chiesto insistentemente se nel manomettere una antica chiesa sia opportuno o meno farsi guidare dall'umiltà, mi auguro di sì. Personalmente credo che per un Vescovo questa umiltà dovrebbe consistere nel trattenere la mano dall’apportare insistenti modifiche alle più antiche dimore di Dio che per un breve lasso di tempo sono affidate alla sua cura. D’altronde non saprei se l’ostinata volontà di lasciare un segno evidente e permanente nell’armonia dell’architettura e dell’arte sacra costituisca un indiscutibile segno di superbia e vanagloria. Lo lascio giudicare a Dio, naturalmente. Ma almeno mi consenta di affermare che se non umiltà, dinanzi alle manomissioni architettoniche e artistiche che quotidianamente si compiono nelle nostre chiese servirebbe almeno un po’ di pudore.
Eh sì, pudore, Eccellenza, pudore! Perché suonano ad esempio spudorate alcune sue affermazioni come la seguente, tratta dal suo discorso del 15 agosto scorso: “Occorrerà accompagnare questo passaggio con strumenti formativi che introducano i fedeli alla piena comprensione dei significati liturgici e artistici delle opere stesse, e per far sì che la loro evidenza sia sempre meglio recepita e apprezzata.” Vede, Eccellenza, quando un’opera d’arte ha bisogno del libretto di istruzioni per essere “recepita e apprezzata” vuol dire che non riesce a comunicare immediatamente il suo significato, dunque è muta. E così si chiama un ventriloquo per farla parlare. Ma questo non può accadere per l’arte sacra, perché se la vostra preoccupazione di Vescovi ligi al verbo del Concilio – e mi sia perdonata la generalizzazione - vi fa riempire la bocca a ogni piè sospinto con parole quali “comunicazione” “apertura al mondo” “chiarezza” e poi fate ricorso ad opere d’arte sacra poco o punto intelligibili, allora siete incoerenti e, aggiungo, spudoratamente incoerenti.

Sarei tanto curioso, Eccellenza, di capire cosa o chi vi ha indotto a commissionare opere a Jannis Kounellis, a Hidetoshi Nagasawa, a Ettore Spalletti o a Claudio Parmiggiani. Sarei curioso di capire perché l’inqualificabile croce di Nagasawa non preveda la figura del Cristo con i segni della passione come previsto dall’IGMR al n.308.

Croce (?) di Nagasawa

O perché non sia stata rispettata la norma suggerita da Papa Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis al n.69 che prevedeva il mantenimento dell’antico altare con tanto di tabernacolo, evitando accuratamente di porvi dinanzi le sedi dei celebranti. O ancora perché si sia deciso di sostituire i banchi di legno con le sedioline di plastica che fanno tanto Cammino Neocatecumenale.

Bozzetti di sede e altare...

Vorrei capire tante cose ma è già passata mezz’ora e mi rendo conto di non essere arrivato al punto. Così glielo chiedo direttamente: Eccellenza, perché a pochi mesi dalla pensione ha deciso di lasciare questo brutto segno del suo passaggio a Reggio Emilia? Perché non ha usato un po’ di buon senso quando Monsignor Santi o chi per lui le ha proposto tutte queste innovazioni e sperimentazioni e non ha preferito soprassedere? Perché non ha seguito, in ultima analisi, l’esempio di Benedetto XVI che è il suo diretto superiore nonché il Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo, e che non "adegua" il Vaticano riempiendo San Pietro di squallidi esemplari d’arte povera o concettuale, ma ripristina la bellezza originaria nella Cappella Paolina e nella Sistina, per quanto riguarda il Palazzo Apostolico o all’altare della Cattedra in Basilica? Il Papa, Eccellenza, non lo si può citare solo quando fa comodo, non si può fare uso del suo volume sulla liturgia per giustificare le proprie tesi sulla carta, mentre invece sono i fatti a dimostrare una totale distanza dalle sue posizioni. Il Papa conserva, lei distrugge. Perché vi è questo contrasto fra l’azione di Sua Santità e la sua, simile peraltro a quella di tanti Vescovi italiani? Ecco, l’ho detto. E giacché ci sono mi lasci aggiungere qualche altra riflessione…

A Reggio Emilia, leggevo, il dibattito non è stato contenuto, non si è limitato a una petizione, a proteste di quattro reazionari. Esponenti della cultura cittadina ed esperti si sono messi in azione e hanno espresso con competenza e fierezza il proprio no a questo scempio - perché di scempio si tratta. Penso al comitato che ha dato vita al sito soscattedrale.re.it creato da Stefano Bellentani, dall'Architetto Maccarini, dal critico d'arte Filippo Silvestro e dall'ex presidente di Italia Nostra, Renzo Campanini. Voci che, a quanto pare, restano inascoltate da parte di Sua Eccellenza.

E, come spesso capita a voi Vescovi più fedeli alle CEI (e ai suoi soldi) che al Papa, lei non si è limitato a proporre delle ardite innovazioni, non si è accontentato di aver suscitato preoccupate polemiche, non le è bastato assicurare il dialogo - parola per lo più vuota e vagamente retorica - ma si è impegnato a far sì che tutto venisse realizzato e portato a termine come prestabilito. E sebbene questo scempio di Reggio abbia molteplici autori che hanno agito dietro le quinte è inevitabile che il peso della responsabilità ricada tutto su di lei. Solo su di lei. Dunque, la prego, Eccellenza, non tratti chi dissente dalle sue opinioni come uno sciocco o un insipiente, giocando abilmente con l'arte retorica! Questo infatti ha fatto il 15 agosto, quando ha avuto l'ardito coraggio di raccomandare pacifici dialoghi e inviti alla comprensione, in una chiesa che già ospita, debitamente imballate in casse di legno, alcune fra le opere d'arte contemporanea di cui si dovrebbe discutere l'opportunità o meno: "Guai, però, se i vari punti di vista diventassero terreno di scontro. Per questo il confronto e il chiarimento sulle ragioni dell’adeguamento liturgico possono diventare momenti di crescita nella comunione. Del resto cambiamenti che toccano abitudini ereditate nel tempo, al di là delle pur necessarie sperimentazioni, chiedono buone abitudini analogamente prolungate nel tempo. Chiedo perciò a tutti — presbiterio diocesano e comunità parrocchiali — quell’anticipo di simpatia e di fiducia, senza le quali non c’è alcuna comprensione; e, prima ancora, chiedo una volontà di comunione attorno al Vescovo, altrimenti viene meno il significato della sua presenza nella Chiesa, in questa Chiesa a me molto cara."

Sede Episcopale di Kounellis o porta cero pasquale di Spalletti imballato?

Troppo comodo mettere i dissenzienti di fronte al fatto compiuto e poi invitarli ad essere comprensivi o minacciarli implicitamente di non essere dei veri cristiani perché non si uniscono al loro Vescovo. Troppo comodo invocare "volontà di comunione attorno al Vescovo" proprio quando il Vescovo la distrugge con le sue ardite e inaccettabili decisioni in materia artistica e architettonica. Questo atteggiamento manca, infatti, di carità. E sebbene glielo debba rammentare un giovane peccatore dalla lingua probabilmente troppo sciolta, credo che la cosa sia evidentissima.

Nuovo altare imballato!

A questo punto, prendendo atto dello scempio che inevitabilmente verrà compiuto per sua espressa volontà nella cattedrale di Reggio Emilia mi preme rivolgerle un invito dal più profondo del cuore. Vede, Eccellenza, la sua obbedienza non va ad una ideologica interpretazione della liturgia e dei suoi spazi, la sua obbedienza va al Papa e a Cristo. Lei non può confondere il Vangelo e l'esempio materiale del Papa con delle speculazioni umane e conseguentemente non può considerare le sue scelte in materia artistico-architettonica efficaci in nome della sua stessa autorità. Ciò sarebbe autoreferenziale. Al contrario, lei è venuto a Reggio non per cambiare o cancellare, ma per tramandare.

Lei Eccellenza possiede l'autorità del pastore ma nel contempo è anche ministro dei fedeli e credo sia suo dovere rispettare quel tesoro di bellezza e devozione che per i fedeli reggiani è la cattedrale. In un periodo critico per il mondo, nel quale il denaro scarseggia e le chiacchiere soccombono dinanzi alla realtà, lei ha messo in moto un processo di taglio col passato, di cesura netta, ingiustificato e ridondante, superfluo e costoso. Ci ripensi, Eccellenza, ci ripensi! Non è mai troppo tardi! Le opere commissionate le metta all'asta, tanto un Ravasi che le acquista lo troverà di certo... e con i soldi realizzati faccia opere di bene per i cittadini reggiani bisognosi. Riporti la cattedrale al suo originario splendore, abbia l'umiltà di riconoscere i suoi errori! Oggi la Chiesa è in crisi proprio perché i pastori sembrano occuparsi del superfluo, di impensabili rimaneggiamenti di una cattedrale vecchia di secoli, invece di preoccuparsi della salvezza delle anime! Eccellenza, mentre lei si trastulla con questo adeguamento liturgico e con artisti atei e iconoclasti, Satana se la ride e tanti fedeli si domandano: "ma questi preti non hanno proprio niente da fare che buttare soldi per demolire antichi altari, mandare al macero le panche della cattedrale e scombussolarne l'armonia architettonica?"
Perciò Eccellenza, lei che ha 75 anni e sta per andare in pensione, ci ripensi. Cancelli il progetto e venda le opere, vedrà che in molti gliene saranno grati e l'ameranno di più quando si farà piccolo di quando si è fatto grande indossando le vesti del mecenate cinquecentesco.

Eccellenza, noi siamo solo polvere e il nostro passaggio su questa terra non deve portare scompiglio o turbamento, distruzione e cambiamento, ma congiungere una catena d'amore e preghiera che dal passato tramandiamo al futuro. Capisco che lei sia stato ordinato sacerdote dal Cardinal Montini e vescovo dal Cardinal Martini, ma se invece di tramandare pretendiamo di cambiare le forme della preghiera e degli spazi edificati per adorare il Signore, per capriccio o ideologica mania, alla presunzione di far meglio dei nostri predecessori sommeremo la cattiveria di aver privato i nostri figli dell'integrità e dell'armonia che avremmo dovuto trasmettere.
E così il nostro nome sarà non solo segno di divisione nel presente, ma tragica memoria nel futuro.

Saluti, in Cristo Re,

Francesco Colafemmina

C'è  poco da brindare!

“Famiglia Cristiana”, Rimini e il Montezemolo dei cattolici


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Se il vino nuovo che i laici cattolici “impegnati” versano nell’otre della nazione Italia è quello assaggiato in questi giorni, c’è poco da brindare.

Hanno un bell’invocare, il papa e il cardinale Bagnasco, una nuova stagione del cattolicesimo politico. Al momento di andare al pratico, ecco che cosa sfornano alcuni tra i loro più titolati esponenti.

Sul fronte nazionale il professor Giorgio Campanini, collaudato professionista di decenni di convegni cattolici, ha proposto sull’ultimo numero di “Famiglia Cristiana” la “autoriduzione, per un triennio, del ricavato dell’otto per mille che gli accordi del Concordato riconoscono alla Chiesa per la sua funzione sociale”.

E ha spiegato:
“Non si tratterebbe di tagliare le già modestissime retribuzioni di vescovi e di sacerdoti, bensì di ridurre altre voci di spesa, pur con il rammarico che ne risentirebbero gli investimenti per la salvaguardia di monumenti e opere d’arte di proprietà della Chiesa, e forse anche gli interventi in ambito caritativo”.

Sul fronte della politica estera, invece, il pasticcio l’hanno fatto quelli di Comunione e liberazione, al Meeting di Rimini.
Hanno invitato e sfrenatamente incensato il rettore dell’università cairota di al-Azhar, Osama al-Abd, “non il papa ma quasi” del mondo islamico sunnita, l’uomo che sta scrivendo assieme ai Fratelli Musulmani la piattaforma ideologica dell’assemblea costituente che darà forma all’Egitto del dopo Mubarak.
E con lui c’era un esponente di spicco dei Fratelli Musulmani, Abdel-Fattah Hassan, professore di italiano, il traduttore al quale i ciellini hanno affidato l’edizione egiziana de “Il rischio educativo” di don Luigi Giussani.
Un conto è dialogare, un altro mettersi proni. Alla platea plaudente di Rimini non è stata detta una sola parola di verità su al-Azhar e sui Fratelli Musulmani. Se l’Egitto, secondo una recentissima indagine comparata del Pew Forum, è uno dei peggiori stati al mondo per quanto riguarda i delitti contro la libertà religiosa e se oggi lo è più di ieri, lo si deve proprio a questi due diseducativi focolai d’inimicizia contro ebrei, cristiani e infedeli in generale.

A Rimini, CL ha fatto né più né meno quello che la Comunità di Sant’Egidio fa da anni nei suoi meeting interreligiosi, tanto pomposi quanto vuoti: come nel 2004 a Milano con il precedente rettore di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, oggi divenuto imam della moschea, riverito e applaudito nonostante dichiarasse la sua approvazione degli atti terroristici contro i civili in Iraq e in Terra Santa. Al-Tayyeb è lo stesso che lo scorso gennaio ha attaccato pubblicamente Benedetto XVI per aver pregato per le vittime delle violenze al Cairo.

Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, è uno dei leader cattolici più in movimento, nell’agitazione che pervade tale mondo in vista del dopo Berlusconi. Stando a un suo articolo sul “Corriere della Sera” del 14 agosto, sembra ambire ad essere lui il “federatore” di una nuova futura presenza cattolica in politica. Più prosaicamente, il Montezemolo dei cattolici.

Ma a giudicare dalle performance citate, di nuovo in vista non c’è proprio nulla.

sabato 27 agosto 2011

Reduci dalle GMG di Madrid

di Francesco Agnoli



"Cosa è stata la Gmg di Madrid? Cosa avete fatto?". Ho pensato più volte a come rispondere alle domande che mi avrebbero fatto parenti e amici al ritorno da Madrid, dove sono stato dal 15 al 21 agosto insieme a 30 ragazzi. Rispondere è molto difficile, ma penso sia opportuno raccontare una esperienza indimenticabile, e forse, in verità, indescrivibile.

Madrid, è stata anzitutto, dicevo al telefono a mia moglie, un "delirio": ore e ore di viaggio, con l’aereo o con il pulman, per italiani, asiatici, americani, australiani... Al termine delle quali si approdava in un'immensa città in cui per sette giorni abbiamo vissuto tutti "gomito a gomito" con migliaia e migliaia di connazionali e di stranieri. Condividendo i bagni, ridotti spesso a latrine, le docce, e le interminabili file per raggiungerli; condividendo la caccia a un ristorante dove mangiare, magari dopo un’ora o più di coda; provando la stessa sete, sotto un sole agostano sempre abbacinante e implacabile.

Non sto raccontando i contorni, come si potrebbe credere, ma una parte sostanziale della Gmg. Prima dei catechismi, delle messe, delle preghiere, la Gmg è stata tutto questo: un immenso esercizio alla pazienza, alla condivisione, alla fatica. Pellegrinaggio, infatti, è, da sempre nella storia, sinonimo di sacrificio: i pellegrini sono coloro che vogliono raggiungere una meta, lontana, difficile, ma per cui vale la pena partire. Sono persone che lasciano tutto ciò che hanno, il conforto delle loro case, la vita agiata e sicura di ogni giorno, per un qualcosa di più, che però non è gratis, né immediato.

Personalmente, in questi sette giorni di preparazione e di attesa per l’incontro col Papa, ho visto i miei ragazzi, alcuni dei quali, magari, un po’ viziati come siamo tutti noi europei di oggi, stringere i denti, aiutarsi l’un l’altro, obbedire senza lamentarsi, fare interminabili file sotto il sole senza maledire nessuno. Perdonandosi volentieri a vicenda per questa o quella mancanza.

Ricordo una cena all’una di notte, un’altra alle due, perché prima era stato impossibile raggiungere un qualsiasi locale; bagni sognati, ma introvabili; docce raggiunte dopo code interminabili, eppure gelide; ricordo un po’ d’acqua, anche calda, cercata con l’avidità dei beduini nel deserto; oppure ragazze a terra, sfinite dal sole, e gli amici intorno, a dar loro acqua, a sventolare giornali e  ventagli. Ricordo camerate con migliaia di persone, afose e, diciamolo, puzzolenti, in cui non è mai (o quasi) sparito un oggetto, in cui non c’è mai stato un attimo di vera tensione.

Ecco, questo era il contorno alla vita di migliaia e migliaia di giovani che ogni mattina si spostavano - dopo aver passato la notte in grandi dormitori, per terra -, per raggiungere un luogo, costipato sino all’inverosimile, in cui avrebbero ascoltato un vescovo o un predicatore. Il tutto senza scenate, stringendo i denti, tirando fuori il meglio, nelle condizioni peggiori. Sino alla sera della veglia, il sabato 20: dopo anche otto ore ad attendere al sole, finalmente l’arrivo del Papa, il tempo di emozionarsi un po’ e poi, subito dopo, un vento potente e la pioggia pungente…

Mentre il Papa parlava, anche lui stupito di quella immensa folla sconfinata, i pellegrini lanciavano sguardi ai sacchi a pelo bagnati, comprendendo che un’altra notte sarebbe passata senza quasi dormire. Ridere o piangere? Molti hanno iniziato a cantare, altri a ridere, altri ad abbracciarsi di fronte all’ennesima difficoltà. Pronti, però, a inginocchiarsi, in più di due milioni di persone, contemporaneamente, per adorare Cristo Eucaristia al canto del Tantum Ergo, in un perfetto, incredibile silenzio, rotto qua e là solo dal passare di un’ambulanza che andava a accogliere l’ennesima persona crollata a terra per la fatica.

In quel silenzio, in quell’atmosfera incredibile, il senso del Mistero si è fatto presente, con una forza inaudita. Lì, tra milioni di persone, di tende, di bandiere colorate, di anime tese e vibranti. In mezzo a quel silenzio quasi irreale. Ammoniva madre Tersa di Calcutta: «Il frutto del silenzio è la preghiera; il frutto della preghiera, la fede; il frutto della fede, l’amore».

Sì, a Madrid c’è stata anche tanta preghiera. Così tanta, che proprio non me la aspettavo. Pensavo che avrei sicuramente visto tanti giovani ardenti, ma anche tanta promiscuità, tanta voglia di fare solo "casino", come avviene nei raduni di massa dei concerti o dei moderni baccanali pagani, a base di alcol e dissipazione. Invece ho negli occhi ragazzi e ragazze vicini, accanto, per ore, capaci di parlare, pregare, cantare, magari riposare un attimo, sempre con uno spirito buono, semplice, con stile cristiano.

Il Papa, certamente, ha aiutato. Ha voluto, infatti, celebrazioni sobrie, con tanto latino, la lingua della chiesa, sacrale ed universale; ha ridotto al minimo lo spazio per gli applausi alla sua stessa persona; ha caldeggiato svariati momenti di preghiera e di adorazione eucaristica, sia durante la veglia che in tutti i giorni della settimana.

Soprattutto Benedetto XVI ha voluto che si dedicasse tanto tempo a un sacramento essenziale, ma piuttosto dimenticato anche dai cattolici: la confessione. Nel Parco del Buon Ritiro, duecento confessionali disposti in due lunghe file, sono stati sempre a disposizione dei pellegrini. Ho visto persone piangere, come liberate, grazie al sacramento della penitenza, dal male che sentivano dentro; ho visto confessarsi persone che non lo facevano più da anni; ho visto volti assorti, nel silenzio e nella contemplazione. Volti belli, sereni, illuminati dal sorriso e dalla compunzione.

Ho visto migliaia di giovani inginocchiati, umilmente, a implorare il perdono e ad assaporare l’immensa Misericordia di Dio, pronta sempre ad abbracciare il peccatore pentito. Memori, i più fortunati, di una strepitosa catechesi del cardinal Angelo Bagnasco, in cui ci aveva ricordato che esiste il peccato, che il relativismo separa e divide, mentre la verità unisce; che la gioventù sta nel cuore e non negli anni; che la “vecchiaia vera” è quella del peccato e del rifiuto di Dio…

A Madrid, insomma, ho notato una attenzione nuova ai sacramenti fondamentali della vita cristiana, Eucaristia e confessione; ho sentito parole forti, e giovani contenti di ascoltarle; ho visto ragazzi e ragazze di tutti i paesi del mondo sentirsi uniti dalla fede, nonostante le differenze di paese, di cultura, di colore, di lingua; ho osservato sacerdoti e religiosi portare con orgoglio il proprio abito; ho ammirato giovani pregare ad alta voce nei ristoranti, prima di mangiare, senza vergogna; ho visto 28mila volontari per lo più spagnoli dare ogni attimo delle loro giornate, gratuitamente, per indicare una strada, per segnalare una via…

Accanto a tutte queste cose belle, non posso non rilevare alcune pecche. Anzitutto la disorganizzazione, soprattutto l’ultimo giorno, quando oltre due milioni di persone si sono trovate spesso senza acqua, sotto un sole cocente. Penso sia inevitabile notare che l’incapacità degli organizzatori di affrontare un sì grande oceano di folla, sia stata dovuta anche alla sorda ostilità del governo Zapatero, fieramente deciso a boicottare l’evento (come è chiaro se si pensa ad esempio che le forze dell’ordine in un aeroporto che conteneva oltre due milioni di persone erano alcune decine, cioè quelle che nel nostro paese si mandano fuori da un palazzetto dello sport durante una partitella di pallavolo).

La seconda nota stonata sono stati i manifestanti cosiddetti "laici", intolleranti e violenti, che hanno insultato, sputacchiato, oltraggiato centinaia di pellegrini, compresi adolescenti intimoriti e spaventati, incapaci di comprendere il motivo di tanto odio. A tener bordone a questi scalmanati, le paginate piene di bile e di rancore del quotidiano di sinistra El Pais, volgare nei suoi titoli, nelle sue cronache, nei suoi commenti, nelle sue banalizzazioni e falsificazioni, come neanche la Repubblica, in Italia, riesce a essere.

Ma a ben vedere anche questo, anche l’ostilità di Zapatero, dei giornali e degli indignados “laici”, hanno avuto il loro significato: ci hanno ricordato che non sono mai mancati i nemici di Cristo. Anche lui è stato sputacchiato ed insultato. Esserlo oggi, significa, forse, aver ritrovato un po’ di quel sale che rende la Fede più saporita, più vigorosa, più capace di essere segno di contraddizione e pungolo per tutti.

CRISTIANI COPTI
 
 

venerdì 26 agosto 2011

SANT' ELENA A FERRANDINA


18 AGOSTO

FESTA DI SANT' ELENA
A FERRANDINA




Dómine Jesu Christe, qui locum, ubi Crux tua latébat, beátæ Hélenæ revelásti, ut, per eam, Ecclésiam tuam hoc pretióso thesáuro ditáres: ejus nobis intercessióne concéde; ut, vitális ligni prétio, ætérnæ vitæ prǽmia consequámur: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.











SECONDA LETTURA
Dall’”Omelia sulla Croce apportatrice di salvezza” di san Germano, vescovo
O letto, sul quale si è addormentato il Re della gloria!  
Qualsiasi morte non causata da malattia naturale che quindi non s'impossessa dell'uomo un po' per volta, ma interviene con violenza e prima del tempo, è cosa che tutti abborriscono e rifuggono. Ma una morte in croce è fra tutte la più obbro­briosa e la più ripugnante.
Eppure, quando fu stabilito fin dall'eternità che si compisse il mistero della croce per il bene di tutto il mondo, che nascesse il nuovo Adamo per rinno­vare il vecchio, Dio volle anche che fosse salvato per mezzo del legno colui che a causa del legno era incorso nella pena della morte. E siccome negli uomini era radicata questa comune persuasione riguardo agli uccisi di morte violenta, e ciò impe­diva di accogliere un tale mistero (tanto più che la legge di Mosè dichiarava maledetto chiunque fos­se appeso al legno), fu necessario, per arcano dise­gno di Dio, servirsi proprio di quel legno già prefi­gurato dal biblico serpente - figura a tutti odiosa e abominevole - e proprio ad esso venne accordata la virtù di dare la vita. Questa croce viene innalza­ta davanti ai giudei e, perché in essa venga riposta ogni speranza di vita, per arcana disposizione è conferito il potere di dare la vita a un oggetto ina­nimato e privo di vita.
“Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allo­ra saprete che Io Sono” (Gv 8,28). Quando infatti morì in croce, donò la vita a coloro che erano stati feriti dal pungiglione della morte. Isaia lo previde e se ne rallegra con l'assemblea dei fe­deli; e ciò che aveva udito senza parole per il suo ministero profetico, lo proclama ad alta voce in persona del Salvatore: «Ora mi alzerò, ora mi innalzerò, ora mi esalterò» (Is 33,10). Queste parole profetizzano l'esaltazione sulla croce e la gloria che l'Unigenito del Padre si acquista sulla croce. Si alza dal suo trono, discende sulla terra: «esulta come prode che percorre la via» (Sal 18, 6). Col sangue purissimo tratto dalla Vergine, egli si ricopre delle vesti dell'agnello, affinchè il lupo, adescato e attratto dalla sembianza, seguen­do il suo vizio lo assalga, e cosi lo scellerato si spezzi i denti nell'azzannare colui che era esente da ogni peccato.
Cristo si sentiva spinto alla ricerca della pecorel­la smarrita. Benché si fosse fatto per noi agnello, nello stesso tempo però, in quanto Dio, era pa­store e riconduceva ai pascoli celesti la pecorella che ne era stata rapita. Egli avanza per vendicare col legno la strage che il demonio aveva operata col legno e cavar fuori il chiodo col chiodo, ser­vendosi dello strumento di maledizione per distruggere la maledizione derivata dal legno. Dunque di così grandi beni è causa la croce, ed è scala sicura di salvezza per ritrovare la beatitudine perduta.
Quanto è amabile il tuo altare, o Signore degli eserciti, sul quale sei stato immolato come agnello e togli davvero il peccato del mondo! Lo togli in quanto Dio, ti immoli in quanto uomo. Benché in­fatti tu sia stato crocifisso nella debolezza della car­ne passibile, tuttavia fosti il Signore delle potenze che trascendono il peso del corpo e della materia, e la tua divina potenza si è manifestata pienamen­te nella debolezza umana, una volta che hai fiaccato e prostrato il nostro comune tiranno. E così la croce è motivo di forza e di gloria, non già di vergogna.
O letto sul quale si addormentò il Re della gloria reclinando spontaneamente il capo, e si abban­donò volentieri a quel sonno di vita, lui che asso­pito in quel sonno abbattè il nemico sempre desto, dopo aver spogliato il regno degli inferi! In tal modo contemplò la tua gloria il veggente di Dio, Isaia, che c'insegna anche un altro mistero quando dice: «Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato» (Is 6, 6-7). Ambedue le cose ti si addicono, o croce: tu sei letto e sei altare. Letto perché in te si è addormentato colui che è immor­tale; altare a causa della vittima per noi offerta e per quel singolare sacrificio che egli ha immolato per la salvezza del mondo: noi crediamo che tu sei l'altare dell'Agnello divino.
Ma ora, o croce, mi rivolgo a te e di nuovo stento a staccare le mie labbra dall'amore che mi attira a te. O croce, altare degno di ogni venerazione, accetta questo dono delle mie lodi e benedici il mondo intero!

responsorio
Ecco la croce del Signore: fuggano i suoi ne­mici! Il leone di Giuda,
* il germoglio di Davide ha vinto! Alleluia.
O croce benedetta, sulla quale ha trionfato il Re degli angeli,
il germoglio di Davide ha vinto! Alleluia.

Oppure:  Dalle «Opere» di san Giovanni Battista della Con­cezione, sacerdote
(Obras, Roma 1830; tom 3, esort. 1, pp. 4-5)
Il discepolo di Cristo, oltre a rinnegare se stesso, deve portare la sua croce
A chi vuole seguirlo, Cristo chiede due cose: che rinneghi se stesso e che prenda la sua croce. Le due richieste sembrano una medesima cosa. Infatti, la croce più grande e più pesante che un uomo porta e sperimenta sulla terra è quella del rinnegare se stes­so, non poter fare mai la propria volontà e vivere nella lotta con se stesso, crocifiggendo sempre i pro­pri desideri e la propria volontà così, come sono trafitti i legni della croce.
Ora, se il rinnegare se stesso è già una vera croce nella quale è riposta la perfezione cristiana, perché Cristo, dopo aver chiesto l'abnegazione, aggiunge an­che che prenda la sua croce?
Rispondo, in primo luogo, che agli uomini perfet­ti, dopo la piena abnegazione, Dio suole preparare un'altra croce interiore, segreta e nascosta a tutti, e nessuno sa come e quale sia, tranne Dio, che l'ha fatta così appropriata alla persona che la porta, che croce e persona sembrano una sola cosa. Infatti tale croce non si trova mai senza la persona crocifìssa, né la persona crocifìssa senza tale croce.
In secondo luogo, rispondo che rinnegare se stesso è una croce interiore che l'uomo stesso si va co­struendo ogni giorno della propria vita. Oltre a que­sta croce, ognuno ne ha un'altra che Dio ha fatto proprio per lui; in questa croce mai si potrà trovare bene, se prima non ha rinnegato totalmente se stesso. Infatti, se vuole essere inchiodato mani e piedi sulla croce, il che significa nelle opere e negli affetti, deve agire e voler patire solo per Cristo, sopportando le sofferenze che Dio gli vuole inviare; se invece voles­se agire secondo la propria volontà e i propri deside­ri, senza rinnegare se stesso, allora non potrà mai dirsi crocifisso.
In terzo luogo, rispondo che Cristo parla di due croci, una come rinnegamento di se stesso e l'altra con il nome proprio di croce, perché l'uomo sappia che la sua perfezione non consiste unicamente nella croce che da se stesso prende, ma anche in altra croce che Dio gli offre e gli uomini gli pongono sulle spalle.
In quarto luogo, aggiungo che è una misericordia grande di Dio che l'uomo, interiormente crocifisso con il perfetto rinnegamento di sé, abbia un'altra croce dall'esterno che lo aiuti a portare quella inte­riore, come chiodo che scaccia chiodo.  E  siccome ordinariamente la croce interiore è quella che più si fa sentire e più affligge, è di particolare consola­zione per l'uomo poter trovare un'altra croce este­riore che lo distolga da quella interiore. È vero che ambedue sono croci, ma è un sollievo cambiare cibo anche quando l'uno è insipido come l'altro. Se un uomo alza le mani in croce non può restare in quella posizione più di un quarto d'ora; ma se al di dietro gli viene posta una croce che sorregga la croce delle sue braccia, potrà resistere per molte ore. Allo stes­so modo. Dio alla croce interiore dell'uomo ne avvi­cina un'altra esteriore per aiutarlo a sopportare le pene che interiormente lo affliggono. Per questo Cri­sto a quelli che lo vogliono seguire, non dice soltanto di rinnegare se stessi, portando la loro croce interio­re, ma di prendere anche un'altra croce esteriore che li aiuti e li sollevi nelle pene e sofferenze interiori.

Responsorio                                          Lc 9, 23;  14, 27
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
* prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.

Orèmus.  Preces familiae tuae, quaésumus, Dòmine, cleménter exàudi: ut sicut de fèrvido beàtae Hélenae stùdio ubique gaudet, quae laeta desideràtum sanctae Crucis lignum invénit; ita eius méritis et précibus in caelésti glòria semper gaudére mereàtur. Per Christum Dóminum nostrum. R. Amen.

Ad laudes

Ad Ben ant. Elena, madre di Costantino, venne a Gerusalemme per ritrovare la Croce del Signore.

orazione     Ti supplichiamo, o Signore, di esaudire, nella tua clemenza, le pre­ghiere della tua famiglia. E com'è motivo di gioia lo zelo di sant’ Elena, che ritrovò il desiderato legno della santa Croce, così i suoi meriti e la sua intercessione ci ot­tengano di raggiungere l'eterna glo­ria celeste. Per il nostro Signo­re …..