mercoledì 31 dicembre 2014

il mio “discorso di fine anno”: la chiesa è noiosa!!!

Il cattolicesimo è noioso. Questo il mio “discorso di fine anno”

A Thai buddhist monk talks on a radio wh


In conclusione del 2014, ammetto: il cattolicesimo è noioso. Con questo atto di profonda disistima per la chiesa romana, concludo questo anno. Ma è mia Madre, la Chiesa, anche se il buddismo è meglio

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10885143_10204247062309576_2143545122944206888_ndi Antonio Margheriti Mastino

In conclusione del 2014, ammetto: il cattolicesimo è noioso. Ecco perché più attraente è il buddismo per tanti. Ma perché molti giovani sono attratti se non dal buddismo in sé, dalle figure dei monaci buddisti?

I giovani cristiani nominali, certo, ma anche molti cattolici politicamente corretti. Persino qualche cattolico ortodosso o no. Incontrai un gesuita che andava dicendo di essere “metà cristiano metà buddista” e non mi sono meravigliato affatto trattandosi di un gesuita: infatti praticava tutti i precetti buddisti ma in cambio aveva rinunciato, e ne diceva gran male, a tutti quelli cattolici.
Ma cosa cercano tutti che non hanno già in casa?
Me ne rendevo conto guardano alcuni film sull’Estremo Oriente (amo il cinema orientale) e scorrendo adesso le pagine che vagano per deserti e verdi valli e steppe e montagne asiatiche di Colin Thubron. Leggevo Ombre sulla via della seta;  Il cuore perduto dell’Asia; Verso la montagna sacra. Un pellegrinaggio in Tibet. Non sono pagine sempre edificanti, non è un ritratto in rosa da fisima esotica di un occidentale, ma che accettano anche il lato oscuro e pauroso delle fedi di quelle terre.
Effettivamente il cristianesimo così come è giunto a proporsi e immaginarsi, il cattolicesimo specialmente senza più la carne e il sangue e le passioni violente del Seicento, è noioso, la vita spirituale che propone è ai minimi termini ed è noiosa, non incide più sui corpi e non li governa, non regna sui polmoni degli uomini insegnando loro a respirare al ritmo dei tempi sacri, in sintonia col vecchio sospiro di Dio che aleggia come tempo nell’aria. Il cristianesimo che rinuncia ai corpi, ai polmoni dell’uomo, rinuncia alla vita, e perde la spiritualità, diventa un eticismo noioso fino a ridursi a pastori che parlano di mafia e faccendieri straccioni e soldi a messa. E’ insignificante, è irrilevante. È noioso.
Per questo tanti della mia generazione cercano di seguire quel che credono essere il “buddismo”: perché offre ancora una spiritualità che sa governare il corpo, dunque la mente, dunque lo spirito. Insegna ai polmoni a inspirare  ciò che è eterno ed espirare ciò che è immanente. Lo raccorda, il corpo, a quel divino ordine diffuso negli elementi naturali che è l’essenza delle varie declinazioni dei buddismi asiatici. Impegna l’essere nel suo insieme, anima e corpo, gesti e pensieri, come ormai il cattolicesimo, stanco comizio, non insegna più perché non sa più, e non sa e non vuol sapere perché ha smesso di volersi bene: odia se stesso.
Nel buddismo si riscopre il fascino delle ritualità, dei gesti, delle evitazioni, del cibo raccordato al sacro, della sacralizzazione dell’alimentazione, del governo della mente, dei polmoni, dello stomaco, delle pudenda, di tutto: tutte cose che il cattolicesimo non offre più. Ormai siamo rimasti solo con un mazzo di preservativi usati o non usati in mano. Tant’è che in alcune diocesi è proibito anche l’incenso, ogni aspetto rituale, ogni simbologia sacra è bandita; persino i pastori che si fanno chiamare padre ordinano che scompaia dal corpo dei consacrati ogni richiamo al sacro, ogni divisa, che siano banditi inchini e inginocchiamenti, ridicolizzano la sintonizzazione del corpo del fedele al sacro e al divino – digiuni, penitenze, evitazioni alimentari etc. – come atti di “pelagianesimo”. Salvo che poi cancellati tutti i segni visibili di appartenenza a un credo, tutti i rituali che certificano l’appartenenza a una chiesa, gli stessi laici e consacrati non vanno a cercarli altrove.
Proprio l’altro giorno una giovane amica mi raccontava:  «Ho partecipato anni fa a una “cena ebraica” organizzata dal parroco, che diversamente mi dava della tradizionalista bigotta per aver cantato il paternoster in latino alla messa papale. In questo gruppo da lui fondato [segue nome, che non faccio] per pura curiosità culinaria, dovevamo seguire un sacco di norme “liturgiche” e il parroco le osservava meticolosamente (e nella messa delle varie rubriche a volte se ne strafrega e le salta o le cambia direttamente) per poi tornare a casa a stomaco vuoto».
Non importa ciò che il buddismo è per un giovane occidentale, conta come viene percepito. Ma tra l’essere e il sembrare, la differenza non è poi molta. È uno stare nella materia ma superarla. È uno stare al mondo ma trascenderlo. È una riconciliazione con il senso di tutte le cose e con il proprio corpo e la sua essenza.  È perciò una alternativa e una sorta di fuga mundi che molto somiglia a quella dei monaci cattolici medievali, ed eccettuato quel certo loro masochismo, dei Padri del deserto. Molto più di un “autoerotismo”, quindi, al contrario di quanto diceva papa Ratzinger, sebbene riferendosi al “buddismo” holliwoodiano e di moda.
Ma siamo sinceri: il cattolicesimo dove offre più queste cose? Le sta cancellando tutte. Ecco perché la malattia del cattolicesimo è, specie in questo momento, il suo essere noioso. Il suo non essere alternativa a niente, assimilandosi a qualsiasi cosa. Il cattolicesimo non è più da un secolo il regno nemmeno della bellezza e men che meno il centro della spiritualità del mondo, nulla è grazioso nel suo corpaccione sclerotico e smembrato. Il cattolicesimo romano, da questo punto di vista, spirituale e culturale, è morto e sepolto. Il resto è archeologia.
Ecco perché il buddismo è vivo: perché si fa esperienza che investe tutta la vita insieme al corpo del fedele. Il cattolicesimo è solo una logorrea, un continuo dibattito: ha perduto il sacro e anche la vita. E dove non c’è più la vita non c’è più nemmeno Dio.
Con questo atto di profonda disistima per la chiesa, concludo questo anno. Ma è mia Madre, la Chiesa, e pazienza se è come è: la madre resta madre. Anche se fosse una prostituta illetterata e senza istinto materno, schiava di un harem d’uomini senza qualità e di eunuchi eternamente eccitati dal loro egocentrismo vago e mediocre.
Basta concentrarsi su Cristo, per non avere voglia di scappare dalle chiese cattoliche. Basta dimenticarsi che esiste il ....., i ......, le ......., le ..........
Cristo è il cuore della Chiesa. Il resto appartiene all’Anticristo.
E ora vado ad annoiarmi al cenone di capodanno. Vi auguro un anno meno noioso e sterile, spiritualmente. Meno p...... e più cristiano.

martedì 30 dicembre 2014

TE DEUM

preti plaudenti al disastro



LA FAMIGLIA SOLA SUL BARATRO. 

40 ANNI IN CADUTA LIBERA TRA DIVORZI, COPPIE DI FATTO E DISASTRI VARI


e preti benedicenti

Se si vuole fare una diagnosi della salute dell’Italia dal punto di vista della demografia, e di ciò che le sta dietro, non si può che partire da un anno: il 1975. Lo spiega lo statistico Roberto Volpi, tra i maggiori studiosi dei mutamenti della popolazione nel nostro Paese, nel suo ultimo libro pubblicato da Vita e Pensiero La nostra società ha ancora bisogno della famiglia? (pp. 178, euro 15).
Professore, perché il 1975 sarebbe cruciale?
«Perché è l’inizio del crollo. Da quell’anno sia i matrimoni che le nascite cominciano a perdere molto terreno. Queste ultime in 5 anni arrivano a perdere il 25%, una caduta che poi rallenta ma non si arresta per altri vent’anni. Fino agli anni Novanta, quando il tasso di fecondità (cioè il numero medio di figli per donna) tocca quota 1,2: uno dei più bassi del mondo in quel momento, meno della metà di quello che era alla fine degli anni Sessanta. Il che significa anche una mutazione per così dire antropologica: un conto è avere famiglie di due o tre figli, un conto è averne uno. L’inizio di quel processo è evidente: più che il divorzio in sé, è stato proprio il referendum a segnare una svolta radicale».

Come mai? Non doveva bastare la legalizzazione del divorzio?
«Perché il referendum è stato caricato di un valore enorme, equivalente a quello che aveva la famiglia tradizionale. Fin allora in Italia sia i cattolici che i laici avevano aderito a un tipo di matrimonio fortemente ispirato dalla Chiesa: sino alla fine degli anni ’60 su 100 matrimoni 98 erano religiosi. Indissolubilità, fedeltà e obbedienza dei bambini all’autorità familiare, segnatamente del padre, ne erano i cardini. Ci si sposava giovani, le donne a una media di 24 anni. E si sposavano tutti. La battaglia sul divorzio mirava al cuore di quel modello: indissolubilità e fedeltà. Un vincolo di fedeltà, però, che gravava più sulla donna che sull’uomo. Questo è da sottolineare perché è l’elemento che cede e che fa crollare l’edificio. L’infedeltà del maschio era più tollerata, socialmente e moralmente, di quella della moglie, accompagnata da una sua maggiore autorità (almeno pubblica, di fronte alla società: perché sappiamo che all’interno della famiglia molto spesso non era così). Così la rivendicazione di autonomia femminile si manifesterà proprio nel divorzio. Si pensava che sarebbe stata un’arma maschile, ma non è stato così: all’inizio, due su tre domande di separazione legale vennero avviate da donne. Le donne hanno visto nel divorzio la possibilità di spostare un rapporto di forza sull’uomo».

Al referendum i «no» al divorzio furono molto numerosi al Sud. Oggi com’è la situazione: permane l’eccezione o anche il Meridione è stato omologato?
«Direi che è stato omologato. I dati dimostrano maggior divorzialità al Nord, ma al Sud è l’elemento di difficoltà economica a frenare le separazioni. Negli Stati Uniti l’indice di divorzialità è usato quasi come un indicatore economico: quando i divorzi sono alti l’economia va bene, quando sono bassi l’economia è depressa. Perché il divorzio ha costi alti e comporta in genere un abbassamento del tenore di vita rispetto alla famiglia originaria. Al Sud si divorzia meno per questo. Lo possiamo dire osservando pure altri fattori, in primis la natalità: oggi le regioni dove la fecondità è più bassa sono quelle del Sud, il Molise e la Basilicata, e va segnalato il caso della Sardegna, leader nella de-fecondità e de-nuzialità, una regione che demograficamente sta sprofondando. Perfino la Campania, che ha sempre avuto tassi di fecondità molto alti, staziona ormai a metà classifica. Al Sud permane peraltro una maggiore nuzialità che al Nord – ricordiamo però che siamo sempre a livelli bassissimi, a un tasso di nuzialità di 3 matrimoni ogni mille abitanti: il 50% rispetto alla media europea – ma in sostanza per i motivi di cui sopra. Il modello di famiglia tradizionale non ha retto nemmeno lì».

Per quanto riguarda la famiglia, quali nuovi fenomeni si fanno strada?
«Le coppie di fatto e le coppie di fatto non conviventi. Le seconde sono più difficili da rilevare dal punto di vista statistico, per ovvie ragioni: lasciano meno tracce, non abitando sotto lo stesso tetto. Ma, anche qui, si "percepiscono" da altri fattori. Per esempio vediamo che negli ultimi 20 anni sono cresciuti i cosiddetti veri celibi, cioè quelli che hanno più di 25 anni e non sono sposati, che oggi sono più di 5 milioni. È da escludere una scelta in massa per la castità: si tratta di persone che hanno rapporti affettivi, anche duraturi, ma che non entrano in una convivenza».

Qual è l’impatto di questi rapporti sulla società?
«Il modello di famiglia tradizionale è fondato su una forte responsabilizzazione reciproca. Il nuovo modello è fondato invece sul sentimento: l’amore, il sentimento basta. Sembra una visione più avanzata, moderna, in realtà è un’idea più fragile e con ricadute sociali negative. Lo dico da un punto di vista nettamente laico: una società che si fonda su legami familiari ad alta responsabilità e a forte istituzionalizzazione è indiscutibilmente una società più solida, interrelata e solidale di una che si fonda su legami a più basso livello di responsabilità e a nullo livello di istituzionalizzazione. È un elemento che l’opinione laica non coglie. È come non fare figli: una coppia è liberissima di non volerne, ma se questo atteggiamento diventasse prevalente la società morirebbe... Oltre a ciò, le famiglie che nascono tardivamente non hanno la spinta economico-produttiva che avevano una volta, non sono più un fattore dirompente da questo punto di vista: oggi si sposa quando si è già costruito virtualmente tutto, quando ci si è sistemati».

E i matrimoni religiosi come stanno?
«Sono 110mila all’anno, mentre erano 420mila nel 1964: un calo del 75%. E stanno diminuendo di sette, otto o anche diecimila all’anno. Se la tendenza dovesse perdurare, i matrimoni in chiesa diventeranno un elemento residuale. Sulla famiglia, la Chiesa ha perso la sua battaglia culturale nei confronti della società laica. Non ha altra scelta che ricominciarne un’altra se vuole rilanciare il suo modello». 

31 dicembre: TE DEUM

Per quem haec omnia, Domine,

semper bona creas, sanctificas,
 
vivificas, benedicis, et praestas nobis.




Domami sera tutti in Chiesa per il solenne Te Deum, 
l'antico inno liturgico di ringraziamento al Signore ...
Ci si può apprestare ai festeggiamenti di fine anno
senza aver reso grazie a Dio?????

Anticamente si praticava in questo momento della Messa una cerimonia che oggi è sparita. Sì collocavano vicino all'altare pane, vino, verdura e frutta, e il sacerdote pronunciava le parole seguenti (che anche oggi fan seguito alla conclusione dell'orazione precedente): Per quem haec omnia, Domine, semper bona creas, sanctìficas, vivificas, benedicis et praestas nobis. Nel proferire queste parole, il sacerdote, che allora stava alla presenza del medesimo Dio e in tutta la grandezza del suo ministero, dava la benedizione a tutti quei frutti che si presentavano dinanzi all'altare. La differenza tra gli usi e costumi di quei tempi e quelli dei nostri giorni spiega perfettamente l'esistenza di detta cerimonia nell'antichità e la sua omissione nell'epoca attuale. Anticamente la Chiesa non aveva che un solo altare disposto secondo la descrizione fatta da san Giovanni nell'Apocalisse, ossia: il trono del Padre in fondo all'abside, l'altare dinanzi, i vegliardi a ciascun lato e l'Agnello sopra l'altare. Si diceva una Messa sola, e non tutti i giorni; la celebrava il vescovo, e tutti i sacerdoti si univano a lui e consacravano con lui. I fedeli presentavano dunque tutti i frutti della terra e quanto serviva al loro nutrimento, perché il vescovo li benedicesse in quell'unica Messa. Più tardi, verso il secolo VIII, per ispirazione dello Spirito Santo, si andò facendo più frequente la celebrazione del santo Sacrificio, si moltiplicarono gli altari e si aumentò il numero delle Messe. E, a misura che s'introduceva questo santo costume, andò sparendo quello di portar i frutti da benedire.

Che ne faceva dunque la santa Chiesa di queste parole di benedizione? Il sacerdote le sottrasse al significato primitivo per applicarie al Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo presente sull'altare, attraverso il quale ci sono state date tutte le cose. Così il sacerdote, pronunziando le parole sanctificas, vivificas, benedicis, fa il segno di croce sull'Ostia e sul calice. Potrà dirsi che questo cambio è un po' forzato, ma almeno ci dimostra il grande rispetto che la Chiesa porta al Canone della Messa poiché, per non perdere queste parole, le applica al Corpo di Gesù Cristo, che è stato creato come i frutti della terra e che, per i misteri della sua Passione, della sua Risurrezione e della sua Ascensione, ha compiuto perfettamente ciò che queste parole esprimono: sanctificas, vivificas, benedicis; e, infine, preastas nobis, "ci è donato come nutrimento".

Oggi rimane qualche vestigio dell'antica cerimonia nel rituale benedettino, poiché il giorno della Trasfigurazione si benedice, in questo momento, l'uva, benché non si adoperino per questa benedizione le parole del Canone, ma un'orazione presa dal Messale di Cluny. Similmente, il Giovedì Santo il vescovo benedice a questo punto della Messa l'olio degli infermi.

Il Canone volge al termine. Terminerà quando il sacerdote alzerà la voce per dire la conclusione ultima e recitare l'orazione domenicale. I Greci chiamano il Canone Liturgia. Con l'andar dei secoli il significato di questa parola si è estesa a tutto l'insieme di cui si compone l'Ufficio divino, ma in principio non s'intendeva altro che il Canone della Messa, il quale, secondo il significato della parola greca, è l'opera per eccellenza. Similmente, vediamo scritto nel Messale latino: Infra actionem, per significare ciò che si fa nell'Atto del Sacrificio, che è l'atto per eccellenza. Inoltre, la parola Canone è una parola greca, come abbiamo detto. Non v'è nulla di strano nell'uso di queste parole greche, se si considera l'estensione grandissima che aveva avuto la lingua greca nell'epoca in cui è nata la Chiesa, fino al punto che dei quattro Vangeli, tre certamente furono scritti in greco.

Prima della fine della grande preghiera, si compie sull'altare un rito molto solenne, che costituisce l'ultima confessione che fa la Chiesa dell'identità che esiste tra il Sacrificio della croce e quello della Messa. Il sacerdote scopre il calice che contiene il Sangue del Signore, e, dopo aver fatto la genuflessione, prende con la mano destra l'Ostia santa e con la sinistra il calice; poi fa con l'Ostia il segno di croce sul calice per tre volte, dicendo:Per ipsum, et cum ipso, et in ipso; quindi fa il segno di croce, sempre con l'Ostia, tra il calice e il suo petto, ed aggiunge: est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancii; mette quindi di nuovo l'Ostia al di sopra del calice ed, alzando un po' l'una e l'altro, dice: omnis honor et gloria; posa infine l'Ostia sul corporale, ricopre il calice e dice: Per omnia saecula saeculorum, e il popolo risponde: Amen.

Che cosa significano questi gesti del sacerdote? La santa Chiesa possiede il suo Sposo nello stato d'immolazione e di sacrificio, ma sempre vivente. Così vuoi far rilevar in Lui questa qualità di Dio vivente e l'esprime con la riunione del Corpo e del Sangue del Signore, ponendo l'Ostia al di sopra del calice che contiene il prezioso Sangue, per rendere gloria a Dio. Allora dice per bocca del sacerdote: per ipsum, per Lui è glorificato il Padre; et cum ipso, con Lui è glorificato, perché la gloria del Padre non è superiore a quella del Figlio, né da quella isolata (quanta grandezza in questo cum ipso!),et in ipso, in Lui è glorificato il Padre, poiché la gloria che il Figlio da al Padre è nel Figlio e non fuori di Lui, in ipso. Sicché, dunque, per Lui, con Lui (cioè condividendo insieme con Lui), e in Lui, si da a Dio Padre tutto l'onore e tutta la gloria.

Il sacerdote fa ancora il segno di croce per due volte, ma lo fa solamente tra il calice e il suo petto. Perché questa differenza? Le parole che pronuncia ce lo dicono: est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti. Poiché né il Padre né lo Spirito Santo sono stati immolati, non conviene che nominandoli si metta l'Ostia al di sopra del Sangue che appartiene unicamente al Figlio, essendo stato Egli l'unico a rivestirsi dell'umana natura e ad immolarsi per noi.

Ma, pronunziando queste ultime parole: omnis honor et gloria, il sacerdote riporta l'Ostia santa al di sopra del calice, volendo esprimere che ormai, nelle vene del Dio ch'egli offre, circola il Sangue divino con l'immortalità. Il sacerdote può dunque dire a Dio: omnis honor, et gloria, "quest'offerta è l'atto più glorioso che possa essere fatto in onor tuo, o Signore, perché possediamo Cristo risuscitato, ed è Lui medesimo che è immolato in tuo onore su quest'altare". No, Colui che offriamo non è una semplice creatura, ma per lui e con lui - per ipsum et cum ipso - si da a Dio ogni gloria ed onore. Tale gloria e tale onore vanno direttamente a Dio, il quale non può ricusare l'omaggio che gli tributa Colui che è immolato e che tuttavia è vivo. Il Sacrificio offerto in questo modo è il più grande che possa farsi per Iddio.

L'immolazione di Nostro Signore sul Calvario fu un delitto orrendo e abominevole; l'immolazione che s'effettua sull'altare è quanto di più glorioso possa esservi per Dio, poiché Colui che è offerto è vivo. È il Dio vivente che noi offriamo: è il Figlio vivente offerto al Dio vivente. Può esservi nulla di più grande? E che cosa v'è di più giusto dell'esprimer questo pensiero ponendo il Corpo del Signore al di sopra del calice che contiene il suo Sangue? Ecco perché il santo Sacrificio della Messa è l'atto più glorioso che si possa far per Iddio, poiché in questo momento sublime gli si tributa ogni onore e gloria: per ipsum, et cum ipso, et in ipso.

Questo rito solenne, di cui abbiamo trattato, ci mostra anche quanto Dio abbia amato il mondo. Pensiamo bene che il sacerdote ha tra le mani Colui per il quale non solamente si da a Dio ogni onore e gloria, ma Colui che condivide con Dio questa medesima gloria: per ipsum, et cum ipso! È il Verbo del Padre che si lascia prendere, che si lascia toccare, perché vuole che si dia a Dio ogni gloria ed onore: omnis honor et gloria; vuole che salga fino al trono di Dio un omaggio che possa essergli gradito. Che sono gli omaggi degli uomini in confronto a quelli che Nostro Signore rende al Padre suo?

Sì, il santo Sacrificio della Messa è veramente l'atto più glorioso che possiamo offrire a Dio. È ben vero che possiamo anche offrirgli delle preghiere o far atti di virtù, ma ciò non forza la sua attenzione, mentre nella Messa è obbligato da tutte le perfezioni in essa contenute a prestar attenzione all'omaggio che gli viene reso.

Ma questo rito così importante esiste sin dai primi secoli? Certamente è antichissimo e deve essere sempre esistito, perché si trova ovunque. Si comprende, infatti, che là santa Chiesa, offrendo il suo Sposo a Dio, non può sempre dire che è morto; essa l'ha immolato, è vero, ma Colui che ha così immolato è vivente e bisogna che lo confessi. Ora trovano esatto compimento i tre grandi misteri della Passione, della Risurrezione e dell'Ascensione. Il nostro Cristo è veramente tutto quanto ci esprimono questi tre misteri, e la santa Chiesa ce lo ricorda. Prima che si fossero compiuti, non esistevano - per così dire - tante ricchezze. Nasce in Betlem, ma l'Incarnazione sola non doveva salvarci, secondo i disegni di Dio, quantunque sarebbe stata più che sufficiente a riscattarci, se Egli l'avesse voluto. Allora Cristo soffre la Passione, ma anche questo non è tutto. Gli manca la vittoria sulla morte: la Risurrezione. Anche questo non basta. Cristo deve aprire le porte del cielo, e per questo occorre la sua Ascensione. Bisogna che la nostra natura umana di cui s'è rivestito, nella quale ha sofferto e per la quale ha subito la morte, sia da Lui collocata in cielo, per mezzo della sua Ascensione gloriosa. Così, dunque, Colui che il sacerdote tiene nelle sue mani è realmente il Signore, che ha sofferto, è morto, è risuscitato ed è salito al cielo.

Ecco perché dobbiamo ringraziare costantemente Dio per essersi degnato di farci nascere dopo il compimento di tutti questi grandi misteri. In quanto a quelli che sono morti tra la Risurrezione e l'Ascensione, benché più felici di molti altri, non lo sono stati però quanto noi, perché i misteri di Cristo non erano allora completi.

Quelli che sono morti tra la morte di Nostro Signore e la sua Risurrezione furono meno felici ancora.

Quanto a coloro che sono morti prima della venuta di Gesù Cristo, non avevano altro che le speranze ed era loro necessario lasciare questa vita prima di vederle realizzate. Quanto più fortunati siamo noi rispetto a quelli che ci hanno preceduto! Noi diciamo: Unde et memoresDomine, nos servi tui, sed et plebs tua sanata, ejusdem Christi Filli tui Domini nostri tam beatae Passionis, nec non et ab inferis Resurrectionis, sed et in caelos gloriosae Ascensionis. Quanta forza ci danno queste parole che ci ricordano la Passione, la Risurrezione e la gloriosa Ascensione di Gesù Cristo! Qual religioso fervore e quale amore non dobbiamo avere per una sola Messa, poiché è ciò che di più grande ha fatto Gesù Signore! È tutto ciò ch'Egli può fare; è ciò che farà sempre, perché il ministero di Gesù Cristo non cesserà mai; Egli è e sarà sempre il Sommo Sacerdote: Tu es sacerdos in aeternum.

Nostro Signore sarà sempre Sacerdote, poiché lo stesso Padre suo glielo ha detto: Juravit Dominus et non paenitebit eumtu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech, "il Signore l'ha giurato, e non se ne pentirà: tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech" (Sai 109,4). Il Signore lo ha giurato, juravit, e - aggiunge -: secondo l'ordine di Melchisedech, perché Gesù Cristo deve esercitar il suo ministero per mezzo del pane e del vino che furono anche la materia del sacrificio di Melchisedech. È dunque Sacerdote per sempre - in aeternum - offrendosi sempre per noi ed essendo sempre vivo. E ciò, secondo quanto afferma san Paolo, al fine d'interceder per noi: Semper vivens ad interpellandum prò nobis (Eb 7,25), avendo conservato le piaghe della sua Passione per esser in relazione col Sacrificio ed offrirle per noi al Padre.

Così la santa Chiesa dice con piena confidenza in Dio: Jube haec perferri per manus sancii Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinae majestatis tuae, "Comanda, Signore, che le cose che offriamo qui, haec, siano trasportate per mano del tuo Angelo al tuo sublime altare, perché formino un tutt'uno con quell'altare del cielo, poiché sono degne di esso". E ciò perché sull'altare della terra come sull'altare del cielo, è sempre Gesù Cristo Colui che offre, essendo Sacerdote in eterno ed insieme Vittima. E, quando il mondo avrà cessato d'esistere, Nostro Signore continuerà a render a Dio i medesimi omaggi nella sua qualità di Sacerdote: sacerdos in aeternum, perché Dio deve essere sempre onorato. Orbene, la parte propiziatoria e la parte impetratoria del Sacrificio cesseranno d'esistere, mentre Gesù Cristo, sacerdos in aeternum, continuerà unicamente ad adorar e a ringraziare.

Non sarà inutile far notare brevemente che il santo Sacrificio della Messa è circondato dal sacrificio della lode, e questo riceve da quello la sua vita vera. La santa Chiesa ha fissato l'Ora Terza per offrire il santo Sacrificio. E poiché a quest'ora discese lo Spirito Santo sulla Chiesa, ci fa cominciare Terza dicendo: Nunc Sancte nobis Spiritus... Ella invoca il divino Spirito affinchè con la sua presenza la infervori e la prepari ad offrire il gran Sacrificio. Sin dal Mattutino, tutto l'Ufficio riceve già i raggi di luce che emanano da questo Sacrificio, e tale influenza durerà sin all'ora di Compieta, che pone fine al sacrificio della lode.

Un tempo, come abbiamo detto, l'elevazione avveniva alla fine del Canone, uso che ha conservato la Chiesa greca. Il sacerdote, dopo aver posto l'Ostia al di sopra del calice ed aver detto le parole: omnis honor et gloria, si volta verso i fedeli e mostra loro il Corpo e il Sangue del Signore, mentre il diacono fa ad essi udire le parole: Sancta sanctis, "le cose sante ai santi".

Finita la grande preghiera del Canone, il sacerdote rompe il silenzio che finora regnava nell'assemblea ed esclama: Per omnia ssecula saeculorum. E il popolo risponde: Amen, in segno di approvazione di ciò che è stato fatto e d'unione all'offerta, presentata a Dio.


Spiegazione della Santa Messadi Dom Prosper Guéranger O.S.B Abate di Solesmes (1805-1875) 

lunedì 29 dicembre 2014

L’ANTICRISTO E LA CHIESA CONTEMPORANEA

L’ANTICRISTO E LA PROFEZIA 

DI V. SOLOVIEV


Autore Ariel S. Levi di GualdoMa se proprio vuoi una regola, ecco cosa ti posso dire: sii saldo nella fede, non per timore dei peccati, ma perché è molto piacevole per un uomo intelligente vivere con Dio [Vladimir Sergeevič Solov’ëvI tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo 
Autore Ariel S. Levi di Gualdo


San Giovanni Paolo II 2
una splendida immagine fotografica di S. Giovanni Paolo II
Durante la sua seconda visita apostolica in Germaia, San Giovanni Paolo II disse nel lontano 1984: «… oggi il mondo sta vivendo il XII capitolo del Libro dell’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni». Affermazione che dovrebbe indurci ad un preciso quesito: se il Santo Pontefice si esprimeva trent’anni fa a questo modo, oggi, in quali termini si esprimerebbe? Come però i fatti dimostrano, pare che da un po’ di tempo a questa parte gli Augusti Pontefici è più facile proclamarli santi e beati anziché ascoltarli e seguirli, venerando in essi e nel loro sommo magistero il mistero ed il dogma di fede del mandato conferito dal Verbo di Dio a Pietro [cf. Mt 16, 14-18]. È infatti noto e risaputo: fare una bella cerimonia di canonizzazione in fondo non costa niente. Come non costa mettere in piedi fondazioni dedicate a San Giovanni XXIII, a San Giovanni Paolo II, al Beato Paolo VI. Qualche banca con un consiglio di amministrazione composto da massoni sempre lieti di foraggiare a botte di soldi la spocchia incontenibile di qualche vescovo e cardinale, allo scopo di colpire e di distruggere quanto meglio possibile la Chiesa da dentro, in giro per l’Italia si trova sempre, ciò che paiono invece scarseggiare sono vescovi e cardinali che facendosi carico di tutti i pericolosi rischi del caso accettino di essere linciati dalla piazza non più disposta ad ascoltare e recepire certi messaggi evangelici. O peggio: ad essere dilaniati all’interno dello stesso mondo ecclesiale per avere invitato l’esercito sempre più fitto di modernisti e di apostati a mettere in pratica ciò che certi santi e beati pontefici esortano a praticare attraverso gli atti del loro magistero, scritto per la gloria di Dio e per la salvezza dell’uomo, non per la gloria dell’uomo, che di secolo in secolo è capace di usare come pretesto Dio, la sua Chiesa e tutti i suoi Santi per la propria vanità.

Benedetto XVI atto di rinuncia
Cliccare sopra l’immagine per ascoltare l’atto di rinuncia del Sommo Pontefice Benedetto XVI con traduzione del testo latino
Oggi che abbiamo sofisticati mezzi di comunicazione in grado di trasmettere immagini in tempo reale, il ricordo della cerimonia di beatificazione, poi quella di canonizzazione di Giovanni Paolo II, dovrebbe indurre a riflettere, perché mai s’erano visti sino a prima tutti i principali responsabili della condizione di degrado in cui oggi versa la Chiesa di Cristo immortalati dalle televisioni internazionali come stars a quello che loro stessi chiamavano «grande evento», intrisi di mondano clericalese e privi ormai di adeguati linguaggi ecclesiali. A festeggiare il nuovo beato e santo pontefice hanno così sfilato, in rosso e violaceo sulle passerelle d’onore, anche tutti coloro sui quali incombe la responsabilità d’aver gettato la Sposa di Cristo sul marciapiede come una prostituta. Gli stessi a causa dei quali il Sommo Pontefice Benedetto XVI farà atto di rinuncia al ministero petrino pochi anni dopo, dichiarando di non essere più in grado, per età e per mancanza di forze fisiche, di reggere certe situazioni, che in altre parole equivale a dire: l’incapacità di far fonte a certe persone, posto che “situazioni” — semmai a qualcuno sfuggisse — vuol dire “persone”, ossia coloro che siffatte situazioni le hanno generate e che tutt’oggi le reggono in piedi facendo uso del peggiore autoritarismo e delle peggiori vessazioni verso coloro che osano denunciare il male solo perché desiderano risollevare la propria amata sposa dal marciapiede dove questi scellerati l’hanno gettata, non certo per l’inutile piacere di denunciare il male fine a se stesso.

Lapidazione di Santo Stefano, ( XVI sec.)
Alla cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, per reale paradosso legato come tale a quel mistero del male che ci insidia sin dall’alba dei tempi, in pratica s’è assistito a questo: … come se coloro che avevano assassinato il diacono Stefano a colpi di pietre [Cf. At 6, 8-12; 7, 54-60], pochi anni dopo lo avessero dichiarato protomartire, partecipando primi avanti a tutti alla sua cerimonia di beatificazione e magnificando a giornali, televisioni e ad un nugolo di vaticanisti privi di memoria storica, la eroicità delle sue virtù. E pensare che molti romantici sono convinti che le meretrici esercitano il proprio antico mestiere dentro i lupanare e non certo dentro i palazzi ecclesiastici. Io che però sono sacerdos in aeternum e che sono nato col peccato originale lavato dal Battesimo al quinto giorno di vita, le cose tendo a vederle in altro modo, forse con meno romanticismo e più realismo, anche per quanto riguarda l’esercizio dell’antico mestiere del meretricio, un mestiere tanto diffuso quanto trasversale …

Vladimir Soloviev
ritratto di Vladimir Sergeevič Solov’ëv [Mosca, 16 gennaio 1853 – Uzkoe, 31 luglio 1900]
Solov’ëv è scomparso all’alba del Novecento, secolo nel quale s’era affacciato dopo aver vissuto i travagli dell’Ottocento e profetando il futuro che si sarebbe aperto; un futuro fatto di tanti “ismi“: filosofismi, liberalismi, modernismi, comunismi, psicanalismi, sociologismi, teologismi … Egli si colloca quindi nel mondo della belle époque, in anni in cui l’uomo era certo del sorgere di un mondo felice, ispirato dalle nuove grandi spinte di un progresso tecnologico che giunge talora a vere e proprie forme di idolatria della tecnologia; una tecnologia in nome della quale spesso, il pensiero moderno, ha cercato di sfrattare l’idea stessa di Dio dalla società contemporanea. Il tutto all’ombra orientata e ispirata dalla nuova religione del progresso, del principio evangelico di carità divenuta mecenatismo svuotato di sentimenti e di sostegni metafisici, in un mondo sicuro di marciare verso una èra illuminata dalla libertà di una nuova sicurezza sociale.

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Una copia d’epoca del New York Times che annuncia il disastro del Titanic
Nel primo decennio del Novecento il mondo fu toccato da un episodio che scosse l’opinione pubblica: l’affondamento del Titanic inabissatosi alle ore 2.20 nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 in acque temperate attorno a zero gradi. Di 2.223 passeggeri 1.523 persero la vita morendo per assideramento. Tutti erano provvisti di salvagente ed avrebbero potuto salvarsi grazie ai soccorsi, che quando giunsero poterono solo raccogliere centinaia di corpi che galleggiavano nelle acque gelide. Questo disastro, considerato il più grande nella storia della navigazione, ha prodotto una copiosa letteratura, alla quale s’è poi unita la cinematografia.

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cliccare sopra l’immagine per vedere il filmato del relitto
Il Titanic fu a suo modo espressione di un uomo certo di dominare sulle leggi della natura; invincibile e sicuro di dare vita a cose indistruttibili, inattaccabili. C’è poi un forte elemento simbolico, per dirla con un celebre maestro e col suo celebre allievo divenuti poi avversari: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung: il ghiaccio. Questo titano inaffondabile e invincibile creato da un uomo auto proclamatosi altrettanto invincibile, non è colpito dalla calda passione del sole ma dal ghiaccio, dal gelo al quale aveva iniziato a dare vita l’uomo moderno che può fare a meno di Dio. E mentre i maestri del moderno pensiero spingevano i locomotori verso barriere di ghiaccio, Solov’ëv non si lascia ammaliare e preannunzia in modo lucido e profetico i mali che sarebbero nati dalle metastasi che l’uomo stava mettendo in circolo; mali che poi, alla concreta prova dei fatti, ad uno ad uno si sono avverati.

lenin e stalin
Lenin e Stalin, dipinto sovietico degli anni Cinquanta
Discorrendo nel 1880 sul Secondo discorso sopra Dostoevskij, sembra quasi che Solov’ëv intuisca le brutalità del Comunismo che dopo la Rivoluzione di Ottobre del 1917 principieranno a ripercuotersi sull’umanità, dando al mondo un assetto del tutto diverso dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. L’uomo viene spersonalizzato nel progetto sociale e politico del Socialismo Reale, divenendo da protagonista biblico dell’umanità creata a immagine e somiglianza di Dio, anonimo ingranaggio vittima di una ideologia creata a immagine e somiglianza di un uomo socialmente e umanamente corrotto, attraverso il quale si giungerà ai noti processi di disumanizzazione portati avanti da Lenin e soprattutto da Stalin.

San Michele giardini vaticani
Statua a San Michele Arcangelo eletto protettore della Città del Vaticano, voluta dal Sommo Pontefice Benedetto XVI e poi collocata nei pressi del Palazzo del Governatorato, con la scritta sottostante a Lucifero trafitto dalla lancia: “Et portae Inferi non praevalebunt“… 
Nella sua ultima pubblicazione, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900, è impressionante rilevare la chiarezza con cui Solov’ëv prevede che il secolo XX sarà l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni [Cf. Ed. Marietti pag. 184]. Dopo di che afferma che tutto sarà pronto perché perda di significato la vecchia struttura in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle istituzioni monarchiche [pag. 188]. Si arriverà così alla Unione degli Stati Uniti d’Europa [pag. 195]. È invero stupefacente la perspicacia con cui Solov’ëv descrive la grande crisi che colpirà il Cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, raffigurata attraverso l’Anticristo che riuscirà ad influenzare e condizionare un po’ tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli — seguita a narrare Solov’ëv — sarà un convinto spiritualista, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza [pag. 211]. Nei confronti di Cristo non avrà un’ostilità di principio [pag. 190]; anzi ne apprezzerà l’alto insegnamento. Ma non potrà sopportarne — e perciò la censurerà — la sua assoluta unicità [pag. 190]; e dunque non si rassegnerà ad ammettere ed a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.

Marietti soloviev
I Tre Dialoghi ed i Racconti dell’Anticristo editi dall’Editrice Marietti
In queste righe prende forma la critica al Cristianesimo dei “valori”, delle “aperture” e del “dialogo”, dove pare rimanga poco spazio al mistero della Persona del Verbo di Dio fatto Uomo, crocifisso per noi e risorto. Tutto appare assorbito nelle melasse sentimentali delle tenerezze vaporose. Certo abbiamo di che riflettere, se pensiamo alla militanza di fede ridotta ad un’azione umanitaria di tipo socio-culturale; al messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni; alla Chiesa di Dio scambiata per un’organizzazione di promozione sociale nella quale si moltiplicano “eventi” costruiti su strategie dimarketing. Siamo sicuri che Solov’ëv non abbia davvero previsto ciò che è effettivamente avvenuto e che non sia proprio questa l’insidia odierna più pericolosa per la “nazione santa” redenta dal sangue di Cristo? È un interrogativo molto inquietante che proprio per questo non dovrebbe essere eluso; ed invece proprio per questo viene rifiutato, a volte anche in modo violento, dentro la Chiesa e fuori dalla Chiesa.
martiri del 2014
talvolta si ha l’impressione che il mondo sul baratro della follia sia troppo impegnato a difendere i “diritti” alle peggiori perversioni propinate dalla cultura del gender, per volgere lo sguardo verso un massacro di cristiani che negli ultimi anni ha superato quello dei primi secoli di storia del Cristianesimo
Solov’ëv ha compreso a fondo il XX secolo, forse siamo noi che non abbiamo capito lui, o più semplicemente non vogliamo capirlo per una chiusura reattiva-difensiva, tanto da non avergli mai prestato ascolto. Lo dimostrano molti atteggiamenti odierni di numerosi cristiani che si reputano colti ed impegnati sul versante ecclesiale, o che si reputano “cristiani adulti”. Proviamo solamente a pensare alle forme sempre più esasperate ed esasperanti di individualismo egoistico determinanti i nostri costumi e le nostre leggi attraverso le quali è progressivamente sovvertito l’ordine naturale. Basta solo analizzare quella cultura del gender che sta assumendo sempre più i connotati di una devastante dittatura, con tanto di censure ai sensi di legge e di condanne dei tribunali a carico di soggetti riconosciuti rei di avere espresso un pacifico pensiero di dissenso, considerato non più diritto ma reato. In certi Paesi della decadente Europa ammalata d’odio verso se stessa e verso le proprie radici cristiane e che progressivamente si sta consegnando all’Islam, chi osa affermare che quella propinata da certe lobby di pederasti e di lesbiche incattivite è una venefica cultura di morte, finisce ormai condannato per omofobia. Per seguire col pacifismo spesso mutato in violento pacifondismo, con la non-violenza spesso mutata in aggressione ideologica intrisa di sprezzo verso gli altri. Gli ideali di pace e di fraternità non sono più letti in chiave evangelica ma illuministica e come tali strutturati sul furore giacobino, vale a dire in chiave ideologica anti-cristiana, col conseguente risultato che dinanzi alle aggressioni ed alle peggiori prepotenze i nostri non pochi pastori smidollati finiscono subito col cedere, corrono a trattare, o come Esaù svendono la legittima primogenitura per un piatto di lenticchie [Cf. Gen 25, 29-34], lasciando senza alcuna difesa i deboli e gli oppressi, in modo del tutto particolare se sono cattolici e cristiani perseguitati a causa della loro fede, dentro la Casa di Dio e fuori dalla Casa di Dio.

In tutto questo si collocano certi potenti filoni della moderna teologia che dopo avere confuso il concetto metafisico di assoluto inteso come assolutezza della fede, col concetto socio-politico del tutto diverso di assolutismo, hanno proceduto ad una vera e propria de-costruzione e distruzione del dogma, dopo avere minato quel concetto di assolutezza della fede in virtù del quale Cristo è per noi il Verbo di Dio incarnato, morto è risorto, che come tale rappresenta il centro del nostro presente, del nostro essere e divenire futuro, quindi il fine ultimo escatologico del nostro intero umanesimo.

solidarietà massonica
la nostra solidarietà cristiana è racchiusa tutta nella suprema virtù teologale della Carità del Verbo di Dio, non nella solidarietà della Libera Muratoria del Grande Architetto dell’Universo
Che dire della virtù teologale della Carità, la più importante, come la definisce San Paolo [Cf. I Cor 13,13], alla quale si è sostituito a poco a poco uno dei concetti più cari alla cultura massonica: la solidarietà? Detto questo non mi ripeto e mi limito a rimandare al mio articolo sulla neolingua, dove parlo delle parole svuotate del loro significato e riempite d’altro, il tutto sulla scia di un dramma odierno che pare a volte quasi irreversibile: abbiamo perduto il nostro vocabolario ed il nostro linguaggio, che è quello metafisico, per andare incontro non a parole nuove, ma a concetti senza senso che minano i fondamenti della nostra fede, che per esprimersi ha bisogno di chiare e precise parole [vedere qui].

dolce e gabbana
Se non fossero chiari i risultati della “mitica” rivoluzione sessuale e della “liberazione” della donna, ecco una pubblicità dell’azienda degli stilisti Dolce&Gabbana nella quale si simula lo stupro di una autentica donna oggetto del XXI secolo, figlia della donna finalmente “liberata” quattro decenni prima dal furore dei movimenti femministi
Il Novecento, dopo una rivoluzione sessuale che ha manifestato un tripudio di egoismo, che non ha liberato affatto la donna ma l’ha resa veramente “oggetto” più di quanto storicamente e socialmente sia mai stata e che ha scisso la sessualità dall’amore umano, è infine giunto a livelli tali di perversione istituzionalizzata da rendere difficile trovare adeguati eguali storici, persino andando a prendere a prestito le immagini di Sodoma e Gomorra, che però non rendono l’idea, soprattutto non rendono “giustizia” alcuna alla realtà del nostro presente.
Il Novecento è stato anche il secolo più oppressivo della storia, privo di rispetto per la vita umana e privo di misericordia; e certi istinti ormai in circolo da un secolo nel sangue delle nuove generazioni non si eliminano con inviti cinetelevisivi alla tenerezza, perché il lavoro che si richiede è molto più complesso, ma soprattutto più drastico, perché basato su un rischio che non si può evitare di correre: il non piacere alle masse ed alle elites di potere. Per non parlare della misericordia vera, quella correttamente intesa, recepita e praticata secondo il Mistero della Rivelazione, esposta e riassunta in numerosi passi dei Vangeli, prendiamone solo uno tra i diversi:
«Se il tuo occhio destro è motivo di scandalo cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna» [Mt 5, 29-30]
piede diabetico 2
quale saggio medico, sarà così scelleratamente “misericordioso”, da lasciare che la cancrena assalga l’intero corpo, anziché salvarlo attraverso l’amputazione dell’arto infetto?
Se però all’interno della Chiesa contemporanea qualcuno è davvero convinto che dinanzi ad un corpo assalito da un devastante diabete degenerativo che ha generato una cancrena al piede, sia invece molto misericordioso non amputarlo, perché non è bene privare un essere umano di un arto, in tal caso è presto detto: ci si preparari alla inevitabile conseguenza della cancrena che da lì a breve assalirà anche tutti gli altri arti del corpo.

Il Novecento è stato il secolo che ha assistito allo sterminio degli ebrei, che non è stato il solo, anche se pochi ricordano il genocidio degli armeni a cavallo della prima guerra mondiale. Nessuno commemora le decine e decine di milioni di uccisi sotto il regime sovietico e pochi si avventurano a fare il conto delle vittime sacrificate nelle varie parti del mondo all’utopia comunista. Nel corso di questo secolo si è imposto a intere popolazioni l’ateismo di Stato, mentre nell’Occidente secolarizzato si è diffuso un ateismo edonistico e libertario, fino ad arrivare all’idea grottesca della “morte di Dio”.

Soloviev foto
Vladimir Sergeevič Solov’ëv
Solov’ëv è stato profeta e maestro inattuale e inascoltato, a lungo relegato nella letteratura visionaria. In realtà è stato un appassionato difensore dell’uomo schivo ad ogni filantropia. È stato un apostolo infaticabile della pace e avversario del pacifismo. Auspicò l’unità tra i cristiani e fu duramente critico verso ogni irenismo. Fu innamorato della natura ma totalmente distaccato dalle odierne infatuazioni ecologiche, o per dirla in breve: fu amico innamorato della Verità rivelata del Verbo di Dio e nemico ostile di ogni ideologia e di ogni socio-teologia pseudo religiosa. Queste sono le guide di cui oggi abbiamo estremo bisogno, assieme alla vera misericordia. Non abbiamo bisogno, né mai un corpo infetto da arti in cancrena sarà salvato con l’acqua distillata della vaporosa tenerezza, ma solo con la grande misericordia del bisturi …

domenica 28 dicembre 2014

mistero gaudioso del sesso

Il mistero gaudioso del sesso. 

Ecco come e perché Dio ha creato 

il mondo nell’amore 

tra maschio e femmina



Pubblichiamo alcuni estratti dell’intervento del rabbino Jonathan Sacks (con Benedetto XVI è considerato la massima autorità spirituale e morale ebraica ortodossa in Gran Bretagna) al Colloquio interreligioso internazionale “Humanum – La complementarietà fra uomo e donna”, Roma 17-19 novembre.

Stamattina voglio cominciare la nostra conversazione raccontando la storia della più bella idea nella storia della civiltà: l’idea dell’amore che porta nuova vita nel mondo. Ci sono molti modi di raccontarla. Per me è una storia fatta di sette momenti chiave, ciascuno dei quali sorprendente e inatteso.
Il primo, secondo un articolo scientifico apparso di recente, ebbe luogo 385 milioni di anni fa in un lago della Scozia. Fu allora, secondo la recente scoperta, che due pesci si unirono per realizzare il primo esempio di riproduzione sessuale noto alla scienza. Fino ad allora la vita si era propagata in modo asessuato, per divisione cellulare, gemmazione, frammentazione o partenogenesi: tutte forme più semplici e più economiche della divisione della vita in maschio e femmina, ciascuno dei due con un ruolo diverso nella creazione e nel sostentamento della vita. Quando consideriamo quanto sforzo ed energia richiede la congiunzione del maschio e della femmina nel regno animale – in termini di esibizione, rituali di corteggiamento, rivalità e violenze – è stupefacente che la riproduzione sessuale abbia cominciato a esistere. I biologi non sono sicuri del perché. Alcuni dicono che era funzionale alla protezione dai parassiti, o all’immunizzazione da malattie. Altri dicono semplicemente che l’incontro di opposti genera diversità. Ma in tutti i modi, quei pesci in Scozia scoprirono qualcosa di nuovo e magnifico, che da allora è stato copiato virtualmente da tutte le forme di vita evolute. La vita comincia quando il maschio e la femmina si incontrano e si abbracciano.
Il secondo inatteso sviluppo fu la sfida unica posta all’Homo sapiens da due fattori: assumemmo la posizione eretta, che compresse il bacino della femmina, e ci trovammo con cervelli più grandi (un aumento del 300 per cento), il che volle dire teste più grandi. Il risultato fu che i cuccioli degli umani cominciarono a venire al mondo più prematuramente di quelli di qualunque altra specie, e così si trovarono ad avere bisogno della cura parentale per un tempo molto più lungo. Ciò rese l’accudimento genitoriale più esigente fra gli umani che fra qualunque altra specie, opera di due persone anziché di una sola. Da qui il fenomeno – molto raro fra i mammiferi – del legame di coppia, diversamente dalle altre specie nelle quali il contributo del maschio tende a concludersi con l’atto della fecondazione. Fra la maggior parte dei primati, i padri nemmeno riconoscono i loro figli, oltre a non prendersi cura di loro. Nel resto del regno animale la maternità è quasi universale, ma la paternità è rara. Perciò quello che emerse insieme alla persona umana fu l’unione della madre e del padre biologici per prendersi cura del figlio. Fin qui la natura, ma poi venne la cultura, e con lei la terza sorpresa.

Monoteismo e monogamia
Pare che fra i cacciatori-raccoglitori il legame di coppia fosse la norma. Poi sorsero l’agricoltura e i surplus economici, le città e la civiltà, e per la prima volta stridenti ineguaglianze cominciarono a emergere fra ricchi e poveri, potenti e senza potere. I grandi ziggurat della Mesopotamia e le piramidi dell’antico Egitto con la loro base larga e la cima stretta erano affermazioni monumentali di pietra di una società gerarchica nella quale i pochi avevano potere sui molti. E la più ovvia espressione di potere fra i maschi alfa, sia umani che primati, è di dominare l’accesso alle donne fertili e così massimizzare la trasmissione dei propri genî alla generazione seguente. Da qui la poligamia, che esiste nel 95 per cento dei mammiferi e nel 75 per cento delle culture studiate. La poligamia è l’espressione ultima della diseguaglianza, perché significa che molti maschi non avranno mai la possibilità di avere una moglie e un figlio. E l’invidia sessuale è stata, per tutta la storia, fra gli animali come fra gli umani, un fattore primario di violenza. È questo che rende così rivoluzionario il primo capitolo della Genesi, nella sua affermazione che ogni essere umano, indipendentemente dalla classe, dal colore della pelle, dalla cultura o dal credo, è fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso.
Sappiamo che nel mondo antico a essere considerati a immagine di Dio erano i governanti, i re, gli imperatori e i faraoni. Quello che la Genesi dice è che siamo tutti di stirpe reale. Abbiamo tutti la stessa dignità nel regno della fede sotto la sovranità di Dio. Da ciò consegue che ciascuno di noi ha un uguale diritto a sposarsi e ad avere figli, ed è per questo che, a prescindere dall’interpretazione che diamo della storia di Adamo ed Eva, la norma presupposta da quella storia è: una donna, un uomo. O, come la Bibbia dice, «per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una carne sola». La monogamia non divenne immediatamente la norma, nemmeno in ambito biblico. Ma molte delle sue storie più famose, come quella della tensione fra Sara e Agar, o di Lea e Rachele e i loro figli, o di Davide e Betsabea, o delle molte mogli di Salomone, sono tutte critiche che puntano in direzione della monogamia.
E c’è una profonda connessione fra il monoteismo e la monogamia, come ce n’è una, nella direzione opposta, fra idolatria e adulterio. Il monoteismo e la monogamia riguardano la relazione totale fra un io e un Tu, fra me stesso e un altro, sia esso umano o divino. Ciò che rende insolito l’apparire della monogamia è il fatto che normalmente i valori di una società sono imposti dalla classe dominante. E la classe dominante in ogni società gerarchica ha da guadagnarci dalla promiscuità e dalla poligamia, entrambe le quali moltiplicano le possibilità dei miei genî di essere trasmessi alla generazione successiva. Con la monogamia i ricchi e potenti ci perdono, mentre i poveri e i senza potere ci guadagnano. Il ritorno della monogamia andava contro la normale direzione del cambiamento sociale e rappresentò un vero trionfo per l’uguale dignità di tutti. Ogni sposo e ogni sposa sono di stirpe reale; ogni casa è una reggia quando vi abita l’amore.

Un patto è come il matrimonio
Il quarto importante sviluppo fu il modo in cui questo trasformò la vita morale. Il lavoro dei biologi con le loro simulazioni al computer e il loro ricorso al “dilemma dei prigionieri” per spiegare perché fra tutti gli animali sociali esista il comportamento altruistico reciproco, ci sono diventati familiari. Noi ci comportiamo con gli altri come vorremmo che gli altri si comportassero con noi, e rispondiamo loro come vorremmo che loro rispondessero a noi. Come ha sottolineato C. S. Lewis nel suo libro L’abolizione dell’uomo, la reciprocità è la regola d’oro comune a tutte le grandi civiltà. Ciò che di nuovo e notevole presentava la Bibbia ebraica, era l’idea che l’amore, e non semplicemente la giustizia, è il principio guida della vita morale. I tre amori: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente»; «Ama il prossimo tuo come te stesso»; «Ama lo straniero perché sai come ci si sente a essere uno straniero». O, detto in un altro modo, come Dio ha creato il mondo naturale nell’amore e nel perdono, così noi siamo incaricati di creare il mondo sociale nell’amore e nel perdono. E quell’amore è una fiamma che viene accesa nel matrimonio e nella famiglia. La moralità è l’amore fra il marito e la moglie e fra il genitore e il figlio, estesi verso l’esterno a tutto il mondo.
Il quinto sviluppo ha caratterizzato l’intera struttura dell’esperienza ebraica. Nell’antico Israele una forma di accordo originariamente secolare, chiamata patto, fu presa e trasformata in un nuovo modo di pensare la relazione fra Dio e l’umanità, nel caso di Noè, fra Dio e un popolo nel caso di Abramo e più tardi degli israeliti al Monte Sinai. Un patto è come un matrimonio. È un impegno di lealtà reciproca e di fiducia fra due o più persone a lavorare insieme per ottenere insieme ciò che da solo nessuno dei due potrebbe ottenere. E c’è una cosa che nemmeno Dio può ottenere da solo: vivere nel cuore umano. Per questo ha bisogno di noi. Perciò la parola ebraica “emunah”, erroneamente tradotta come fede, in realtà significa fedeltà, lealtà, costanza, non abbandonare quando si fa dura, avere fiducia nell’altro e onorare la fiducia dell’altro verso di noi. Ciò che il patto operò, come vediamo in molti profeti, fu di far comprendere la relazione fra noi e Dio nei termini del rapporto fra sposo e sposa, fra moglie e marito. L’amore divenne non solo la base della moralità, ma anche della teologia. Nell’ebraismo la fede è un matrimonio. (…)
Questo ci conduce a una sesta idea: che la verità, la bellezza, la bontà e la vita non esistono in nessuna persona o entità a sé stante, ma nel “fra”, ciò che Martin Buber ha chiamato l’interpersonale, il contrappunto del parlare e ascoltare, del dare e ricevere. Attraverso tutta la Bibbia e la letteratura rabbinica, il veicolo della verità è la conversazione. Nella rivelazione Dio parla e ci chiede di ascoltare. Nella preghiera noi parliamo e Dio ascolta. Non c’è mai una voce sola. Nella Bibbia i profeti discutono con Dio. Nel Talmud i rabbini discutono fra di loro. In effetti a volte io penso che Dio abbia scelto il popolo ebraico perché Gli piace discutere. (…) Il profeta Malachia dice che «le labbra del sacerdote dovrebbero custodire la conoscenza e dalla sua bocca uno dovrebbe cercare la legge». Il libro dei Proverbi della donna di valore dice che «apre la sua bocca con sapienza, e sulla sua lingua c’è la legge della bontà». È questa conversazione fra voci maschili e femminili, fra verità e amore, fra giustizia e misericordia, legge e perdono, che caratterizza la vita spirituale. Nei tempi biblici ogni ebreo doveva dare un mezzo siclo al Tempio per ricordarci che siamo solo una metà. Ci sono culture che insegnano che non siamo nulla. Altre che insegnano che siamo tutto. Il punto di vista ebraico è che siamo una metà e che dobbiamo aprirci a un altro se vogliamo diventare un intero.

Ciò che era unito ora è separato
Tutto questo ha portato al settimo risultato, e cioè che nell’ebraismo la casa e la famiglia divennero la scena centrale della vita di fede. Nell’unico verso della Bibbia nel quale si spiega perché Dio scelse Abramo, il Signore dice: «Io l’ho prescelto perché ordini ai suoi figli, e alla sua casa dopo di lui, che seguano la via del Signore per praticare la giustizia e il diritto». Abramo non fu scelto per governare un impero, comandare un esercito, compiere miracoli o pronunciare profezie, ma semplicemente perché fosse un genitore. In uno dei più famosi passaggi dei testi ebraici, Mosè ordina: «Insegnerai queste cose ripetutamente ai tuoi figli, parlandone quando siedi a casa o procedi per la strada, quando ti corichi e quando ti alzi». I genitori devono essere educatori, l’educazione è la conversazione fra le generazioni, e la prima scuola è la casa. Perciò noi ebrei siamo un popolo intensamente orientato alla famiglia, ed è questo che ci ha salvato dalla tragedia. Dopo la distruzione del Secondo Tempio nell’anno 70, gli ebrei si dispersero in tutto il mondo, ovunque una minoranza, ovunque privi di diritti, e soffrirono alcune delle peggiori persecuzioni mai conosciute da un popolo. E tuttavia gli ebrei sopravvissero come popolo perché non persero mai tre cose: il loro senso della famiglia, il loro senso della comunità e la loro fede. (…)

Il matrimonio e la famiglia sono il luogo dove la fede trova la sua casa e dove la Divina presenza vive nell’amore fra marito e moglie, genitore e figlio. Cos’è cambiato, allora? (…) Ciò che ha reso la famiglia tradizionale un’opera d’arte religiosa, è ciò che essa ha unito insieme: attrazione sessuale, desiderio fisico, amicizia, compagnia, affinità emotiva e amore, generazione dei figli e loro protezione e cura, loro prima educazione e immissione in un’identità e in una storia. Raramente un’istituzione ha riunito insieme così tante pulsioni e desideri diversi, ruoli e responsabilità. Ha dato senso al mondo e gli ha dato un volto umano, il volto dell’amore. Per una grande varietà di ragioni, alcune delle quali hanno a che fare con sviluppi medici come il controllo delle nascite, la fecondazione assistita e altri interventi genetici, altre con cambiamenti morali come l’idea che siamo liberi di fare tutto quello che vogliamo se non danneggia altri, alcune con il trasferimento di responsabilità dall’individuo allo Stato, e altri più profondi cambiamenti nella cultura dell’Occidente, quasi tutto ciò che il matrimonio una volta aveva riunito insieme, ora è stato separato.

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