Stiamo sparendo. E gli stranieri non ci salveranno
Gli italiani si stanno estinguendo. No, non è la cupa profezia di qualcuno, bensì una tragica realtà che l’ultimo report dell’Istat, reso noto ieri, ha certificato in modo inoppugnabile: i residenti in Italia, al primo gennaio 2017, erano 86.000 in meno rispetto al primo gennaio del 2016. Un calo in parte già anticipato da una nota di sedici pagine diffusa lo scorso giugno, ma che ora viene ufficializzato con quantificazioni da brividi. In pratica, è come se una città come Como o centri come Bassano del Grappa e Riccione sommati, da un anno all’altro, fossero scomparsi. Nel nulla. Il solo dato non negativo, in quello che pare un bollettino di guerra, è rappresentato dal calo dei morti, 608.000 contro i 648.000 del 2015.
Per il resto, il 2016 si è confermato un anno demograficamente allucinante dal momento che, quanto a saldo naturale – la differenza tra il numero dei nati vivi e quello dei morti – ha fatto registrare il secondo peggior risultato storico (-134.000), superato soltanto da quello del 2015, che per ora è da considerarsi come eccezionale (-162.000). Tuttavia, differentemente 2015 – sottolinea l’Istat – quando a incidere negativamente sulla dinamica naturale furono sia il calo delle nascite sia l’eccezionale aumento dei morti, il deficit naturale del 2016 è da ascriversi soprattutto a una nuova riduzione della natalità. Questo significa che il nostro problema, come poche voci solitarie denunciano da anni, è anzitutto quello delle culle vuote.
Pare difatti esservi solo una parte d’Italia che soffre meno l’inverno demografico, la provincia di Bolzano che, a fronte di una riduzione delle nascite su scala nazionale del 2,4 per cento, ne registra un incremento pari al 3,2 per cento. Per il resto, lo scenario è cupo assai. E non riguarda solo il nostro Paese. Secondo una nota apparsa a gennaio su Population & Sociétés, il bollettino mensile d’informazione dell’Istituto nazionale demografico francese, oggi in Europa una donna su sette non ha figli, record che non si registrava, pensate, dalla prima guerra mondiale. La stessa Francia, per anni osannata come faro della natalità nel Vecchio Continente, va ora affossandosi, se si pensa che se le donne francesi sono rapidamente passate da una media di 2,01 figli registrata nel 2014, ai 1,96 figli del 2015 fino agli 1,93 dello scorso anno.
Ora, poiché il tasso di sostituzione è pari a 2,1 figli per donna, è fuori discussione come la denatalità europea non sia più questione marginale, bensì una vera e propria emergenza. Che i governanti europei pensano di affrontare e risolvere in un solo modo: ospitando un numero sempre più elevato di migranti. Una soluzione – anche sorvolando sulle non secondarie problematiche relative all’integrazione degli stranieri – che non sta in piedi per almeno tre motivi. In primo luogo, perché i cosiddetti migranti sono in larga parte di sesso maschile. In seconda battuta, poi, perché già oggi, in Italia, le straniere residenti non fanno più di 1,95 figli ciascuna, numero ben superiore a quello delle donne italiane ma lontano a quello che sarebbe necessario al nostro paese per risollevarsi.
Che gli stranieri non costituiscano affatto, pur chiaramente apportando un qualche contributo, una soluzione alla denatalità, risulta poi provato proprio dal poc’anzi caso di Bolzano. Infatti, se da una parte è vero che in Alto Adige – dove comunque, si badi, manca il tasso di sostituzione – si registra, inattesa, una crescita della natalità, dall’altra è altrettanto vero come da quelle parti gli stranieri residenti siano meno rispetto a quelli presenti in provincia di Trento, dove invece l’inverno demografico pare ben lontano dall’essere superato: 46.454 anziché 48.466. Ebbene, se davvero l’immigrazione fosse la miracolosa salvezza che raccontano, dovrebbe essere il Trentino a trainare la natalità regionale e non l’Alto Adige, come invece avviene.
Senza contare, denunciano demografi come Giancarlo Blangiardo, che gli effetti dell’ipotetica compensazione derivante dalla sostituzione dei neonati con immigrati, nel lungo periodo, sono destinati a produrre un accrescimento del carico sociale con un’intensità che sarà tanto più accentuata quanto più i flussi di immigrazione saranno caratterizzati da soggetti giunti da noi in età matura. Morale della favola, sperare che gli immigrati raddrizzino a suon di figli la nostra avvilente curva demografica non è solo un’ipotesi strampalata, è proprio folle. Che fare, dunque, per non scomparire o per non trasformarci in un immenso ospizio? Quale strategia dovrebbe adottare l’Europa, ma soprattutto l’Italia, per uscire da un inverno demografico che flagella la penisola da decenni?
Da sociologo, credo che le priorità siano almeno tre. La prima è smettere di considerare la denatalità questione di di asili nido, occupazione femminile o aiuti economici, tutte cose utili ma non risolutive. Oltre al poc’anzi citato caso della Francia, che sulle politiche familiari investe assai, ricordo quello dell’Emilia Romagna, già dalla fine degli anni Sessanta all’avanguardia fra tutte le regioni italiane con un indice di posti nido ogni cento bambini migliore di quello europeo, il cento per cento di posti nelle scuole materne e un’occupazione femminile di livello europeo; eppure, ciò nonostante – ha segnalato uno studioso come Roberto Volpi – negli anni Novanta, dall’alto di questi record, in quella regione si è assistito al precipitare delle nascite di anno in anno fino all’inconsistenza di 0,9 figli per donna, record mondiale ancora ineguagliato.
Smettiamola, allora, di considerare i figli che non nascono espressione di disagi solo materiali, perché non è così. Un secondo aspetto da considerare, per rilanciare la natalità italiana, è la vituperata famiglia tradizionale. Se infatti aspettiamo le cosiddette famiglie arcobaleno o speriamo nelle convivenze, cari miei, stiamo freschi: è la coppia sposata, soprattutto se giovane, la salvezza demografica dell’Italia. E per quanto gli incentivi economici – da soli – non bastino, occorre sostenere il più possibile i giovani che convolano a nozze. Un terzo ed ultimo consiglio che mi sentirei di dare, più generale degli altri, è quello di iniziare ad occuparsi di denatalità abbandonando in blocco inderogabili priorità progressiste quali unioni civili, uteri in affitto, ius soli, biotestamento e caccia armata agli obiettori di coscienza. Non si tratta di essere di destra, ma di non essere dementi.
Giuliano Guzzo
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