martedì 31 gennaio 2012

In una Domenica fredda del gennaio 2012



S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
IV Domenica del Tempo Ordinario/B
Teano, 29 gennaio 2012

Saluto iniziale

Carissimi fratelli e sorelle,
l’azione sacramentale della Chiesa è sempre per opera e sotto l’azione dello Spirito Santo: è lo Spirito che trasforma il pane nel Corpo e il vino nel Sangue di Cristo; è lo Spirito che, di Eucarestia in Eucarestia, trasforma la Chiesa da popolo raccogliticcio in popolo di Dio, che muta la natura delle persone componenti la Chiesa.

In questa Eucaristia, oltre quest’azione concreta, facciamo esperienza della trasformazione interiore, da parte dello Spirito, di alcuni giovani che riceveranno il Sacramento della Confermazione. “Trasformáti”: si entra in un modo e si esce con una nuova identità. Iniziamo questa celebrazione con spirito di umiltà: davanti al mistero di Dio ci sentiamo sempre estremamente piccoli e indegni, e per questo chiediamo umilmente perdono.

LETTURE
Deuteronomio 18, 15-20
1 Corinzi 7, 32-35
Marco 1, 21-28


Omelia

“Che è mai questo? Una dottrina insegnata con autorità” - si chiede la gente ascoltando Gesù. Gesù dice le stesse cose o, più o meno, le stesse che affermano gli scribi e i farisei; fa riferimento alla stessa Parola, agli stessi testi dell’Antico Testamento, eppure la gente percepisce in Lui un’autorevolezza, tanto da meravigliarsene.

Carissimi fratelli e sorelle, per essere un maestro non basta la cattedra. Forse alcuni di voi insegneranno, tutti noi abbiamo avuto degli insegnanti nella nostra vita a partire dalla maestra elementare, dai docenti delle scuole medie inferiori e superiori; chi fra noi sia stato all’università avrà avuto dei docenti più o meno famosi: entravano, salivano in cattedra, si faceva grande silenzio in aula, a volte con centinaia di studenti.

Chi è rimasto tra le decine e decine di docenti incontrati nel nostro percorso scolastico? - fate per un attimo mente locale - Chi è rimasto? Ne abbiamo incontrati tanti. Qualcuno ha lasciato una scia, una traccia nella nostra vita, indelebile, al punto che anche dopo 50’anni e anche quando quella persona è già defunta, ancora parla, ancora incide. Una lezione di vita in una giornata qualsiasi del nostro liceo, delle nostre medie superiori o dell’università, una digressione, una parentesi aperta partendo da una citazione, forse – amo pensarlo – cambiò la nostra vita. Ancora oggi quella parola ci chiama, ci reclama, ci struttura (faccio riferimento alla nostra esperienza per cercare di capire questo stupore).

Gli altri, i disattenti (ce ne sono molti anche oggi), avrebbero potuto dire alla gente che si meravigliava: Ma in fondo che ha detto di strano? Cosa ha fatto di nuovo? Quello che dicono gli altri! Ma c’era, nei suoi silenzi, nel suo parlare, nella sua fraseologia, nei suoi occhi, nell’inflessione della voce, qualcosa che si imponeva e chiedeva attenzione: la reclamava e la manteneva. Questo è Gesù profeta.

Gesù è un profeta. Quello che abbiamo ascoltato nel Libro del Deuteronomio si realizza in Lui. Avete ascoltato che il popolo ha paura, ha paura di Dio, e chiede degli intermediari, qualcuno che faccia da ponte (da “ponte” viene “pontefice”), che faccia da altoparlante. Il popolo è come se dicesse a Dio: Mandacelo a dire! Non ce lo dire tu direttamente! E Dio dice: Va bene, stabilirò un profeta. Ce ne sono stati tanti, ma Gesù è il profeta per eccellenza, e il profeta è colui che parla in nome di Dio; non vede il futuro, non lo prevede, non è un indovino: è un uomo aderente al presente, ma che lo apre. Anche questo nostro presente, così difficile, ha bisogno d’essere aperto. Ci sarà un congegno, una combinazione che apra questo presente, perché sia illuminato, perché ci faccia intravedere una via per uscire dalla ristrettezza, non solo economica, nella quale ci siamo impantanati. Il profeta ha questo ruolo: è Dio in mezzo alla sua gente, parla con parole umane, ma media Dio, per cui il suo collegamento personale, segreto, tormentato, doloroso con Dio è forte: egli ne è aggiogato, prima di poter aggiogare l’attenzione degli altri. Al tempo stesso, il profeta è un uomo vero, è uomo di Dio, ma è anche un uomo nel senso che sa il sapore della vita, sa gli umori della vita, conosce il dolore, conosce il dramma, ama la convivialità, ama le cose umane; è così vicino e così lontano, è così come noi e così diverso… Sto parlando in una maniera un po’ paradossale, perché questi due aspetti, cioè la presenza di Dio e la Sua umanità, coesistono, si coniugano in una maniera che ci attrae. Il profeta è un’opera d’arte.
Il profeta stana il male (lo abbiamo visto nell’episodio del Vangelo). Gesù parla con autorità, e questa autorità si rivela nel disagio che un ascoltatore sente al punto da contorcersi, al punto da gridare nel bel mezzo dell’assemblea, al punto da chiedere la distanza con il profeta - Che c’è tra me e te, Gesù di Nazareth? Sei venuto a rovinarci? - perché c’è un impero del male anche dentro di noi e nella nostra società, oggi come allora, che fa lotta, che ha dichiarato guerra al profeta, non tanto come persona, ma in quanto banditore della verità, in quanto attraversato da una verità, ripeto, dolorosamente attraversato da una verità, perché la verità ferisce, la verità fa male, la verità dice a noi stessi ciò che noi siamo, senza maschere. Allora ecco l’azione di stanamento. Adesso noi non la sperimentiamo in una maniera così eclatante come abbiamo ascoltato dal Vangelo, e tra l’altro non ce lo auguriamo neppure (ci sono degli indemoniati che sono più degli isterici che degli indemoniati veri e propri), eppure c’è questo disagio, c’è qualcosa che ci rode dentro, una sorta di avversione: ci verrebbe voglia di uscire di chiesa a volte - spero lo abbiate sperimentato e dico “spero” perché significa che state attenti - abbiamo voglia di andarcene. Magari anche a voi che siete venuti qui per ricevere la Cresima, ascoltando la Parola, appena è cominciata la celebrazione, vi siete chiesti: Ma che ci faccio qui? Me ne voglio andare. Rinuncio anche al dono che la mia madrina, il mio padrino, mi ha preparato… Preziosissimo!, ma preferisco la mia pace (una falsa pace, ovviamente!). Quindi qualcuno di voi potrebbe andarsene, potrebbe scappare via da questa celebrazione perché stanato, stanato!, in quell’aspetto di male che ciascuno di noi si porta dentro, in quella opposizione (“diavolo” viene da un verbo greco che significa proprio “opposizione”), che avvertiamo dentro di noi.

Quello che è più interessante è che ciascuno di noi, non solo il Vescovo, Don Tommaso che è presbitero, Roberto che è diacono, cioè non solo le persone che vivono un ministero ordinato, ma tutti i battezzati - e quindi, tanto più i cresimati - siamo chiamati a vivere questa dimensione profetica. Allora mi verrebbe da chiedere - ma non mi rispondete - a quelli che sono venuti per la Cresima: siete pronti a svolgere questo ministero? E voi potreste dirmi: Eccellenza, ma noi siamo venuti qui solo per un timbro, perché devo fare da madrina… devo sposarmi… come se questo fosse una sorta di lasciapassare e non “essere costituiti profeti oggi”. Voi dite: Ma non sono preparato! Non c’è bisogno di una preparazione teologica chissà quanto articolata, ma certamente c’è bisogno di un’attenzione e di una tensione nei confronti della Parola di Dio. E se la Parola è esule dalle nostre vite, se non l’ascoltiamo, se a Messa non ci andiamo, se è una parola fra le tante, allora anche all’atto in cui proverete a ripeterla, la direte stancamente: è come una parola morta, nasce come un aborto, nasce e muore sulle vostre labbra, perché non c’è consuetudine, perché non c’è legame, non c’è amore, non c’è passione. Il profeta è un appassionato di Dio, è un appassionato dell’uomo. Noi abbiamo bisogno di questi credenti, ne abbiamo bisogno particolarmente oggi. La Chiesa avrà futuro nella misura in cui questi credenti, profeti, anche papà e mamme di famiglia, fidanzati, professionisti, sentiranno che lo Spirito del Signore li abita, li pone in una relazione dolorosa e gioiosa con Dio, li pone in una vicinanza-lontananza dalla banalità quotidiana, li pone nella tensione: Ma cosa è bene fare adesso? Ma qual è il prossimo passo che come single, come famiglia, come coppia dobbiamo fare? Ecco, il profeta si chiede delle cose. Gesù se l’è chieste come profeta, come uomo, come Figlio di Dio e il Suo semplice passare ha diviso le persone, ma è quella divisione del bisturi che taglia ciò che è marcio - e quindi porterebbe alla morte l’intero organismo - da ciò che è sano. Un cresimato deve fare questo.

Non vi impressionate, ma se siete fidanzati, questa Cresima potrebbe dividervi dal vostro ragazzo, nel caso ci sia qualcosa di marcio - pensateci bene! - potrebbe dividervi da amici di antichissima data, perché quella relazione non è sana, non è santa, non è umana. Ricordatevi che quello che è santo è anche umano, e ciò che non è santo è anche disumano, è anche compromesso. Quindi ci penserei bene… Ho visto che alcuni fidanzati si sono guardati: Ma ci andiamo o non ci andiamo? Pensateci, perché la Parola divide, ma potrebbe anche legarvi in una maniera fortissima, così come nessun amore umano riuscirebbe mai. Dipende dalla bontà, dalla verità del nostro essere.

Allora il Vescovo, che è ancora qui perché ancora sogna, spera per la sua Chiesa, vi augura e si augura che da questa celebrazione anche un po’ anonima - perché le celebrazioni in Cattedrale hanno questa caratteristica (ieri Luigi, facendo una battuta a pranzo, ha detto: “Il primo indulto dell’anno”, perché in Cattedrale arrivano quelli che hanno fatto un corso di corsa, senza giudicarvi…) -, di motivazioni non proprio cristalline, non proprio limpide, non proprio di forte adesione di partenza, ma lo Spirito è imprevedibile e lo Spirito potrebbe cambiare, cioè cambierà nella realtà, ma poi l’adesione, la coscienza, la libertà, taglia le ali allo Spirito, imbavaglia lo Spirito che è di per sé uno Spirito loquace, che parla, che dice, che indica, imbavaglia la nostra libertà… Faccio la Cresima e mi tolgo il pensiero… Faccio la Cresima perché mi hanno chiesto di svolgere il ruolo di padrino per il Battesimo (spero che sappiate che per essere padrini nel Battesimo, nella Cresima di altri c’è bisogno d’aver chiuso l’iter di iniziazione cristiana che si conclude appunto con la Cresima).

Io amo sperare che lo Spirito profetico entri dentro di voi come un terremoto. Sentirete un brivido nella schiena, un sommovimento, un sovvertimento di quello che vi sembrava essere giusto e che forse giusto non è. Allora anche voi parlerete - e la gente si meraviglierà - direte le stesse cose che dicono tutti, ma le direte con una forza che penetra, che entra, che divide, che si modula sul cuore di ciascuno indicando il bene.
Santi? Sì. I profeti sono santi, che non significa “impeccabili”, ma santi che generano altri santi, inquietudine che genera altra inquietudine, pace che genera altra pace. Chiedo che questo avvenga adesso, qui, nella nostra Cattedrale, in una Domenica fredda del gennaio 2012.  

***

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

31 Gennaio
Santi Ciro e Giovanni,
martiri
 
nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli


p. Antonio Tripodoro s.j.

San Ciro è un santo dei primi tempi del cristianesimo, di quando cioè il cristianesimo cominciava a diffondersi e a poco a poco penetrava nelle città, nelle istituzioni pubbliche e tra i vari ceti sociali. Coloro che ne erano illuminati vivevano fervorosamente la loro fede, affrontavano ogni genere di difficoltà e, se era necessario, difendevano col sangue le proprie convinzioni. I Martiri erano gli eroi della Chiesa primitiva, e i loro corpi venivano gelosamente custoditi e venerati.




L'arazzo di San Ciro che si espone al Gesù Nuovo per la festa del 31 gennaio.

San Ciro era nato e viveva ad Alessandria d'Egitto, allora una delle città più importanti dell'antichità. Era un centro culturale fiorente, perché, posta tra l'oriente e l'occidente, attirava uomini di tutte le razze. Era ricca di mercati, musei, monumenti, centri di studio.
Famosa era la sua Biblioteca, prima che venisse distrutta dagli arabi. Alessandria d'Egitto nulla aveva da invidiare alle grandi città del tempo, compresa Roma. Celebre era pure la scuola di Medicina, dove aveva studiato anche Galeno.



Sappiamo dalla tradizione che San Ciro era un medico valente che - come dice S.Sofronio - dirigeva quello che ora noi chiamiamo un ambulatorio, dove venivano curati soprattutto i poveri.

In quel tempo ad Alessandria, oltre i medici, pullulavano astrologi, maghi e indovini, che spesso causavano disordini e rivolte. L'imperatore Diocleziano, che da poco aveva sedato la rivolta di Achilleo VIII, non poteva tollerare questi ciarlatani, e presto cominciò a perseguitarli, distinguendo poco tra medici e maghi. S.Ciro fu costretto quindi a lasciare la città e si ritirò nel deserto, a est del fiume Nilo.

Nella solitudine poté dedicarsi totalmente alla preghiera e alla meditazione, dando origine a quella forma di vita monastica di cui, in seguito, S. Antonio Abate sarà considerato il fondatore.

Suo primo discepolo fu un ex soldato di nome Giovanni, nato ad Edessa, che prima aveva militato sotto le insegne romane, ma che poi, a causa delle epurazioni anticristiane, aveva lasciato l'esercito per coerenza con la sua fede cristiana. Rimase con San Ciro quattro anni, dedito anche lui alla preghiera e alla meditazione, e quando il maestro, avendo avuto notizia del crescere della persecuzione anticristiana scatenata da Diocleziano, decise di tornare ad Alessandria, lo seguì.

In città difatti la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani era cresciuta di intensità e violenza, e anche nelle cittadine vicine c'erano carcerazioni, minacce e condanne a morte.
 
San Ciro allora, con il compagno Giovanni, si fermò a Canòpo, località distante una ventina di chilometri da Alessandria d'Egitto, e mentre sosteneva nella fede una madre e le sue tre figlie, che erano state imprigionate, venne egli stesso incarcerato, torturato e ucciso, concludendo così con la fulgida testimonianza del martirio


San Ciro condivide il martirio dei cristiani ad Alessandria d'Egitto.

Era il 31 gennaio del 303 (o 312, come alcuni storici sostengono). I cristiani raccolsero i corpi dei martiri e - come ci assicura S.Onofrio - li seppellirono in una basilica eretta in loro onore.

Intanto la devozione per i santi Ciro e il suo compagno Giovanni si estendeva sempre più. Da ogni parte si correva al loro sepolcro. Fu probabilmente S. Cirillo, nel 414, a far trasportare i corpi dei Santi Ciro e Giovanni da Alessandria d'Egitto. Quando poi gli arabi occuparono la regione, verso la metà del VII secolo, non si sa bene cosa accadde, ma sappiamo che vicino a Canòpo era sorto un villaggio chiamato Aboukir, si pensa che tale nome provenga da Abba Kyr, cioè “Padre Ciro”, essendo il Martire ritenuto da tutti un vero padre.

Verso l’inizio del VII secolo la devozione a S. Ciro era grande e sappiamo che S. Sofronio da Gerusalemme andò presso la tomba di S.Ciro per implorare la grazia della guarigione degli occhi. Ottenutala, per gratitudine ha lasciato una biografia di S.Ciro e la descrizione di settanta miracoli ottenuti dal Santo. 

Tra l’VIII e il IX secolo il culto ai due Santi si diffuse anche a Roma, e ciò spiega l’esistenza di molti dipinti, e anche la menzione che se ne fa in varie preghiere, come pure l’intitolazione di oratori e associazioni benefiche.

A Napoli il culto ai due Santi risale all’inizio del IX secolo, poiché in quel tempo colonie commerciali alessandrine operavano in città e ovviamente vi portarono le loro tradizioni e anche il culto ai loro Santi. Si stabilirono nel quartiere del Nilo, a ridosso dell’attuale via Mezzocannone, e vi costruirono una chiesa dedicata proprio ai Santi Abba Ciro e Giovanni.

Quando poi i gesuiti costruirono a Napoli la chiesa del Gesù Nuovo, consacrata nel 1601, si volle dotare il nuovo tempio con le reliquie di vari Santi. Il gesuita P. Vincenzo Maggio, recatosi a Roma, ne ottenne moltissime, e tra queste quelle appunto dei santi Ciro e Giovanni soldato.




Statua di San Giovanni soldato, che condivise il martirio con San Ciro.

Tra la fine del 1675 e l'inizio dell'anno seguente giunse a Napoli, al Gesù Nuovo, San Francesco De Geronimo, che vi lavorò per ben quarant'anni, svolgendo il suo apostolato missionario nella città e in molti altri luoghi, e a Napoli in particolare nella zona dei "quartieri spagnoli". Resosi conto che San Ciro era conosciuto e venerato a Napoli fin dal IX secolo, prelevò alcuni frammenti delle ossa del Santo, li chiuse in un reliquiario e se ne serviva per segnare gli infermi nelle sue missioni popolari. Gli effetti furono strabilianti: si ottenevano guarigioni di ogni genere.



Da ogni parte grandi folle - come narrano le cronache del tempo - accorrevano alla chiesa del Gesù Nuovo per venerare il corpo di San Ciro. L'11 maggio del 1716 S.Francesco de Geronimo morì, ma la devozione a S.Ciro si era ormai radicata nel popolo. La festa dei due martiri egiziani, Ciro e Giovanni, si celebra ancora adesso ogni 31 gennaio, con grande affluenza di fedeli, ma nel corso dell'anno ogni giovedì è dedicato, nella chiesa del Gesù Nuovo, alla loro memoria.

Dopo la canonizzazione del de Geronimo, avvenuta nel 1839, si volle dare alle reliquie di questi santi martiri una sistemazione migliore. Per questo quelle di San Ciro furono posti in una nuova urna marmorea, disegnata dall’architetto gesuita P. Giovanni Battista Iazeolla, collocata sotto l’altare della cappella del Crocifisso. Le reliquie di San Giovanni soldato, nel 1915, furono chiuse in un’urna cineraria romana, sorretta da un solido ed elegante supporto, nella stessa cappella, sul lato destro.

Era giusto che i due Santi, uniti in vita dall’amicizia, dalla stima e dall’amore per Cristo e per i fratelli, stessero insieme anche dopo la morte. Preferirono donare la loro vita, affrontando insieme il martirio, mentre, come già detto, erano intenti a confortare i cristiani perseguitati di Alessandria d'Egitto. Insieme oggi ricevono l’omaggio dei fedeli e intercedono per tutti presso Dio, nella cui gloria vivono per l'eternità.

Esiste anche il Monte di San Ciro, una associazione a scopo di preghiere, per i vivi e per i defunti. Per gli iscritti si celebra ogni giorno, alle 10, la Santa Messa. Una Messa di suffragio si celebra anche alla morte di ogni iscritto.

31 GENNAIO
SAN CIRO e GIOVANNI
Martiri



San Ciro in Gloria

La chiesa ricorda oggi il monaco Ciro e suo fratello Giovanni, martiri al tempo di Diocleziano assieme alle tre vergini Teodora, Teodossia e Teopista e alla loro madre Atanasia.
Secondo gli antichi agiografi, Giovanni era soldato, mentre Ciro, dopo aver esercitato l'arte medica, si era ritirato in monastero. Entrambi originari di Alessandria, vivevano tuttavia nei pressi di Antiochia. Allo scoppio della persecuzione di Diocleziano, essi fecero ritorno ad Alessandria, dove incoraggiarono Atanasia e le sue tre figlie a rimanere salde nella confessione della fede. Attorno al 303 la situazione precipitò, vi furono arresti in massa, e sia le quattro donne che Ciro e Giovanni vennero condannati a morte, torturati e infine decapitati nel medesimo giorno. I loro corpi vennero dapprima posti nella chiesa di San Marco, ad Alessandria, e poi trasferiti a Menouthis, alla periferia della grande metropoli africana, dove attorno alla loro tomba si sviluppò uno dei più frequentati santuari dell'antichità. Ancora oggi il quartiere alessandrino ove sorgeva la loro tomba si chiama Abukir, dal nome di Ciro, venerato come grande guaritore per la fama di medico dei poveri che si era guadagnato in vita. Le reliquie di Ciro e Giovanni si trovano attualmente a Napoli nella chiesa del Gesù nuovo.  

Seconda lettura   Dalla « Esortazione al martirio» di Origene (PG 11,634-638)
Il martire glorifica Dio con la sua morte
Sappiamo che ciò che fu detto di Abele ucciso dal­l'omicida e ingiusto Caino, si può dire anche di tutti quelli il cui sangue fu sparso ingiustamente. Credia­mo che l'affermazione: la voce del sangue di tuo fra­tello grida a me dalla terra, si dice anche dei singoli martiri: La voce del loro sangue grida a Dio dalla ter­ra. Inoltre, come siamo stati comprati col sangue pre­zioso di Gesù, dopo che Gesù ricevette il nome che è al di sopra di ogni altro nome, così alcuni sono com­prati anche col sangue prezioso dei martiri, poiché i martiri si dovrebbero esaltare più di quanto siano stati esaltati se fossero stati soltanto giusti e non an­che martiri.
È giusto, infatti, che sia detta propriamente esalta­zione la morte dei martiri, come appare dalle parole di Gesù: Quando sarò elevato da terra attirerò tutti ame. Anche noi, dunque, glorifichiamo Dio, esaltando­lo con la nostra morte, poiché il martire glorifica Dio con la sua morte. Questo abbiamo appreso anche da Giovanni che dice: Questo diceva per indicare di qua­le morte doveva morire.
Queste cose vi ho scritto per quanto fu lecito alla mia capacità, e mi auguro che siano utili nella pre­sente lotta. Ma se voi, soprattutto ora, in quanto de­gni di penetrare di più nei divini misteri, compren­dendo cose maggiori e più preziose e più efficaci sul­l'argomento, metterete da parte i miei pensieri come puerili e tenui, accadrà ciò che anche io desidero per voi. Il nostro proposito, infatti, non è che per mezzo nostro si porti a compimento ciò che è in voi, ma che in qualunque modo si compia. E voglia il cielo che si compia per quei mezzi che sono più divini e più pru­denti e che superano ogni natura umana, cioè le paro­le e la sapienza di Dio.


Responsorio                           2 Tim 4,7-8; cfr Fil 3,8-10
Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede:
* Ora mi resta solo la corona di giustizia.
Tutto ho stimato una perdita pur di conoscere Cri­sto
e partecipare alle sue sofferenze conforme a lui nella morte.
Ora mi resta solo la corona di giustizia.


Orazione    Dio onnipotente e misericordioso, che hai dato ai Santi Ciro e Goivanni invitta costanza fra i tormenti del martirio, ren­dici sereni nelle prove della vita e salvaci dalle insi­die del maligno. Per il nostro Signore.


Essi ora riposano in questo sepolcro. Nobilmente andarono incontro al martirio per il Nome di Cristo, e per lui deposero le loro vite. Le loro reliquie erano poste in un medesimo luogo, e non potendo discernere quale fosse il corpo dell'uno, quale quello dell'altro, abbiamo deciso di prendere entrambi e di trasferirli nella chiesa dei Santi Evangelisti, facendo loro un sepolcro come conviene a dei martiri. Anche in futuro, allora, se Dio lo vorrà, potremo trovarci riuniti per rendere onore sia ai santi evangelisti sia ai beati martiri, i cui nomi sono Ciro e Giovanni. Cirillo di Alessandria, dalle Omelie

PREGHIERA   Riuniamoci, o amati, per lodare Cristo nostro re e venerare in vari modi i sapienti apa Ciro e Giovanni. Essi disprezzarono questo mondo e amarono Cristo Signore,
per cui fu dato loro di sanare ogni malattia. Salute, o martiri del nostro Signore Gesù Cristo,
salve, nobili lottatori, sapienti apa Ciro e Giovanni,  rivestiti delle corone del martirio. Pregate il Signore per noi, apa Ciro e Giovanni, affinché rimetta a noi i nostri peccati.

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lunedì 30 gennaio 2012

31 GENNAIO
SAN GIOVANNI BOSCO
 (m) 
Sacerdote


INVITATORIO Ant. Venite, adoriamo il pastore supremo, Cristo Signore.

Seconda Lettura   Dalle «Lettere» di san Giovanni Bosco  (Epistolario, Torino, 1959, 4, 202. 294-205. 209)
Imitare Gesù e lasciarsi guidare dall'amore
Se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre tenero oggetto delle mie occupazioni, dei miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo alla maniera di chi vi si adatta per forza e per compiere un dovere. Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! E' certo più facile irritarsi che pazientare, minacciare un fanciullo che persuaderlo. direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo. Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l`aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poco fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti ed umili di cuore (Mt 11, 29). Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell'animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l'avvenire, ed allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione. In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall'altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita.  Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi. Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimen-to del dovere del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori ed unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell'educazione della gioventù.

Responsorio   Cfr. Mc 10, 13-14; Mt 18, 5
Presentavano a Gesù dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù disse: Lasciate che vengano a me, non glielo impedite:
* a chi è come loro appartiene il regno di Dio.
E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me:
a chi come loro appartiene il regno di Dio.


Lectio altera Ex Epístolis sancti Ioánnis Bosco, presbýteri (Epistolario, Torino 1959, 4, 201-203)
Semper amanter adlaboravi
In primis, si vidéri cúpimus sollíciti veræ beatitúdinis nostrórum alumnórum quo facílius eos inducámus ad própria offícia adimplénda, opórtet ne umquam obliviscámini vos vices ágere paréntum iúvenum dilectórum, pro quibus semper amánter adlaborávi, stúdui et sacerdotália múnera exércui, et non ego solus, sed tota Salesiána socíetas. Quóties, filíoli mei, in meo non brevi currículo mihi persuadéndum fuit de huiúsmodi magna veritáte! Facílius est irásci quam sustinére, púero minári quam persuadére; dicam immo commódius esse nostræ impatiéntiæ et supérbiæ pœna affícere pervicáces pótius quam eos corrígere, fírmiter suavitérque tolerándo. Caritátem tamen Pauli vobis comméndo, qua ipse se gerébat in neóphytos, quæ sæpe ad lácrimas eum adducébat et ad supplicatiónem, quando eos parum dóciles et suæ dilectióni obniténtes inveniébat. Cavéte ne quis iúdicet vos veheménti ánimi ímpetu commovéri. Diffícile est in puniéndo illam ánimi constántiam serváre, quæ necessária est, ne dúbium exoriátur nos ad ostendéndam nostram auctoritátem ágere vel ad ánimi ímpetum effundéndum. Ut fílios aspiciámus eos, in quos áliqua potéstas est nobis exercénda. Constituámus nos quasi in eórum famulátum, quemádmodum Iesus, qui ad obœdiéndum venit, non ad imperándum, pudeátque nos ipsíus speciéi dominándi; nec dominémur in ipsis, nisi ad mélius eísdem serviéndum. Huiúsmodi erat agéndi rátio Iesu cum Apóstolis, qui eos, ignorántes et rudes, immo et parum fidéles sustinébat, et in peccatóres se ea cum benignitáte et familiári amicítia gerébat, ut álii stupórem, álii vero scándalum concíperent, aliíque dénique spem a Deo impetrándi véniam. Ideóque nobis mandávit ut essémus mites et húmiles corde. Nostri sunt fílii, quaprópter cum eórum erróres compéscimus, omnem iram deponámus vel ádeo temperémus quasi omníno exstinxérimus. Non in ánimo concitátio, non in óculis contémptio, non in ore contumélia, sed misericórdia in præsénti, spes futúri témporis, ut veros decet patres, qui veræ stúdeant correctióni et emendatióni. In gravíssimis rerum adiúnctis præstat Deum supplíciter et humíliter exoráre, quam verbórum flumen emíttere, quæ, dum audiéntium ánimos offéndunt, nullam sóntibus áfferunt utilitátem.

Responsorium   Mc 10, 13-14; Mt 18, 5
Offerébant Iesu párvulos, ut tángeret illos; discípuli autem comminabántur eis. At videns Iesus, ait illis: * Sínite párvulos veníre ad me. Ne prohibuéritis eos; tálium est enim regnum Dei.
Qui suscéperit unum párvulum talem in nómine meo,
me súscipit.                                                            
Sínite párvulos veníre ad me. Ne prohibuéritis eos; tálium est enim regnum Dei.

seconda lettura  Dal "Piano di Regolamento per l'Oratorio maschile di san Francesco di Sales" (1854) scritto da san Giovanni Bosco, sacerdote     
(Ed. P. Braido et Alii, Scritti pedagogici e spirituali, Roma 1987, 41-44, passim)
Un nuovo modo di evangelizzare i giovani
"[...] per riunire insieme i figli di Dio che erano di­spersi" (Gv 11, 52). Le parole del santo Vangelo che ci fanno conoscere il Divin Salvatore essere venuto dal cielo in terra per radunare insieme tutti i figli di Dio, dispersi nelle varie parti della terra, mi pare che si pos­sano letteralmente applicare alla gioventù dei nostri gior­ni. Questa porzione la più delicata e la più preziosa dell'umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa. Tolta la trascuratezza dei genitori, l'ozio, lo scontro dei tristi compagni, cui vanno specialmente soggetti nei gior­ni festivi, riesce facilissima cosa l'insinuare nei teneri loro cuori i principi di ordine, di buon costume, di ri­spetto, di religione, perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, lo sono piuttosto per incon­sideratezza, che non per malizia consuma-ta. Questi giovani hanno veramente bisogno di una ma­no benefica, che prenda cura di loro, li coltivi, li guidi alla virtù, li allontani dal vizio. La difficoltà consiste nel trovar modo di radunarli, poter loro parlare, mo­ralizzarli. Questa fu la missione del Figlio di Dio; questo può solamente fare la santa sua religione. Ma questa reli­gione, che è eterna ed immutabile in sé, che fu e sarà sempre in ogni tempo la maestra degli uomini, contie­ne una legge così perfetta, che sa piegarsi alle vicende dei tempi, e adattarsi all'indole diversa di tutti gli uomini. Fra i mezzi atti a diffondere lo spirito di religione nei cuori incolti e abbandonati, si reputano gli Orato­ri. Sono questi Oratori luoghi in cui si intrattiene la gio­ventù in piacevole ed onesta ricreazione, dopo di aver assistito alle sacre funzioni di chiesa. I conforti che mi vennero dalle autorità civili ed ecclesiastiche, lo zelo con cui molte persone vennero in aiuto con mezzi temporali e con le loro fatiche, sono segno non dubbio delle benedizioni del Signore, e del pubblico gradimento degli uomini. Io non intendo dare né leggi né precetti; mio scopo è di esporre le cose che si fanno nell'Oratorio maschile di san Francesco di Sales in Valdocco; è il modo con cui queste cose sono fatte. Forse taluno troverà espressioni che sembrano di­mostrare che io vada cercando gloria ed onore; non lo creda: attribuisca ciò all'impegno che ho di scrivere le cose che sono realmente avvenute e come tuttora si trovano. Quando mi sono dato a questa parte di sacro mini­stero intesi di consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime; intesi di ado­perarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio mi aiuti di poter così continuare fino all'ultimo respiro di mia vita.

responsorio Cf Col 3,17; 1 Cor 16,14
Tutto quello che fate in parole e in opere, si com­pia nel nome del nostro Signore Gesù Cristo,
* in ren­dimento di grazie a Dio Padre per mezzo di lui.
Tutto tra voi si faccia nella carità di Cristo,
in rendimento di grazie a Dio Padre per mezzo di lui.

Oppure:  seconda lettura  Dalle "Lettere" di san Giovanni Bosco, sacerdote
(Lettera del 9 giugno 1867; Epistolario, Torino 1959, I, 473-475)
La sequela di Cristo nella Società Salesiana
Primo oggetto della nostra Società è la santificazione de' suoi membri. Perciò ognuno nella sua entrata si spo­gli di ogni altro pensiero, di ogni altra sollecitudine. Chi ci entrasse per godere una vita tranquilla, aver co­modità a proseguir gli studi, liberarsi dai comandi dei genitori, o esimersi dall'obbedienza di qualche superiore, egli avrebbe un fine storto e non sarebbe più quel «Se­guimi» del Salvatore, giacché seguirebbe la propria uti­lità temporale, non il bene dell'anima. Gli apostoli furono lodati dal Salvatore e venne loro promesso un regno eterno, non perché abbandonarono il mondo, ma perché abbandonandolo si professavano pronti a seguir­lo nelle tribolazioni, come avvenne di fatto, consumando la loro vita nelle fatiche, nella penitenza e nei patimen­ti, sostenendo infine il martirio per la fede.
Nemmeno con buon fine entra o rimane nella So­cietà chi è persuaso di essere necessario alla medesima. Ognuno se lo imprima bene in mente e nel cuore: co­minciando dal Superiore generale fino all'ultimo dei soci, nessuno è necessario alla Società. Dio solo ne deve es­sere il capo, il padrone assolutamente necessario. Per­ciò i membri di essa devono rivolgersi al loro capo, al loro vero padrone, al rimuneratore, a Dio, e per amo­re di lui ognuno deve farsi iscrivere nella Società; per amore di lui lavorare, ubbidire, abbandonare quanto si possedeva nel mondo per poter dire alla fine della vita al Signore che abbiamo scelto per modello: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?» (Mt 19,27).
«Chi vuol farsi mio discepolo, dice il Salvatore, mi segua con la preghiera, con la penitenza, e specialmen­te rinneghi se stesso, prenda la croce delle quotidiane tribolazioni e mi segua. Ma fino a quando seguirlo? Fino alla morte, e, se fosse necessario, anche ad una morte di croce.
Ciò è quanto nella nostra Società fa colui che logo­ra le sue forze nel sacro ministero, nell'insegnamento o altro esercizio sacerdotale, fino ad una morte anche violenta di carcere, di esilio, di ferro, di acqua, di fuo­co, fino a tanto che dopo aver patito o essere morto con Gesù Cristo sopra la terra, possa andare a godere con lui in Cielo.
Entrato un socio con queste buone disposizioni, deve mostrarsi senza pretese ed accogliere con piacere qualsiasi ufficio gli possa essere affidato. Insegnamento, stu­dio, lavoro, predicazione, confessione, in chiesa, fuori di chiesa; le più basse occupazioni devono assumersi con ilarità e prontezza d'animo, perché Dio non guar­da le qualità dell'impiego, ma guarda il fine di chi lo ricopre. Quindi tutti gli uffizii sono egualmente nobili, perché egualmente meritori agli occhi di Dio. Dio ri­colmi voi e le vostre fatiche di benedizioni e la grazia del Signore santifichi le vostre azioni e vi aiuti a perse­verare nel bene.


responsorio 2 Cor 13,11; Fil 4,
State lieti, tendete alla perfezione, vivete in pace.
* E il Dio della pace e dell'amore sarà con voi.
La pace di Dio che sorpassa ogni intelligenza, cu­stodisca i vostri cuori in Cristo Gesù.
E il Dio della pace e dell'amore sarà con voi.


oppure: Dalla lettera "luvenum Patris" di Giovanni Paolo II, papa (AAS 80 [1988] 969-987)
San Giovanni Bosco "Padre e Maestro della gioventù"
San Giovanni Bosco sentiva di aver ricevuto una spe­ciale vocazione e di essere assistito e quasi guidato per mano, nell'attuazione della sua missione, dal Signore e dall'intervento materno della Vergine Maria. La sua risposta fu tale che la Chiesa lo ha proposto ufficial­mente ai fedeli quale modello di santità. La sua statura di Santo lo colloca, con originalità, tra i grandi Fondatori di Istituti religiosi nella Chiesa. Egli eccelle per molti aspetti: è l'iniziatore di una vera scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica; è il promotore di una speciale devozione a Maria, Ausiliatrice dei Cristiani e Madre della Chiesa; è il testimone di un leale e coraggioso senso ecclesiale, manifestato attraverso mediazioni delicate nelle allora difficili re­lazioni tra la Chiesa e lo Stato; è l'apostolo realistico e pratico, aperto agli apporti delle nuove scoperte; è l'organizzatore zelante delle Missioni con sensibilità ve­ramente cattolica; è, in modo eccelso, l'esemplare di un amore preferenziale per i giovani, specialmente per i più bisognosi, a bene della Chiesa e della società; è il mae­stro di un'efficace e geniale prassi pedagogica, lasciata come dono prezioso da custodire e sviluppare. Proprio un tale interscambio tra "educazione" e "san­tità" è l'aspetto caratteristico della sua figura: egli è un "educatore santo", si ispira a un "modello santo" - Fran­cesco di Sales -, è discepolo di un "maestro spirituale santo" - Giuseppe Cafasso -, e sa formare tra i suoi giovani un "educando santo" - Domenico Savio. Per san Giovanni Bosco, fondatore di una grande Famiglia spirituale, si può dire che il tratto peculiare della sua "genialità" è legato a quella prassi educativa che egli stesso chiamò "sistema preventivo". Questo rap­presenta, in un certo modo, il condensato della sua sag­gezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa, riceven­do attenzione e riconoscimento da parte di numerosi educatori e studiosi di pedagogia. La sostanza del suo insegnamento rimane; la pecu­liarità del suo spirito, le sue intenzioni, il suo stile, il suo carisma non vengono meno, perché ispirati alla tra­scendente pedagogia di Dio. Nella Chiesa e nel mondo la visione educativa inte­grale, che vediamo incarnata in Giovanni Bosco, è una pedagogia realista della santità. Urge ricuperare il ve­ro concetto di "santità", come componente della vita di ogni credente. L'originalità e l'audacia della propo­sta di una "santità giovanile" è intrinseca all'arte edu­cativa di questo grande Santo, che può essere giusta­mente definito "maestro di spiritualità giovanile". Il suo particolare segreto fu quello di non deludere le aspira­zioni profonde dei giovani (bisogno di vita, di espan­sione, di gioia, di libertà, di futuro), e insieme di portarli gradualmente e realisticamente a sperimentare che so­lo nella "vita di grazia", cioè nell'amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici.

responsorio      Fil 3,17; 4,9; cf 1 Cor 1,10; 10,31
Fatevi miei imitatori: ciò che avete imparato, rice­vuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fa­re. * E il Dio della pace sarà con voi.
Vi esorto, per il nome del Signore nostro Gesù Cri­sto, a fare tutto per la gloria di Dio.
E il Dio della pace sarà con voi.

Orazione     O Dio, che in san Giovanni Bosco hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani, suscita anche in noi la stessa fiamma di carità a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli. Per il nostro Signore.

Vel: Deus, qui sanctum Joannes Confessorem tuum adolscentium Patrem et Magistrum excitasti, ac per eum, auxiliatrice Virgine Maria, novas in Ecclesia tua familias florescere voluisti: concede, quæsumus; ut eodem caritatis igne succensi, animas quærere, tibique soli servire valeamus. Per Dominum.

"attirare" i giovani?

"attirare" i giovani?



Leggo come tanti in questi giorni, la notizia che sabato 11 febbraio nella chiesa di Albiano (Trento), si terrà una Messa accompagnata da una band che suona l’heavy metal. Non ho le conoscenze precise dell’avvenimento, né le competenze per poter stabilire quanto le norme sulla Musica Sacra saranno o no osservate, mi limito solo a trarre uno spunto di riflessione.
A me pare che queste iniziative talora siano ispirate da un luogo comune diffusissimo nel clero cattolico, la necessità assoluta e improrogabile di “attirare i giovani”.
Ma ci sono solo i giovani nella cura d’anime (scusate l’archeologismo) di un Sacerdote? E i bambini? E i vecchi? E quelli di mezza età a cui nessuno sembra dar peso?
Sono prete da 22 anni e per quindici ho fatto il parroco dedito, come potevo, alla salus animarum, ma ho scoperto sul campo, nonostante avessi il cervello imbottito di giovanilismo e di pastorale giovanile, che la vita di tutti giorni è fatta di persone di ogni età. Dal vecchietto che mi raccontava sempre la stessa storia di guerra, al giovane in crisi con la morosa, alla famiglia che mi invitava a pranzo, al decadimento fisico di malati e moribondi che cercavano in me non l’animatore sociale, ma il Sacerdote che in persona Christi, apriva loro le porte della Misericordia di Dio attraverso la grazia del Viatico.
Cose d’antan? Forse. Ma ero felice. E i miei vecchi e malati pure. E felici vedevo anche (ma questo non ditelo in giro) giovanotti e bambini cantare l’antica musica gregoriana, chè forse di metal ne avevano già assorbito fin troppo.

5 Responses to “Te lodiamo AC/DC”

  1. Piero
    on gen 30th, 2012
    @ 12:35
    La crisi della Chiesa e’ prima di tutto una crisi nella Chiesa…
    Ormai si e’ ridotta a fare “attivita’ sociale”

  2. alvaro
    on gen 30th, 2012
    @ 13:00
    Come al solito sono d’accordo con Piero, solo “attivita’ sociale” e secondo il “corriere della sera” neanche troppo bene ricordate? Alvaro.

  3. Valentina
    on gen 30th, 2012
    @ 14:04
    Ringrazio don Rinaldo per l’incisiva risposta tratta dall’esperienza personale che mi induce a due considerazioni ulteriori. Credo infatti che il nodo cruciale della questione stia anche e soprattutto nella scelta propria dell’HEAVY METAL.
    In primo luogo, si tratta di un determinato genere musicale particolarmente violento e aggressivo, in molti casi, demoniaco per non dire satanico. Invito a leggere anche solo sommariamente la voce riportata su Wikipedia, alquanto eloquente laddove si sottolinea che “Le tematiche musicali sono spesso definite come oniriche, rabbiose o violente”. La scelta di sonorità caotiche e distorte nulla ha a che vedere con l’armonia del cosmo divino e sono convinta che un testo evangelico non possa che essere profondamente distorto e mal manipolato se supportato da tali rumori. Così facendo, non si può che facilitare l’ingresso in chiesa del principe degli inferi.
    In secondo luogo, ritengo che si tratti di un’infelice scelta anche a livello di pastorale giovanile: non tutti i giovani di oggi, infatti, seguono la musica metal. Al contrario, coloro che sono affascinati da tali sonorità sono solo una ristretta minoranza, per lo più disinteressata a partecipare ad una Santa Messa. In questo modo si preclude la partecipazione alla funzione della maggioranza stessa dei giovani che seguono altri generi musicali (pop, rock, disco, house, rap, raggie…).

  4. il Criticone
    on gen 30th, 2012
    @ 17:38
    Ormai è chiaro che le messe nel trentino non sono più cattoliche ma sono protestanti e battiste, come in america dove si balla in chiesa con la chitarra in mano. Invito i cattolici a non frequentare queste messe che non sono valide. Invito anche il Papa ad occuparsi di queste vicende sempre più frequenti. In fondo il padre, per educare il bambino qualche scapaccione lo deve dare, altrimenti la chiesa diventa il nonno che vizia il nipotino e poi magari insegna che sì, andremo tutti in paradiso e l’inferno è vuoto.

  5. alvaro
    on gen 30th, 2012
    @ 18:50
    Caro il Criticone, non cadere nel mio stesso errore perche’ poi potresti rimanerci male, come d’altronde e’ successo a me. Quando sono partito per gli USA ero pieno di pregiudizi, nella mia presunzione pensavo di dover e poter insegnare loro qualcosa o quanto meno aiutarli, errore, grossolano errore. I cattolici americani possono insegnare qualcosa a noi, partecipano in molti di piu’ che da noi, in maniera sicuramente piu’ intensa e raccolta, non dar retta di chitarre se ne vedono poche in giro, e quello che mi ha colpito in maniera davvero speciale e’ che intere famiglie partecipano. E’ veramente raro vedere un uomo o una donna da soli e/o i due genitori senza i soliti due,tre figli. Non sono andato in una sola chiesa, potrebbe essere un caso isolato quanto ho descritto, e per di piu’ dei conoscenti, italiani anche loro, me lo hanno confermato anche per ulteriori altre chiese. Io sono attualmente in Virginia e parlo chiaramente per questo stato, per gli altri, specialmente per quelli del Sud, non mi avventuro in supposizioni. Alvaro.
    P.S. Dimenticavo, qui vicino a dove abita mio figlio c’e’ una Chiesa frequentata quasi esclusivamente da gente di colore e veramente qui si canta, ma niente di particolare e sopratutto canzoni in tono con l’ambiente e la loro cultura.

Ma torniamo ai nostri giovani da attirare.
Credo che si debba anche chiedersi DOVE gli vogliamo attirare.
Nella storia di Pinocchio vi è un personaggio che è il più terrificante e spietato di tutti: l’Omino di burro. Anche lui attirava i ragazzi. Li portava al Paese dei Balocchi e da lì, non tornavano più.
Canticchiava una strofetta a mezza voce: “Tutti dormono … ma io non dormo mai …”.
Che l’aria sia stata heavy metal?

Michael Hoppe - In Paradisum With AnDee Sanchez.mpg

PREGHIERA DELLA SERA

Padre, eccomi, la mia giornata è finita, se ho fatto qualcosa di bene te ne ringrazio e  se ho fatto del male, il tuo amore mi perdoni!

In questa  pace notturna dove io ti  sento, penso all'altra notte che vedrò discendere,  quando i miei occhi avranno visto 1'ultima luce,  perchè discenderà la morte come scende la notte, come lei ineluttabile come lei profonda.  

Che di tutte le mie notti essa sia la più bella! 

Questa sera come si fa nell'ora della morte, io ti offro la mia anima mentre mi addorrnento. Padre,  accogli questa  povera anima mia! Che io la senta partire ogni sera perchè ogni sera chiudendo i miei occhi impari a morire ....

domenica 29 gennaio 2012


30 Gennaio

B. Columba Marmion

Sacerdos alter Christus: il carattere sacerdotale di Dom Columba Marmion




Quod est Christus, erimus, christiani: «Quello che è Cristo, lo diventiamo anche noi, o cristiani», affermava un Padre della Chiesa 1, per ricordare ai fedeli la loro eminente dignità.
In verità, tutta l’azione dei sacramenti, a partire dal battesimo, ci assimila al Salvatore: «Voi tutti [...] battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27). Per tutti indistintamente «rivestire Cristo» significa diventare simili a lui nella sua qualità di Figlio di Dio, ma per noi, Ministri del Signore, significa inoltre essere rivestiti del suo sacerdozio. L’assimilazione a Cristo, effetto dei Sacramenti, è piena di mistero. La grazia santificante e il carattere che distinguono il battesimo, la cresima e l’ordine sacro concorrono a perfezionare nell’anima del sacerdote la somiglianza soprannaturale.
La grazia di adozione, lo sapete, è un «germe di vita», dotato di attività, regolato da una legge di sviluppo progressivo e ordinato, da tutte le sue energie, a rendere l’uomo partecipe della beatitudine divina. Questa grazia ci rende psicologicamente capaci di conoscere, amare e possedere Dio come lui stesso si conosce e si ama; e così penetriamo nell’intimità della Vita divina.
Anche i tre caratteri sacramentali contribuiscono a produrre nell’anima, sebbene in tutt’altra maniera, una rassomiglianza con Gesù; ma rimane senza accrescimento vitale, senza capacità di mutamento, perché indelebile e impressa una volta per sempre.
Difatti che cos’è il «carattere»? È una sacra impronta, un sigillo spirituale stampato nell’anima per consacrare l’uomo a Cristo, come discepolo, soldato o ministro. Ci contrassegna col marchio del Redentore, e in tal modo ci rende già, in certo senso simili a lui.
Con la sua stessa presenza il carattere vuole, richiede, esige nell’anima, in maniera stabile, la grazia santificante; perché non ci potrebbe essere contrasto più stridente per un discepolo, un soldato, e soprattutto per un ministro associato al divino Maestro per offrire il sacrificio e dispensare i sacramenti di questo essere privo dell’amicizia di Colui del quale porta, nel fondo dell’anima, il sigillo indelebile.
Consacrazione, segno incancellabile, esigenze della grazia: queste parole non esauriscono tutto il concetto di carattere come l’intende la Chiesa; bisogna vedervi anche una «potestà spirituale», spiritualis potestas.
Il carattere battesimale conferisce al cristiano, oltre la capacità di ricevere gli altri Sacramenti, il potere reale, per quanto solo iniziale, di partecipare al sacerdozio di Cristo. Difatti, egli può unirsi al celebrante nella messa ed offrire insieme il corpo e il sangue di Cristo, e può aggiungere all’immolazione del Salvatore il «sacrificio» spirituale delle sue azioni e delle sue sofferenze 2.
Certamente egli non può operare col sacerdote l’immolazione sacramentale, perché il carattere del battesimo non include tale potere; ma per quanto sia limitato il sacerdozio dei fedeli, costituisce sempre un’altissima dignità. Non per nulla san Pietro dava all’assemblea dei cristiani lo splendido titolo di «sacerdozio regale», regale sacerdotium (1Pt 2,9).

Il carattere e la grazia propria della cresima rendono anche più forte la rassomiglianza e più intima l’unione del battezzato col Salvatore, perché contrassegna il discepolo per farne un cristiano che proclama la sua fede, le rende testimonianza, la difende, la propaga e lotta per essa da soldato di Cristo, forte dei suoi doni e delle virtù dello Spirito Santo.
Nel suo grado più eccelso, l’assimilazione a Gesù si compie nel sacramento dell’ordine. Con l’imposizione delle mani da parte del vescovo, l’ordinando riceve lo Spirito Santo, il quale gli comunica un potere prodigioso sul corpo reale e sul corpo mistico del Signore. I sacerdoti della terra diventano così collaboratori del Pontefice eterno e mediatori tra gli uomini e la divinità.
L’effetto immediato del Sacramento è il carattere. Come l’unione ipostatica è la causa della pienezza di grazia in Gesù, così nel sacerdote il carattere è la fonte di tutti i carismi che l’innalzano sopra i semplici fedeli.
Il potere che vi è stato conferito è d’ordine soprannaturale e vi rende capaci, come ministri di Cristo, di offrire il sacrificio eucaristico e di rimettere i peccati. Ma il carattere è altresì un focolare dal quale scaturisce una grazia sovrabbondante, forza e luce di tutta la vostra vita. Di più, segna l’anima vostra con un’impronta incancellabile che durerà in eterno, principio di immensa gloria in cielo o di vergogna senza nome nell’inferno.
Voi capite, quindi, quanto sia intima l’unione di Cristo col suo sacerdote. Tutta l’antichità cristiana ha considerato il sacerdote come una cosa sola con Gesù: «Egli è l’immagine vivente, il rappresentante legittimo del Pontefice supremo»: Sacerdos Christi figura expessaque forma 3, e l’adagio tanto ripetuto: Sacerdos alter Christus, esprime perfettamente la fede della Chiesa.
Ricordate la scena della vostra ordinazione. In quel giorno memorando, un giovane levita, oppresso dalla propria debolezza e indegnità, s’è prostrato dinanzi al vescovo, rappresentante del Pontefice eterno, e ha curvato il capo all’imposizione delle mani del vescovo che lo consacra. In quell’istante lo Spirito Santo s’è librato su di lui, e il Padre celeste ha potuto contemplare con uno sguardo d’ineffabile compiacenza il novello sacerdote, immagine vivente del suo Figlio prediletto: Hic est Filius meus dilectus [...]. E mentre il vescovo teneva stese le sue mani e tutti i sacerdoti presenti imitavano quel gesto, si realizzavano di nuovo le parole rivolte dall’angelo a Maria: «Lo Spirito Santo verrà sopra di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35). In quell’ora misteriosa lo Spirito Santo ha veramente adombrato l’eletto del Signore, operando tra Cristo e lui un’eterna rassomiglianza, e quando s’è rialzato, quel giovane era completamente trasfigurato: «Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedek» (Sal 109,4).
Voi avete ricevuto allora un sigillo divino che ha contrassegnato il vostro essere e che vi ha consacrato a Dio, anima e corpo, come un vaso sacro, sottratto ad ogni profanazione.

note1 San Cipriano, De idolorum vanitate, XV, P.L. 4, col. 603.
2 Summa Theol. III, q. 83, a. 1, ad 2.
3 San Cirillo D’Alessandria, De adoratione in Spiritu Sancto, P.G. 68, col. 882.

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FONTE:IL SETTIMANALE DI PADRE PIO