domenica 29 luglio 2012

Ferie

DIECI CONSIGLI UTILI PER UNA VACANZA DA CRISTIANI

Il cattolico si distingue anche dal modo in cui si riposa e si diverte: anche sotto l'ombrellone o in cima a una montagna, la meta della vita non è un pacchetto turistico, ma il Paradiso
di Mario Palmaro
 
 
 
Arriva l'estate e l'uomo moderno si misura con un appuntamento obbligato quasi per tutti: le vacanze. Faccenda profana, ma che ha a che fare con i temi della fede e dell'apologetica. Perché il cattolico si riconosce anche dalle vacanze che fa.
Ovviamente, c'è una grande libertà di scelta tra le molte opzioni che abbiamo a disposizione, in una forbice che va da Borghetto Santo Spirito alle Antille. Ma dentro questa libertà ci sono alcuni punti fermi che ci dovrebbero guidare anche durante le nostre ferie. Proviamo a stilare un piccolo vademecum per "la vacanza cattolica".

1. CONTINUA A ESSERE CRISTIANO ANCHE IN VACANZAQuesto dovrebbe essere il punto di partenza di ogni cattolico che progetta il suo tempo di riposo e di divertimento. Andare tre settimane in Patagonia non è un delitto per un cristiano. Ma lo diventa se uno nemmeno si pone la domanda: e la Messa? In tempi di turismo globale, e di pacchetti turistici che ci portano agevolmente ovunque, bisogna stare attenti a non dimenticarsi l'essenziale: che non è il passaporto, ma Gesù Cristo. Che si incontra innanzitutto a Messa, almeno la domenica e nelle feste comandate.

2. RIPOSA MA NON OZIAREVacanza è, semplicemente, cambiare attività. Questo è vero anche solo dal punto di vista umano. C'è qualcosa di patologico nell'idea di "bruciare" il tempo delle ferie nel nulla assoluto, in un'abulia senza costrutto che è, notoriamente, l'anticamera del vizio e del peccato. Per questo motivo anche una giornata di vacanza richiede una certa disciplina, cioè un programma di vita nel quale ci siano tanto riposo e divertimento, il fermo proposito di lasciare da parte il lavoro di ogni giorno, ma anche il tempo per gli altri, a cominciare dai nostri familiari.

3. STAI ALLEGRO, DIVERTITI MA NON PECCAREEra uno dei consigli fondamentali di don Bosco. La vacanza è un grande privilegio, che i nostri antenati non hanno praticamente conosciuto. Chi dice che è un diritto, esagera. E' piuttosto un grande dono, un talento, a patto di saperlo trafficare bene. E' innanzitutto un tempo di rigenerazione, e quindi di meritato riposo. E' legittimo anche divertirsi, purchè questo obiettivo non travolga il primo: infatti, quale riposo è possibile se cerchiamo solo la confusione, la folla assordante, il rumore; se, in altre parole, ricreiamo a centinaia di chilometri di distanza lo stesso scenario confuso e dissipato in cui siamo costretti a vivere ogni giorno? Ci sono ambienti e divertimenti che in sé non sono illeciti, ma che costituiscono l'humus ideale per il peccato. Sono le famose occasioni, e già ricercarle e non fuggirle diventa una colpa grave.

4. DATTI DELLE NORME DI VITASappiamo benissimo che in vacanza è molto più difficile rispettare un certo ordine nella giornata. Paradossalmente, il lavoro, la scuola e la famiglia impongono un ritmo, degli orari, e dentro questa cornice il cattolico può inserire le sue pratiche di pietà, la Messa, il rosario. Con le vacanze, questi schemi inevitabilmente saltano, e c'è il rischio – spesso la certezza – che vada a farsi benedire anche la vita di fede. Invece che avere più tempo per il Signore, ci dimentichiamo di lui. Anzi: potremmo addirittura aver vergogna di mostrare a parenti e amici che, anche a Cortina o a Ischia, vorremmo andare a Messa in settimana, o prenderci un quarto d'ora per l'orazione. Tenendo sotto controllo l'eccesso opposto – l'ostentazione – dobbiamo invece difendere questi spazi sacri, senza essere d'ostacolo ai legittimi progetti di svago della nostra compagnia.

5. FAI LA VACANZA PROPORZIONATA AL TUO TENORE DI VITANon è una questione di dottrina ma di buon senso. Quanti soldi è giusto investire nelle nostre vacanze? Ovviamente non esiste una tabella o una soglia dell'esagerazione. C'è però un criterio sempre buono: evitare gli eccessi, mantenendo una proporzione fra il nostro tenore di vita ordinario e l'investimento per il viaggio di piacere o la settimana al mare o ai monti. Inseguire una vacanza al di sopra delle proprie normali possibilità può essere il sintomo di un'esistenza triste, nella quale si passa l'anno aspettando quei quindici giorni come se fossero l'unica ragione per cui vale la pena vivere. Gli eccessi sono sempre ingiustificati, per ragioni morali e di stile. Inoltre, chi esagera si priva della possibilità di fare, con quel denaro, qualche opera di bene per la Chiesa e per i poveri.

6. NON LASCIARE CHE I TUOI FIGLI VADANO DOVE VOGLIONO E CON CHI VOGLIONOVacanze autonome per i figli? Anche qui, mode e abitudini contemporanee talvolta fanno a pugni con le esigenze della morale. Ad esempio, è assolutamente da riprovare la leggerezza con cui i genitori tollerano o incoraggiano le vacanze congiunte di ragazzi e ragazze; prassi che diviene addirittura "istituzionale" quando due giovani sono più o meno fidanzati. Mandare in vacanza un gruppo di ragazzi e ragazze significa incoraggiarli alla promiscuità; mandarci due fidanzati è "istigazione al peccato". Significa costruire una generazione di persone senza forza di volontà, appassita prima di fiorire nella freschezza degli anni più belli della vita. Pianificare vacanze cristiane significa anche far ragionare i nostri figli sulla opportunità di certe comitive, e sul primato che comunque la famiglia merita – almeno fino a una certa età – anche in materia di vacanze. Si dice: durante l'anno non c'è nemmeno il tempo per guardarsi un po' in faccia. Ma se poi arrivano le vacanze e i figli vanno da una parte, e i genitori dall'altra, quando la famiglia sta insieme? E chi l'ha detto che ognuno deve andare in vacanza solo dove ci sono i divertimenti adatti alla sua età, sennò "che vacanza è?" Non conformarsi alla mentalità del tempo, come ammonisce San Paolo, significa anche spezzare questi luoghi comuni e re-imparare a stare insieme nel tempo delle ferie.

7. FAI LETTURE UTILI ED EDIFICANTIIn vacanza si cerca un po' di evasione, anche nei libri. Naturale. Tuttavia è consigliabile portarsi al mare o ai monti almeno una lettura edificante che ci faccia conoscere meglio la nostra fede: la vita di un santo, un romanzo apologetico, il saggio di un autore cattolico affidabile, un testo sulla preghiera o sulla dottrina, il Vangelo, il Timone. Insomma: c'è molta scelta, basta volerlo.

8. VISITA I LUOGHI DELLA FEDEAlcuni trascorrono le loro vacanze in un monastero o in un'oasi di preghiera. Bello, ma praticamente impossibile per molti, e certamente per una famiglia. Si può però inserire sapientemente in ogni vacanza la visita ai luoghi della fede più vicini al nostro soggiorno estivo: un santuario, una cattedrale, la città di un grande santo, una comunità di religiosi, un sacerdote amico o il parroco del paesino di villeggiatura. Un modo semplice per insegnare anche ai propri figli che il nostro cuore è con Cristo anche quando ci stiamo rilassando e divertendo.

9. RICORDATI DEGLI ALTRILa vacanza ci fa pensare che stiamo "incassando" una ricompensa meritata con un anno di lavoro stressante, o di studi faticosi, e guai a chi ce la tocca. C'è il rischio di guardare solo a sé stessi e di abbandonarsi all'egoismo; il mondo ci sussurra suadente che ci meritiamo un po' di attenzione tutta per noi, e gli altri si arrangino. Ma il cristiano non può dimettersi durante le vacanze: San Josemaria Escrivà scriveva che "la santità e l'autentico desiderio di raggiungerla non si concede né soste né vacanze" (Cammino, n. 129). Allora, teniamo lo sguardo vigile e attento sugli altri, chiediamoci che cosa possiamo fare per aiutarli e se possibile mettiamo loro davanti alle nostre aspirazioni. Gesù ci ripagherà con vacanze bellissime, dove la gioia degli altri diventa la nostra gioia.

10. NON TRALASCIARE I SACRAMENTIDurante l'anno diciamo sempre: non ho tempo. Di pregare, di fare direzione spirituale, di confessarmi, di fare una visita in chiesa. In vacanza non abbiamo alibi, e allora approfittiamone. Non c'è fede cattolica senza sacerdote e senza sacramenti. Parafrasando una vecchia, celebre pubblicità di un'agenzia di viaggi, potremmo concludere dicendo: "Cristiano fai da te? No Chiesa? Ahiahahiahi!"

 
Fonte: Il Timone, luglio-agosto 2012

I Salesiani ammettono : “…liturgia che, celebrata in lingua latina, attrae un numero crescente di fedeli, soprattutto giovani”.

IL BOLLETTINO SALESIANO AMMETTE CHE IL LATINO A MESSA AIUTA I GIOVANI A INCONTRARE IL CRISTO
 
Fonte: Il Bollettino Salesiano - ( Aprile 2012)
«Lingua morta» a chi?

Don Roberto Spataro, sdb, insegna Letteratura Cristiana antica ed è il segretario della Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche dell’Università Pontificia Salesiana, denominata anche Pontificium Institutum Altioris Latinitatis.50 anni faIl 22 febbraio 1962, Giovanni XXIII firmò la Costituzione apostolica Veterum Sapientia sullo studio e l’uso del latino, in cui auspicava, tra l’altro, la creazione di un Academicum Latinitatis Institutum.Quest’ultimo verrà, poi, istituito da Paolo VI con la Lettera apostolica Studia Latinitatis del 22 febbraio 1964, affidando alla Società Salesiana il compito di «promuoverne la prosperità».

Don Roberto: dopo la direzione del “Ratisbonne” di Gerusalemme è contento di questo nuovo incarico accademico a Roma?Certamente!Anzitutto, per un motivo personale, perché da sempre amo la cultura classica e per otto anni ho insegnato Latino e Greco nei Licei salesiani. In secondo luogo, per un motivo culturale: colgo una continuità tra la teologia, che ho insegnato nel centro di Ratisbonne, e lo studio degli antichi scrittori cristiani, di cui mi occupo attualmente. Sono essi che hanno elaborato le prime sintesi teologiche e che hanno conferito alla teologia un’identità scientifica e sapienziale.
Quali sono i numeri? Ci sono molte iscrizioni?Sin dall’atto di fondazione, il nostro Istituto si pone come un centro di studi di specializzazione. Di conseguenza, più che la quantità delle iscrizioni occorre curare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Conforta sapere che tra i nostri exallievi, alcuni sono rinomatissimi professori universitari o specialisti presso la Santa Sede e le diocesi. In genere, ogni anno, gli studenti dei tre cicli ammontano a cinquanta, anche se abbiamo attivato un processo per aumentarne il numero.
La tipologia degli allievi: chi sono questi coraggiosi che vogliono imparare la lingua di Cicerone? Ci sono anche stranieri?Ci sono ecclesiastici, inviati dai loro Superiori, destinati all’insegnamento del Latino, del Greco e della Patristica presso seminari e studentati religiosi; poi ci sono altri studenti, prevalentemente laici, che amano la cultura classica e quella antico-cristiana. Per questi ultimi, allora, svariati sono gli sbocchi professionali: dall’insegnamento alla collaborazione con case editrici.
Ci sono anche stranieri?Poiché la nostra è una facoltà del Papa, è, per sua natura, internazionale. E così abbiamo studenti dell’Europa orientale, africani, nordamericani, e persino cinesi!
Parlare di latino oggi non è molto attuale. Il latino rientra nella categoria “lingue morte”.
L’espressione “lingua morta” attribuita al latino è solo una banalità. Nessun filologo serio la considera tale perché, anche quando ha cessato di essere la lingua-madre della gente alla fine del mondo tardo-antico, il latino ha continuato ad essere una lingua scritta e parlata fino al secolo XIX da tutti gli uomini di cultura, compresi fisici e matematici. Era la lingua ufficiale anche di parlamenti nazionali, come quello ungherese o croato. Può essere, inoltre, considerata “morta” una lingua che continua ad essere studiata da moltissime persone in tutto il mondo? È morta una lingua lo studio dei cui testi alimenta pensieri nobili ed elevati? Inoltre, è la lingua supernazionale della Santa Sede, di molti umanisti che comunicano in latino, della liturgia che, celebrata in lingua latina, attrae un numero crescente di fedeli, soprattutto giovani.
Anche nella scuola media italiana c’è un ritorno dello studio del latino.Il latino è una lingua molto piacevole da apprendere, ad una condizione: che si abbandoni il metodo che grava morbosamente nelle scuole, imposto dal filologismo tedesco a partire dal secolo XIX. Se insegnato, invece, con il ‘metodo-natura’ appreso in 150 ore, uno studente, senza eccessive fatiche e soprattutto senza noia, è in grado di leggere già i classici. C’è bisogno di una nuova generazione d’insegnanti che conoscano questo metodo e lo adottino con entusiasmo perché fa miracoli!
Quali sono in conclusione gli obiettivi che ancora oggi gli allievi e i docenti di questo Pontificium Institutum Altioris Latinitatis perseguono?Lo scopo è molto chiaro: attraverso la conoscenza delle lingue antiche, latino e greco, desideriamo entrare a far parte di una res publica litterarum e dialogare con pensatori che, da 2500 anni, utilizzando o la ragione o la fede o entrambe, hanno elaborato una cultura di profondo spessore antropologico, etico, spirituale. Ed il mondo, smarrito come non mai in quest’epoca di crisi, ha estremamente bisogno di riappropriarsi dei valori di quell’humanitas, espressa, solo per fare dei nomi, da Sofocle, Platone, Seneca, Agostino, Tommaso, Erasmo da Rotterdam.
Perché la Santa Sede ha affidato questa Facoltà ai figli di don Bosco?Perché anche in questo campo don Bosco è stato un pioniere! A Valdocco, ha promosso lo studio del latino e del greco con metodi che oggi vengono riscoperti come innovativi ed efficaci, cioè il metodo-natura: pensi che a Valdocco, e poi per decenni nei collegi salesiani, si rappresentavano commedie in latino con grande successo. Occorre riappropriarsi di tale patrimonio: aiuta i giovani ad essere migliori, amanti della verità, della bontà e della bellezza.

sabato 28 luglio 2012

LODRA, Oratorio di Brompton: prima s. Messa di p. Hunwicke 

Fr Hunwicke celebrated his First Mass in the Old Rite at Brompton Oratory.  Br. Martin was highly honoured to be able to serve Father at the altar.

 
 Fr. Ray Blake greets Father before the First Mass.

 
Dealba me, Domine, et munda cor meum; ut, in sanguine Agni dealbatus, gaudiis perfruar sempiternis.

Make me white, O Lord, and cleanse my heart; that being made white in the Blood of the Lamb I may deserve an eternal reward


Hanc igitur oblationem servitutis nostrae...

 
 Behold the Precious Blood of Jesus, shed for the forgiveness of our sins!

 
 Corpus Domini nostri Jesu Christi custodiat animam tuam in vitam aeternam. Amen.

 
 May the Body of Our Lord Jesus Christ keep your soul unto life everlasting. Amen.

venerdì 27 luglio 2012

Poligamia? Poliandria? .....

Se il matrimonio è solo un prodotto culturale, a quando la proposta della legalizzazione della poligamia?

Per la serie: una non basta...
Pisapia a Milano e tanti altri continuano - in maniera insistente e politicamente interessata - a chiedere "diritti" per coloro che non vogliono o non possono assumersi i relativi "doveri", cioè quelle "libere unioni"  che essi vorrebbero in qualche modo "normare" (ma sarebbero ancora "libere"?). Si chiedono infatti "diritti" per le "coppie di fatto", senza nemmeno avere più il pudore di ammettere che le locuzioni "di diritto" e "di fatto" sono in opposizione di significato tra di loro. Mi pare ovvio che si debbano accettare come un fatto le unioni "di fatto", e riconoscere diritti alle coppie "di diritto", cioè a quelle che si impegnano (non necessariamente davanti all'altare) in un contratto vincolante, senza scadenza, per il reciproco aiuto, per il bene della società attraverso i figli, e per tutto quello che sappiamo una famiglia fondata sul matrimonio ha da offrire con oneri e onori. Ma una coppia "di fatto" perché mai dovrebbe avere diritti uguali a quelli di una coppia di diritto? Questo non è dato saperlo. E non è una questione religiosa, ma di umana giustizia. Un matrimonio è si pone come una realtà  privata, che coinvolge solo la coppia, ma ha una valenza pubblica. Per questo va tutelato e la società ha il dovere di riconoscere alla stabile decisione di un uomo e una donna di vivere insieme e di avere insieme figli un significato di importanza sociale. Se altre persone vogliono vivere liberamente in convivenza, senza legami, che facciano pure - c'è libertà -, ma non possono pretendere tutele quelli che, con le loro scelte, non si assumono i relativi oneri con tanto di firme proprie e dei testimoni.


però non le voglio una dopo l'altra, ma tutte insieme.
Se invece si pretende ideologicamente che, cambiando il costume di alcuni, anche lo Stato si debba adattare a cambiare la formulazione (di per sé transculturale) di "famiglia", allora qui si apre uno scenario ben più preoccupante. Perché, infatti, si dovrebbero ammettere le "famiglie" composte da un uomo e un uomo o una donna e una donna, che vogliono vivere stabilmente insieme come "sposati" e non si dovrebbe invece permettere (come da molto tempo chiedono le associazioni musulmane, in base a un discorso di rispetto delle diversità culturali) il riconoscimento legale dell'unione di un uomo con due donne (e, per parità, di una donna con due o più uomini?). Qualcuno mi spiega che cosa impedirà, dopo il riconoscimento delle cosiddette "nozze gay", che si accetti la proposta di allargare ancora il concetto di famiglia, per esempio alle "nozze poligamiche"? Se si dice che le nozze gay sono ormai diffusi in tanti paesi - ed è pur vero - si deve tuttavia ribattere che la poligamia ha un curriculum ben più blasonato: tante civiltà l'hanno permessa e la permettono tuttora (meno frequente la poliandria...)! Ricordo che oggi la poligamia sincronica, in Italia, è addirittura un reato (mentre quella diacronica o successiva è permessa dal divorzio). Come si potrà continuare a giustificare questo "inumano" trattamento, veramente coercitivo della libertà di unione?
Molti non si rendono neppure conto delle conseguenze delle loro parole. Pensano di aprire solo alle coppi di fatto, ma in realtà aprono a ben di più. Così trovo scritto su "Oggi" da Mario Raffaele Conti (Coppie di fatto? Sì grazie):
Altre forme di famiglia (o di convivenza, le si chiami come si vuole) sono ora presenti nel nostro paese. Esse possono essere, quanto quelle tradizionali, positive, stabili, eticamente fondate.
Altre forme di famiglia presentatesi con gli immigrati sono anche quelle descritte sopra: un uomo con due o tre donne.... basta che siano consenzienti o no?
E da qui ad altri fantasiosi cambiamenti il passo è breve, sempre nel nome delle "libertà"....i cultori delle quali però, pretendono oggi di essere tutelati come chi a certe libertà rinuncia e preferisce una stabilità utile a sè, al partner, alla prole e in definitiva alla società stessa.
Carissimi politici, prima di metter mano a cambiare le definizioni tradizionali e occidentali di famiglia e di matrimonio all'interno della Costituzione della Repubblica, pensate al vaso di Pandora che andate ad aprire. Qualcuno lo dice anche apertamente: le spinte alle registrazioni comunali delle coppie di fatto sono, in realtà, propedeutiche al gran ribaltone del modo di intendere la famiglia. 
Come cristiani non possiamo certo accettare una cosa simile, ma nemmeno in quanto cittadini che sono convinti che non sia un errore né un sopruso verso nessuno continuare a definire la famiglia: unione stabile di un uomo e una donna, aperta alla procreazione e alla cura dei figli. E non ce ne sono altri tipi.

Il card. Scola, dunque, non compie nessuna "ingerenza clericale" a ricordare ciò che è scritto nella Costituzione ed era ovvio per tutti fino a pochi anni or sono Il fatto che l'arcivescovo di Milano debba anche ricordare come si ripartiscano i poteri dello Stato e le loro prerogative è al limite, alquanto imbarazzante per il Comune. Qui però - e lo ripeto - non è in ballo la fede, ma è ormai la ragione ad essere calpestata e negata. 

Testo preso da: Cantuale Antonianum http://www.cantualeantonianum.com/#ixzz21psHeZ9s
http://www.cantualeantonianum.com
VIA LE SLOT MACHINE DAL MIO BAR: ROVINANO LE FAMIGLIE!
E' iniziata da Trento la rivolta dei baristi: stanchi di veder gente rovinata, hanno eliminato le macchinette dai loro locali
da Avvenire (Popotus)
 
Rumore di monete, sirene e lampeggianti. Il portafoglio che si svuota. Poi, a fine giornata, il volto mesto che si trascina fuori dalla porta, cercando di non incrociare gli occhi altrui. Ivan, questa scena, l'ha vista ripetersi ogni giorno per anni, nel suo bar di Trento. Anziani, disoccupati, giovani madri: tutti lì, nell'angolo del locale, piantati per ore davanti alle slot machine e stanchi soltanto quando le tasche restano vuote. Finché non è toccato a un suo amico: quelle macchinette rischiavano di rovinargli la vita, assieme a quella della sua famiglia. Ivan non poteva stare più a guardare. E così, un giorno, ha chiamato il proprietario delle slot e gli ha detto: «Basta, portatele via, io qui dentro non le voglio più». Una scelta coraggiosa, visto che proprio grazie agli incassi delle slot i baristi possono arrivare quasi a raddoppiare i loro guadagni: «Ma il gioco è una malattia – spiega Ivan – e la gente soffriva nel mio locale. Dovevo intervenire». A seguire il suo esempio, in quella che oggi assomiglia sempre più a una rivolta silenziosa, molti altri colleghi del Nord Italia, dalla Lombardia alla Liguria. È il caso di Fiorella, titolare di uno storico bar nel centro di Brescia: «Mi stavo ammalando anche io, vedendo quelle persone attaccate tutto il giorno alle macchinette – racconta – così le ho fatte sparire e ci ho guadagnato lo spazio di due tavoli».
Dove, il pomeriggio, son tornate a far merenda le famigliole e le coppie di anziani, non più disturbati dai flash e dal volume assordante delle slot. Stessa decisione per Andrea, giovanissimo barista di Toirano, nel Savonese: «La mia – dice sorridendo – è stata una scelta di fede. Se credo che bisogna amare il prossimo, come posso dargli le armi per farsi male nel mio bar?».
 
Fonte: Avvenire (Popotus), 24/04/2012

mercoledì 25 luglio 2012

balaustre

Le balaustre, argine del sacro


Da Il Timone n. 113 maggio 2012

Alcuni manufatti, chiamati comunemente balaustre per molti secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese. Nonostante l'apparente banalità di questi oggetti, sarebbero necessari fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito.
di Andrea Di Meo

Varcare un confine a piedi, scavalcare il crinale di un monte, addentrarsi in una caverna, sono piccole esperienze accomunate, come molte altre, da una sensazione particolarissima. A chi le ha vissute non sarà sfuggita l'impressione di oltrepassare una linea oltre la quale vigono altre regole, oltre la quale il comportamento deve mutare perché al di là di quel punto lo spazio è diverso, non è più lo stesso di prima. Gli esempi che ho citato, a solo scopo narrativo, hanno tutti la caratteristica di essere accompagnati da segnali visibili, che quasi suggeriscono con la loro stessa presenza l'incipiente mutamento di stato. In alcuni casi, come l'ingresso in una grotta, tale segnale è offerto dalla natura, in altri, come il passaggio del confine, il segnale è posto dagli uomini.

Esiste un parallelo a queste sensazioni anche nell'esperienza dello spazio sacro? Questo è sacro per effetto di un rituale che vi si celebra e di una formula di dedicazione che lo dedica solennemente alla divinità, ma è vero tuttavia che tale dedicazione, pur comportando un mutamento di stato e quasi di natura del luogo stesso, non ne condiziona però le leggi fisiche né le apparenze, e potrebbe quindi passare inosservato. Ecco dunque che si rende necessario apporre degli avvertimenti, dei nuovi segnali volti a rendere visibile ciò che altrimenti potrebbe non essere percepito. Fu così che nacquero già in tempi ancestrali e presso i culti più antichi i primi recinti per separare i luoghi più sacri dallo spazio circostante, e molto tempo dopo, ma in modo simile, furono create anche le prime recinzioni nei luoghi cristiani per separare il santuario o presbiterio dal resto della chiesa, come si può verificare dalle tracce archeologiche delle più antiche domus ecclesiae.

Nel percorso di attraversamento dello spazio sacro cristiano che in questa rubrica si sta compiendo, sarà infatti inevitabile inciampare, per così dire, in alcuni manufatti, chiamati comu¬nemente balaustre, che per molti secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese. Nonostante l'appa¬rente banalità di questi oggetti, sarebbero necessari fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito, e tutta la storia che li ha modellati fino ad arrivare alla semplicità delle ultime balaustre, mandate in soffitta, se non proprio distrutte, da tanti parroci nei passati cinquant'anni. Le balaustre, infatti, non furono che l'ultima mutazione di quegli elementi separatori che assunsero di volta in volta la forma della transenna lapidea, della tenda, del cancello e dell'iconostasi, e che replicavano quanto già la facciata della chiesa, o il suo portale, esprimevano fin dal primo approccio all'edificio sacro.

Il loro messaggio era un avvertimento, un caveat, posto a segnalare che oltre la linea sulla quale essi si ergevano si entrava in un'area dove l'azione e il pensiero individuale avrebbero dovuto abbandonare le consuetudini mondane e, lasciando alle spalle i diritti del mondo, piegarsi al diritto di Dio e conformarsi ad attitudini più sante. Al contrario infatti di come molti hanno erroneamente pensato, il compito primario delle balaustre e degli elementi ad esse affini non era di tipo funzionale, ma simbolico. Non era dunque di chiudere l'ingresso al presbiterio, ma di manifestare all'esterno di esso cosa il presbiterio dovrebbe realmente significare. Le balaustre dunque, più che elementi di divisione, vanno piuttosto percepite come tramiti di comunicazione. Se esse infatti non fossero esistite, quale spazio avremmo garantito al sacro?

Le balaustre, non diversamente dall'abito talare, custodivano uno spazio esigente, una riserva di santità e ne manifestavano l'esistenza al di fuori rendendola visibile. Quegli umili elementi, che diventavano l'appoggio dei comunicandi e che reggevano gli sguardi inginocchiati dei fedeli verso l'altare, sostenevano inoltre il peso immane di rendere il sacro percepibile e quasi tangibile. Quando, dopo gli anni Sessanta, tanti chierici e religiosi vollero disfarsi del concetto del sacro rivoluzionandolo, si accanirono proprio contro quei recinti che, delimitandolo, lo rendevano riconoscibile. Ma quest'opera di distruzione fu solo apparente: si possono cancellare le tracce del sacro ma esso sussisterà non visto, e presto o tardi tornerà a manifestarsi. Il ristabilimento delle balaustre nel restauro della Cappella Paolina al Vaticano voluto da Papa Benedetto XVI ben manifesta che questi elementi non hanno esaurito la loro funzione e che anzi mai più di oggi si sente nuovamente l'urgenza di restituirli al loro gravoso compito.

lunedì 23 luglio 2012

Facebook fa catechismo (corretto).

Semplice ed immediato.


 
S. COMUNIONE


cosa vedono gli atei ************ cosa vedono i protestanti


Cosa vedono i Cattolici **************** Cosa è veramente


***

Un'immagine presa da Facebook molto eloquente e che, con quattro semplici frasi, trasmette un messaggio vero, corretto e immediato.
Non c'è altro da aggiungere.

domenica 22 luglio 2012

O bone et dulcissime Jesu


O bone et dulcissime Jesu




O bone et dulcissime Iesu
per tuam misericordiam esto mihi Iesus!
Quid est Iesus nisi plasmator, nisi redemptor, nisi salvator.
Ergo, bone et dulcissime Iesu,
qui me plasmasti tua benignitate,
rogo te, ne pereat opus tuum mea iniquitate.
Ergo quaeso, anhelo, suspiro
ne perdas quod tua fecit omnipotens divinitas.
Recognosce quod tuum est
et ne respicias quod meum est.
Noli cogitare malum meum,
ut obliviscaris bonum tuum.
Si ego commisi per quod dannare me debes,
tu non amisisti unde me salvare potes.
Et si secundum iustitiam tuam dannare me vis,
ad tuam piissimam et ineffabilem misericordiam appello.
Ergo quaeso: miserere mei,
secundum magnam misericordiam et pietatem tuam. Amen.

venerdì 20 luglio 2012

riforma della liturgia

La riforma della Liturgia Romana
di Klaus Gamber


 
«La Liturgia Romana è rimasta pressoché immutata attraverso i secoli nella sua sobria e piuttosto austera forma risalente ai primi cristiani. Essa s’identifica con il Rito più antico. Nel corso dei secoli, molti Papi hanno contribuito alla sua configurazione: San Damaso papa (+384), per esempio, e successivamente soprattutto San Gregorio Magno (+604) […]. La Liturgia damasiano-gregoriana è quella che è stata celebrata nella Chiesa latina sino alla riforma liturgica dei nostri giorni. Non è quindi esatto parlare di abolizione del Messale di “San Pio V”. A differenza di quanto è avvenuto oggi in maniera spaventosa, i cambiamenti apportati al Missale Romanum nel corso di quasi 1400 anni non hanno toccato il Rito della Messa: si è bensì trattato solo di arricchimenti, per l’aggiunta di feste, di Propri di Messe e di singole preghiere […]. Non esiste in senso stretto una “Messa Tridentina” o “di San Pio V”, per il fatto che non è mai stato promulgato un nuovo Ordo Missae, in seguito al Concilio di Trento, da San Pio V. Il Messale che San Pio V fece approntare fu il Messale della Curia Romana, in uso a Roma da molti secoli e che i Francescani avevano già introdotto in gran parte dell’ Occidente; un Messale, tuttavia, che non era mai stato imposto universalmente, in modo unilaterale dal Papa. […]. Sino a Paolo VI, i Papi non hanno mai apportato alcun cambiamento all’Ordo Missae, ma solo ai Propri delle Messe per le singole festività. […]. Noi parliamo piuttosto di Ritus Romanus e lo contrapponiamo al Ritus Modernus. […]. L’unico punto su cui tutti i Papi, dal secolo V in poi, hanno insistito è stata l’ estensione di questo Canone Romano alla Chiesa universale, sempre ribadendo che esso risale all’Apostolo Pietro. […]. Il rito Romano si può definire come l’insieme delle forme obbligatorie del Culto che, risalenti in ultima analisi a N. S. Gesù Cristo, si sono sviluppate nei dettagli a partire da una Tradizione apostolica comune, e sono state più tardi sancite dall’Autorità ecclesiastica. […]. Un Rito che nasce da una Tradizione apostolica comune […] non può essere rifatto ‘ex novo’ nella sua globalità. […]. Ha il Papa il diritto di mutare un Rito che risale alla Tradizione apostolica e che si è formato nel corso dei secoli? […]. Con l’Ordo Missae del 1969 è stato creato un nuovo Rito. L’Ordo tradizionale è stato totalmente trasformato e addirittura, alcuni anni dopo, proscritto. Ci si domanda: un così radicale rifacimento è ancora nel quadro della Tradizione della Chiesa? No. […]. Nessun documento della Chiesa, neppure il Codice di Diritto Canonico, dice espressamente che il Papa, in quanto Supremo Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il Rito tradizionale. Alla ‘plena et suprema potestas’ del Papa sono chiaramente posti dei limiti […]. Più di un autore (Gaetano, Suarez) esprime l’ opinione che non rientra nei poteri del Papa l’abolizione del Rito tradizionale. […]. Di certo non è compito della Sede Apostolica distruggere un Rito di Tradizione apostolica, ma suo dovere è quello di mantenerlo e tramandarlo. […]. Nella Chiesa orientale e occidentale non si è mai celebrato versus populum, ma ci si è volti ad Orientem […]. Che il celebrante debba rivolgere il viso al popolo fu sostenuto per la prima volta da Martin Lutero. […]» (Klaus Gamber, La riforma della Liturgia Romana. Cenni Storici – Problematica, 1979, tr. it., Roma, Una Voce, giugno/ dicembre 1980).
 

giovedì 19 luglio 2012

Concesa di Trezzo: carmelitani scalzi

Liturgia della Settimana s. a Concesa, Italia





Domenica delle Palme










Giovedì Santo





Venerdì Santo







 
Veglia Pasquale

Liturgia al Santuario della Divina Maternità, dei PP. Carmelitani scalzi, a Concesa di Trezzo sull'Adda, Milano, Italia. Le celebrazioni della Settimana Santa, Novus Ordo, ad Orientem, in una corretta ermeneutica della continuità. 
 
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martedì 17 luglio 2012

san Nicandro

Pontificale del Card. Burke a San Nicandro G. 















Lo scorso 2 maggio S. Em. il Card. Raymond Leo Burke celebrò un Solenne Pontificale con la Forma Straordinaria del Rito Romano nella Parrochia di San Nicandro Garganico,  promosso da un grupo di fedeli che zelano la Forma Straordinaria e del parroco don Roberto De Meo.