martedì 28 marzo 2017

padre Pio eremita

Di monachesimo abbiamo bisogno - Cristiano Lugli

 

La commemoratio fatta il 21 Marzo, in ricordo del Sacro Transito dell'Abate S. Benedetto da Norcia, ha accompagnato una tre giorni di grande esultanza dovuta soprattutto alla traslazione della solennità di San Giuseppe, passata a lunedì.
 
Il ricordo di San Benedetto apparso liturgicamente subito dopo quello del Casto Sposo di Maria Santissima, rafforza anche la speranza del cristiano, certo di avere accanto due grandi Patroni: essenzialmente Patroni della Buona Morte. Questa la stretta correlazione fra i due Santi, il secondo dei quali ha avuto come grazia straordinaria quella di morire "in piedi", affiancato dalla sua figliolanza spirituale, per essere già intravisto nella Gloria dei Santi:
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"Le mani alzate e in piedi il Santo muore
tra i confratelli davanti l'altare.
Due monaci, l'un dentro e l'altro fòre,
pari visione hanno; ad essi appare,

nella volta celeste, immensa scia
splendente ed una voce dice: "Io svelo
a voi che Benedetto quella via
or ha percorso per salire al cielo
".
Il retaggio della Quaresima rimane dunque calcato dall'importanza offertaci da questa memoria, che ci ricorda come solo vivendo da giusti e morendo prima di morire, per morire al mondo e vivere per Dio, si può ottenere l'eterno Gaudio... "Iustum dedúxit Dóminus per vias rectas. Et osténdit illi regnum Dei", veniva detto nel Breviario Romano, in riferimento al Santo Abate di Nursia.
 
Tuttavia un altro soave profumo ha richiamato il ricordo del Transito suo, ed è quello della primavera, scoccata proprio in questa bella ed importantissima memoria.
 
Cosa ricavare da questo, per poter dire di essere andati più in là di una concezione panteistica o, come purtroppo oggi spesso accade, pancristiana delle cose? Una riflessione, breve ma mirata, è d'uopo.

Lungi da questo umil scritto trarre conclusioni indefettibili, epperò vale sicuramente la pena fare un tentativo di interpretazione, perché d'altronde Dio parla all'uomo attraverso tutti gli elementi; è quest'ultimo che - "forte" della sua lussuria e della sua sordità - è divenuto incapace di udire e, quel che peggio, di vedere.
La memoria del Padre di tutti i monaci, del monachesimo occidentale in assoluto, capitombola proprio nel primo giorno di primavera, invitandoci a riflettere su di una cosa molto importante. 
 
La primavera è certamente momento di fioritura. È, per eccellenza ed antonomasia, il trionfo della Vita, della Resurrezione che sconfigge la morte. È sostanzialmente l'emblema di rinascita della Luce. Insomma, qualcosa che se collocato nella retta idea di Fede cristiana e di coscienza formata ci porta inevitabilmente a pensare a Cristo. Il Signore che schiaccia le tenebre dell'inverno e rammenta al Creato intero che nulla la morte può su Colui che la morte ha sconfitto. Morendo al mondo è risorto nella vera Vita, quella che tutta si riassume in Dio.

La figura di questo Maestro di vita cristiana quale è stato l'Abate Benedetto mostra al mondo l'opera da lui fondata, e potremmo dire la più grande di tutte: la creazione del monachesimo occidentale, trasmessogli direttamente dall'oriente, come assioma di tutta la civitas christiana dal V secolo fino a pochissimo tempo fa almeno.
 
Ché forse quest'opera, ovverosia il monachesimo, non sia da considerarsi come la vera primavera di una Chiesa così apparentemente malconcia, tramortita da un inverno freddo e ghiaccioso della Fede, provata dal letargo di tanti pastori che si sono addormentati o, ancor più rivoltante, che hanno drasticamente tradito facendo smarrire le pecore? San Benedetto evidenzia con il suo Transito il patrimonio inestimabile lasciato alla Chiesa, di cui oggi non si riesce più a comprendere il valore, facendolo diventare qualcosa di simile a tutte le altre cose. Il monachesimo ha infatti assunto lo spirito del mondo, seppur non dappertutto e non in tutti gli ordini, aprendo troppo le porte del Monastero a ciò che vi è fuori, rimanendo anch'esso infettato dal germe del modernismo galoppante, il quale di fatto e anche abbastanza palesemente odia la clausura, odia il silenzio, il raccoglimento, odia e detesta tutto ciò che s'impernia verso la preghiera. Il monachesimo è quella fuga mundi per la quale l'uomo, non per solipsismo contingente ma per carità e per assolvere al più grande di tutti i comandamenti, rinuncia alle vanità del mondo per intraprendere la vera battaglia contro il proprio Io. Solo così, con questa lotta interna e con questa rinuncia al mondo, il monaco inizierà la vera ricerca del Divino, il Quærere Deum grazie al quale esiste una civiltà, costituita su ciò che doveva considerarsi come essenziale e definitivo: appunto la costante ed assidua ricerca di Dio.
 
Non a caso nella vita del Santo fondatore dell'ordine benedettino, dalla quale proviene la Regola delle regole, vi è l'episodio della fuga da Roma narrata da San Gregorio, fuga che, a causa dell'aria "malsana" già ai tempi respirabile nell'Urbe, lo spinge nel "deserto" sublacense, al Sacro Speco.

Abbandona il secolo per entrare nel deserto, quel deserto che i Padri avevano portato alla conoscenza di S. Benedetto e dal quale Egli non si separerà mai più: un "deserto" dell'anima, rinunciataria dei sensi per avvalorarsi di quelle virtù che gli uomini di Dio devono possedere.


Ma, attenzione. Il monachesimo lasciatoci dal Padre di tutti i benedettini non insegna solo ai monaci, non è relegato solo ad una vita consacrata. Ogni uomo, in quanto tale e cioè immagine di Dio, deve essere monaco in se stesso, deve ritagliare dentro la propria interiorità uno spazio dedito all'ascesa, al ritiro nel "deserto" in cui Dio, più che in ogni altro contesto, si rivolge allo spirito, cresce nello spirito, dimora nell'uomo.
 
In questo modo si deve comprendere la maestosità del monachesimo, che è una via. Riservata, certo, e più consona a chi si ritira in un monastero, ma comunque una via a cui tutti - chi più chi meno a seconda delle particolarità di ognuno - è chiamato a calcare.
 
Se capiremo questo capiremo altresì l'importanza degli ordini monastici, della loro essenza e sopratutto della loro ineludibilità circa la ricostruzione della Fede, lo splendore della Santa Chiesa. La Chiesa soffre perché non ha più un cuore pulsante ma allo stesso tempo, se rimane in piedi - oltre che per promessa Divina prima di tutto - è perché qualche pia anima è ancora ritirata nei monasteri a pregare, ad assorbire il male del mondo.
 
Ricordo il racconto di una madre che si recò a Loreto per trovare la figlia, monaca carmelitana scalza: clausura. "L'iter per incontrarla non è mai facile, mi raccontava, perché lì la clausura è rispettata seriamente, è ferrea, e comunque v'è sempre una grata che ci separa". Prima di arrivare ad un breve dialogo con la figlia si tratteneva qualche minuto con la Madre superiora, la quale invece ha possibilità di parlare e pure di farsi vedere. Questa anziana monaca, un giorno disse alla madre di una sua figliola spirituale di essere molto stanca, gravemente provata. La madre naturale della monaca le chiese come mai, notando che il viso della Madre superiora era quasi dolorante, stremato. "Sento che il male del mondo viene assorbito anche da noi. La nostra preghiera per tutto il male che ci circonda ha il suo effetto e questo è l'importante, ma noi diventiamo le spugne di tutto questo male".
 
Quanto questa frase raccontatami mi rimase impressa lo dimostra il fatto che un brivido ancora mi attraversa la schiena mentre la riporto qui.
 
L'altro grande segreto del monachesimo e della clausura è proprio questo, assorbire il male del mondo, placarlo in tutta la sua gigantesca portata. Il Diavolo odia i monaci, ed ecco perché sguinzaglia i modernisti a voler sopprimere la clausura. Questo sì, è l'ultimo ostacolo che nel silenzio contrasta drasticamente la sua opera devastatoria. 

In un mondo dedito solo all'azione, alla quale fa seguito la neo-chiesa satura di operismo sociale, è venuto a mancare l'assetto contemplativo. San Bernardo fu il modello dei modelli, e cioè il monaco cavaliere, colui il quale più di chiunque combatteva ( per la Fede, non per le opere sociali ), ma era supportato da una contemplazione che in pochi hanno avuto nella storia del Cristianesimo.
 
Manca chi prega, manca un'anima pulsante. Nulla è realizzabile senza questa forza prorompente che viene dal di dentro, dal silenzio dei chiostri e delle celle. Mons. Marcel Lefebvre affidò la buona riuscita dell'opera da lui fondata a tre monache carmelitane, che pregarono incessantemente. Quando l'opera della Fraternità Sacerdotale San Pio X riuscì, garantendo a tanti giovani la possibilità di formarsi in un Seminario veramente cattolico, il Vescovo francese non mancò di attribuire la buona riuscita alle monache, esse restando quasi stupite. Non nell'operato, non nell'impegno pratico e burocratico, ma nella preghiera incessante delle carmelitane Monsignore riconobbe la causa prima del felicito esito.

Abbiamo bisogno di tornare al monachesimo di San Benedetto se vogliamo dare forza e vigore ad un'Europa scarnificata e sulla quale il suo Partono piange lagrime amare. E a questo proposito, per concludere, vorrei portare all'attenzione uno straordinario passo presente in un libro uscito di recente: si tratta di "Padre Pio Santo Eremita - l'incontro con Dio sulle orme dei Padri del deserto", scritto a quattro mani da Padre Serafino Tognetti e Alessandro Gnocchi, edito da "Fede & Cultura" ( qui ). Un libro che anzitutto mi sento di consigliare a tutti per l'originalità e l'esclusività dei contenuti. 
 
Nella parte curata da Padre Serafino c'è un passo dicevo, che vorrei fungesse da conclusione a quanto detto fin'ora. Sono certo che rischiarerà le coscienze di tutti coloro che lo leggeranno. Chiediamo fervente la Grazia a San Benedetto di poter riscoprire la preziosità di queste verità adamantine.
"Il monachesimo non cessa, perché Dio non passa di moda. E più di ogni altro ordine religioso, il monachesimo indica l'assoluto di Dio e il suo primato su ogni cosa.

I monaci si ritirano per essere uno-con-tutti. La parola "monaco" deriva da monos, che significa "uno". Ma "uno" non è mai sinonimo di solitudine, se la Chiesa è un corpo composto da tante membra. L'eremita sarà un membro nascosto, invisibile agli occhi degli uomini, ma non per questo assente o inutile. Forse in un corpo umano io vedo la tiroide? Molti non sanno nemmeno dove si trova la tiroide , ma provate a eliminarla e vi accorgerete di come poi funzioni il corpo. Anzi, il monaco, la persona meno visibile, alla fine è anche il più utile, o perlomeno uno degli elementi essenziali al Corpo che è la Chiesa. L'esempio ce lo dà Mosè che, durante la battaglia di Israele con i Madianiti, anziché brandire lancia e spada insieme alle truppe se ne va defilato in cima a una collina con due fidi collaboratori, e si mette a pregare intensamente. Il testo biblico ci dice che quando Mosè teneva le braccia alzate il suo esercito vinceva, quando, per stanchezza, le abbassava, il popolo retrocedeva e perdeva ( cfr. Es. 17,10-13 ). Domanda: chi più utile, l'arciere o Mosè sulla collina?

Oggi sembra che sia preferibile ciò che si vede e che dà un immediato risultato. Più utile un francescano che dà da mangiare ai barboni della stazione o un certosino nascosto a Serra San Bruno? Non ho detto più santo o più bravo, ho detto: più utile. Agli occhi del popolo, anche cristiano, la preferenza si leva certamente pel francescano: è più necessario lui. Ma la risposta è sbagliata, se vogliamo stare al passo dell'Esodo suddetto. La guerra si vince con Mosè che prega: dunque, è più utile Mosè". [1] 
Cristiano Lugli
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[1] "Padre Pio Santo Eremita". Ed. 'Fede & Cultura', anno 2017 - pag. 10-11

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