Articolo di Francesco Farri, avvocato a Firenze
E’ ingenuo pensare che la legalizzazione
dell’eutanasia sia una questione di diritti civili e di rispetto della
libertà dei singoli individui che vogliono morire senza soffrire. La
legalizzazione dell’eutanasia individuale volontaria è solo un passaggio
intermedio per forme di eutanasia generalizzate e obbligatorie.
L’obiettivo che si pone la legalizzazione
dell’eutanasia è quello di ingenerare nella popolazione la convinzione
che scegliere l’eutanasia sia una sorta di “dovere morale” nel momento
in cui la persona comune non è o non si percepisce più come utile per la
collettività e, quindi, si sente un peso per gli altri e per il sistema
sanitario pubblico. Gli esempi delle società eutanasiche avanzate, come
l’Olanda, sono univoci nel senso di favorire e apprezzare le richieste
di eutanasia spinte dalla scelta di non gravare sulla collettività. Il
passaggio ulteriore è la negazione dei trattamenti sanitari gratuiti a
carico del sistema sanitario per chi si ostina a voler sopravvivere in
una condizione di vita comunemente ritenuta non degna: perché mai
sottrarre risorse pubbliche per questi “egoisti”? Risulta, in
definitiva, fin troppo chiaro che l’ideale libertario dietro alle
pressanti istanze di legalizzazione dell’eutanasia, che viene agitato
per indurre a commozione gli spettatori, è uno specchietto per allodole.
Un macabro specchietto per indurre più allodole possibile a togliere il
disturbo (in termini di costi sanitari, di assistenza, di pensioni
ecc.) quan non sono più utili.
Anche nei risultati pratici immediati,
peraltro, la legalizzazione dell’eutanasia individuale volontaria è una
questione che attiene alla sicurezza e all’affidamento di tutti. Anche
dei malati che vorrebbero sopravvivere. Perché, fino ad oggi, il malato
che giunge in una struttura di cura ha la sicurezza che il personale
sanitario è tenuto a far tutto quanto ragionevolmente possibile per
salvargli la vita: è sicuro che, se avverrà il contrario, il personale
sanitario potrà essere perseguito. Se verrà legalizzata l’eutanasia,
questa basilare sicurezza verrà a mancare, per tutti i malati: anche per
quelli che vorrebbero continuare a sopravvivere.
Il disegno di legge che sta per essere
approvato in Italia sulle d.a.t., asettico nomignolo che l’italica
creatività ha escogitato per legalizzare l’eutanasia senza dirlo, ne è
una eclatante – ed agghiacciante – conferma.
Infatti, l’articolo 3 prevede la possibilità che “ogni
persona maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione di
una propria futura incapacità di autodeterminarsi, può esprimere le
proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari
nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a
singoli trattamenti sanitari ivi comprese le pratiche di nutrizioni e
idratazione artificiali“.
Visto che la dichiarazione preventiva può
prevedere sia il consenso che il rifiuto dei trattamenti sanitari
salva-vita, cosa avviene quando la dichiarazione preventiva non viene
rilasciata e il malato giunga in stato di incoscienza? Dovrà presumersi
il consenso (e quindi i medici dovranno far tutto quanto ragionevolmente
possibile per salvargli la vita) oppure il rifiuto (e quindi i medici
dovranno sopprimerlo)?
Si dirà, naturalmente, che dovrà
presumersi il consenso. In realtà, la legge lascia intendere il
contrario. Del resto, se il consenso doveva ritenersi presunto, perché
mai lo si prevede come possibile oggetto delle d.a.t. al pari del
rifiuto? E’ vero, al riguardo, che la legge mantiene (art. 1, comma 8)
un fugace riferimento all’assicurazione dei trattamenti sanitari
indispensabili nei casi di emergenza e urgenza, ma è anche vero che si
specifica come ciò valga pur sempre “ove possibile nel rispetto della volontà del paziente” e che il medico va esente da responsabilità civile o penale soltanto quando rispetta la “volontà espressa dal paziente” (art. 1, comma 7).
Ciò significa, all’evidenza, che se una
persona ha dichiarato in anticipo di rifiutare certi trattamenti, giunge
incosciente in ospedale e il medico gli salva la vita a costo di creare
i presupposti per una qualità della vita che la persona riteneva
indegna, il medico rischia di pagare personalmente in termini di
responsabilità civili e penali.
E si dovrà, quindi, immaginare che prima
premura del medico di fronte a un incosciente non sia quella di curarlo
al meglio, ma di attaccarsi al telefono o alla banca dati informatica
per tutelarsi e verificare se abbia rilasciato o meno testamento
biologico.
Se verranno legalizzate le d.a.t.,
quindi, quando entrate in ospedale con la speranza di sopravvivenza non
fatevi il segno della Croce soltanto per affidare a Dio la salute:
fatelo anche perché non vi capitino sanitari che, non essendo certi che
vogliate curarvi, nel dubbio vi lascino morire per non aver grane.
http://www.centrostudilivatino.it/nessun-malato-sara-piu-al-sicuro-con-la-legalizzazione-delle-dateutanasia/
Sono molto preoccupata. Credo che lo Stato stia andando molto oltre le sue competenze e che non faccia più (ma lo ha mai fatto?)il bene dei cittadini bensì il proprio. Ormai è un far quadrare i bilanci e nulla più......
RispondiEliminatroppe pensioni da pagare... chissà se eutanasieranno anche i politici oltre che noi!
RispondiEliminaQuante storie inutili! Se uno sta su un letto come un vegetale e quando stava bene quest'idea gli faceva orrore tanto da sottoscrivere un documento che autorizzi la sua eutanasia...mi pare che basti. Pensate a sottoscrivere per donare i vostri organi che è meglio. La morte non è che la fine della vita, come sempre succede in natura!
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