lunedì 31 ottobre 2011

Quotidiano Avvenire: Le Iniziative alternativa ad halloween


Madonna e i 14 Santi Ausiliatori



Dal quotidiano cattolico Avvenire, di cui condividiamo l’appello fatto al Presidente della Repubblica per scongiurare “ il rischio imminente di chiusura che coinvolge un centinaio di giornali politici, cooperativi, non profit ( fra cui diversi storici giornali Diocesani N.D.R.) e di idee e per la conseguente perdita del lavoro per svariate migliaia di giornalisti e poligrafici” prendiamo due iniziziative che verranno realizzate oggi per arginare la pericolosa e demente “Notte di Halloween” che negli ultimi anni ha raggiunto città e paesi della nostra bella Patria. (A.C.)

 

A proposito di Halloween

da: http://caorleduomo.blogspot.com/


Ricordo che, quand'ero bambino, questo periodo dell'anno era sentito come particolarmente importante; si avvicinava infatti la festa di Tutti i Santi, in occasione della quale si stava a casa da scuola e si andava a Messa, il che faceva di questo giorno un po' una "domenica", anche se cadeva in mezzo alla settimana. Il giorno successivo, poi, era il "giorno dei morti"; anche in quell'occasione le scuole erano chiuse, e anche se non c'era la Messa come la domenica, si avvertiva in famiglia un certo clima raccolto: addirittura alcuni miei parenti accendevano un lumino in casa davanti alle fotografie dei nostri cari defunti, come a tenerne più vivo il ricordo in questo periodo dell'anno. Da allora non sono passati tanti anni; eppure, a guardarsi intorno, sembra addirittura di abitare in un'altra nazione: zucche esposte in quasi tutti gli esercizi pubblici, per non parlare di scheletrini e maschere da carnevale mal riuscite, e già da una settimana circa si cominciano a sentire, la sera, i primi scoppi di petardi, come se fossimo già al veglione di san Silvestro. E' Halloween, la "festa" che ha sostituito quella di Ognissanti.

Sembra quasi impossibile che in così poco tempo il nostro mondo abbia subito un cambiamento così drastico, tanto da importare e quasi fare propria una "tradizione" che non gli appartiene. Infatti i bambini di oggi, all'avvicinarsi del mese di novembre, non pensano più ai Santi o ai propri defunti: prima di tutto si sta avvicinando Halloween. Ascoltando, poi, le opinioni della gente, alcuni pensano che, in fin dei conti, è soltanto una carnevalata, anche se fuori stagione; sì, i più adulti sono perplessi dalla sua diffusione, anche perché non la sentono come un'usanza propria, ma, dopo tutto, non fa del male a nessuno, anzi, fa divertire i bambini e i ragazzi. Altri, addirittura, colgono l'occasione per criticare la Chiesa, che, resasi conto della diffusione massiccia di questa "festa", da un po' di anni fa sentire la sua voce contraria.

Ma siamo davvero sicuri che quella di Halloween sia soltanto una festa in maschera, un modo per far divertire i bambini e per far fare baldoria ai giovani? Vorrei riflettere su due temi in particolare; il primo è quello del culto dei defunti, che da questa falsa tradizione viene completamente svalutato. La religione cattolica ha da sempre considerato degno di particolare rispetto il ricordo dei defunti; i cattolici, infatti, credono nella risurrezione della carne e nella Comunione dei Santi. Basti pensare, storicamente parlando, alla posizione dei cimiteri cristiani nei primi secoli dopo la libertà di culto: essi erano costruiti proprio adiacenti alle chiese, e addirittura, in alcuni casi, i defunti venivano seppelliti all'interno dello stesso edificio sacro. Un esempio tangibile di questo è il nostro Duomo, che è antico a sufficienza: sotto il portone principale sono rimaste ancora delle tombe di antiche famiglie caorlotte e davanti al campanile, dove ora sorge il centro civico, vi era il primo cimitero cittadino. Questo perché i cristiani credono che, specialmente nella Santa Messa, il cielo e la terra si uniscano in un'unica liturgia; così, quando il cristiano si recava in chiesa si ricongiungeva invisibilmente con i propri cari defunti nell'adorazione del Santo Sacrificio, ed avere le tombe vicino alle chiese era un modo ancor più forte per sottolineare questo aspetto. Poi, a partire dall'età napoleonica, i cimiteri sono stati gradualmente rimossi dai centri delle città: il cimitero di Caorle, ad esempio, fu spostato dal sagrato del Duomo alla via che porta alla sacheta (a quel tempo il confine della città), e via via più in periferia, quasi a voler allontanare dai vivi il ricordo dei propri morti e l'idea stessa che la morte è una condizione comune della vita. Ciononostante anche oggi, almeno nell'immediatezza della dipartita di una persona, credenti e non credenti si stringono con affetto tra loro e intorno alle famiglie che hanno subito il lutto con profondo rispetto e condoglianza.
Cosa comporta, allora, Halloween per il culto dei morti? Certamente oggi non possiamo più riferirci liberamente, come si faceva fino a qualche anno fa, al 2 novembre come al "giorno dei morti" senza timore di essere fraintesi. Provate a pensarci anche voi: se si parla di "giorno dei morti" si pensa più facilmente al titolo di un film dell'orrore che al nome della ricorrenza che cade a inizio novembre. Da uno stato di rispetto, non oso dire timore, per la morte e per i defunti, si passa ad una completa de-sacralizzazione, che significa anche mancanza di rispetto. Pensiamo quindi bene a quale messaggio mandiamo ai bambini quando li si veste da vampiri, zombie e quant'altro; la concezione stessa della vita dopo la morte viene stravolta, passando dalla condizione ultraterrena dei Novissimi, che da sempre viene indicata come "eterno riposo", ad una sorta di dannazione che vede i morti risvegliarsi su questa terra e comportarsi come dei demoni. Non solo, ma, complici una certa letterattura e cinematografia moderne, che come al solito, per far leva sui giovani, si avvalgono di messaggi più o meno esplicitamente sessuali, è proprio quest'ultima "vita" dopo la morte ad essere presentata come allettante ed affascinante, mentre quella religiosa è vista piuttosto come perdente e deleteria. Tanto che molti genitori si fanno molti più problemi a portare i propri bambini in cimitero per visitare con pietà le tombe dei propri cari che a fargli guardare o leggere le storie di vampiri e di zombie; oppure molti giovani, che ritengono la fede una creduloneria da cretini, si perdono in queste superstizioni fino a cadare vittime di cose abominevoli, come divinazione e sedute spiritiche.

Da questo mi aggancio al secondo aspetto della "festa di Halloween" su cui volevo riflettere, ossia l'avvicinamento all'occulto e l'esposizione agli influssi demoniaci. Halloween, infatti, è nata in diversi Paesi e con diverse culture: in Germania ed Inghilterra, da usanze sciamaniche celtiche, ma soprattutto in Irlanda, dove ha preso la connotazione spiritistica che ha ancora oggi. La famosa zucca intagliata è infatti legata alla leggenda di Sunny Jack, un fabbro dissoluto che aveva fatto un patto col diavolo e, al termine della sua vita, non fu accolto in Paradiso, né all'inferno, condannando la sua anima ad errare per sempre sulla terra con un lumino che inserì in una rapa cava per farsi luce. Questa è la vera storia delle zucche che vediamo esposte nei negozi, nelle case, alle feste di compleanno dei bambini... Vittime di quel consumismo che ha trasformato ormai tutte le feste religiose in occasioni redditizie per pochi. Non è un caso, a questo proposito, che per i bambini la vera festa di questo periodo sia Halloween: ma la parola "Halloween" deriva da All Hallows' Eve, che vuol dire "Vigilia di Tutti i Santi"; chiamare, dunque, "festa" questa sorta di ricorrenza significa fare della vigilia occasione più importante della festa vera e propria, che è Ognissanti, la quale viene oggi per lo più snobbata, dai giovani che la sera prima hanno fatto i bagordi fino a tardi e, sempre più spesso, anche dai bambini e i loro genitori. Possiamo credere e convincerci, quindi, che questi che lancia la Chiesa siano solo degli allarmi senza significato, ma nel frattempo, nel modo di sentire comune, Tutti i Santi, festa religiosa, ha ceduto il passo alla sua vigilia, "festa" pagana. E cos'è questa, se non l'opera del diavolo?

Voglio concludere con l'augurio per tutti i lettori di una buona festa di Tutti i Santi ed una santa Commemorazione dei Fedeli Defunti; in sintonia con quanto predica la Chiesa, vorrei spronare ad un atto di coraggio i genitori dei bambini più piccoli, quelli che, se non andranno vestiti da scheletrino o da vampiro per le strade della città forse si sentiranno un po' diversi dagli altri loro amichetti. E' vero che saranno diversi dai loro amichetti, ma in alcuni casi, e questo è certamente uno di quelli, c'è una diversità positiva, che conferisce pregi e originalità. E a coloro che pensano che prendere in giro i morti sia solo un modo per "esorcizzare" la paura della morte vorrei rispondere che si esorcizzano il diavolo e i suoi demoni; quelli bisogna scacciare con forza dalla nostra vita e da quella dei bambini, e non il ricordo delle persone care defunte e il pensiero che un giorno anche noi moriremo, cosa che ci aiuta a vivere con umiltà e letizia la nostra vita presente.

TORINO - RIFLESSIONI E PREGHIERA :
LA NOTTE E’ GIOVANE


A centinaia i giovani che parteciperanno all'iniziativa dell'Ufficio di pastorale giovanile.
Alle 18 l'incontro con l'arcivescovo Nosiglia e una tavola rotonda con altre personalità, poi la messa,i canti, l'adorazione.
da Torino, Federica Bello


Nel cuore della «movida» torinese, tra i locali che propongono i feste di Halloween, balli per streghe e fantasmi, domani sera ci saranno anche i giovani della "Notte dei santi " per riflettere, pregare e fare festa insieme.
L'iniziativa è dell'Ufficio di pastorale giovanile dell'arcidiocesi subalpina che anche quest'anno alla vigilia ai Ognis¬santi rilancia l'invito a seguire un cam¬mino di santità. «Rispetto al passato -spiega don Maurizio De Angeli, direttore dell'Ufficio giovani - abbiamo "allungato" l'iniziativa: non ci si ritrova più alle 22, ma già alle 18 con un momento di riflessione e dialogo. Una prima occasione per trasmettere ai giovani il messaggio che la santità è anche im¬pegno concreto per il bene comune; non è un percorso disincarnato dal quotidiano, ma la meta di un cam¬mino che, radicato nel Vangelo e nella preghiera, si esprime poi nell impegno concreto per la società».
La «Notte» inizierà dunque alle 18 preso il Centro incontri della Regione Piemonte (corso Stati Uniti, 23): protagonisti l'arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, l'ex rettore del Politecnico di Torino e ora presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Francesco Profumo, il priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi, e il fondatore del Sermig, Ernesto Olivero. Si confronteranno e dialogheranno con i giovani a partire dal tema «Camminare insieme: uniti per il bene comune del nostro Paese», collegato anche ai 150 anni dell'Unità d'Italia. Dalla riflessione alla preghiera: alle 21 nella chiesa della Santissima Annunziata, in via Po, una delle vie del centro più frequentata la sera dai giovani, che confluisce in piazza Vittorio all'altezza dei Murazzi, l'arcivescovo celebrerà la Messa.
«Nell'Eucaristia infatti - prosegue don De Angeli - fondiamo il nostro cammino, celebriamo e festeggiamo i santi, troviamo la forza per guardare a cose grandi, per continuare a crescere guardando in alto».
Al termine della celebrazione, sia la chiesa dell'Annunziata sia l'altra chiesa della stessa via Po, San Francesco da Paola, resteranno aperte sino alla mezzanotte proponendo momenti di adorazione eucaristica guidata, preghiere e canti organizzati grazie alla collaborazione di nu¬merose associazioni impegnate nella pastorale giovanile (le Senti¬nelle del Mattino, il Tic, il Centro diocesano vocazioni, il Movimento dei Focolari, l'associazione Pier Giorgio Frassati, la Noi Torino, la Hopeel'Agesci). «Chi lo desidera - conclude don De Angeli -potrà così soffermarsi dopo la Messa per prolungare la preghiera o per confessarsi, inoltre davanti alla porta delle due chiese alcu¬ni giovani inviteranno i coetanei "di passaggio" a entrare a farsi raccontare cosa si sta facendo e festeggiando. Per non dimenticare poi che la "Notte dei santi" è una festa e che i Santi non vivevano fuori dal mondo, altri giovani, sempre dalle 22 alla mezzanotte si esibiranno su un palco in fondo a piazza Vittorio da dove si accede ai locali dei Murazzi». Proposte musicali e di cabaret con Francesco Sportelli, i Cometha, Giampiero Perone e Gigi Cotichella per invitare i giovani torinesi a divertirsi in allegria, senza scomodare zucche e fantasmi.
Leggere anche dal sito della Stampa la dichiarazione che ieri ha fatto al riguardo l’Arcivescovo di Torino S.E.R. Mons. Cesare Nosiglia : “«La prossima festa dei Santi e la commemorazione dei fedeli defunti, tanto care alla tradizione anche familiare del popolo cristiano, da anni sono contaminate da Halloween. Mi auguro che i genitori e gli educatori rigettino l'illusione che questa festa importata dagli Stati Uniti sia, tutto sommato, una carnevalata allegra e innocua, che non lascia traccia. E comprendano invece il rischio che comporta l'assecondare una festa che fa dello spiritismo e del senso del macabro il suo centro ispiratore. Tale festa non ha nulla a che vedere con la visione cristiana della vita e della morte; e il fatto che si tenga in prossimità delle feste dei Santi e del suffragio ai defunti rischia sul piano educativo di snaturarne il messaggio spirituale, religioso, umano e sociale che questi momenti forti della fede cristiana portano con sé».

http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/427318/ N.D.R.)

Sempre dalla stessa pagina di Avvenire


LE INIZIATIVE: GENOVA, PREGHIERA NELLA CHIESA DEL GESÙ


Un «momento forte di preghiera, animato dai giovani», un'occasione per «esercitare ia nostra responsabilità morale e spirituale nei confronti del peccato» e per «vivere orazione piò genuina nei fronti dei santi e dei defunti». Così don Guido Gallese, responsabiìe della Pastorale giovanile di Genova, ha presentato ia a di preghiera che si terrà domani sera presso la chiesa del Gesù in piazza Matteotti, dalle 21 fino a mezzanotte per l'adorazione
iiristica con canti e preghiere, (A. Tor)

AD ACIREALE LA «MARCIA DEI SANTI»

Si chiama la «Marcia dei Santi» ed è organizzata dalla parrocchia San Martino Vescovo di Carruba, frazione condivisa dai comuni di Giarre e Riposto, nella diocesi di Acireale, Da qui, domani alle 15,30, tra canti, slogan e dolci tradizionali, si muoverà per alcune vìe del paese un corteo di ragazzi del catechismo vestiti da santi. “I morti (che si sono addormentati santamente nel Signore N.D.R.) , spiegano gli organizzatori, non sono fantasmi o streghe, zombi o mostri, ma modelli da seguire, fratelli che hanno raggiunto la casa del Padre, persone vive e felici che vegliano su di noi” ( M.G.L.)

domenica 30 ottobre 2011

Preghiera comune ad Assisi III? Guardate un po' qua


Ecco un particolare dell'incontro interreligioso di Assisi del 27 scorso di cui i media non hanno parlato. Eppure, è il simbolo più eloquente di come Benedetto XVI intende impostare il dialogo con le altre religioni. E queste fotografie, segnalate dal Forum catholique, sono la migliore risposta a tutti i grognons che pensano di poter criticare il Papa perché avrebbe omesso di dare testimonianza agli acattolici dell'unica vera Fede.


Enrico





da Messainlatino

Le osservazioni del prof. de Mattei sull'incontro di Assisi

Proseguiamo il discorso 'a consuntivo' sull'incontro interreligioso di Assisi, con questo intervento del prof. de Mattei che ringraziamo per l'analitico contributo.
Enrico


Dopo Assisi 3. Alcune riflessioni

di Roberto de MATTEI


Come firmatario di un appello a Sua Santità Benedetto XVI affinché recedesse dalla decisione di celebrare il venticinquennale del primo raduno interreligioso di Assisi, a riunione avvenuta, non posso non esprimere alcune riflessioni su di essa.

Quale che sia il giudizio che si voglia dare sul terzo incontro di Assisi, va sottolineato che esso ha certamente rappresentato una oggettiva correzione di rotta rispetto alle due riunioni precedenti, soprattutto riguardo al pericolo di sincretismo. Va letto, a questo proposito, con attenzione, il discorso del Cardinale Raymond Leo Burke al Convegno Pellegrini della Verità verso Assisi, svoltosi lo scorso 1 ottobre a Roma, che offre una attendibile chiave di interpretazione dell’evento.

Nella "giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo" che si è svolta il 27 ottobre, non vi è stato alcun momento di preghiera da parte dei presenti, né in comune né in parallelo, come invece era accaduto nel 1986 con i vari gruppi religiosi riuniti in vari luoghi della città di san Francesco. E' noto del resto che l'allora cardinale Ratzinger evitò di partecipare all'incontro e la sua assenza fu interpretata come una presa di distanza dagli equivoci che l'iniziativa era destinata a produrre.

Benedetto XVI ha voluto dare al raduno del 27 ottobre un volto diverso dagli incontri precedenti: non tanto quello, ha spiegato il cardinale Burke, “di un incontro interreligioso quanto di un dialogo interculturale sui passi della razionalità, bene prezioso dell’uomo in quanto tale”. Due testi ci aiutano a capire il pensiero di Benedetto XVI in materia di “dialogo”: il primo è la lettera inviata al filosofo Marcello Pera, già presidente del Senato, in occasione dell'uscita del suo libro Perché dobbiamo dirci cristiani (Mondadori, Milano 2008), in cui Benedetto XVI scriveva che “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parole non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari”.

Il secondo documento è anch'esso una lettera, indirizzata il 4 marzo 2011 al pastore luterano tedesco Peter Beyerhaus, che gli aveva manifestato timore per la nuova convocazione della giornata di Assisi. Benedetto XVI gli scrive: “Comprendo molto bene la sua preoccupazione rispetto alla partecipazione all’incontro di Assisi. Però questa commemorazione doveva essere festeggiata in ogni modo e, dopo tutto, mi sembrava la cosa migliore andarvi personalmente, per poter provare in tal modo a determinare la direzione del tutto. Tuttavia farò di tutto affinché sia impossibile un'interpretazione sincretista o relativista dell’evento, e affinché resti fermo che sempre crederò e confesserò ciò che avevo richiamato all’attenzione della Chiesa con la Dominus Iesus”.

L’interpretazione sincretistica o relativista dell’evento effettivamente non c’è stata, o è stata attenuata, e i mass-media hanno dedicato, anche per questo, ben poco spazio all’evento.

Un altro aspetto di Assisi 3 suscita però delle perplessità che non possono essere sottaciute. Il dialogo interculturale si può intrecciare con credenti di altre religioni non su base teologica, ma su quella razionale della legge naturale. La legge naturale non è altro che il Decalogo, compendio dei due precetti della carità, amore di Dio e amore del prossimo, espressi nelle due tavole consegnate a Mosé dal Signore stesso. E' possibile che, malgrado le false religioni che professano, vi siano credenti di altre religioni che cerchino di rispettare quella legge naturale che è universale e immutabile, perché comune ad ogni essere umano (cosa peraltro molto difficile senza l'aiuto della Grazia). La legge naturale può costituire un “ponte” per portare questi “infedeli” alla pienezza della verità, anche soprannaturale. Molto più problematico è invece il dialogo con coloro che non credono in nessuna religione, ovvero con gli atei convinti.

La legge naturale non consta infatti di sette comandamenti che regolano la vita tra gli uomini, ma di un insieme di dieci comandamenti, dei quali i primi tre impongono di rendere culto a Dio. La verità espressa dal Decalogo è che l’uomo deve amare Dio al di sopra di tutte le creature e amare queste secondo l’ordine da lui stabilito. L'ateo rifiuta questa verità ed è privo di quella possibilità di salvarsi che è offerta, sia pure in via eccezionale, ai credenti di altre religioni. E se è possibile l’ignoranza incolpevole della vera religione cattolica, non è possibile l’ignoranza incolpevole del Decalogo, perché la sua legge è scritta “sulle tavole del cuore umano col dito stesso del Creatore” (Rm. 2, 14-15). Esiste certo la possibilità di una ricerca o "pellegrinaggio" verso la verità anche da parte dei non credenti. Ciò avviene quando il rispetto della seconda tavola della legge (l’amore del prossimo) spinge progressivamente a cercarne il fondamento nella prima tavola (l’amore di Dio). E' la posizione dei cosiddetti "atei devoti", come Marcello Pera e Giuliano Ferrara i quali, come ha giustamente osservato Francesco Agnoli (Io cattolico pacelliano, dico al card. Ravasi che ad Assisi ha sbagliato atei, “Il Foglio”, 29 ottobre 2011) , “un bel po’ di strada insieme ai credenti la hanno fatta e la fanno di continuo, con l’uso della ragione”. Essi, oggi, nei confronti di alcuni precetti del decalogo si mostrano più fermi e osservanti di molti cattolici. Ma gli atei convocati ad Assisi non hanno nulla di "devoto": appartengono a quella categoria di non-credenti che ha in spregio non solo i primi tre comandamenti, ma tutta la tavola del Decalogo.

E' una posizione che la filosofa e psicanalista Julia Kristeva ha ribadito sul "Corriere della Sera" - che ha ospitato, in extenso, il suo intervento ad Assisi (Un nuovo umanesimo in dieci principi, “Corriere della Sera”, 28 ottobre 2011). A differenza di altri studiosi laici, che riscoprono il fondamento metafisico della legge naturale, la Kristeva ha rivendicato, una linea di pensiero che dal Rinascimento arriva all'Illuminismo di Diderot, Voltaire e Rousseau, compreso il marchese de Sade, Nietzsche e Sigmund Freud, ovvero quell'itinerario che, come hanno dimostrato insigni studiosi dell'ateismo da Cornelio Fabro (Introduzione all’ateismo moderno, Studium, Roma 1969) ad Augusto Del Noce (Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 2010), porta proprio a quel nichilismo, che la psicanalista francese, senza negare la propria visione atea e permissiva della società, vorrebbe contrastare in nome di una collaborativa "complicità" tra umanesimo cristiano e umanesimo secolarizzato. L’esito di questa pacifica coesistenza tra il principio ateo di immanenza e un vago richiamo alla religiosità cristiana non può essere che il panteismo, caro a tutti i modernisti, antichi e contemporanei.

Il punto in cui Assisi 3 rischia di segnare un pericoloso passo avanti nella confusione che oggi attanaglia la Chiesa è proprio questo, enfatizzato da tutti i mass-media: l'estensione dell'invito, oltre che a esponenti delle religioni di tutto il mondo, anche ad atei ed agnostici, scelti tra i più lontani dalla metafisica cristiana. Ci chiediamo quale dialogo sia possibile con questi "non credenti" che negano in radice la legge naturale. La distinzione tra atei “combattivi” e atei “collaborativi” rischia di ignorare la vis aggressiva insita nell’ateismo implicito, non espresso in maniera militante ma proprio per questo più pericoloso. Gli atei dell’UAAR hanno almeno qualcosa da insegnare ai cattolici: professano i loro errori con uno spirito di militanza a cui i cattolici hanno abdicato nel difendere le loro verità. Ciò accade, ad esempio, quando da parte cattolica si criticano le crociate, che non furono una deviazione della fede, ma imprese ufficialmente, promosse esaltate dai santi, fondate sulla teologia e regolate, per secoli, dal diritto canonico. Se allora la Chiesa sbagliò, non potrebbe sbagliare chi oggi predica il buonismo e l'arrendismo di fronte ai nemici, esterni e interni, che incalzano? E se la Chiesa, come sappiamo, non sbaglia nel suo insegnamento, quale deve essere la regola di fede ultima del cattolico in momenti di confusione come l’attuale? Sono domande che ogni semplice fedele ha il diritto di porre, rispettosamente, alle autorità supreme della Chiesa, all'indomani del 27 ottobre 2011.
 
da Messainlatino

sabato 29 ottobre 2011

29 ottobre

Beata Chiara Badano

 


Appena l'anno scorso la giovanissima Chiara Luce Badano, nata nel 1971 e morta nel 1990, è stata dichiarata beata. Un esempio luminoso per i ragazzi di oggi, loro coetanea a cui sono bastati pochi anni per raggiungere il cielo, lasciando sulla terra un esempio memorabile.

Oggi ricorre la sua memoria liturgica, in modo alquanto insolito nel giorno del suo compleanno terreno (e non nel giorno della sua nascita al cielo: 7 ottobre). Visto che praticamente da nessuna parte si trova la colletta e le altre preghiere per la sua celebrazione, ve le riporto (qui la fonte unica reperita):

Preghiamo.
Padre di immensa bontà, che per i meriti del tuo Figlio e il dono dello Spirito hai reso ardente di amore la Beata Chiara Badano, trasforma profondamente il nostro animo affinché anche noi, sul suo esempio, riusciamo a compiere sempre con serena fiducia la tua santa volontà. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. R. Amen.

Stando alla sensibilità antica della Chiesa, tuttora vigente, in onore di questa "giovane laica" diciottenne bisognerebbe dire la messa delle vergini, non essendo stata sposata, nè fidanzata. Prova ne sia che la preghiera sulle offerte e la postcommunio della beatificazione di Chiara erano nientemeno che quelle di Santa Agnese, Vergine e Martire, adattate al suo nome:

Benedici, Signore, i doni che ti offriamo nel ricordo della Beata Chiara, e rinnova profondamente il nostro spirito perché, liberi dai fermenti del male, viviamo una vita nuova nella luce del Vangelo. Per Cristo nostro Signore. Amen

La comunione alla mensa del corpo e sangue del tuo Figlio ci distolga, Signore, dalla seduzione delle cose che passano, e sull’esempio della Beata Chiara ci aiuti a crescere nel tuo amore, per godere in cielo la visione del tuo volto. Per Cristo nostro Signore.

Non mi piace, però, che non le sia dato il titolo di vergine nella preghiera propria di colletta, forse non è più "di moda"? Pare antiquato?. "Giovane laica" in realtà non vuol dire niente: anche Santa Maria Goretti era una "giovane laica". Chiara era laica, sì, ma nel suo cuore era già tutta e solo di Cristo. La sua scelta l'aveva già fatta. Per questo non mi pare il caso di usare altri formulari a parte i precedenti o quelli delle sante vergini. In particolare perché, proprio nel tempo della preparazione del suo incontro sponsale con Cristo, la giovanissima Beata ha dato grande testimonianza di fede e amore sponsale a Cristo:
Mons. Livio Maritano, vescovo dicocesano, così la ricorda: "...Si sentiva in lei la presenza dello Spirito Santo che la rendeva capace di imprimere nelle persone che l’avvicinavano il suo modo di amare Dio e gli uomini. Ha regalato a tutti noi un’esperienza religiosa molto rara ed eccezionale". Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa indossare alla sua migliore amica per vedere come le starà. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: "Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!". Muore all’alba del 7 ottobre 1990. E’ “venerabile” dal 3 luglio 2008. E' stata beatificata il 25 settembre 2010 presso il Santuario del Divino Amore in Roma (Da Santiebeati).
Per approfondire la vita e la storia di questa fulgida beata, vi consiglio il sito della postulazione della sua causa:  www.chiaralucebadano.it
Chiara con l'abito da sposa nel giorno della sua morte
Testo preso da: Cantuale Antonianum http://www.cantualeantonianum.com/#ixzz1cBvhpURT
http://www.cantualeantonianum.com

venerdì 28 ottobre 2011

Preti moderni e 10 Comandamenti



Ritorniamo almeno al Catechismo!

Un'agghiacciante filmato delle Iene su una serie di interviste a sacerdoti con un'assoluta ignoranza persino dei 10 Comandamenti (oltre ad una quantità di scempiaggini ed eresie pazzesche). Persino sul 6° o sul 5° o sul 3°.

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/255582/di-cioccio-i-10-comandamenti-%28vers-integrale%29.html

Forse sarebbe meglio mandarlo alle Congregazione dei Seminari e del Clero per riformulare i programmi dei Seminari e per far studiare i preti.

Veramente abbiamo dolore e indignazione.

E non ci vengano a dire che questa è una crisi tra le tante: tale disastro di fedeli e di clero non ha precedenti in 2000 anni; neppure nel periodo pretridentino eravamo ridotti così.

Tratto da Messainlatino

giovedì 27 ottobre 2011

Pontificale con la Forma Straordinaria a Silvi








Non è facile affidare alle foto le emozioni che hanno pervaso tutti coloro che hanno partecipato al Primo Convegno d’Abruzzo “LA SACRA LITURGIA PER IL RINNOVAMENTO DELLA VITA CRISTIANA” svolto a Silvi ( Teramo) nei giorni 22 e 23 ottobre.

Inizieremo con alcune foto del Pontificale di chiusura del Convegno che Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Dario Castrillon Hoyos, presidente emerito della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha officiato nella Chiesa Parrocchiale del Santissimo Salvatore.
Una festa di popolo in cui sono stati protagonisti, ancora una volta, i “volontari liturgici” : dal sarto che ha addobbato la chiesa, alla signora che di buon mattino ha portato i fiori; dai ministranti ai cantori gregoriani e polifonici.
Tutti hanno potuto lodare il Signore nel Suo tempio santo con lo stesso entusiasmo liturgico che ha rimpito il cuore dei loro devoti padri del corso dei secoli .
L’organizzazione del Convegno liturgico, che ha avuto una bella lettera di presentazione dal Vescovo di Teramo, Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Michele Seccia, è stata curata in toto dal gruppo dei fedeli “Ordo Chistianus Miles”.
Quello che , giustamente, interessa ai lettori di MIL, sono le foto del rito che, grazie al cerimoniere don Marco Cuneo, è stato particolarmente snello per consentire ai tantissimi fedeli convenuti nella Chiesa Parrocchiale di elevarsi spiritualmente senza essere travolti dalla lunghezza del rito.
Il Cardinale, nella splendida omelia, ha voluto anche per questo sottolineare : “La grandiosità del rito gregoriano non dove essere guardata come semplice esteriorità, piuttosto quale atteggiamento adorante dell'anima conscia di trovarsi al cospetto della Trinità Divina".
Grazie di cuore agli amici di Silvi hanno organizzato il solenne Pontificale a chiusura del Convegno liturgico che rimarrà certamente scolpito nel cuore dei paesani esattamente come la lapide commemorativa realizzata appositamente : “ ad perpetuam rei memoriam”. ( A.C.)
Sacri Ministri : Diacono : don Luciano Micheli, Parroco di Ferrandina; Suddiacono don Francesco Ramella; Prete assistente : don Roberto de Meo; Cerimoniere don Marco Cuneo.
Hanno assistito in coro : don Andrea Di Bonaventura, Parroco di Silvi; Canonico Don Roberto Bertoia, Parroco di Montesilvano; Padre Vincenzo Nuara OP Pontificia Commissione Ecclesia Dei; don Bruno Lima, Cappellano del Sacro Militare Ordine di San Giorgio.
Gentiluomo : Nob.Lodovico Valentini.

Trahe me post te, virgo Maria



Trahe me post te, virgo Maria,
curremus in odorem unguentorum tuorum.
Quam pulchra es et quam decora,
carissima in delitiis,
statura tua assimilata est palmae
et ubera tua botris,
dixi: ascendam in palmam
et apprehendam fructum eius;
et erunt ubera tua sicut botri vineae,
et odor oris tui, sicut odor malorum.


Attirami, dietro a te, Vergine Maria,
corriamo dietro l’aroma dei tuoi profumi!
Che graziosa e bella sei!
La più pregiata fra le delizie.
La tua taglia assomiglia alla palma
e i tuoi seni ai suoi grappoli.
Ho detto: salirò sulla palma
e prenderò i suoi frutti,
e saranno i tuoi seni come grappoli d’uva
e il tuo alito come il profumo delle mele.

mercoledì 26 ottobre 2011

giovedì 20 ottobre 2011

La torre di Babele
catastrofe antropologica

Finalmente un commento non banale ai fatti di sabato scorso a Roma. Troppo flebili e fuori bersaglio sono state le reazioni delle autorità ecclesiastiche preoccupate più dell'impatto mediatico delle immagini che del fatto in sé gravissimo. Ricordiamo di aver letto tra i canoni del Secondo Concilio di Nicea (787 d. C.) che "l'onore reso all'immagine passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto". Volgiamo in negativo il discorso e vediamo che quanto compiuto dall'iconoclasta è qualcosa di ben più di una semplice "offesa alla sensibilità dei credenti" come sostenuto del portavoce della Santa Sede, ma una vera e propria profanazione. Né si può dire, come è stato detto, che si può sperare non intendesse compiere un atto di tal fatta un tale che mentre si accaniva sull'immagine sacra bestemmiava. Del resto impressiona il fatto che tali disordini siano avvenuti nei pressi della Basilica Lateranense, basilica Papale per eccellenza, e della Scala Santa da molto tempo rinomato centro di esorcismi e di liberazione. Il diavolo ha battuto un colpo e gli uomini di Chiesa parlano d'altro....


Gettata in strada e calpestata

l’immagine della Madre di Dio

di Daniele Fazio


Il centro di Roma, il 15 ottobre 2011, giorno della manifestazione internazionale dei cosiddetti Indignados è stato oggetto di una guerriglia urbana devastante, che ha lasciato danni ingentissimi agli arredi urbani, ai palazzi istituzionali e alle proprietà private dei malcapitati cittadini. Per puro caso fortuito non c’è scappato
il morto, perchè i manifestanti o quanto meno, come si dice le frange estremiste di essi, non si sono mostrati affatto tolleranti e miti nei confronti soprattutto delle forze dell’ordine. Ha molto impressionato, poi, la profanazione della parrocchia romana dei Santi Marcellino e Pietro con la distruzione di un Crocifisso e della statua della Madonna di Lourdes (n.d.r. la statua profanata è una statua dell'Immacolata e non della Madonna di Lourdes) di via Labicana.
 
Sin dal momento in cui arrivavano notizie e le prime cruente immagini delle manifestazione il coro del dissenso da parte degli italiani – dai politici ai singoli cittadini – è stato unanime. Ma indignarsi delle violenze degli Indignados non basta, né tantomeno superficialmente possiamo fermaci alla distinzione tra manifestanti pacifici e black bloc violenti. Questi ultimi cattivi che hanno rovinato una espressione di dissenso giusta e ammirevole. Approfondire la questione significa scoprire che i cosiddetti Indignados sono il frutto ultimo della disgregazione del tessuto sociale e culturale dell’Occidente che allontanandosi dalle sue radici – filosofia greca, diritto romano, cristianesimo –ha perso non solo la fede religiosa, ma anche il retto vivere civile e ora si vuole sempre più attestare su posizioni anarchiche e nichiliste di rifiuto di ogni e qualsiasi autorità legittima, dalla Chiesa alle autorità temporali.
 
Gli eventi, ma ancora di più l’ideologia degli Indignados, illustrano bene quella che da diverso tempo viene definita catastrofe antropologica. Si è ad una svolta epocale. Siamo giunti alla fine di un percorso di dissolvimento che prevede il rifiuto della verità, la dittatura del relativismo e la guerra contro la distinzione tra bene e male. Ciò incide sul modo di concepire la natura dell’uomo, i suoli legami vitali, rendendolo animale impulsivo e irrazionale, sazio e disperato, tanto che da diverso tempo si parla di post-umano che ha nelle espressioni del mondo digitale il suo principale mezzo tecnico. Il movimento degli indignati, caotico e vuoto, ha come obbiettivo la protesta per la protesta, ragion per cui è facilmente infiltrabile da parte di agenti eversivi e criminali. Ma questo tipo di violenza viene chiamato e favorito proprio dalle idee di fondo che l’ “indignazionismo” presenta. Anche se non tutti gli Indignados sono violenti – ovviamente c’è sempre l’utile idiota e il cattolico confuso - l’ambiente che la loro ideologia genera è collaterale all’espressione della violenza. È nella banalità che il male trionfa.
 
Il nome Indignados trae spunto da un testo di un ex militante della Resistenza francese, Stéphane Hessel, tradotto in Italia con il titolo Indignatevi, (Add editore, Torino 2011). Il piccolo testo, scarno nelle argomentazioni lancia poche tesi. Innanzitutto, vengono attaccati politici, industriali e Chiesa, che vengono definite “caste”, poi induce a pensare che per superare la crisi economica non occorre far alcun sacrificio, basterebbe cambiare establisciment con uomini vagamente leali e generosi, che possano sostenere gli antichi valori della resistenza francese e soprattutto la battaglia per i nuovi diritti di femministe ed omosessuali.
 
La prima manifestazione di questo movimento si è avuta a partire dal 15 maggio 2011 in Spagna protraendosi nelle contestazioni al Papa e alla Giornata Mondiale della Gioventù tenutasi a Madrid. Rispetto al movimento no global è chiara la presenza in questa nuova espressione rivoluzionaria di una carica assolutamente anticristiana ed antisociale. Non si vuole alcun legame con la politica e i tentativi di riassorbimento da parte della sinistra di tale potenziale finora sono falliti. Ma ancora di più non si vuole alcun legame forte con nessuno, non si rivendica il diritto al pane – come nel fenomeno della “primavera araba”, - ma quello ad avere l’ultimo smartphone e soprattutto s’insiste sui cosiddetti “nuovi diritti” e sul fatto che gli Stati dovrebbero mantenere tutti coloro che non hanno un lavoro. Sono nemici degli Indignados tutti coloro che distinguono finanza buona da finanza cattiva, che richiamano alla responsabilità delle azioni dell’uomo e alla necessità di vivere con sobrietà e nella ricerca della verità per superare la crisi economica, la cui soluzione è etica e spirituale e non meramente materiale.
 
Come sempre si è verificato nelle tappe della Rivoluzione in Occidente, i rivoluzionari prendono spunto da problemi reali a cui danno delle soluzioni che non risolvono, bensì aggravano ancora di più il problema. Non si vuol curare una febbriciattola con la giusta medicina, ma con un virus letale che elimini non la febbre, ma l’intero organismo. Se, dunque, il motivo principale della protesta indignazionista potrebbe avere un fondo di verità in quanto intercetta il disagio generato dalla crisi economica internazionale, i suoi presupposti e le sue pseudosoluzioni restano dei mali peggiori della stessa crisi.
 
Che soluzioni possono essere prospettate? Innanzitutto gli autori materiali delle devastazioni devono esser punti con il carcere. Questo se funziona bene, ad esempio, in Inghilterra, in Italia proprio per il cortocircuito vigente nel sistema giudiziario tarda a trovar applicazione. I black bloc sanno benissimo che in Italia al massimo faranno due giorni di carcere e poi verranno rimessi con molta facilità in libertà. Se questa è una soluzione necessaria e immediata che grava sulla classe dirigente di un Paese, la vera risposta, però, sta, non in una retorica cieca, buonista e demagogica in cui si sono prodotti con le loro laiche benedizioni Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo, ma in una vera alternativa culturale ed educativa che rimetta al centro le priorità e i bisogni dell’uomo, spiegando che esiste un diritto naturale, che i diritti si coniugano con i doveri e che si può distinguere il bene dal male ed è realizzante optare per il primo ed evitare il secondo. Tutto questo per i cattolici ha un nome: nuova evangelizzazione. Solo con Cristo l’uomo diventa pienamente uomo.

http://santamariaelemosina.wordpress.com/2011/10/17/le-violenze-romane-e-quella-statua-profanata/

mercoledì 19 ottobre 2011

20 OTTOBRE
B. Giacomo degli Strepa (Strepar o Strzemie)
 

Martirologio Romano: A Leopoli in Ucraina, beato Giacomo Strepa, vescovo di Halicz, dell’Ordine dei Minori, insigne per sollecitudine pastorale e apostoliche virtù.

Un infaticabile apostolo della Polonia e della Russia fu, durante il XIV secolo, Giacomo Strepar o Strzemie (italianizzato in Strepa) che, ricco di nascita, mise in pratica l’invito rivolto da Gesù al giovane ricco dei Vangeli: lasciare tutti i propri beni e mettersi alla sua sequela.

Giacomo nacque nella diocesi di Cracovia, da una nobile famiglia polacca, intorno all’anno 1340. Era molto giovane quando, affascinato dall’ideale francescano, entrò in un convento di Frati Minori. Si aggregò alla Società dei Frati Pellegrini, composta sia da Francescani che da Domenicani e, con un forte anelito missionario, si prefisse come meta l’Ucraina. Fu eletto guardiano del convento di Leopoli (città fondata nel 1250 circa) in un momento travagliato della storia ecclesiastica di quella città. Vi erano infatti contrasti tra il clero diocesano e i religiosi, e tra cattolici e ortodossi. Ricoprendo, inoltre, la carica di inquisitore della fede in Rutenia, per dieci anni il suo apostolato fu instancabile.
Nel pieno della maturità gli si prospettò una nuova grande missione: predicare la Parola di Cristo in Russia. Tale fu il successo che venne nominato vicario generale e poi vescovo di Halicz, sede vescovile che sarà in seguito trasferita a Leopoli. Fra Giacomo aveva cinquantadue anni.
Infaticabile, il novello vescovo impiegò tutte le sue forze, con un impegno straordinario, per il bene della diocesi. Costruì chiese nei luoghi più remoti ed eresse parrocchie, affidandole a sacerdoti di provate virtù, giunti a volte, appositamente, dalla Polonia. Attento alle necessità dei poveri e dei luoghi di culto, devolse a tali scopi le rendite del vescovado. Si impegnò nella costruzione di monasteri, di scuole e ospedali. A piedi, senza alcun onore, col semplice saio francescano, visitò ogni comunità. Fu esempio d’umiltà, accompagnando l’apostolato attivo con penitenze personali. In ogni azione era spinto da una grande fede interiore, trasmettendo le sue devozioni per il Santissimo Sacramento e per la Madonna. Istituì l’adorazione perpetua e raffigurò la Vergine nello stemma vescovile, invitando a recitare quotidianamente il Rosario. Tanto zelo portò i frutti di un diffuso risveglio religioso del popolo. Il frate vescovo manteneva immutata l’indole missionaria verso gli atei e verso gli ortodossi, desiderando con forza l’unità dei cristiani mentre, per l’alta autorità morale, veniva nominato senatore del Consiglio di Patria. In tale veste dava suggerimenti pratici per l’amministrazione della città, trovandosi un giorno a fronteggiare persino le incursioni dei barbari.
Morì il 20 ottobre 1409 ricevendo per i suoi eccezionali meriti, anche civili, il titolo di “protettore del regno, difensore e custode della patria”. Tale era considerato da tutti.
Il corpo, col saio e le insegne vescovili, fu sepolto nella chiesa dei francescani. Vasta la fama di santità, continui i pellegrinaggi alla sua tomba, mentre si verificavano miracoli per sua intercessione. Dieci anni dopo la morte si riesumò il corpo che apparve incorrotto. Il culto, diffuso in Polonia, Lituania e in Russia, fu confermato da Papa Pio VI l’11 settembre 1790.
Oggi le sue reliquie sono venerate nella cattedrale di Leopoli (L’viv), l’importante città ucraina ricca di storia e cultura che ha tra i suoi padri proprio il nobile frate venuto dalla Polonia.

PREGHIERAO Dio, che con le fatiche apostoliche del vescovo Beato Giacomo degli Strepa hai posto nella chiesa di Polonia e di Russia i germi della fede, per sua intercessione donaci di vivere in modo autentico la nostra vocazione cristiana. Per Cristo Nostro Signore. Amen.

Tratto da: Santi e beati
21 OTTOBRE
BEATO CARLO IMPERATORE D’ AUSTRIA
RE APOSTOLICO D’ UNGHERIA

Il b. Carlo con la moglie Zita

COLLETTA O Dio Tu che hai condotto il Beato Carlo mediante i contrasti di questo mondo dalle signorie terrene alla gloria del cielo. Concedi a noi per la sua intercessione di servire il Tuo Figlio e i nostri fratelli e di giungere così alla vita eterna. Per il nostro Signore …


SULLE OFFERTE O Dio Onnipotente noi portiamo i nostri doni al Tuo altare. Accoglili e concedi a noi quella dedizione del cuore che Tu hai donato al Beato Carlo. Purifica i nostri sensi e infiamma il nostro amore affinché celebriamo questo sacrifìcio come a Te piace. Per Cristo nostro Signore.


PREFAZIO È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Nella festosa assemblea dei santi risplende la tua gloria, e il loro trionfo celebra i doni della tua misericordia. Nella vita del beato Carlo ci offri un esempio, nell'intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno. Confortati dalla sua testimonianza, affrontiamo il buon combattimento della fede, per condividere al di là della morte la stessa corona di gloria. Per questo mistero, uniti agli Angeli e agli Arcangeli e a tutti i santi del cielo, cantiamo senza fine l'inno della tua lode: Santo, Santo, Santo, …

DOPO LA COMUNIONE O Dio Onnipotente ed Eterno, Padre della misericordia e Dio di ogni consolazione, nel giorno della memoria liturgica del Beato Carlo ci siamo riuniti per dare gloria al Tuo Nome. Dà a noi mediante il Corpo e sangue del tuo Figlio il pegno di quella pienezza che hai promesso a tutti coloro che ti amano. Per Cristo nostro Signore.

Il b. Carlo con il figlio Otto


CARLO D’AUSTRIA (1887-1922): un re «politicamente scorretto

Ci sono cose che qualcuno ha deciso di tenere nascoste, quasi che come vanno le cose oggi sia il modo migliore di vivere, quasi che l’uomo abbia conquistato per sempre il suo “progresso”… perchè la storia và spiegata solo in senso liberal-massonico e certi uomini e certi avvenimenti si nascondono, travisando o ignorando i fatti.
Basta leggere i libri della scuola pubblica. Bisogna essere legati alla verità senza pregiudizi per andare a fondo al passato e capire il presente. La verità è che oggi non si parte mai dalla realtà per prendere le decisioni, ma si parte da cio’ che si pensa di essa.

IL BEATO CARLO D’AUSTRIA (1887-1922) di Paolo Risso Rivista Maria Ausiliatrice


Nella pianura del Danubio, cavalcava agile sul suo cavallo bianco, splendido nella sua divisa, durante le manovre militari. Colto e affabile, soldati e ufficiali lo sentivano fratello. Al mattino e alla sera, i suoi uomini potevano trovarlo nella sua tenda o davanti al Tabernacolo, raccolto in preghiera con la fede semplice e forte di un bambino.

Era Carlo d’, principe d’Austria.
Il nonno suo era fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe. Il papà era Ottone d’Asburgo, la mamma era Giuseppina di Sassonia. Lui era nato il 17 agosto 1887 a Persenbeug sul Danubio. La mamma, ricca di fede e di carità cristiana, sottrasse il piccolo agli istitutori dello Stato e lo educò personalmente e affidandolo ad ottimi maestri cattolici.
Cresceva come un bambino bello e dolcissimo, limpido e buono. L’ambiente di corte, in cui viveva, raffinato e frivolo, neppure lo sfiorò.
Adolescente, circondato da cento occasioni di male, si distingueva per la purezza e la generosità.
Intelligentissimo, tra i compagni del liceo di Vienna, si faceva amare per la sua bontà. Molti pensavano a divertirsi; lui, Carlo, aveva una sola passione: l’adorazione eucaristica davanti al Tabernacolo e la Comunione quotidiana. Era un giovane affamato di Dio.
Un giorno, Miss Casey, addetta al suo guardaroba, si accorse che nell’armadio c’erano solo più due camicie consunte. Le altre, le più belle, sua Altezza le aveva regalate ad alcuni bambini poveri, suoi piccoli amici. Gli orfani, a causa delle guerre o di epidemie, erano i suoi prediletti.


Principe ereditario
A 16 anni, intraprese la carriera militare. Viveva come uno qualsiasi dei suoi soldati. Sapeva comandare e ubbidire. Nelle ore di libertà, conversava con soldati e ufficiali, sovente interessati solo ad avventure, ma lui parlava loro di Gesù e dell’amicizia con Lui.
Frequentò l’Università a Praga, studioso e appassionato alle lingue, in primo luogo a quelle parlate nell’Impero d’Austria. Durante le manovre militari del 1907, ormai ufficiale d’ordinanza dello zio Francesco Ferdinando, principe ereditario, si dimostrò un capo perfetto nel talento militare e nel senso tattico. Aveva 20 anni, parlava quasi una decina di lingue, era ammirato da tutti e da non poche principesse d’Europa e capitava spesso di vederlo pregare in pubblico, inginocchiato per terra come un fratino in un convento.
Alla corte di Vienna, aveva conosciuto la principessa Zita di Borbone-Parma, nata a Lucca nel maggio del 1892. Tra i due sbocciò l’amore. Nell’aprile del 1911, si iniziò a parlare delle nozze. In occasione del fidanzamento ufficiale, Zita e la madre andarono in udienza dal Papa Pio X. Il quale, accennando a Carlo, lo chiamò “principe ereditario”. Zita rettificò: «Non è lui l’erede al trono». Pio X non se ne diede per inteso e continuò a parlare di Carlo come del principe ereditario.
Un’altra volta, Pio X affermò: «È un dono della Provvidenza di Dio alla Casa d’Austria».
Sotto la guida del gesuita Padre Andlau, Carlo e Zita si prepararono al sacramento del matrimonio, pregando e facendo opere di penitenza e di carità, mentre attorno a loro volteggiavano balli e si tessevano avventure. Il 21 ottobre 1911, nel castello di Schwarzau, Mons. Bisletti, mandato dal Papa, benedisse le nozze di Carlo e di Zita.
Terminato il rito, Carlo disse alla sua sposa: «E ora dobbiamo aiutarci insieme per raggiungere il Paradiso».
ubito partirono per Marianzell, il santuario mariano dell’Austria, dove si affidarono alla Madonna. Negli anni appresso, vennero i primi loro bambini, accolti come dono di Dio.
Una sera del maggio 1914, Francesco Ferdinando invitò a cena, nella reggia di Vienna, Carlo e la sua famiglia. Il principe ereditario gli disse: «So che tra poco mi uccideranno. Ti affido i documenti di questa scrivania». Il 28 giugno, Francesco Ferdinando cadeva a Sarajevo e Carlo diventava l’erede al trono.

Costruttore di pace
La guerra iniziava su tutti i fronti d’Europa. Due anni dopo, alla morte di Francesco Giuseppe, il 21 novembre 1916, Carlo d’Asburgo saliva al trono imperiale. Andò di nuovo a Marianzell e là cominciò a regnare dinanzi a Maria Santissima.
Da quei giorni, ebbe un solo pensiero: la pace. Nessuno come lui ascoltò il Papa Benedetto XV nel ricercare la pace. Ma le proposte del Papa fallirono. Carlo si rivolse a Guglielmo di Germania per indurlo alla pace. Questi si illudeva ancora di vincere la guerra. Anzi, propose a Carlo di lasciare passare in Austria Lenin, esule in Svizzera, perché andasse in Russia ad abbattere con la rivoluzione comunista l’impero dello Zar, quindi assicurare la fine delle ostilità sul fronte orientale. Carlo inorridì: «Guai se il comunismo dovesse trionfare: sarebbe il danno più grave all’intelligenza e alla fede cristiana». I fatti gli avrebbero dato ragione.
Si rivolse allora con tutti gli sforzi possibili alle altre nazioni in guerra. Erano chiamate “le missioni Sisto”, dal nome di suo cognato, Sisto di Borbone che faceva da intermediario. Occorreva arrivare alla pace. Ma il nemico numero uno dei tentativi di pacificazione era la massoneria che aveva giurato di far sparire dall’Europa quell’Imperatore cattolico che viveva la sua fede in chiesa come in politica e che non aveva mai permesso che una sola loggia massonica si aprisse nei suoi Stati.
«È tra le più grandi personalità di tutti i tempi, affermava Stefan Zweig. Se si fossero seguite le sue idee, l’Europa non avrebbe conosciuto in seguito le più aspre dittature».
Diceva l’anglicano Gordon: «È capace di pensare con undici menti e di amare con undici cuori, uno per ogni nazionalità del suo Impero. Carlo è sempre uno nella fede e nella vita: fede e vita in lui si fondono in uno fino a farsi indistinguibili nell’esercizio della regalità». Benedetto XIV assicurava: «Carlo d’Austria è un santo!».
Il novembre del 1918 segnò il crollo dell’Impero. Nelle città dei suoi Stati era la rivolta. Il 12 novembre a Vienna si proclamava la repubblica. Tutto avveniva secondo i piani della massoneria. L’11 novembre, Carlo aveva abdicato al trono. Cominciava per lui l’esilio. Il 24 marzo 1919, riparava in Svizzera.

L’esule e il martire
Allora la massoneria tentò il ricatto, proponendo al sovrano la restituzione della corona se fosse venuto a patti con essa. Carlo rispose: «Come principe cattolico, non ho nessuna risposta da darvi». Quando quelli se ne andarono, aggiunse: «Ora, ogni mia cosa avrà cattiva riuscita».
Nel mondo, vennero diffuse contro di lui calunnie ed oltraggi. Carlo rispose sempre da cristiano.
Nel 1920, Mons. Eugenio Pacelli, nunzio apostolico a Monaco di Baviera, ebbe un giorno l’occasione di viaggiare in treno con lui. Al ritorno, il nunzio andò in cappella dove disse ad alta voce: «Ti ringrazio, o Signore, di avermi fatto incontrare così grande anima!».
Nel 1921, seguirono due tentativi da parte del sovrano di riprendere la corona d’Ungheria a cui non aveva mai rinunciato. Ma il 24 ottobre, insieme a Zita, fu fatto prigioniero dalle truppe di Horty, il reggente di Ungheria e consegnato agli Inglesi. Caricati su una nave, attraverso il Danubio, il Mar Nero, il Mediterraneo, Carlo e Zita furono portati nell’isola di Madera, in mezzo all’Atlantico. Ora aveva perso davvero tutto, il trono, i beni temporali, povero tra i poveri. Solo il Papa pensava a lui e ai suoi familiari.
A Madera, finalmente poterono raggiungerli i loro bambini, il più grande dei quali aveva solo nove anni. Nella casa dove abitavano, Carlo aveva avuto il permesso di avere una cappellina con Gesù Eucaristico.
Chi voleva trovare l’Imperatore doveva cercarlo là, davanti al tabernacolo.
Maturò un’idea: offrire la vita per il bene dei suoi popoli. Guardando il Santuario della Madonna di Madera, offrì la vita come vittima con Gesù. Qualche giorno dopo, sempre più a corto di mezzi, lasciò la casa per trasferirsi in una povera abitazione priva di tutto, sopportando, ma diffondendo luce e gioia attorno a sé: «Così Dio vuole; perché preoccuparmi? Tutto per Lui!».
Il 9 marzo 1922, Carlo prese un raffreddore e fu subito polmonite: gravissimo. Sofferenze fortissime. La tosse lo squassava. Le cure sommarie, il vitto scarso. L’unico ad essere sereno, quasi felice era lui, Carlo, il sovrano dalla fede granitica e dolce. Zita raccoglieva una per una le ultime parole del suo sposo:
«Adesso voglio dirti che ho sempre cercato di conoscere la volontà di Dio e di eseguirla nel modo più perfetto». «Io devo ancora soffrire tanto affinché i miei popoli si ritrovino ancora tra loro… Gesù, proteggi i nostri bambini… ma falli piuttosto morire che commettere un solo peccato mortale». «Gesù sia fatta la tua volontà».
Pregavano insieme, Carlo e Zita, con il Rosario e le litanie alla Madonna. Cantavano il Te Deum in ringraziamento a Dio per la croce posatasi sulle loro spalle. E Carlo era morente!
1° aprile 1922. Il cappellano gli amministrò l’Unzione degli Infermi. Carlo volle avere vicino il figlioletto Ottone:
«Desidero che veda come muore un cattolico». Il sacerdote espose il Santissimo Sacramento nella stanzetta. Carlo non finiva più di adorarlo: «Gesù, io confido in Te. Gesù, in Te vivo, in Te muoio. Gesù io sono tuo, nella vita e nella morte. Tutto come vuoi Tu».
Il sacerdote gli diede la Comunione eucaristica, come Viatico per l’eternità. Il sovrano si raccolse sereno, ilare di un’intima gioia. Zita gli disse: «Carlo, Gesù, viene a prenderti».
Rispose: «Oh sì, Gesù, vieni». Poi ancora: «Oh, Gesù, Gesù!».
Erano le ore 12 e ventitré minuti. Carlo d’Austria, 35 anni appena, contemplava Dio. Il medico che lo curava, miscredente, esclamò: «Alla morte di questo santo, devo ritrovare la fede perduta». E si convertì. Da tutta l’isola vennero a rendergli omaggio. Ai funerali, lo seguirono 30 mila persone.
Il 3 ottobre 2004, Papa Giovanni Paolo II, con la beatificazione in San Pietro a Roma, elevava alla gloria degli altari Carlo d’Asburgo, l’Imperatore che dal trono d’Austria, attraverso la via regale della Croce di Cristo, ha scalato la vetta più sublime: la santità.

martedì 18 ottobre 2011

S. Cirillo di Gerusalemme e la Comunione sulla mano

Archeologite Liturgica – Sacrilegio Dilagante - 

 
In UnaVox

[A proposito della questione relativa alla cosiddetta "Comunione sulla mano", riproduciamo un articolo del R. P. Giuseppe Pace, S. B. D., pubblicato nel n° di gennaio 1990 del periodico Chiesa Viva (Editrice Civiltà, via Galileo Galilei, 121, 25123 Brescia).]

La ghianda è una quercia in potenza; la quercia è una ghianda divenuta perfetta. Il ritornare ghianda per una quercia, posto che lo potesse senza morire, sarebbe un regredire. Per questo nella Mediator Dei (n. 51) Pio XII condannava l'archeologismo liturgico come antiliturgico con queste parole: «… non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi, ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono, con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del Depositum Fidei affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò».


Di una tale ossessione morbosa - di archeologite - sono preda quei pseudoliturgisti che stanno desolando la Chiesa in nome del Concilio Vaticano II; pseudoliturgisti che talora giungono al punto di spingere con l'esortazione e con l'esempio i loro sudditi a violare quelle poche leggi sane che ancora sopravvivono, e da loro stessi formalmente promulgate o confermate.
Sintomatico a questo riguardo è il caso del rito della Santa Comunione. Qualche vescovo infatti, dopo aver proclamato che il rito tradizionale, di collocare le sacre Specie sulle labbra del comunicando, è tuttora in vigore, permette tuttavia che si distribuisca la santa Comunione in cestelli che si passano i fedeli dalla mano dell'uno a quella dell'altro; o lui stesso depone le sacre Specie nelle mani nude - e sempre pulite? - del comunicando. Se si vuole convincere i fedeli che la santissima Eucarestia non è che del pane comune, magari anche benedetto, per una refezioncella simbolica, certo si è imbroccata la via piú diretta: quella del sacrilegio.
I fautori della Comunione in mano fanno appello a quell'archeologismo pseduoliturgico condannato apertis verbis da Pio XII. Dicono infatti e ripetono che in tal modo la si deve ricevere, perché in tal modo si è fatto in tutta la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente dalle origini in poi per mille anni.


È vero e certo che dalle origini in poi per quasi duemila anni i comunicandi dovevano astenersi da qualsiasi cibo e bevanda, dalla vigilia fino al momento della santa Comunione, in preparazione alla medesima. Perché quelli dell'archeologite non restaurano un tale digiuno eucaristico? che certamente contribuirebbe non poco a mantenere vivo nella mente dei comunicandi il pensiero della santa Comunione imminente, e a disporveli meglio.
È invece certamente falso che dalle origini in poi per mille anni ci sia stata in tutta la Chiesa, in Oriente e in Occidente, la consuetudine di deporre le sacre Specie nelle mani del fedele.


Il cavallo di battaglia di quei pesudoliturgisti è il seguente brano delle Catechesi mistagogiche attribuite a san Cirillo di Gerusalemme: «Adiens igitur, ne expansis manuum volis, neque disiunctis digitis accede; sed sinistram velut thronum subiiciens, utpote Regem suscepturæ: et concava manu suscipe corpus Christi, respondens Amen». (Andando quindi [alla Comunione] accostati non con le palme delle mani aperte, né con le dita disgiunte; ma tenendo la sinistra a guisa di trono sotto a quella che sta per accogliere il Re; e con la destra concava ricevi il corpo del Cristo, rispondendo Amen).
Giunti a questo Amen, si fermano; ma le Catechesi mistagogiche non si fermano lí, ed aggiungono:
«Postquam autem caute oculos tuos sancti corporis contactu santificaveris, illud percipe… Tum vero post communionem corporis Christi, accede et ad sanguinis poculum: non extendens manus; sed pronus [in greco: 'allà kùpton, che il Bellarmino traduce genu flexo], et adorationis ac venerationis in modum, dicens Amen, sancticeris, ex sanguine Christi quoque sumens. Et cum adhuc labiis tuis adbaeret ex eo mador, manibus attingens, et oculos et frontem et reliquos sensus sanctifica… A communione ne vos abscindite; neque propter peccatorum inquinamentum sacris istis et spiritualibus defraudate mysteriis». (Dopo che tu con cautela abbia santificato i tuoi occhi mettendoli a contatto con il corpo del Cristo, accostati anche al calice del sangue: non tenendo le mani distese; ma prono e in modo da esprimere sensi di adorazione e venerazione, dicendo Amen, ti santificherai, prendendo anche del sangue del Cristo. E mentre hai ancora le labbra inumidite da quello, toccati le mani, e poi con esse santifica i tuoi occhi, la fronte e tutti gli altri sensi… Dalla comunione non staccatevi; né privatevi di questi sacri e spirituali misteri neppure se inquinati dai peccati). (P. G. XXXIII, coll. 1123-1126).


Chi potrà sostenere che un tale rito fosse sia pure un po' meno che per mille anni consueto nella Chiesa universale? E come conciliare un tale rito, secondo il quale è ammesso alla santa Comunione anche chi è inquinato di peccati, con la consuetudine certamente universale sin dalle origini che proibiva la santa Comunione a chi non era santo?: «Itaque quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum homo: et sic de pane illo edat, et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne, indicum, sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini». (Perciò chiunque abbia mangiato di questo pane e bevuto del calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Si esamini dunque ognuno: e cosí [trovatosi senza peccati gravi] di quel pane si cibi e di quel calice beva. Colui infatti che ne mangia e ne beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non discernendo il corpo del Signore ). (I Corinti, 11, 27-29).


Un tal stravangante rito della Santa Comunione, la cui descrizione si conchiude con l'esortazione di fare la santa Comunione anche se inquinati di peccati, non fu certo predicato da San Cirillo nella Chiesa di Gerusalemme, né poté essere lecito in qualsivoglia altra Chiesa. Si tratta infatti di un rito dovuto alla fantasia, oscillante tra il fanatismo e il sacrilego, dell'autore delle Costituzioni Apostoliche: un anonimo Siriano, divoratore di libri, scrittore instancabile, che riversa nei suoi scritti, indigerite e contaminate dai parti della sua fantasia, gran parte di quelle sue stesse letture; che al libro VIII di dette Costituzioni apostoliche, aggiunge, attribuendo a san Clemente Papa, 85 Canoni degli Apostoli; canoni che Papa Gelasio I, nel Concilio di Roma del 494, dichiarò apocrifi: «Liber qui appellatur Canones Apostolorum, apocryfus (P. L., LIX, col. 163).
La descrizione di quel rito stravagante, se non necessariamente sempre sacrilego, entrò nelle Catechesi mistagogiche per opera di un successore di san Cirillo, che i piú ritengono sia il vescovo Giovanni, cripto-ariano, origeniano e pelagiano; e perciò contestato da sant'Epifanio, da san Gerolamo e sant'Agostino.
 

Come può il Leclercq affermare che: «… nous devons y voir [in detto rito stravagante] une exacte représentation de l'usage des grandes Eglises de Syrie»? Non lo può affermare che contraddicendosi, dato che poco prima afferma trattarsi di: «… une liturgie de fantasie. Elle ne procède et elle n'est destinée qu'à distraire son auteur; ce n'est pas une liturgie normale, officielle, appartenant à une Eglise déterminée» (Dictionaire de Archeologie chretienne et de Liturgie, vol. III, parte II, col. 2749-2750).

Abbiamo invece delle testimonianze certe della consuetudine contraria, e cioè della consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando, e della proibizione ai laici di toccare dette sacre Specie con le proprie mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, ci assicura san Basilio, si poteva derogare da detta norma, ed era concesso ai laici di comunicarsi con le proprie mani (P. G., XXXII, coll. 483-486).
Non intendiamo, è chiaro, passare in rassegna tutte le testimonianze invocate a dimostrare che nell'antichità vigeva la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra del comunicando laico; ne indichiamo solo alcune sintomatiche, e peraltro sufficienti a smentire quanti affermano che per mille anni nella Chiesa universale, sia d'Oriente che d'Occidente, fu consuetudine deporre le sacre Specie nelle mani dei laici.

Sant'Eutichiano, Papa dal 275 al 283, a che non abbiano a toccarle con le mani, proibisce ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati: «Nullus præsumat tradere communionem laico vel femminæ ad deferendum infirmo» (Nessuno osi consegnare la comunione ad un laico o ad una donna per portarla ad un infermo) (P. L., V, coll. 163-168).
San Gregorio Magno narra che sant'Agapito, Papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarí un sordomuto all'atto in cui «ei dominicum Corpus in os mitteret» (gli metteva in bocca il Corpo del Signore) (Dialoghi, III, 3).

 

Questo per l'Oriente; e per l'Occidente, si sa ed è indubitabile che lo stesso san Gregorio Magno amministrava in tal modo la santa Comunione ai laici.
Già prima il Concilio di Saragozza, nel 380, aveva lanciato la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucarestia come se si fosse in tempo di persecuzione, tempo nel quale anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani (SAENZ DE AGUIRRE, Notitia Conciliorum Hispaniæ, Salamanca, 1686, pag. 495).
Innovatori indisciplinati non mancavano certo neppure anticamente. Il che indusse l'autorità ecclesiastica a richiamarli all'ordine. Cosí fece il Concilio di Rouen, verso il 650, proibendo al ministro dell'Eucarestia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: «[Presbyter] illud etiam attendat ut eos [fideles] propria manu communicet, nulli autem laico aut fœminæ Eucharistiam in manibus ponat, sed tantum in os eius cum his verbis ponat: "Corpus Domini et sanguis prosit tibi in remissionem peccatorum et ad vitam æternam". Si quis hæc transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem comtemnit, et quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» ([Il presbitero] baderà anche a questo: a comunicare [i fedeli] di propria mano; a nessun laico o donna deponga l'Eucarestia nelle mani, ma solo sulle labbra, con queste parole: "Il corpo e il sangue del Signore ti giovino per la remissione dei peccati e per la vita eterna". Chiunque avrà trasgredito tali norme, disprezzato quindi Iddio onnipotente e per quanto sta in lui lo avrà disonorato, venga rimosso dall'altare). (Mansi, vol. X, coll. 1099-1100).
Per contro gli Ariani, per dimostrare che non credevano nella divinità di Gesú, e che ritenevano l'Eucarestia come pane puramente simbolico, si comunicavano stando in piedi e toccando con le proprie mani le sacre Specie. Non per nulla sant'Atanasio poté parlare dell'apostasia ariana (P. G., vol. XXIV, col. 9 ss.).

Non si nega che sia stato permesso ai laici di toccare talora le sacre Specie, in certi casi particolari, o anche in alcune Chiese particolari, per qualche tempo. Ma si nega che tale sia stata la consuetudine della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per mille anni; e piú falso ancor affermare che si dovrebbe fare cosí tuttora. Anche nel culto dovuto alla santissima Eucarestia è avvenuto un sapiente progresso, analogo a quello avvenuto nel campo dogmatico (con il quale non ha nulla a che fare la teologia modernista della morte di Dio).
Detto progresso liturgico rese universale l'uso di inginocchiarsi in atto di adorazione, e quindi l'uso dell'inginocchiatoio; l'uso di coprire la balaustra di candida tovaglia, l'uso della patena, talora anche di una torcia accesa; e poi la pratica di fare almeno un quarto d'ora di ringraziamento personale. Abolire tutto ciò non è incrementare il culto dovuto a Dio nella santissima Eucarestia, e la fede e la santificazione dei fedeli, ma è servire il demonio.

 

Quando san Tommaso (Summa Theologica, III, q. 82, a 3) espone i motivi che vietano ai laici di toccare le sacre Specie, non parla di un rito di recente invenzione, ma di una consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ben a ragione il Concilio di Trento non solo poté affermare che nella Chiesa di Dio fu consuetudine costante che i laici ricevevano la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicavano da sé; ma addirittura che tale consuetudine è di origine apostolica (Denzinger, 881). Ecco perché la troviamo prescritta nel Catechismo di san Pio X (Questioni 642-645). Ora tale norma non è stata abrogata: nel Nuovo Messale Romano, all'articolo 117, si legge che il comunicando tenens patenam sub ore, sacramentum accipit (tenendo la patena sotto la bocca, prenda il sacramento).
Dopo di che non si riesce a capire come mai gli stessi promulgatori di tanto sapiente norma, ne vadano dispensando le diocesi una dopo l'altra. Il semplice fedele di fronte a tanta incoerenza, non può che concepire una grande indifferenza nei riguardi delle leggi ecclesiastiche liturgiche e non liturgiche.