Di monachesimo abbiamo bisogno - Cristiano Lugli
La commemoratio fatta il 21 Marzo, in ricordo del Sacro Transito
dell'Abate S. Benedetto da Norcia, ha accompagnato una tre giorni di
grande esultanza dovuta soprattutto alla traslazione della solennità di
San Giuseppe, passata a lunedì.
Il ricordo di San Benedetto apparso liturgicamente subito dopo quello
del Casto Sposo di Maria Santissima, rafforza anche la speranza del
cristiano, certo di avere accanto due grandi Patroni: essenzialmente
Patroni della Buona Morte. Questa la stretta correlazione fra i due
Santi, il secondo dei quali ha avuto come grazia straordinaria quella di
morire "in piedi", affiancato dalla sua figliolanza spirituale, per
essere già intravisto nella Gloria dei Santi:
"Le mani alzate e in piedi il Santo muore
Clicca per ingrandire
tra i confratelli davanti l'altare.
Due monaci, l'un dentro e l'altro fòre,
pari visione hanno; ad essi appare,
nella volta celeste, immensa scia
splendente ed una voce dice: "Io svelo
a voi che Benedetto quella via
or ha percorso per salire al cielo".
Il retaggio della Quaresima rimane dunque calcato dall'importanza
offertaci da questa memoria, che ci ricorda come solo vivendo da giusti e
morendo prima di morire, per morire al mondo e vivere per Dio, si può
ottenere l'eterno Gaudio... "Iustum dedúxit Dóminus per vias rectas. Et osténdit illi regnum Dei", veniva detto nel Breviario Romano, in riferimento al Santo Abate di Nursia.
Tuttavia un altro soave profumo ha richiamato il ricordo del Transito
suo, ed è quello della primavera, scoccata proprio in questa bella ed
importantissima memoria.
Cosa ricavare da questo, per poter dire di essere andati più in là di
una concezione panteistica o, come purtroppo oggi spesso accade,
pancristiana delle cose? Una riflessione, breve ma mirata, è d'uopo.
Lungi da questo umil scritto trarre conclusioni indefettibili, epperò
vale sicuramente la pena fare un tentativo di interpretazione, perché
d'altronde Dio parla all'uomo attraverso tutti gli elementi; è
quest'ultimo che - "forte" della sua lussuria e della sua sordità - è
divenuto incapace di udire e, quel che peggio, di vedere.
La memoria del Padre di tutti i monaci, del monachesimo occidentale in
assoluto, capitombola proprio nel primo giorno di primavera, invitandoci
a riflettere su di una cosa molto importante.
La primavera è certamente momento di fioritura. È, per eccellenza ed
antonomasia, il trionfo della Vita, della Resurrezione che sconfigge la
morte. È sostanzialmente l'emblema di rinascita della Luce. Insomma,
qualcosa che se collocato nella retta idea di Fede cristiana e di
coscienza formata ci porta inevitabilmente a pensare a Cristo. Il
Signore che schiaccia le tenebre dell'inverno e rammenta al Creato
intero che nulla la morte può su Colui che la morte ha sconfitto.
Morendo al mondo è risorto nella vera Vita, quella che tutta si riassume
in Dio.
La figura di questo Maestro di vita cristiana quale è stato l'Abate
Benedetto mostra al mondo l'opera da lui fondata, e potremmo dire la più
grande di tutte: la creazione del monachesimo occidentale, trasmessogli
direttamente dall'oriente, come assioma di tutta la civitas christiana
dal V secolo fino a pochissimo tempo fa almeno.
Ché forse quest'opera, ovverosia il monachesimo, non sia da considerarsi
come la vera primavera di una Chiesa così apparentemente malconcia,
tramortita da un inverno freddo e ghiaccioso della Fede, provata dal
letargo di tanti pastori che si sono addormentati o, ancor più
rivoltante, che hanno drasticamente tradito facendo smarrire le pecore?
San Benedetto evidenzia con il suo Transito il patrimonio inestimabile
lasciato alla Chiesa, di cui oggi non si riesce più a comprendere il
valore, facendolo diventare qualcosa di simile a tutte le altre cose. Il
monachesimo ha infatti assunto lo spirito del mondo, seppur non
dappertutto e non in tutti gli ordini, aprendo troppo le porte del
Monastero a ciò che vi è fuori, rimanendo anch'esso infettato dal germe
del modernismo galoppante, il quale di fatto e anche abbastanza
palesemente odia la clausura, odia il silenzio, il raccoglimento, odia e
detesta tutto ciò che s'impernia verso la preghiera. Il monachesimo è
quella fuga mundi per la quale l'uomo, non per solipsismo
contingente ma per carità e per assolvere al più grande di tutti i
comandamenti, rinuncia alle vanità del mondo per intraprendere la vera
battaglia contro il proprio Io. Solo così, con questa lotta interna e
con questa rinuncia al mondo, il monaco inizierà la vera ricerca del
Divino, il Quærere Deum grazie al quale esiste una civiltà,
costituita su ciò che doveva considerarsi come essenziale e definitivo:
appunto la costante ed assidua ricerca di Dio.
Non a caso nella vita del Santo fondatore dell'ordine benedettino, dalla
quale proviene la Regola delle regole, vi è l'episodio della fuga da
Roma narrata da San Gregorio, fuga che, a causa dell'aria "malsana" già
ai tempi respirabile nell'Urbe, lo spinge nel "deserto" sublacense, al
Sacro Speco.
Abbandona il secolo per entrare nel deserto, quel deserto che i Padri avevano portato alla conoscenza di S. Benedetto e dal quale Egli non si separerà mai più: un "deserto" dell'anima, rinunciataria dei sensi per avvalorarsi di quelle virtù che gli uomini di Dio devono possedere.
Ma, attenzione. Il monachesimo lasciatoci dal Padre di tutti i
benedettini non insegna solo ai monaci, non è relegato solo ad una vita
consacrata. Ogni uomo, in quanto tale e cioè immagine di Dio, deve
essere monaco in se stesso, deve ritagliare dentro la propria
interiorità uno spazio dedito all'ascesa, al ritiro nel "deserto" in cui
Dio, più che in ogni altro contesto, si rivolge allo spirito, cresce
nello spirito, dimora nell'uomo.
In questo modo si deve comprendere la maestosità del monachesimo, che è
una via. Riservata, certo, e più consona a chi si ritira in un
monastero, ma comunque una via a cui tutti - chi più chi meno a seconda
delle particolarità di ognuno - è chiamato a calcare.
Se capiremo questo capiremo altresì l'importanza degli ordini monastici,
della loro essenza e sopratutto della loro ineludibilità circa la
ricostruzione della Fede, lo splendore della Santa Chiesa. La Chiesa
soffre perché non ha più un cuore pulsante ma allo stesso tempo, se
rimane in piedi - oltre che per promessa Divina prima di tutto - è
perché qualche pia anima è ancora ritirata nei monasteri a pregare, ad
assorbire il male del mondo.
Ricordo il racconto di una madre che si recò a Loreto per trovare la figlia, monaca carmelitana scalza: clausura. "L'iter
per incontrarla non è mai facile, mi raccontava, perché lì la clausura è
rispettata seriamente, è ferrea, e comunque v'è sempre una grata che ci
separa". Prima di arrivare ad un breve dialogo con la figlia si
tratteneva qualche minuto con la Madre superiora, la quale invece ha
possibilità di parlare e pure di farsi vedere. Questa anziana monaca, un
giorno disse alla madre di una sua figliola spirituale di essere molto
stanca, gravemente provata. La madre naturale della monaca le chiese
come mai, notando che il viso della Madre superiora era quasi dolorante,
stremato. "Sento che il male del mondo viene assorbito anche da noi.
La nostra preghiera per tutto il male che ci circonda ha il suo effetto
e questo è l'importante, ma noi diventiamo le spugne di tutto questo
male".
Quanto questa frase raccontatami mi rimase impressa lo dimostra il fatto
che un brivido ancora mi attraversa la schiena mentre la riporto qui.
L'altro grande segreto del monachesimo e della clausura è proprio
questo, assorbire il male del mondo, placarlo in tutta la sua gigantesca
portata. Il Diavolo odia i monaci, ed ecco perché sguinzaglia i
modernisti a voler sopprimere la clausura. Questo sì, è l'ultimo
ostacolo che nel silenzio contrasta drasticamente la sua opera
devastatoria.
In un mondo dedito solo all'azione, alla quale fa seguito la neo-chiesa
satura di operismo sociale, è venuto a mancare l'assetto contemplativo.
San Bernardo fu il modello dei modelli, e cioè il monaco cavaliere,
colui il quale più di chiunque combatteva ( per la Fede, non per le
opere sociali ), ma era supportato da una contemplazione che in pochi
hanno avuto nella storia del Cristianesimo.
Manca chi prega, manca un'anima pulsante. Nulla è realizzabile senza
questa forza prorompente che viene dal di dentro, dal silenzio dei
chiostri e delle celle. Mons. Marcel Lefebvre affidò la buona riuscita
dell'opera da lui fondata a tre monache carmelitane, che pregarono
incessantemente. Quando l'opera della Fraternità Sacerdotale San Pio X
riuscì, garantendo a tanti giovani la possibilità di formarsi in un
Seminario veramente cattolico, il Vescovo francese non mancò di
attribuire la buona riuscita alle monache, esse restando quasi stupite.
Non nell'operato, non nell'impegno pratico e burocratico, ma nella
preghiera incessante delle carmelitane Monsignore riconobbe la causa
prima del felicito esito.
Abbiamo bisogno di tornare al monachesimo di San Benedetto se vogliamo
dare forza e vigore ad un'Europa scarnificata e sulla quale il suo
Partono piange lagrime amare. E a questo proposito, per concludere,
vorrei portare all'attenzione uno straordinario passo presente in un
libro uscito di recente: si tratta di "Padre Pio Santo Eremita - l'incontro con Dio sulle orme dei Padri del deserto", scritto a quattro mani da Padre Serafino Tognetti e Alessandro Gnocchi, edito da "Fede & Cultura" ( qui ). Un libro che anzitutto mi sento di consigliare a tutti per l'originalità e l'esclusività dei contenuti.
Nella parte curata da Padre Serafino c'è un passo dicevo, che vorrei
fungesse da conclusione a quanto detto fin'ora. Sono certo che
rischiarerà le coscienze di tutti coloro che lo leggeranno. Chiediamo
fervente la Grazia a San Benedetto di poter riscoprire la preziosità di
queste verità adamantine.
"Il monachesimo non cessa, perché Dio non passa di moda. E più di ogni altro ordine religioso, il monachesimo indica l'assoluto di Dio e il suo primato su ogni cosa.
I monaci si ritirano per essere uno-con-tutti. La parola "monaco" deriva da monos, che significa "uno". Ma "uno" non è mai sinonimo di solitudine, se la Chiesa è un corpo composto da tante membra. L'eremita sarà un membro nascosto, invisibile agli occhi degli uomini, ma non per questo assente o inutile. Forse in un corpo umano io vedo la tiroide? Molti non sanno nemmeno dove si trova la tiroide , ma provate a eliminarla e vi accorgerete di come poi funzioni il corpo. Anzi, il monaco, la persona meno visibile, alla fine è anche il più utile, o perlomeno uno degli elementi essenziali al Corpo che è la Chiesa. L'esempio ce lo dà Mosè che, durante la battaglia di Israele con i Madianiti, anziché brandire lancia e spada insieme alle truppe se ne va defilato in cima a una collina con due fidi collaboratori, e si mette a pregare intensamente. Il testo biblico ci dice che quando Mosè teneva le braccia alzate il suo esercito vinceva, quando, per stanchezza, le abbassava, il popolo retrocedeva e perdeva ( cfr. Es. 17,10-13 ). Domanda: chi più utile, l'arciere o Mosè sulla collina?
Oggi sembra che sia preferibile ciò che si vede e che dà un immediato risultato. Più utile un francescano che dà da mangiare ai barboni della stazione o un certosino nascosto a Serra San Bruno? Non ho detto più santo o più bravo, ho detto: più utile. Agli occhi del popolo, anche cristiano, la preferenza si leva certamente pel francescano: è più necessario lui. Ma la risposta è sbagliata, se vogliamo stare al passo dell'Esodo suddetto. La guerra si vince con Mosè che prega: dunque, è più utile Mosè". [1]
Cristiano Lugli
[1] "Padre Pio Santo Eremita". Ed. 'Fede & Cultura', anno 2017 - pag. 10-11
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