sabato 25 marzo 2017

Convegno dei preti sposati

Monsignor D’Ercole e i “preti sposati”

 

Ieri un amico mi segnalava la notizia che annuncia la presenza di monsignor Giovanni D’Ercole al Convegno dei preti sposati, e che lascia intravedere, «dopo la visita del Papa, una nuova apertura». Questa di voler preconizzare sempre “nuove aperture” è da un lato un tic giornalistico (ogni edizione è “straordinaria”, per lo strillone che ci si guadagna da vivere…); dall’altro non manca negli ambienti ecclesiali la solita tendenza orwelliana a dare notizie che causino i fatti, invece di cronache che li riportino.

Ma i fatti sono fatti, appunto, ed è vero che monsignor D’Ercole – ecclesiastico più volte segnalatosi per prudenza di giudizio e intelligenza pratica – prenderà parte al convegno annuale organizzato dall’associazione Vocatio. Normalmente quella eucaristia viene presieduta da un prete sposato, ovvero da un sacerdote cattolico che per varî motivi non abbia assunto la promessa del celibato perpetuo (o, in teoria, che sia stato dispensato dagli obblighi di quella promessa). Chiaramente passare da uno di questi oscuri pretini a un vescovo affermato, e tra i più in vista del panorama nazionale italiano (nonché della Santa Sede), non può essere un puro accidente. Senza dubbio D’Ercole ha avuto il benestare di influenti sfere vaticane, per accettare di presenziare a un evento così potenzialmente divisivo. I conferenzieri Adriana Valerio, Giovanni Cereti e Basilio Petrà, nomi ben noti nell’ambiente accademico e di ricerca, sono dichiaratamente a favore dell’abolizione dell’obbligo di celibato sacerdotale nei riti latini della Chiesa cattolica – e questo è l’intento programmatico della stessa associazione Vocatio, al cui interno si raccolgono i cocci di esperienze di vita dolorosissime. La presenza di D’Ercole è probabilmente un segnale. Che farà?
Per sapere questo dovremo aspettare sabato e domenica. Intanto a me preme ricordare due cose: da un lato la reale posizione di Paolo VI, rispetto alla quale si tramandano dolose inesattezze; dall’altro la reale situazione dei preti sposati per come la conosco io direttamente.
Anzitutto il Magistero: Paolo VI, che al celibato sacerdotale aveva dedicato un’importante enciclica, viene tramandato come il Pontefice di manica larga che faceva sposare tutti i preti che gli inoltravano richiesta. Leggiamo infatti sul sito di Vocatio:
D_Ercole-Avvento.jpgPaolo VI concedeva in fretta e senza difficoltà la dispensa ai preti che la richiedevano, ma con la salita al soglio di Pietro di Giovanni Paolo II le cose sono cambiate e da buon Papa politico, per frenare l’emorragia di preti dalla Chiesa, ha imposto regole severissime per l’ottenimento della dispensa. Anzi, contro le indicazioni del Concilio Vaticano II il Papa ha introdotto una sacralizzazione del celibato presbiterale: un prete ordinato validamente lo è per sempre, ma la gerarchia cattolica è andata ben oltre e ha deciso che ordinazione presbiterale e celibato siano inscindibilmente uniti ed eterni, è stato cioè aggiunto il celibato come proprietà ineliminabile del presbiterato, perciò non esiste più il sacramento dell’ordine, ma dal 1979 abbiamo il sacramento dell’ordine-celibatario.
Peccato non trovare in calce a questo testo una firma a cui si possa chiedere di rendere conto di certe affermazioni azzardate: l’unica cosa incontrovertibilmente vera, in questo paragrafo, è che un prete ordinato validamente resta sacerdote per sempre. Il resto è tutto parte di una narrazione perlomeno distorta, a cominciare dall’epica delle “indicazioni del Vaticano II” per finire con la contrapposizione tra il buon Paolo VI e l’arcigno orso polacco che gli successe (peraltro nel ’78, non nel ’79).

Anzi, quanto al Vaticano II: se un motivo c’è per cui nessun suo documento tocca la questione, certo non lo si deve alla timidezza dei Padri conciliari, i quali volentieri avrebbero affrontato l’argomento. No, fu proprio Paolo VI che avocò a sé la faccenda, ovvero proibì che il tema fosse preso durante le sessioni del Concilio, e lo fece promettendo che presto avrebbe promulgato un documento dedicato. La promessa fu mantenuta, perché il 24 giugno 1967 Sacerdotalis cælibatus vide la luce. Cominciava così:
Il celibato sacerdotale, che la Chiesa custodisce da secoli come fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche nel nostro tempo, caratterizzato da una profonda trasformazione di mentalità e di strutture. Ma nel clima dei nuovi fermenti si è manifestata anche la tendenza, anzi l’espressa volontà di sollecitare la Chiesa a riesaminare questo suo istituto caratteristico, la cui osservanza secondo alcuni sarebbe resa ora problematica e quasi impossibile nel nostro tempo e nel nostro mondo.
Un’antifona quanto mai chiara. Ma è il capitolo III (significativamente intitolato “Dolorose diserzioni”) a esprimere con migliore compiutezza il pensiero di Paolo VI sui “preti svestiti”:
A questo punto, il Nostro cuore si rivolge con paterno amore, con trepidazione e dolore grande a quegli infelici, ma sempre amatissimi e desideratissimi fratelli Nostri nel sacerdozio, i quali, mantenendo impresso nell’anima il carattere sacro conferito dall’ordinazione sacerdotale, furono disgraziatamente infedeli agli obblighi assunti al tempo della loro consacrazione sacerdotale.
Il loro lacrimevole stato, e le conseguenze private e pubbliche che ne derivano, muovono alcuni a pensare se non sia proprio il celibato responsabile in qualche modo di tali drammi e degli scandali che ne soffre il popolo di Dio. In realtà, la responsabilità ricade non sul sacro celibato in se stesso, ma su una valutazione a suo tempo non sempre sufficiente e prudente delle qualità del candidato al sacerdozio o sul modo col quale i sacri ministri vivono la loro totale consacrazione.

La Chiesa è sensibilissima alla triste sorte di questi suoi figli e ritiene necessario fare ogni sforzo per prevenire o sanare le piaghe che le sono inferte dalla loro defezione. Seguendo l’esempio dei Nostri immediati Predecessori di s. m., anche Noi abbiamo voluto e disposto che la investigazione delle cause riguardanti l’ordinazione sacerdotale sia estesa ad altri motivi gravissimi non previsti dall’attuale legislazione canonica, i quali possono dar luogo a fondati e reali dubbi sulla piena libertà e responsabilità del candidato al sacerdozio e sulla sua idoneità allo stato sacerdotale, in modo da liberare quanti un accurato processo giudiziario dimostri effettivamente non adatti.
SC 83-84
Gli aggettivi e gli avverbî, soprattutto, sono rivelativi della traccia profonda del pensiero montiniano: sarebbe interessante sapere come gli amici di Vocatio riescano a ricondurre questa sconsolata mestizia alla gaia narrazione di un Paolo VI “open-minded” (in senso eversivo). Nel due numeri successivi Papa Montini era stato più esplicito:
paolovi_966221_966329.jpgLe dispense che vengono eventualmente concesse, in una percentuale in verità minima nei confronti del grande numero dei sacerdoti sani e degni, mentre provvedono con giustizia alla salute spirituale degli individui, dimostrano anche la sollecitudine della Chiesa per la tutela del sacro celibato e la fedeltà integrale di tutti i suoi ministri.

Nel fare questo, la Chiesa procede sempre con l’amarezza nel cuore, specialmente nei casi particolarmente dolorosi nei quali il rifiuto a portare degnamente il giogo soave di Cristo è dovuto a crisi di fede, o a debolezze morali, spesso perciò responsabile e scandaloso.
Oh, se sapessero questi sacerdoti quanta pena, quanto disonore, quanto turbamento essi procurano alla santa Chiesa di Dio, riflettessero quale era la solennità e la bellezza degli impegni assunti, e a quali pericoli essi vanno incontro in questa vita e a quella futura, essi sarebbero più cauti e più riflessivi nelle loro decisioni, più solleciti alla preghiera e più logici e coraggiosi nel prevenire le cause del loro collasso spirituale e morale.
SC 85-86
E anche i numeri successivi, almeno fino al 90, sono illuminanti per capire il dramma che la Chiesa vive per ognuna di quelle promesse infrante. La morte, letteralmente, le risulta preferibile a quello strazio e, benché queste siano parole di san Domenico Savio, è stata Grazia Deledda – in La madre – a illustrarne fino in fondo il dolore.

foto-1aNaturalmente, per la stessa natura del celibato, la defezione da quella promessa è spesso legata a questioni sentimentali: tuttavia questo non basta a rendere vera la tesi per cui il celibato sarebbe responsabile del calo delle vocazioni al sacerdozio. Da una parte infatti calano anche i matrimonî, dall’altra le vocazioni al ministero pastorale non sono migliori (né per quantità né per qualità) là dove questo non comporta il celibato. La verità è un’altra: la nostra società liquida scoraggia ogni tipo di impegno e, per definizione, qualunque promessa di solidità. Celibato e matrimonio sono due facce dell’identica realtà, che è la promessa (e una fedeltà che la prolunghi all’infinito).

Ma l’altra cosa che, più brevemente, vorrei dire, riguarda quegli uomini. E quelle donne (c’entrano anche loro, e spesso soffrono più dei preti). Capita che ne conosca alcuni. Sono persone di cui è impossibile non comprendere il dissidio fondamentale: anzi si capisce benissimo che alcuni fra loro vogliano legittimarsi cerebralmente e sublimare in un riconoscimento ecclesiale i sensi di colpa, elaborando un sistema dottrinale capace di tenere insieme “capra e cavoli”. Peccato trascurino che il problema è a monte… In questi convegni si invitano a testimoniare sacerdoti uxorati come se la questione fosse “è possibile essere sposati ed essere ordinati preti?” (è il contrario ad essere impossibile, sempre e per chiunque).
Che cosa accadrà, dunque, sabato e domenica? Ho chiesto un pronostico in amicizia a un prelato incaricato dalla Chiesa di formare i giovani al sacerdozio. Mi ha risposto così:
211040539-e1e7926b-dc84-464f-b598-e76ad55cc487_B.20072406_std-590x362.jpgNon temo questi movimenti e credo che l’obbligo del celibato non verrà meno. Il Papa potrebbe aprire all’ammissione al sacerdozio di viri probati [uomini sposati che risultino idonei ad adempiere il ministero, n.d.r.]. Se ne discute e vedremo che ne uscirà. Le rivendicazioni di quanti hanno lasciato [il ministero, n.d.r.] non possono determinare queste scelte. A mio giudizio se si accedesse all’ammissione dei viri probati, i preti che hanno lasciato [il ministero, n.d.r.] andrebbero esclusi. Dove non c’è l’obbligo del celibato, prima ci si sposa e poi si accede al sacerdozio. Non il contrario. Così è anche da noi per i diaconi permanenti.
Bisognerebbe riguardarsi La moglie del prete, di Dino Risi: reca traccia del clima della Sacerdotalis cælibatus (è stato messo in cantiere poco dopo l’uscita del documento) e tratteggia mirabilmente illusioni e disillusioni di quegli anni. In più, come accade non di rado, il regista laico è riuscito a gettare uno sguardo profondo sulla realtà ecclesiale – confrontarsi onestamente con quello sguardo sarebbe una vera, umile e fedele applicazione del Vaticano II. L’amarissimo finale del film, infatti, mostra che don Mario Carlesi (Marcello Mastroianni) viene “recuperato” nelle orbite del ministero tramite la lusinga del potere, o dei suoi apparati clericali.

Ecco, forse gli amici cui è capitato di fare questi grossi errori farebbero meglio ad allontanarsi a passo deciso dalle lusinghe. Ma soprattutto per loro lo dico, specie se avevano avuto una vocazione sincera: la loro sofferenza sarà forse minore e probabilmente più sensata, se non si ostineranno a piantarsi sulla soglia della sagrestia.

 https://giovannimarcotullio.com/2017/03/22/monsignor-dercole-e-i-preti-sposati/

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