mercoledì 30 aprile 2014

gli errori di prospettiva

IL RITO AUTENTICO, 

L'EDUCAZIONE, 

LA CONVERSIONE.

Editoriale di "Radicati nella fede"
Maggio 2014

La strada da percorrere è quella di un appassionato lavoro quotidiano per educare le anime a vivere della messa, comprendendone l'inestimabile valore e l'incommensurabile bellezza. Occorrono preti intelligentemente appassionati, comunità ferventi, capaci di preghiera, studio e sacrificio; occorrono anime commosse. 





  Non c'è nessun fatto puramente esterno a noi che possa garantire il rinnovamento della Chiesa o la rinascita della vita cristiana.

  Quando parliamo della crisi della fede nei tempi moderni, quando desideriamo il rifiorire della vita cristiana del nostro popolo, dobbiamo avere ben presente che non è possibile affidarci a nessun automatismo garantito da qualcosa che accade solo fuori di noi: la rinascita partirà sempre dal nostro nascere di nuovo alla grazia di Dio. Sì, è dalla conversione personale che dobbiamo sperare il rifiorire della Chiesa tra noi.

  È proprio partendo da un errore di prospettiva che si è pensato di diffondere il cristianesimo a suon di riforme. È stato, crediamo, l'errore degli anni conciliari. Cerchiamo di spiegarci.


  C'era bisogno di un rinnovamento della vita cristiana negli anni ’50 e ’60? Certamente sì. C'era bisogno di una maggiore verità nella vita sacerdotale, nei conventi, nelle associazioni laicali, nelle scuole cattoliche, nelle famiglie? Non facciamo fatica ad ammetterlo: un certo formalismo stava mettendo in pericolo la vita di fede... c'era bisogno di una freschezza data dall'autenticità.

  Ma il grave errore è stato quello di illudersi di trovare l'autenticità e la freschezza della vita cristiana in tutta una serie di riforme, che hanno radicalmente cambiato, se non stravolto, il volto della Chiesa. E non ne è venuto fuori un rinnovamento, una primavera, ma un lungo autunno che ha portato fino all'inverno della fede, inverno che ha ucciso la vita di grazia nei nostri paesi, nelle nostre terre di antica cristianità.

  Ci si è messi a cambiare tutto, a modernizzare la messa e con essa tutti gli altri aspetti della vita cattolica, pensando di fermare così la fuga dalle chiese, con il risultato, ed è sotto gli occhi di tutti, che le chiese hanno terminato di svuotarsi; chi è poi rimasto a frequentarle, non è certamente più autenticamente cattolico degli uomini di un tempo.

  Ne è esempio lampante proprio la riforma della Messa: l'hanno cambiata per renderla meno difficile alla gente, per renderla meno pesante. Ne è nato un rinnovamento? No, ma un impoverimento, uno svuotamento ambiguo di contenuto: è come se lo “ scheletrito” nuovo rito della messa non educasse più, lasciando spazio a tutte le nostre piccole e grandi eresie.




  La strada da percorrere era un'altra, quella di un appassionato lavoro quotidiano per educare le anime a vivere della messa, comprendendone l'inestimabile valore e l'incommensurabile bellezza. Occorrevano preti intelligentemente appassionati, comunità ferventi, capaci di preghiera, studio e sacrificio; occorrevano anime commosse. Ci si è invece affidati alla via ingannevole di una riforma esterna che facilitasse i riti per i preti e per i fedeli... illudendosi che accomodando le cose esterne le anime si convertissero. E tutto è crollato in uno spaventoso impoverimento: per inseguire i fedeli senza fervore, si è banalizzata la messa riducendola quasi a un rito degno di una religione puramente naturale.

  E invece la Chiesa aveva bisogno della santità, e la santità nasce dalla conversione personale.

  Il rito non va cambiato, deve cambiare invece il nostro cuore. Il rito deve essere la roccia sicura su cui posare tutta la nostra vita. Per questo siamo tornati alla Tradizione, per questo custodiamo la “Messa di sempre”. Il rito deve custodire la retta fede, la vera preghiera cattolica, deve metterci nella posizione giusta difronte a Dio: solo così la grazia potrà operare la nostra conversione.

  Sono i santi, commossi per l'opera di Dio, che rinnovano la Chiesa e la vita cristiana, e non i giochi umani dei cambiamenti continui.

  Chi vuole i cambiamenti continui è semplicemente un uomo annoiato; e con gli uomini annoiati in cerca di novità esteriori, fossero anche religiose, non si fa una Chiesa santa.

  Il vero movimento liturgico, quello di Gueranger e di Pio X per intenderci, voleva favorire proprio un'autenticità di preghiera nei sacerdoti e nei fedeli. Voleva che le anime immergendosi nella santa liturgia, pregando veramente con la Chiesa, rinascessero ad una vita cristiana più autentica e intelligente. Invece nel movimento liturgico si operò il tradimento, consumato da chi pensava che facilitare equivalesse ad aiutare a pregare: così non fu, ed è sotto gli occhi di tutti il disastro ... i cristiani sanno ormai raramente pregare.

  Nulla di esterno può sostituirsi alla nostra conversione, al sincero fervore personale, all'autentico amore per Cristo. Ma la nostra conversione, operata dalla grazia, scaturirà dalla preghiera della Chiesa che la Tradizione ci ha consegnato, che è la preghiera di Cristo stesso.

  Così è necessario anche per noi che:

  1. si torni alla corretta liturgia secondo la tradizione, perché il tesoro della rivelazione pregata non vada perduto;

  2. che sacerdoti e fedeli intelligentemente commossi diventino autentici missionari, educatori alla preghiera secondo il cuore della Chiesa. Se non ci fosse anche per noi questo secondo punto, cadremmo nello stesso tragico errore dei riformatori conciliari: credere che basti tornare a qualcosa di esteriore (fosse anche la messa antica) perché la vita rinasca.

  Che la Madonna ci aiuti ad essere fedeli al nostro compito.

il papà

E Dio creò il papà ……. (bellissima…)

http://leggerezza.altervista.org/dio-creo-papa-bellissima/




Quando Dio creò il papà cominciò disegnando una sagoma piuttosto robusta e alta.
Una angelo che svolazzava sbirciò sul foglio e si fermò incuriosito.
Dio si girò e l’angelo “scoperto” arrossendo gli chiese
“Cosa stai disegnando?”.
Dio rispose “Questo è un grande progetto”.
L’angelo annuì e chiese “Che nome gli hai dato?”.
“L’ho chiamato papà” rispose Dio continuando a disegnare lo schizzo del papà sul foglio.
“Papà….” pronunciò l’angelo “E a cosa servirebbe un papà?” chiese l’angioletto accarezzandosi le piume di un’ala.
“Un papà” spiegò Dio “Serve per dare aiuto ai propri figli, saprà incoraggiarli nei momenti difficili, saprà coccolarli quando si sentono tristi, giocherà con loro quando tornerà dal lavoro, saprà educarli insegnando cosa è giusto e cosa no.”.
Dio lavorò tutta la notte dando al padre una voce ferma e autorevole, e disegnò ad uno ad uno ogni lineamento.
L’angelo che si era addormentato accanto a Dio, si svegliò di soprassalto e girandosi vide Dio che ancora stava disegnando.
“Stai ancora lavorando al progetto del papà?” chiese curioso.
“Sì” rispose Dio con voce dolce e calma “Richiede tempo”.
L’angelo sbirciò ancora una volta sul foglio e disse “Ma non ti sembra troppo grosso questo papà se poi i bambini li hai fatti così piccoli?”
Dio abbozzando un sorriso rispose: “E’ della grandezza giusta per farli sentire protetti e incutere quel po’ di timore perchè non se ne approfittino troppo e lo ascoltino quando insegnerà loro ad essere onesti e rispettosi”.
L’angelo proseguì con un’altra domanda: “Non sono troppo grosse quelle mani?”.
“No”, rispose Dio continuando il suo disegno “Sono grandi abbastanza per poterli prendere tra le braccia e farli sentire al sicuro”.
“E quelli sono i suoi occhi?” chiese ancora l’angioletto indicandoli sul disegno.
“Esatto”, rispose Dio “Occhi che vedono e si accorgono di tutto pur rimanendo calmi e tolleranti”.
L’angelo storse il nasino e aggiunse “Non ti sembrano un po’ troppo severi?”.
“Guardali meglio” rispose Dio.
Fu allora che l’angioletto si accorse che gli occhi del papà erano velati di lacrime mentre guardava con orgoglio e tenerezza il suo piccolo bambino.

martedì 29 aprile 2014

cristianesimo senza conversione

SENZA LA MORALE IL VANGELO 



E' ASTRATTO

p. E. Cattaneo* 

In tutto il grande dibattito che si sta facendo sui “temi etici”, mi pare che - paradossalmente - sia dato poco spazio alla morale. Eppure dovrebbe essere compito dei pastori indicare dove c'è "peccato", cioè offesa a Dio, attraverso una violazione consapevole della sua Legge (o Parola). 




Se non se ne parla mai, la gente finisce per pensare che "non c'è peccato". Per venire al concreto e a questioni all’ordine del giorno, fare una 'donazione' di sperma è o non è contro la morale? Se è una buona azione, incoraggiamola; ma se è peccato, perché non lo si dice? Così dare gli ovuli. La fecondazione in provetta (omologa o eterologa) è o non è contro la morale? Mi pare di aver letto di recente da parte di un esponente cattolico che la fecondazione omologa "non pone problemi etici". Forse è questo quello che ormai pensa la maggioranza dei cattolici. Lo stesso vale per tanti altri temi (vedi contraccezione, rapporti sessuali fuori del matrimonio, rapporti contro natura, ecc.), dove il silenzio dei pastori induce la gente a pensare che al massimo ci siano controindicazioni per la salute, ma non problemi morali.

Ma davvero la masturbazione con cui si preleva il seme maschile non pone problemi morali? Che io sappia nessuno ancora l’ha tolta dalla lista dei peccati contro il sesto comandamento. Così per quanto riguarda l'aborto, bisognerebbe ricordare che incorre nel peccato (gravissimo, che comporta la scomunica) non solo chi lo chiede, ma anche chi lo consiglia, oltre evidentemente al medico che lo attua. Così se una donna decide di abortire e il marito è d'accordo, peccano entrambi, e quindi si deve confessare non solo la donna, ma anche il marito. Vorrei chiedere ai confessori se hanno mai trovato un uomo che si è accusato di avere spinto una donna ad abortire.

È vero, bisognerebbe fare una lista dei “nuovi peccati”. Lo dico provocatoriamente. Ma fare un chiaro discorso morale non significa far aumentare il senso di colpa, bensì educare la coscienza al senso del peccato. Il senso di colpa è deleterio, perché ti obbliga a prendertela con te stesso e ti autodistrugge. Il senso del peccato invece ti pone di fronte a Dio, che è misericordioso, e quindi se ti affidi a Lui, ritrovi il perdono e la pace, la forza di riparare il male fatto e di ricominciare sulla via del bene.

Si ha l'impressione che, se è vero che la Chiesa è un "ospedale da campo", i medici addetti a questo ospedale abbiano deciso di non rivelare le malattie gravi, che portano alla morte del paziente, ma di dare solo qualche palliativo. Papa Francesco ha detto una volta che la Chiesa non è una ONG
(Organizzazione non Governativa) che si occupa di distribuire cibo, medicine, ecc. Ma non deve neppure ridursi a essere un "Centro di benessere", sia pure spirituale.

La missione della Chiesa non è far star bene la gente. Certo, la Chiesa è contenta quando la gente vive in pace, ha un lavoro, un'istruzione, le cure mediche, ecc. ma non è questa la sua specifica missione. Le opere di misericordia (corporale e spirituale) sono i cristiani che le hanno inventate. Ciò significa che la fede ha certamente un valore sociale, perché insegna a vivere secondo la giustizia dei comandamenti, a non fare nessun male al prossimo e a impegnarsi nella solidarietà. Perciò quando si organizza la vita secondo la fede cristiana una società vive meglio, si stabilisce la concordia e la collaborazione fra i cittadini e si custodisce la pace, che è un bene comune per i singoli e per i popoli.
Tuttavia la missione della Chiesa, che è la stessa di Gesù, non è quella di rendere la gente felice su questa terra, ma soprattutto di insegnare quello che ci aspetta dopo questa vita, nell'aldilà: una vita felice con Dio oppure una eternità disperata senza Dio. La liturgia ci invita continuamente nelle sue preghiere ad essere orientati verso "i beni eterni"; ma ormai queste parole ci scivolano addosso come degli stereotipi senza più un reale significato. Il mondo secolarizzato, nel quale siamo immersi, evita accuratamente di occuparsi dell'aldilà. È un tema che dà fastidio. Per quelli poi che fanno professione di ateismo, il problema non si pone neppure, perché, secondo loro, dopo questa vita  non c'è nulla (ma come lo sanno?). Anzi, costoro accusano il popolo cristiano, quello che ancora si preoccupa della salvezza della propria anima, di avere un comportamento interessato, e quindi, tutto sommato, ipocrita, meschino. Non ci si rende conto che la “salvezza” offerta dalla fede non è un bene materiale, ma spirituale e personale.

L’inferno, di cui parla anche papa Francesco, è rovinare se stessi, distruggere la parte migliore di sé e sprofondare nel non senso; è finire nella prigione dell’egoismo, in cui non amo nessuno e non sono amato da nessuno, odio e sono odiato da tutti. Questa è la perdizione eterna che dobbiamo evitare.

Il paradiso invece è la realizzazione di se stessi nella verità e nel bene, è realizzarsi nell’amore come persona amata e amante. Infatti non le cose, ma l’amore rende felici, perciò tutti possono raggiungere questa felicità, perché tutti possono amare o imparare ad amare seguendo Cristo. Così la fede cristiana offre a tutti la felicità; non una felicità individualistica, ma sociale, perché l’amore è interpersonale, e la felicità è tanto più grande quanto più sono le persone che amo e mi amano.

Questa è la “buona notizia” che i cristiani hanno ricevuto e vogliono comunicare agli altri. Ma perché questo discorso non rimanga fatto solo di buone parole, abbiamo bisogno di educare la coscienza morale, che ci insegna dov’è il bene da fare e il male da evitare.

*Gesuita, ordinario di Patrologia e Teologia fondamentale alla Facoltà di Teologia dell'Italia meridionale (sez. San Luigi), membro del Comitato scientifico di "Rassegna di Teologia". 

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-senza-moralelannuncio-e-astratto-8945.htm

domenica 27 aprile 2014

chiesa e mondanità

Il destino amaro della Fede in occidente


Propongo un lucido scritto che suonerà a taluni un po' antipatico ma che mette il dito nel grosso problema del nostro mondo cristiano: la spiritualità a cui non viene data esauriente e reale risposta. Il grande spettacolo religioso non è fatto per dare risposte profonde! Il destino della spiritualità in Occidente risulta ancora amaro. Ecco la vera radice della decadenza delle sue forme liturgiche ...
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Oggi Papa Wojtyla è stato canonizzato a soli sei anni dalla sua morte. Un caso unico nella storia della Chiesa che in queste faccende è sempre stata tradizionalmente cauta. Il popolo lo voleva 'Santo subito'.

Ma trascorso lo spirito dell'epoca, avido di fretta, di 'eventi', di spettacolo. E si fa sentire, prepotente, il bisogno di un ritorno a quei valori religiosi o comunque a dei valori che la società laica non ha saputo dare. Mentre la popolarità di Wojtyla è andata sempre crescendo, fino all'apoteosi della sua morte, nello stesso tempo, sono crollate le vocazioni (crisi del sacerdozio e degli ordini monacali) e la fede, almeno in Occidente, si è intiepidita fino a ridursi, in molti casi, a una vuota forma. Come si spiega questo duplice paradosso? Con una situazione strutturale della società contemporanea estremamente negativa per il magistero spirituale della Chiesa.

In linea generale la crisi della Chiesa in Occidente deriva dal fatto che il mondo industrializzato si è da tempo desacralizzato. Quando Nietzsche a metà dell'Ottocento proclama "la morte di Dio" non fa che constatare che il senso del sacro è morto nella coscienza dell'uomo occidentale. Un mondo che, come il nostro, si organizza intorno alla produzione, al consumo, al mercato di oggetti materiali o mercifica e commercializza anche ciò che è spirituale, che fa dell'economia e della tecnica i suoi punti di assoluto riferimento, togliendo all'uomo quella centralità che aveva invece nel Medioevo europeo e cristiano, non può partorire valori, tanto meno religiosi. La Chiesa però non è stata capace di intercettare le contro spinte che nascevano da questa situazione, le esigenze spirituali che, sia pur ancora minoritarie, si rifacevano vive dopo l'orgia della razionalizzazione. Perchè proprio nel momento in cui era necessario fare il contrario la Chiesa ha preferito seguire l'onda e si è a sua volta mondanizzata. Invece di opporsi ai tempi li ha cavalcati, nella speranza di non perdere del tutto il contatto coi propri fedeli. Questo calcolo si è rivelato sbagliato. Una Chiesa che si mondanizza, che partecipa al dibattito pubblico, sociale e politico vi ha forse qualche influenza e un indubbio ritorno mediatico ma quanto guadagna in pubblicità perde in presa spirituale. Del mondo ne abbiamo fin sopra i capelli e non sentiamo certo il bisogno che a esso si aggiunga e si sovrapponga un Ente che ha come compito istituzionale quello di curare le anime, per chi crede alla loro esistenza. Ecco perchè sempre più spesso in Occidente molti si rivolgono verso le religioni orientali, il buddismo, l'islamismo oppure si lasciano attrarre dai fenomeni di quella che viene chiamata la 'New Age', dall'esoterismo, dalla magia, dall'occultismo, dal satanismo o addirittura dall'astrologia, per cercare di soddisfare in qualche modo, un modo povero, confuso, lontanissimo dalla sapienza e dalla raffinatezza psicologica della Chiesa di Paolo, i bisogni spirituali cui la Chiesa, oggi, modernizzandosi e mondanizzandosi, dà sempre meno risposta. Oggi questa mondanizzazione della Chiesa è esasperata. Si occupa troppo di politica e del sociale.

A guardar bene, anche l' ecumenismo è perfettamente in linea con la globalizzazione economica e col tentativo di 'reductio ad unum' dell'intero esistente al modello di sviluppo occidentale. È vero che l'idea di progresso appartiene al pensiero giudaico-cristiano, ma per lunghi secoli la Chiesa non aveva mai identificato il Progresso con lo Sviluppo, al quale anzi era stata fieramente avversa se si pensa alla battaglia condotta dalla scuola tomista contro l'economia mercantile.

Ma ciò che ha definitivamente offuscato il messaggio spirituale della chiesa è stato l'uso a tappeto, spregiudicato e anche abbondantemente narcisistico, dei mezzi di comunicazione della Modernità, per cui se è vero che "il mezzo è il messaggio", come diceva McLuhan, ha finito per confondersi con essa. Ecco perchè la popolarità personale degli uomini di chiesa può raggiungere le stelle ma lasciare la Chiesa con le gomme a terra, nel deserto del sacro. Possiamo avere eventi con una folla una immensa e di giovani attratti dall''evento, dallo spettacolo, dalle riprese televisive, dalla smania di protagonismo, ma se si entra in una chiesa italiana, ma anche francese, ma anche spagnola, cioè di Paesi tradizionalmente cattolici, in un giorno che non sia la canonica mattina di domenica quando i sepolcri imbiancati del ceto medio vanno a rendere un omaggio formale al culto e alla loro superstizione, si trovano solo quattro vecchiette strapenate, terrorizzate dalla vicinanza della morte, ma di quella folla di giovani non c'è traccia.

Possiamo essere delle popstar, ma dal punto di vista spirituale la nostra parola avrà il peso di quella di una popstar, o poco più.

M. F.

Martini non voleva Wojtyla santo

Ecco perché il cardinal Martini non voleva Wojtyla tra i santi 





Andrea Riccardi ha rivelato, in un suo libro, il contenuto della «deposizione» che il cardinale Carlo Maria Martini rese al processo per la canonizzazione di Karol Wojtyla.

Le sue parole hanno fatto una triste impressione, non solo perché egli giudica inopportuna l’elevazione agli altari di Giovanni Paolo II (desideratissima invece dal popolo cristiano: avverrà in piazza San Pietro il 27 aprile prossimo). Ma soprattutto per il modo e per gli argomenti usati.
C’è chi ha scritto che è stata «la vendetta del cardinal Martini»,che «opponendosi alla canonizzazione di Papa Wojtyla si è voluto prendere una rivincita».
Ma non voglio credere che il cardinale coltivasse (ri)sentimenti del genere, anche perché proprio Giovanni Paolo II lo aveva nominato arcivescovo di Milano, lo aveva creato cardinale e - come Ratzinger - aveva sempre avuto parole di stima personale nei suoi confronti. Qualche caduta di stile si nota, però, nella deposizione di Martini. Il quale critica Wojtyla, fra l’altro, per le sue nomine, precisando: «soprattutto negli ultimi tempi» (la sua fu una nomina dei primi tempi). Inoltre il prelato attacca Giovanni Paolo II per il suo appoggio ai movimenti ecclesiali. Questo livore martiniano contro le nuove realtà suscitate dallo Spirito Santo gli impedì di vedere quanto papa Wojtyla avesse rinnovato la Chiesa, valorizzando i carismi e gli impetuosi movimenti di rinascita della fede, che sono i veri frutti positivi del Concilio.
Ci sono anche altre critiche di Martini, in quella deposizione, che sconcertano. Per esempio afferma che Giovanni Paolo II si pose «al centro dell’attenzione, specie nei viaggi, con il risultato che la gente lo percepiva un po’ come il vescovo del mondo e ne usciva oscurato il ruolo della Chiesa locale e del vescovo».
Questa desolante considerazione dimentica che papa Wojtyla dovette confortare nella fede e ridare coraggio a milioni di cristiani che negli anni Settanta erano perseguitati e incarcerati in Oriente e umiliati e silenziati in Occidente. Inoltre i pellegrinaggi di Giovanni Paolo II dettero un formidabile slancio missionario proprio alle chiese locali (basti pensare ai sedici viaggi in Africa e alla rinascita della fede che ne è seguita in quel continente). Martini riconosce pure qualche lato positivo a papa Wojtyla, per esempio «la virtù della perseveranza», ma subito aggiunge che fu eccessiva perché decise di restare papa fino alla fine: «personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po’ prima».
A dire il vero lo stesso Martini, concluso il suo episcopato milanese, per raggiungimento dell’età canonica, invece di ritirarsi a vita di preghiera, come aveva annunciato, intensificò il suo presenzialismo mediatico. E indurì le sue critiche alla Chiesa. Un comportamento che sconcertò molti fedeli. D’altra parte il cardinale di Milano, per tutto il pontificato di Wojtyla (e pure di Ratzinger), è stato esaltato dai media laicisti come il loro (anti)papa. E non si può dire che egli abbia fatto degli sforzi visibili per sottrarsi alle insidiose lusinghe di anticattolici, mangiapreti e miscredenti. I quali facevano a gara per osannarlo, intervistarlo e amplificare le sue critiche alla Chiesa.
Papa Wojtyla - col suo carisma personale e la sua fede accorata - ha affascinato i popoli, milioni di persone andavano a cercarlo per ascoltarlo. Però non è mai stato amato dai poteri di questo mondo. Anzi, è stato letteralmente detestato. Fin dall’inizio fu bollato come reazionario, anticomunista, bigotto, «troppo polacco» e via dicendo. Poi - vista la forza del suo carisma e l’amore che suscitava nelle folle - ritennero che non conveniva loro opporvisi frontalmente e cercarono di logorarlo in altri modi. Ma il grande Giovanni Paolo non ha mai annacquato la verità. Nel suo amore per Cristo e per gli uomini, ha sempre chiamato bene il bene e male il male. Joseph Ratzinger, con la sua recente testimonianza raccolta da Wlodzimierz Redzioch nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II”, ha insistito proprio su questo: «Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni, ed era pronto anche a subire colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di primo ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti».
Ratzinger già alla morte di Paolo VI, il 10 agosto 1978, disse: «un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede».
Infatti, diventato lui stesso papa, Benedetto XVI, indifesa dei piccoli e dei poveri denunciò «la dittatura del relativismo». E sempre affermò che il ministero di Pietro era legato al martirio. Un martirio fisico per i papi dei primi tre secoli. Un martirio morale per i papi di oggi (ma Wojtyla sparse anche il suo sangue).
Non che i cristiani debbano cercare l’odio del mondo, ovviamente. Ma le «potenze dittatoriali» delle ideologie o del nichilismo sono realtà e minacciano o condizionano pesantemente la Chiesa. Gesù stesso nel discorso della montagna aveva ammonito i suoi a restare liberi e sottrarsi ai condizionamenti: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc 6, 24-26). I veri discepoli di Gesù infatti sono segno di contraddizione per i poteri mondani: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo (…) il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 16, 18-20). Gesù arrivò a indicare ai suoi questa beatitudine: «Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli» (Lc 6,20-23). Non significa che si debba cercare la persecuzione, ma che non si deve essere succubi dei poteri e delle ideologie di questo mondo. Pietro deve sempre insegnare che fra obbedire a Cesare e obbedire Dio, bisogna scegliere Dio. E non basta nemmeno dichiarare apertamente la scelta giusta, perché la «dittatura» del «politically correct» è insidiosa. Esemplare e inquietante è il modo in cui si piegano certe frasi di papa Francesco verso questo «pensiero unico». Mentre vengono ignorati certi suoi interventi molto decisi, come quelli di venerdì scorso, contro l’aborto, l’eutanasia e per la famiglia naturale uomo-donna («occorre ribadire il diritto del bambino a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare in relazione alla mascolinità e alla femminilità di un padre e di una madre»).
Il Papa - in chiaro riferimento all’attualità - ha anche invitato a «sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. A questo proposito», ha aggiunto, «vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del «pensiero unico».
Nella notte del «pensiero unico» queste parole sono luce e libertà per tutti come lo sono state quelle di Wojtyla e Ratzinger.
di Antonio Socci

Ecco perché il cardinal Martini non voleva Wojtyla tra i santi















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La Fede di s. Giovanni Paolo II

s. Giovanni Paolo II
AD TUENDAM FIDEM


Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, .... Eb, 13, 8-9

In un tempo di assoluta confusione occorre ancorarsi al 

QUOD SEMPER, QUOD UBIQUE, QUOD AB OMNIBUS

Farà a tutti bene leggere (o rileggere) questa esplicita nota MAGISTERIALE della Congregazione per la Dottrina della fede in questi tempi di cristiani vittime del MODERNISMO, del culto dell'OPINIONE, dei sondaggi pre-sinodali, vale a dire della DOXA di platonica memoria, del nulla, del FALSO che si ammanta di sapienza, CREDENDO CHE IL DEPOSITO DELLA FEDE SIA "RIVEDIBILE"  ... E CHE ESSA NON SIA BASATA SUI PILASTRI IMMUTABILI DELLA SACRA SCRITTURA E DELLA TRADIZIONE ....

La presente raccolta comprende tre documenti concernenti la Nuova formula della «Professione di Fede»:
-  Il testo della « Professione di Fede e del Giuramento di fedeltà nell'assumere un ufficio da esercitare a nome della Chiesa », pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il 9 gennaio 1989 (AAS81 [1989] 104-106).
-  Il testo della Lettera Apostolica in forma di Motu proprio di Giovanni Paolo II «Ad tuendam fidem», pubblicata su «L'Osservatore Romano» del 30 giugno - 1 luglio 1998, con la quale vengono inserite alcune norme nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese orientali, al fine di adeguare la normativa e le sanzioni canoniche a quanto stabilito e prescritto dalla suddetta Formula della «Professione di Fede», specialmente in relazione al dovere di aderire alle verità proposte dal magistero della Chiesa in modo definitivo.
- Il testo della «Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professione di Fede», resa pubblica dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e comparsa su « L'Osservatore Romano» del 30 giugno -1 luglio 1998, allo scopo di spiegare il significato e il valore dottrinale dei tre commi conclusivi, che si riferiscono alla qualificazione teologica delle dottrine e al tipo di assenso richiesto ai fedeli.

PROFESSIONE DI FEDE
(Formula da usarsi nei casi in cui è prescritta la professione di fede)

Io N.N. credo e professo con ferma fede tutte e singole le verità che sono contenute nel Simbolo della fede, e cioè:
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.
Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.
Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo.

GIURAMENTO DI FEDELTÀ
NELL’ASSUMERE UN UFFICIO
DA ESERCITARE A NOME DELLA CHIESA
(Formula da usarsi da tutti i fedeli indicati nel can. 833 nn. 5-8)

Io N.N. nell’assumere l’ufficio di ... prometto di conservare sempre la comunione con la Chiesa cattolica, sia nelle mie parole che nel mio modo di agire.
Adempirò con grande diligenza e fedeltà i doveri ai quali sono tenuto verso la Chiesa, sia universale che particolare, nella quale, secondo le norme del diritto, sono stato chiamato a esercitare il mio servizio.
Nell’esercitare l’ufficio, che mi è stato affidato a nome della Chiesa, conserverò integro e trasmetterò e illustrerò fedelmente il deposito della fede, respingendo quindi qualsiasi dottrina ad esso contraria.
Seguirò e sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e curerò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico.
Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e presterò fedelmente aiuto ai Vescovi diocesani, perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia com­piuta in comunione con la Chiesa stessa.
Così Dio mi aiuti e questi santi Vangeli che tocco con le mie mani.

(Variazioni del paragrafo quarto e quinto della formula di giuramento
da usarsi dai fedeli indicati nel can. 833 n. 8)


Sosterrò la disciplina comune a tutta la Chiesa e promuoverò l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche, in particolare di quelle contenute nel Codice di Diritto Canonico.
Osserverò con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa, e in unione con i Vescovi diocesani, fatti salvi l’indole e il fine del mio Istituto, presterò volentieri la mia opera perché l’azione apostolica, da esercitare in nome e per mandato della Chiesa, sia compiuta in comunione con la Chiesa stessa.
***
GIOVANNI PAOLO II
Lettera Apostolica data Motu Proprio
AD TUENDAM FIDEM,
con la quale vengono inserite alcune norme nel
Codice di Diritto Canonico 
e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali

PER DIFENDERE LA FEDE della Chiesa Cattolica contro gli errori che insorgono da parte di alcuni fedeli, soprattutto di quelli che si dedicano di proposito alle discipline della sacra teologia, è sembrato assolutamente necessario a Noi, il cui compito precipuo è confermare i fratelli nella fede (cf Lc 22, 32), che nei testi vigenti del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientalivengano aggiunte norme con le quali espressamente sia imposto il dovere di osservare le verità proposte in modo definitivo dal Magistero della Chiesa, facendo anche menzione delle sanzioni canoniche riguardanti la stessa materia.

1. Fin dai primi secoli sino al giorno d'oggi la Chiesa professa le verità sulla fede di Cristo e sul mistero della Sua redenzione, che successivamente sono state raccolte nei Simboli della fede; oggi infatti esse vengono comunemente conosciute e proclamate dai fedeli nella celebrazione solenne e festiva delle Messe come Simbolo degli Apostoli oppure Simbolo Niceno-Costantinopolitano.
Lo stesso Simbolo Niceno-Costantinopolitano è contenuto nella Professione di fede, ultimamente elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede(1), che in modo speciale viene imposta a determinati fedeli da emettere quando questi assumono un ufficio relativo direttamente o indirettamente alla più profonda ricerca nell’ambito delle verità circa la fede e i costumi oppure legato a una potestà peculiare nel governo della Chiesa(2).

2. La Professione di fede, preceduta debitamente dal Simbolo Niceno-Costantinopolitano, ha inoltre tre proposizioni o commi che intendono esplicare le verità della fede cattolica che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo che Le «insegnerà tutta la verità» (Gv 16, 13), nel corso dei secoli ha scrutato o dovrà scrutare più profondamente(3).
Il primo comma che enuncia: «Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato»(4), convenientemente afferma e ha il suo disposto nella legislazione universale della Chiesa nei cann. 750 del Codice di Diritto Canonico(5) e 598 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali(6).
Il terzo comma che dice: «Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto alle dottrine che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarle con atto definitivo»(7), trova il suo posto nei cann. 752 del Codice di Diritto Canonico(8) e 599 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali(9).

3. Tuttavia, il secondo comma in cui si afferma: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo»(10), non ha alcun canone corrispondente nei Codici della Chiesa Cattolica. È di massima importanza questo comma della Professione di fede, dal momento che indica le verità necessariamente connesse con la divina rivelazione. Queste verità, che nell’esplorazione della dottrina cattolica esprimono una particolare ispirazione dello Spirito di Dio per la comprensione più profonda della Chiesa di una qualche verità che riguarda la fede o i costumi, sono connesse sia per ragioni storiche sia come logica conseguenza.

4. Spinti perciò da detta necessità abbiamo opportunamente deliberato di colmare questa lacuna della legge universale nel modo seguente:
A) Il can. 750 del Codice di Diritto Canonico d’ora in poi avrà due paragrafi, il primo dei quali consisterà del testo del canone vigente e il secondo presenterà un testo nuovo, cosicché nell’insieme il can. 750 suonerà:
Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.
§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.
Nel can. 1371, n. 1 del Codice di Diritto Canonico sia congruentemente aggiunta la citazione del can. 750 § 2, cosicché lo stesso can. 1371 d’ora in poi nell’insieme suonerà:
Can. 1371 - Sia punito con una giusta pena:
1) chi oltre al caso di cui nel can. 1364 § 1, insegna una dottrina condannata dal Romano Pontefice o dal Concilio Ecumenico oppure respinge pertinacemente la dottrina di cui nel can. 750 § 2 o nel can. 752, ed ammonito dalla Sede Apostolica o dall'Ordinario non ritratta;
2) chi in altro modo non obbedisce alla Sede Apostolica, all'Ordinario o al Superiore che legittimamente gli comanda o gli proibisce, e dopo l'ammonizione persiste nella sua disobbedienza.
B) Il can. 598 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali d’ora in poi avrà due paragrafi, dei quali il primo consisterà del testo del canone vigente e il secondo presenterà un testo nuovo, cosicché nell’insieme il can. 598 suonerà:
Can. 598 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.
§ 2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.
Nel can. 1436 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali si aggiungano convenientemente le parole che si riferiscono al can. 598 § 2, cosicché nell’insieme il can. 1436 suonerà:
Can. 1436 - § 1. Colui che nega una verità da credere per fede divina e cattolica o la mette in dubbio oppure ripudia totalmente la fede cristiana e legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito come eretico o come apostata con la scomunica maggiore; il chierico può essere punito inoltre con altre pene, non esclusa la deposizione.
§ 2. All'infuori di questi casi, colui che respinge pertinacemente una dottrina proposta da tenersi definitivamente o sostiene una dottrina condannata come erronea dal Romano Pontefice o dal Collegio dei Vescovi nell'esercizio del magistero autentico e legittimamente ammonito non si ravvede, sia punito con una pena adeguata.

5. Ordiniamo che sia valido e ratificato tutto ciò che Noi con la presente Lettera Apostolica data Motu Proprio abbiamo decretato e prescriviamo che sia inserito nella legislazione universale della Chiesa Cattolica, rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali così come è stato sopra dimostrato, nonostante qualunque cosa in contrario.

Roma, presso san Pietro, 18 maggio 1998, anno ventesimo del Nostro Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

(1) Congregatio pro Doctrina Fidei, Professio Fidei et Iusiurandum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo, 9 Ianuarii 1989, in AAS 81 (1989) 105.
(2) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 833.
(3) Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1.
(4) Cf. Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Constitutio dogmatica Lumen Gentium, De Ecclesia, n. 25, 21 Novembris 1964, in AAS 57 (1965) 29-31; Constitutio dogmatica Dei Verbum, De divina Revelatione, 18 Novembris 1965, n. 5, in AAS 58 (1966) 819; Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis, De ecclesiali theologi vocatione, 24 Maii 1990, n. 15, in AAS 82 (1990) 1556.
(5) Codice di Diritto Canonico, can. 750 - Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.
(6) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 598 - Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata cioè nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad esse non corrisponda.
(7) Cf. Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis, De ecclesiali theologi vocatione, 24 Maii 1990, n. 15, in AAS 82 (1990) 1557.
(8) Codice di Diritto Canonico, can. 752 - Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda.
(9) Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 599 - Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio di intelletto e di volontà deve essere prestato alla dottrina circa la fede e i costumi che, sia il Romano Pontefice, sia il Collegio dei Vescovi enunciano, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; di conseguenza i fedeli curino di evitare qualsiasi dottrina che ad essa non corrisponda.
(10) Cf. Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis, De ecclesiali theologi vocatione, 24 Maii 1990, n. 15, in AAS 82 (1990) 1557.
***
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Nota dottrinale illustrativa
della formula conclusiva della Professio fidei

1. Fin dai suoi inizi la Chiesa ha professato la fede nel Signore crocifisso e risorto, raccogliendo in alcune formule i contenuti fondamentali del suo credere. L'evento centrale della morte e risurrezione del Signore Gesù, espresso prima con formule semplici e in seguito con formule più compiute,1 ha permesso di dare vita a quella ininterrotta proclamazione di fede, in cui la Chiesa ha trasmesso sia quanto aveva ricevuto dalle labbra e dalle opere di Cristo, sia quanto aveva imparato « per suggerimento dello Spirito Santo ».2
Lo stesso Nuovo Testamento è testimone privilegiato della prima professione proclamata dai discepoli, immediatamente dopo gli avvenimenti di Pasqua: « Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici ».3

2. Nel corso dei secoli, da questo nucleo immutabile che attesta Gesù Figlio di Dio e Signore, si sono sviluppati simboli a testimonianza dell'unità della fede e della comunione delle Chiese. In essi si raccolgono le verità fondamentali che ogni credente è tenuto a conoscere e professare. E per questo che prima di ricevere il Battesimo, il catecumeno deve emettere la sua professione di fede. Anche i Padri radunati nei concili, venendo incontro alle diverse esigenze storiche che richiedevano di presentare più compiutamente le verità di fede o di difenderne l'ortodossia, hanno formulato nuovi simboli che occupano fino ai nostri giorni « un posto specialissimo nella vita della Chiesa ».4 La diversità di questi simboli esprime la ricchezza dell'unica fede e nessuno di essi viene superato o vanificato dalla formulazione di una ulteriore professione di fede in corrispondenza a nuove situazioni storiche.

3. La promessa di Cristo Signore di donare lo Spirito Santo, il quale « guiderà alla verità tutta intera »,5sostiene perennemente il cammino della Chiesa. E per questo che nel corso della sua storia alcune verità sono state definite come ormai acquisite per l'assistenza dello Spirito Santo e sono pertanto tappe visibili del compimento della promessa originaria. Altre verità, comunque, devono essere ancora più profondamente comprese, prima di poter giungere al pieno possesso di quanto Dio, nel suo mistero di amore, ha voluto rivelare agli uomini per la loro salvezza.6
Nella sua cura pastorale, anche di recente la Chiesa ha creduto opportuno esprimere in maniera più esplicita la fede di sempre. Ad alcuni fedeli, inoltre, chiamati ad assumere particolari uffici nella comunità a nome della Chiesa, è stato fatto obbligo di emettere pubblicamente la professione di fede secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica.7

4. Questa nuova formula della Professio fidei, che ripropone il simbolo niceno-costantinopolitano, si conclude con l'aggiunta di tre proposizioni o commi, che hanno lo scopo di meglio distinguere l'ordine delle verità a cui il credente aderisce. Merita di essere esplicitata la coerente spiegazione di questi commi, perché il loro significato originario dato dal magistero della Chiesa sia ben capito, recepito e conservato in modo integro.
Nell'accezione odierna si sono venuti a condensare intorno al termine « Chiesa » diversi contenuti che, pur veri e coerenti, hanno bisogno tuttavia di essere precisati nel momento in cui si fa riferimento a funzioni specifiche e proprie dei soggetti che in essa operano. A tal proposito, è chiaro che sulle questioni di fede o di morale il soggetto unico abilitato a svolgere l'ufficio di insegnare con autorità vincolante per i fedeli è il Sommo Pontefice e il Collegio dei Vescovi in comunione con lui.8 I Vescovi infatti sono « dottori autentici » della fede, « cioè rivestiti dell'autorità di Cristo »,9 poiché per divina istituzione sono succeduti agli Apostoli « nel magistero e nel governo pastorale »: essi esercitano insieme con il Romano Pontefice la suprema e piena potestà su tutta la Chiesa, sebbene questa potestà non possa essere esercitata se non consenziente il Romano Pontefice.10

5. Con la formula del primo comma: « Credo pure con ferma fede tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato », si vuole affermare che l'oggetto insegnato è costituito da tutte quelle dottrine di fede divina e cattolica che la Chiesa propone come divinamente e formalmente rivelate e, come tali, irreformabili.11
Tali dottrine sono contenute nella Parola di Dio scritta o trasmessa e vengono definite con un giudizio solenne come verità divinamente rivelate o dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra » o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure vengono infallibilmente proposte a credere dal magistero ordinario e universale.
Queste dottrine comportano da parte di tutti i fedeli l’assenso di fede teologale. Per tale ragione chi ostinatamente le mettesse in dubbio o le dovesse negare, cadrebbe nella censura di eresia, come indicato dai rispettivi canoni dei Codici canonici.12

6. La seconda proposizione della Professio fidei afferma: « Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo ».
L'oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale,13 che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene non siano state proposte dal magistero della Chiesa come formalmente rivelate.
Tali dottrine possono essere definite in forma solenne dal Romano Pontefice quando parla « ex cathedra » o dal Collegio dei Vescovi radunato in concilio, oppure possono essere infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa come “sententia definitive tenenda”.14Ogni credente, pertanto, è tenuto a prestare a queste verità il suo assenso fermo e definitivo, fondato sulla fede nell'assistenza dello Spirito Santo al magistero della Chiesa, e sulla dottrina cattolica dell'infallibilità del magistero in queste materie.15 Chi le negasse, assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica 16e pertanto non sarebbe pia in piena comunione con la Chiesa cattolica.

7. Le verità relative a questo secondo comma possono essere di natura diversa e rivestono quindi un carattere differente per il loro rapportarsi alla rivelazione. Esistono, infatti, verità che sono necessariamente connesse con la rivelazione in forza di un rapporto storico; mentre altre verità evidenziano una connessione logica, la quale esprime una tappa nella maturazione della conoscenza, che la Chiesa è chiamata a compiere, della stessa rivelazione. Il fatto che queste dottrine non siano proposte come formalmente rivelate, in quanto aggiungono al dato di fede elementi non rivelati o non ancora riconosciuti espressamente come tali, nulla toglie al loro carattere definitivo, che è richiesto almeno dal legame intrinseco con la verità rivelata. Inoltre non si può escludere che ad un certo punto dello sviluppo dogmatico, l'intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede possa progredire nella vita della Chiesa e il magistero giunga a proclamare alcune di queste dottrine anche come dogmi di fede divina e cattolica.

8. Per quanto riguarda la natura dell'assenso dovuto alle verità proposte dalla Chiesa come divinamente rivelate (1° comma) o da ritenersi in modo definitivo (2° comma), è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere pieno e irrevocabile dell'assenso, dovuto ai rispettivi insegnamenti. La differenza si riferisce alla virtù soprannaturale della fede: nel caso delle verità del 1° comma l'assenso è fondato direttamente sulla fede nell'autorità della Parola di Dio (dottrine de fide credenda); nel caso delle verità del 2° comma, esso è fondato sulla fede nell'assistenza dello Spirito Santo al magistero e sulla dottrina cattolica dell'infallibilità del magistero (dottrine de fide tenendo).

9. Il magistero della Chiesa, comunque, insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata (1° comma) o da ritenere in maniera definitiva (2° comma), con un atto definitorio oppure non definitorio. Nel caso di un atto definitorio, viene definita solennemente una verità con un pronunciamento « ex cathedra » da parte del Romano Pontefice o con l'intervento di un concilio ecumenico. Nel caso di un atto non definitorio, viene insegnata infallibilmente una dottrina dal magistero ordinario e universale dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Successore di Pietro. Tale dottrina può essere confermata o riaffermata dal Romano Pontefice, anche senza ricorrere ad una definizione solenne, dichiarando esplicitamente che essa appartiene all'insegnamento del magistero ordinario e universale come verità divinamente rivelata (1° comma) o come verità della dottrina cattolica (2° comma). Di conseguenza, quando su una dottrina non esiste un giudizio nella forma solenne di una definizione, ma questa dottrina, appartenente al patrimonio del depositum fidei, è insegnata dal magistero ordinario e universale – che include necessaria-mente quello del Papa – , essa allora è da intendersi come proposta infallibilmente.17 La dichiarazione di conferma riaffermazione da parte del Romano Pontefice in questo caso non è un nuovo atto di dogmatizzazione, ma l'attestazione formale di una verità già posseduta e infallibilmente trasmessa dalla Chiesa.

10. La terza proposizione della Professio fidei afferma: « Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo ».
A questo comma appartengono tutti quegli insegnamenti — in materia di fede o morale presentati come veri o almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale. Tali insegnamenti sono comunque espressione autentica del magistero ordinario del Romano Pontefice o del Collegio dei Vescovi e richiedono, pertanto, l'ossequio religioso della volontà e dell'intelletto.18Sono proposti per raggiungere un'intelligenza più profonda della rivelazione, ovvero per richiamare la conformità di un insegnamento con le verità di fede, oppure infine per mettere in guardia contro concezioni incompatibili con queste stesse verità o contro opinioni pericolose che possono portare all'errore.19
La proposizione contraria a tali dottrine può essere qualificata rispettivamente come erronea oppure, nel caso degli insegnamenti di ordine prudenziale, come temeraria o pericolosa e quindi « tuto doceri non potest ».20

11. Esemplificazioni. Senza alcuna intenzione di esaustività o completezza, si possono ricordare, a scopo meramente indicativo, alcuni esempi di dottrine relative ai tre commi sopra esposti.
Alle verità del primo comma appartengono gli articoli di fede del Credo, i diversi dogmi cristologici21e mariani;22la dottrina dell'istituzione dei sacramenti da parte di Cristo e la loro efficacia quanto alla grazia;23la dottrina della presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucaristia24e la natura sacrificale della celebrazione eucaristica;25la fondazione della Chiesa per volontà di Cristo;26la dottrina sul primato e sull'infallibilità del Romano Pontefice;27la dottrina sull'esistenza del peccato originale;28 la dottrina sull'immortalità dell'anima spirituale e sulla retribuzione immediata dopo la morte;29l'assenza di errore nei testi sacri ispirati;30la dottrina circa la grave immoralità dell'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente.31
Per quanto riguarda le verità del secondo comma, con riferimento a quelle connesse con la rivelazione per necessità logica, si può considerare, ad esempio, lo sviluppo della conoscenza della dottrina legata alla definizione dell'infallibilità del Romano Pontefice, prima della definizione dogmatica del Concilio Vaticano I. Il primato del Successore di Pietro è stato sempre creduto come un dato rivelato, sebbene fino al Vaticano I fosse rimasta aperta la discussione se l'elaborazione concettuale sottesa ai termini di « giurisdizione » e « infallibilità » fosse da considerarsi parte intrinseca della rivelazione o soltanto conseguenza razionale. Comunque, anche se il suo carattere di verità divinamente rivelata fu definito nel Concilio Vaticano I, la dottrina sull'infallibilità e sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice era riconosciuta come definitiva già nella fase precedente al concilio. La storia mostra pertanto con chiarezza che quanto fu assunto nella coscienza della Chiesa era considerato fin dagli inizi una dottrina vera e, successivamente, ritenuta come definitiva, ma solo nel passo finale della definizione del Vaticano I fu accolta anche come verità divinamente rivelata.
Per quanto concerne il più recente insegnamento circa la dottrina sulla ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, si deve osservare un processo similare. Il Sommo Pontefice, pur non volendo procedere fino a una definizione dogmatica, ha inteso riaffermare, comunque, che tale dottrina è da ritenersi in modo definitivo,32 in quanto, fondata sulla Parola di Dio scritta, costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale.33 Nulla toglie che, come l'esempio precedente può dimostrare, nel futuro la coscienza della Chiesa possa progredire fino a definire tale dottrina da credersi come divinamente rivelata.
Si può anche richiamare la dottrina circa l'illiceità della eutanasia, insegnata nell'Enciclica Evangelium Vitae. Confermando che l'eutanasia è « una grave violazione della legge di Dio », il Papa dichiara che « tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale ».34 Potrebbe sembrare che nella dottrina sull'eutanasia vi sia un elemento puramente razionale, dato che la Scrittura non sembra conoscerne il concetto. D'altra parte emerge in questo caso la mutua interrelazione tra l'ordine della fede e quello della ragione: la Scrittura infatti esclude con chiarezza ogni forma di autodisposizione dell'esistenza umana che è invece supposta nella prassi e nella teoria dell'eutanasia.
Altri esempi di dottrine morali insegnate come definitive dal magistero ordinario e universale della Chiesa sono: l'insegnamento sulla illiceità della prostituzione 35e sulla illiceità della fornicazione.36
Con riferimento alle verità connesse con la rivelazione per necessità storica, che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate, si possono indicare come esempi la legittimità dell'elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici); la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera ApostolicaApostolicae Curae sulla invalidità delle ordinazioni anglicane.37...
Come esempi di dottrine appartenenti al terzo comma si possono indicare in generale gli insegnamenti proposti dal magistero autentico ordinario in modo non definitivo, che richiedono un grado di adesione differenziato, secondo la mente e la volontà manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale.38

12. Con i diversi simboli di fede, il credente riconosce e attesta di professare la fede di tutta la Chiesa. È per questo motivo che, soprattutto nei simboli più antichi, si esprime questa coscienza ecclesiale con la formula « Noi crediamo ». Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: « Io credo » è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del battesimo. « Noi crediamo » è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in concilio o, più generalmente, dall'assemblea liturgica dei credenti. « Io credo »: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua stessa fede e che ci insegna a dire: « Io credo », « Noi crediamo ».39
In ogni professione di fede, la Chiesa verifica le diverse tappe cui è giunta nel suo cammino verso l'incontro definitivo con il Signore. Nessun contenuto viene superato dal trascorrere del tempo; tutto, invece, diventa patrimonio insostituibile attraverso il quale la fede di sempre, di tutti e vissuta in ogni luogo, contempla l'azione perenne dello Spirito di Cristo Risorto che accompagna e vivifica la sua Chiesa fino a condurla nella pienezza della verità.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 29 giugno 1998, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, Apostoli.

+ Ioseph Card. Ratzinger
Prefetto
+ Tarcisio Bertone, S.D.B
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario


1 Le formule semplici professano, normalmente, il compimento messianico in Gesù di Nazaret; cf., ad es.,Mc 8, 29; Mt 16, 16; Lc 9, 20; Gv 20, 31; At 9, 22. Le formule complesse, oltre alla risurrezione, confessano gli eventi principali della vita di Gesù e il loro significato salvifico; cf., ad es., Mc 12, 35-36;At 2, 23-24; 1 Cor 15, 3-5; 1 Cor 16, 22; Fil 2, 7. 10-11; Col 1, 15-20; 1 Pt 3, 19-22; Ap 22, 20. Oltre alle formule di confessione di fede relative alla storia della salvezza e alla vicenda storica di Gesù di Nazaret culminata con la Pasqua, esistono nel Nuovo Testamento professioni di fede che riguardano l'essere stesso di Gesù; cf. 1 Cor 12, 3: « Gesù è il Signore ». In Rm 10, 9 le due forme di confessione si trovano riunite insieme.
2 Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, n. 7.
3 1 Cor 15, 3-5.
4 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 193.
5 Gv 16, 13.
6 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, n. 11.
7 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Professione di fede e Giuramento di fedeltàAAS 81 (1989) 104-106; CIC, can. 833.
8 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25.
9 Ibidem, n. 25.
10 Cf. ibidem, n. 22.
11Cf. DS 3074.
12Cf. CIC cann. 750 e 751; 1364 § 1; CCEO cann. 598; 1436 § 1.
13Cf. Paolo VI, Lett. Enc. Humanae Vitae, n. 4: AAS 60 (1968) 483; Giovanni Paolo II, Lett. Enc.Veritatis Splendor, nn. 36-37: AAS 85 (1993) 1162-1163.
14Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25.
15 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, nn. 8 e 10; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Mysterium Ecclesiae, n. 3: AAS 65 (1973) 400-401.
16 Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio Ad tuendam fidem, del 18 maggio 1998; cf. ibid., 9-13.
17Si consideri che l'insegnamento infallibile del magistero ordinario e universale non viene proposto soltanto con una dichiarazione esplicita di una dottrina da credersi o da tenersi definitivamente, ma anche è espresso mediante una dottrina implicitamente contenuta in una prassi di fede della Chiesa, derivata dalla rivelazione o comunque necessaria per la salvezza eterna, e testimoniata dalla Tradizione ininterrotta: tale insegnamento infallibile risulta oggettivamente proposto dall'intero corpo episcopale, inteso in senso diacronico, e non solo necessariamente sincronico. Inoltre l'intenzione del magistero ordinario e universale di proporre una dottrina come definitiva non è generalmente legata a formulazioni tecniche di particolare solennità; è sufficiente che ciò sia chiaro dal tenore delle parole adoperate e dai loro contesti.
18 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum Veritatis, n. 23: cf. p. 10, n. 7.
19 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum Veritatis, nn. 23 e 24.
20 Cf. CIC cann. 752; 1371; CCEO, cann. 599; 1436 § 2.
21 Cf. DS 301-302.
22 Cf. DS 2803; 3903.
21Cf. DS 1601; 1606.
24 Cf. DS 1636.
25 Cf. DS 1740; 1743.
26 Cf. DS 3050.
27 Cf. DS 3059-3075.
28 Cf. DS 1510-1515.
29 Cf. DS 1000-1002.
30 Cf. DS 3293; Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Dei Verbum, n. 11.
31 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n. 57: AAS 87 (1995) 465.
32 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Ordinatio Sacerdotalis, n. 4: AAS 86 (1994) 548.
33 Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera Apostolica «Ordinatio Sacerdotalis»: AAS 87 (1995) 1114.
34 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n. 65.
35 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2355.
36 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2353.
37 Cf. DS 3315-3319.
38 Cf. Conc. Ecum. Vatic. II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, n. 25; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Donum Veritatis, nn. 17, 23 e 24.
39 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 167.