martedì 31 dicembre 2013

TE DEUM

TE DEUM




Michel-Richard DELALANDE ( 1651-1726 )
Solistes, St Anthony Singers, Boyd Neel Orchestra
Direction Anthony HOPKINS

lunedì 30 dicembre 2013

Karl Rahner: l'eresiarca

La svolta antropologica di Karl Rahner


ha usato s. Tommaso per ingannare, con un linguaggio contorto e farraginoso, sia i lettori meno accorti che la stessa Chiesa docente: molti purtroppo hanno voluto farsi ingannare e si direbbe ex post che quasi non aspettassero altro … 



Lo stimmatino Cornelio Fabro (Flumignano 1911 – Roma 1995) è uno degli esempi più emblematici, di ciò che sarebbe potuto essere, e non fu, l’auspicato rinnovamento conciliare. Studioso intrepido e versatile, conoscitore profondo e sistematico sia della filosofia classica e medievale che di quella moderna e contemporanea di impronta germanica (Kant, Hegel, Nietzsche, Heidegger), eccellente pastore di anime e parroco operoso fino all’ultimo, padre Fabro vide a poco a poco scemare la sua influenza negli anni del post-Concilio, in nome dei nuovi teologi e della loro biasimevole “svolta antropologica”.

Nel suo libro appena ristampato (La svolta antropologica di Karl Rahner, edizioni EDIVI, Segni 2011, pp. 210, euro 27). Egli si confronta con uno dei più importanti studiosi del fronte progressista, il padre e gesuita Karl Rahner (1900 – 1984). Fabro, in un certo senso, è l’anti-Rahner per eccellenza, e la sua speculazione teologica e filosofica resta sempre, convintamente, all’interno dell’ortodossia, della Tradizione e di quel retto pensiero classico e cristiano che non è un limite frapposto alla ragione, ma semmai un trampolino.

Secondo padre Fabro, il gesuita tedesco partendo da un «soggettivismo radicale, mai finora tentato dopo la crisi modernistica», «non teme di capovolgere i principi fondamentali del realismo tomistico» (p. 7), miscelando sapientemente tomismo e idealismo, tomismo e Kant, tomismo e Heidegger. Per la scorrettezza metodologica assunta – che arriva sino alla falsificazione testuale (cf. p. 65ss.) – si può parlare secondo lo stimmatino di «depravazione ermeneutica del tomismo» (p. 7).

Un nemico mortale della dogmatica cattolica come Rahner, che proprio per questo diverrà un caposcuola nel postconcilio, ha una saccenza che appare assolutamente dogmatica a Fabro, non avendo il tedesco «mai preso in considerazione le riserve e le critiche di alcun genere» (p. 8). Nella prima parte dell’opera, Fabro dimostra un primo assunto della speculazione rahneriana e cioè l’identità di essere e conoscere: «tesi centrale della concezione rahneriana» (p. 32). Rahner infatti scrisse: «Sein und Erkennen ist dasselbe» (p. 35).

Che da qui vada in fumo tutta la grande filosofia cristiana fondata giustappunto sulla chiara distinzione (metafisica, ontologica, essenziale) fra essere ed essere conosciuto, appare perfino banale. Per Rahner infatti è la «soggettività umana» il centro di tutto, perfino «dello svelarsi dell’essere» e della «divina rivelazione» (cf. p. 13). La tesi annessa è quella della «priorità fondante del pensiero sull’essere» (p. 23), chiaro capovolgimento della tradizione tomistica, aristotelica, platonica e parmenidea.

Secondo il Nostro, il gesuita «ha fatto la sua opzione a favore del principio moderno di immanenza» (p. 25): è l’uomo che ora stabilisce i confini dell’essere, è il pensiero pensante che pone Dio nella misura dell’utile (Kant). Inutile insistere. Nuovi recentissimi studi, come quelli di padre Cavalcoli, hanno confermato ad abundantiam l’assunto fabriano e cioè che «l’impianto della sua interpretazione [di Rahner] era viziato nel suo fondamento» (p. 49), e le conseguenze non potevano non coinvolgere tutta la dottrina cattolica: dogmatica, morale, ecclesiologica, liturgica, etc.


Rahner, «il deformator thomisticus radicalis» (p. 81), ha usato san Tommaso per ingannare, con un linguaggio contorto e farraginoso, sia i lettori meno accorti che la stessa Chiesa docente: molti purtroppo hanno voluto farsi ingannare e si direbbe ex post che quasi non aspettassero altro… In estrema sintesi Rahner appare come il vate dell’ «orizzontalsimo antropologico» (quasi un Feuerbach cattolico) il quale, «contrastato prima del Concilio» è poi divenuto «il portabandiera della nuova versione nordica del cristianesimo immanentistico» (p. 60). E questo anche grazie all’ «appoggio di una parte notevole dell’episcopato tedesco» (p. 65, n. 122). (Fabrizio Cannone)

BERGOGLIO SECONDO SCALFARI

PAPA BERGOGLIO SECONDO EUGENIO SCALFARI


La rivoluzione di Francesco ha abolito il peccato 

Caro Eugenio, ma «io lo so che tu non hai, e non vuoi averlo, un cuore libero» ( Pasolini)

SI CERCANO con insistenza le novità e le innovazioni con le quali papa Francesco sta modificando la Chiesa. Alcuni sostengono che le novità sono di pura fantasia e le innovazioni del tutto inesistenti; altri al contrario sottolineano le innovazioni organizzative che non turbano tuttavia la tradizione teologica e dottrinaria; altri ancora definiscono Francesco, Vescovo di Roma come egli ama soprattutto definirsi, un Pontefice rivoluzionario. 

Personalmente mi annovero tra questi ultimi. È rivoluzionario per tanti aspetti del suo ancor breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato.

Un Papa che abbia modificato la Chiesa, anzi la gerarchia della Chiesa, su una questione di questa radicalità, non si era mai visto, almeno dal terzo secolo in poi della storia del cristianesimo e l'ha fatto operando contemporaneamente sulla teologia, sulla dottrina, sulla liturgia, sull'organizzazione. Soprattutto sulla teologia.

I critici di papa Francesco sottovalutano le sue capacità e inclinazioni teologiche, ma commettono un grossolano errore. Il peccato è un concetto eminentemente teologico, è la trasgressione di un divieto. Quindi è una colpa. 

La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: "Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me". 

Poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre. Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: "Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d'altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)".

Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all'ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia  -  che ancora non è arrivato per gli ebrei  -  non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l'uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge.

È Creatore e padrone delle cose create. Nulla è mai esistito prima di lui e quindi da quando esiste comincia la creazione. Questo Dio i cristiani l'hanno ereditato trasformandolo fortemente nella sua essenza ma facendone propri alcuni aspetti importanti: il divieto e quindi il peccato e la colpa. Adamo ed Eva peccarono e furono puniti, Caino peccò e fu punito, e anche i suoi discendenti peccarono e furono puniti. L'umanità intera peccò e fu punita dal diluvio universale.

Questo è il Dio di Abramo, il Dio della cattività egizia e babilonese, di Assiria, di Babele, di Sodoma e Gomorra. Nella sostanza è il Dio ebraico o molto gli somiglia salvo che nella predicazione di alcuni profeti e poi soprattutto in quella evangelica di Gesù.

Nei secoli che seguirono, fino all'editto di Costantino che riconobbe l'ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offrì martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell'amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l'agape, la carità e l'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso".
Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che si manifestò con l'amore e il perdono.

Nella dottrina dei Concili e dei Papi restano tuttavia le categorie del Dio giudice, del Dio esecutore di giustizia, del Dio che ha edificato una Chiesa e man mano l'ha distaccata dal popolo dei fedeli. Dall'editto di Costantino sono passati 1700 anni, ci sono stati scismi, eresie, crociate, inquisizioni, potere temporale. Novità e innovazioni continue su tutti i piani, teologia, liturgia, filosofia, metafisica. Ma un Papa che abolisse il peccato ancora non si era visto. Un Papa che facesse della predicazione evangelica il solo punto fermo della sua rivoluzione ancora non era comparso nella storia del cristianesimo.

Questa è la rivoluzione di Francesco e questa va esaminata a fondo, specie dopo la pubblicazione dell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l'abolizione del peccato è la parte più sconvolgente di tutto quel recentissimo documento.

***

Francesco abolisce il peccato servendosi di due strumenti: identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l'amore, la misericordia e il perdono. E poi attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza. L'uomo è libero e tale fu creato, afferma Francesco. Qual è il sottinteso di questa affermazione? Se l'uomo non fosse libero sarebbe soltanto un servo di Dio e la scelta del Bene sarebbe automatica per tutti i fedeli. Solo i non credenti sarebbero liberi e la loro scelta del Bene sarebbe un merito immenso. Ma Francesco non dice questo. Per lui l'uomo è libero, la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L'anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il Male; ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa. Purché, sia pure nell'attimo che precede la morte, quell'anima accetti la misericordia. Ma se non l'accetta? Se ha scelto il Male e non revoca quella scelta, non avrà la misericordia e allora che cosa sarà di lui?

Per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre. Può abolire l'Inferno, ma ancora non l'ha fatto anche se l'esistenza teologica dell'Inferno è discussa ormai da secoli. Può affidare al Purgatorio una funzione "post mortem" di ravvedimento, ma si entrerebbe allora nel giudizio sull'entità della colpa e anche questo è un tema da tempo discusso.

Papa Francesco indulge talvolta a ricordare ai fedeli la dottrina tradizionale anche se il suo dialogo con i non credenti è costante e rappresenta una delle novità di questo pontificato che ha trovato i suoi antecedenti in papa Giovanni e nel Vaticano II.

Francesco non mette in discussione i dogmi e ne parla il meno possibile. Qualche volta li contraddice addirittura. È accaduto almeno due volte nel dialogo che abbiamo avuto e che spero continuerà.
Una volta mi disse, di sua iniziativa e senza che io l'avessi sollecitato con una domanda: "Dio non è cattolico". E spiegò: Dio è lo Spirito del mondo. Ci sono molte letture di Dio, quante sono le anime di chi lo pensa per accettarlo a suo modo o a suo modo per rifiutarne l'esistenza. Ma Dio è al di sopra di queste letture e per questo dico che non è cattolico ma universale.

Alla mia domanda successiva a quelle sue affermazioni sconvolgenti, papa Francesco precisò: "Noi cristiani concepiamo Dio come Cristo ce l'ha rivelato nella sua predicazione. Ma Dio è di tutti e ciascuno lo legge a suo modo. Per questo dico che non è cattolico perché è universale". Infine ci fu in quell'incontro un'altra domanda: che cosa sarebbe accaduto quando la nostra specie fosse estinta e non ci sarà più sulla Terra una mente capace di pensare Dio?

La risposta fu questa: "La divinità sarà in tutte le anime e tutto sarà in tutti". A me sembrò un arduo passaggio dalla trascendenza all'immanenza, ma qui entriamo nella filosofia e vengono in mente Spinoza e Kant: "Deus sive Natura" e "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". "Tutto sarà tutto in tutti". A me, l'ho già detto, è sembrata una classica immanenza ma se tutti hanno tutto dentro di sé potrebbe essere concepita anche come una gloriosa trascendenza.

Resta comunque assodato che per Francesco Dio è misericordia e amore per gli altri e che l'uomo è dotato di libera coscienza di sé, di ciò che considera Bene e di ciò che considera Male.

Ma qui si pone un'altra e fondamentale domanda: che cos'è il Bene e che cosa è il Male? Credo sia impossibile dare una definizione a questi due concetti. Una soltanto è possibile: sono necessari l'uno all'altro per poter reciprocamente esistere di fronte ad un essere vivente che ha conoscenza di sé. Gli animali non hanno il problema del Male e del Bene perché non possiedono una mente che si guarda e si giudica. Noi sì, quella mente l'abbiamo. Se ci fosse solo il Bene, come definirlo? Ma se c'è anche il Male l'esistenza di uno fa la differenza dell'altro come accade tra la luce e il buio, tra la salute e la malattia, e se volete, tra esistenza e inesistenza. Il nulla non è definibile né pensabile perché privo di alternativa.

***

Evangelii Gaudium non parla soltanto di teologia. Anzi parla molto più a lungo di altre cose, concrete, organizzative, rivoluzionarie anch'esse. Parla del ruolo positivo e creativo delle donne nella Chiesa. Parla dell'importanza dei Sinodi dei quali il Papa fa parte in quanto Vescovo di Roma, "primus inter pares". Parla dell'autonomia delle Conferenze episcopali. Parla dell'importanza delle parrocchie e degli oratori sul territorio. Parla perfino di politica, non certo nel senso del politichese, ma della politica come visione del bene comune e della libertà per chiunque di utilizzare lo spazio pubblico per diffondere e confrontarsi con le idee altrui. Parla delle diseguaglianze che vanno diminuite. "Io non ce l'ho con i ricchi, ma vorrei che i ricchi si dessero direttamente carico dei poveri, degli esclusi, dei deboli". Così papa Francesco. E parla infine della Chiesa missionaria che rappresenta il punto centrale della sua rivoluzione. La Chiesa missionaria non cerca proselitismo ma cerca ascolto, confronto, dialogo.

Concludo con una frase che dice tutto su questo Papa, gesuita al punto d'aver canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia più nobile e più discussa tra gli Ordini della Chiesa e contemporaneamente d'aver assunto il nome di Francesco che nessun Pontefice prima di lui aveva mai usato. I gesuiti mettono al servizio della Chiesa la loro proverbiale e non sempre apprezzabile flessibilità. Francesco d'Assisi era invece integrale nella sua visione d'un Ordine mendicante e itinerante. L'Ordine francescano fu rivoluzionario ma la sua potenza fu molto limitata; la Compagnia di Gesù al contrario fu potentissima e molto flessibile.

Questo Papa riunisce in sé le potenzialità degli uni e degli altri e conclude con due righe che rappresentano la sintesi di questo storico connubio: "È necessaria una conversione del Papato perché sia più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli. Non bisogna aver paura di abbandonare consuetudini della Chiesa non strettamente legate al Vangelo. Bisogna essere audaci e creativi abbandonando una volta per tutte il comodo proverbio "Si è sempre fatto così". Bisogna non più chiudere le porte della Chiesa per isolarci, ma aprirle per incontrare tutti e prepararci al dialogo con altri idiomi, altri ceti sociali, altre culture. Questo è il mio sogno e questo intendo fare".

Questo dialogo riguarda anche e forse soprattutto i non credenti, la predicazione di Gesù ci riguarda, l'amore per il prossimo ci riguarda, le diseguaglianze intollerabili ci riguardano. Un Papa rivoluzionario ci riguarda e il relativismo di aprirsi al dialogo con altre culture ci riguarda. Questa è la nostra vocazione al Bene che dobbiamo perseguire con costante proposito. 

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Alcuni lettori mi imputano un errore laddove nel mio articolo di oggi ho scritto che Papa Francesco ha canonizzato Ignazio di Loyola. Ho probabilmente usato male il verbo "canonizzare" che significa promuovere la santificazione. Ignazio in realtà fu fatto santo su iniziativa di Papa Gregorio XV nel 1622. Usando quella parola volevo segnalare che Papa Francesco ha sottolineato l'importanza del fondatore della Compagnia di Gesù rendendo in tal modo ancor più marcato il connubio tra la sua venerazione di Sant'Ignazio e la scelta di Francesco d'Assisi che rappresentò una concezione completamente diversa della Chiesa. Mi scuso con i lettori per l'imprecisione lessicale.   (e. s.)

COSA DICE LA PAROLA DI DIO?

Lettera ai Romani - 2

[1] Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. 

[2] Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. 

[3] Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio? 

[4] O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? 

[5] Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, 

[6] il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: 

[7] la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità; 

[8] sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all'ingiustizia. 

[9] Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco; 

[10] gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco, 

[11] perché presso Dio non c'è parzialità. 

[12] Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. 

[13] Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati. 

[14] Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; 

[15] essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. 

[16] Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo. 

[17] Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, 

[18] del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, 

[19] e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, 

[20] educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità... 

[21] ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? 

[22] Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? 

[23] Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge? 

[24] Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto. 

PAROLA DI DIO.

domenica 29 dicembre 2013

il canto come preghiera.

 "Pregate sempre, senza stancarvi mai" (Luca 18,1)



Frate Alessandro, francescano di Assisi, definito il "tenore di Dio", ospite di Fabio Bolzetta nello spazio Arancio di Nel cuore dei giorni, ci parla del canto come preghiera.

sabato 28 dicembre 2013

A PROPOSITO DELLE AMICIZIE

Filotea

QUALCHE CONSIGLIO 

A PROPOSITO DELLE AMICIZIE




L'amicizia richiede un intenso scambio tra coloro che si vogliono bene: diversamente non può nascere e tanto meno mantenersi. Ecco perché avviene spesso che agli scambi che sono alla base dell'amicizia, se ne aggiungano molti altri che si insinuano insensibilmente da cuore a cuore: e così gli affetti, le tendenze e le opinioni passano in continuazione da uno all'altro.

Questo soprattutto quando all'affetto si aggiunge la stima; in tal caso apriamo il cuore all'amico con molta larghezza per cui, con essa, entrano con facilità in noi tutte le sue tendenze e le sue opinioni, poco importa se siano buone o cattive.

Le api che raccolgono il miele di Eraclea cercano soltanto il miele, ma con esso succhiano anche le qualità velenose dell'aconito sul quale fanno la raccolta.

A questo proposito, Filotea, bisogna mettere in pratica la parola che il Salvatore delle anime nostre era solito ripetere e che gli antichi ci hanno insegnato: Sii abile cambiavalute, batti buona moneta; ossia, non accettare il denaro falso con il buono, né l'oro di bassa lega con l'oro fino; separa il metallo prezioso dal vile. Fa' attenzione perché nessuno va esente da imperfezioni.

E che motivo c'è di ricevere alla rinfusa difetti e imperfezioni dell'amico assieme alla sua amicizia? E’ evidente che bisogna volergli bene nonostante le sue imperfezioni, ma non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi; l'amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male.

A somiglianza di coloro che cavano la ghiaia dal Taro e separano l'oro che trovano Per portarlo via, mentre lasciano il resto sulla riva del fiume, coloro che comunicano con l'amico devono saper separare la sabbia delle imperfezioni e non lasciarla penetrare nelle loro anime.

S. Gregorio di Nazianzo ci dice che molti, i quali volevano bene e ammiravano S. Basilio, erano talmente portati alla sua imitazione, che lo scimmiottavano anche nelle sue imperfezioni esteriori, nel suo modo di parlare lentamente e con lo spirito assorto e pensoso, nel taglio della barba e nel modo di camminare. Noi vediamo dei mariti, delle mogli, dei figli, degli amici, che hanno tanta stima dei loro amici, dei loro padri, dei loro mariti, delle loro mogli, che per condiscendenza o imitazione, prendono da loro, assieme all'amicizia, mille piccole tendenze cattive.

Questo non deve accadere: ciascuno ne ha abbastanza dei propri difetti senza bisogno di caricarsi anche di quelli degli altri; aggiungo che l’amicizia non soltanto non lo richiede, ma al contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le forme di imperfezione.

E’ fuor di dubbio che bisogna sopportare con dolcezza l'amico nelle sue imperfezioni, ma non incoraggiarlo in quelle, e ancor meno trasferirle in noi.

Parlo soltanto di imperfezioni; quanto ai peccati non bisogna accettarli e sopportarli nemmeno nell'amico. Un'amicizia che lascia morire l'amico senza prestargli aiuto, è un'amicizia debole e cattiva; vedere un amico che muore di un ascesso e non avere il coraggio di dare il colpo di bisturi per salvarlo, non è amicizia.

L'amicizia vera e vitale non sopravvive tra i peccati. Si dice che, dove si adagia, la salamandra spegne il fuoco; il peccato distrugge l'amicizia in cui si annida: se si tratta di un peccato passeggero, l'amicizia lo mette immediatamente in fuga con la correzione; ma se ci rimane e ci si ferma, l'amicizia perisce immediatamente, perché per vivere ha bisogno della virtù; da qui risulta molto chiaro che non è possibile peccare per amicizia.

L'amico diventa nemico quando vuole condurci al peccato e merita di perdere l'amicizia se vuol condurre l’amico alla rovina e alla dannazione; una delle prove più sicure di una falsa amicizia è vederla praticata tra persone viziose, qualunque sia il genere di peccato che le accomuna. Se colui al quale vogliamo bene è preda del vizio, la nostra amicizia è sicuramente viziosa; giacché se non può avere per base una solida e sincera virtù, è giocoforza che sia fondata su una virtù apparente o su qualche aspetto sensuale.

Una società costituita tra i commercianti per il profitto temporale ha soltanto l'apparenza di vera amicizia. Essa non ha per fine l'amore delle persone, ma l'amore del denaro.

Infine eccoti due massime, fondamentali colonne della vita cristiana; una è del Saggio: Chi teme Dio incontrerà una buona amicizia; l'altra è di S. Giacomo: L'amicizia di questo mondo è nemica di Dio.

I SANTI INNOCENTI


Non parlano ancora e già confessano Cristo

Dai «Discorsi» di san Quodvultdeus, vescovo
(Disc. 2 sul Simbolo; PL 40, 655)
 
Il grande Re nasce piccolo bambino. I magi vengono da lontano, guidati dalla stella e giungono a Betlemme, per adorare colui che giace ancora nel presepio, ma regna in cielo e sulla terra. Quando i magi annunziano ad Erode che è nato il Re, egli si turba e, per non perdere il regno, cerca di ucciderlo, mentre, credendo in lui, sarebbe stato sicuro in questa vita e avrebbe regnato eternamente nell'altra.
Che cosa temi, o Erode, ora che hai sentito che è nato il Re? Cristo non è venuto per detronizzarti, ma per vincere il demonio. Tu, questo non lo comprendi, perciò ti turbi e infierisci; anzi, per togliere di mezzo quel solo che cerchi, diventi crudele facendo morire tanti bambini.
Le madri che piangono non ti fanno tornare sui tuoi passi, non ti commuove il lamento dei padri per l'uccisione dei loro figli, non ti arresta il gemito straziante dei bambini. La paura che ti serra il cuore ti spinge ad uccidere i bambini e, mentre cerchi di uccidere la Vita stessa, pensi di poter vivere a lungo, se riuscirai a condurre a termine ciò che brami. Ma egli, fonte della grazia, piccolo e grande nello stesso tempo, pur giacendo nel presepio, fa tremare il tuo trono; si serve di te che non conosci i suoi disegni e libera le anime dalla schiavitù del demonio. Ha accolto i figli dei nemici e li ha fatti suoi figli adottivi.
I bambini, senza saperlo, muoiono per Cristo, mentre i genitori piangono i martiri che muoiono. Cristo rende suoi testimoni quelli che non parlano ancora. Colui che era venuto per regnare, regna in questo modo. Il liberatore incomincia già a liberare e il salvatore concede già la sua salvezza.
Ma tu, o Erode, che tutto questo non sai, ti turbi e incrudelisci e mentre macchini ai danni di questo bambino, senza saperlo, già gli rendi omaggio.
O meraviglioso dono della grazia! Quali meriti hanno avuto questi bambini per vincere in questo modo? Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta, perché non muovono ancora le membra e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria.



Ex Sermónibus sancti Quodvultdéus epíscopi (Sermo 2 de Symbolo: PL 40, 655)
Responsorium   Cf. Ap 5, 14; 4, 10; 7, 11

R/. Adoravérunt vivéntem in sæcula sæculórum. * Mitténtes corónas suas ante thronum Dómini Dei sui.
V/. Et cecidérunt in conspéctu throni in fácies suas: et benedixérunt vivéntem in sæcula sæculórum. 
Mitténtes corónas suas ante thronum Dómini Dei sui.


Hymnus Te Deum.
Oratio
Deus, cuius hodiérna die præcónium Innocéntes mártyres non loquéndo, sed moriéndo conféssi sunt, da, quæsumus, ut fidem tuam, quam lingua nostra lóquitur, étiam móribus vita fateátur. Per Dóminum.

venerdì 27 dicembre 2013

DELENDA CARTAGO

“Sono venuto per sfasciare tutto…”


di Antonio Villa
P. Fidenzio Volpi si lamenta per “la calunnia” che gli attribuisce “la distruzione del carisma” dei Francescani dell’Immacolata. Eppure, al di là delle intenzioni che si presuppongono buone, la distruzione del carisma è in atto, proprio attraverso il governo autocratico di p. Volpi. D’altra parte, lui stesso aveva ammesso: “sono venuto per sfasciare tutto e per ricostruire”. Certo, vogliamo pensare che intendesse sfasciare la struttura portante dell’istituto (governo, formazione, gestione economica, programmazione delle missioni, ecc.), non il carisma il quale, al contrario, avrebbe dovuto esser liberato dalla suddetta struttura che, a suo parere, non era più portante, ma soffocante. ..
Ebbene, proprio quest’ultimo giudizio, che ha portato alla decisione di commissariare l’istituto, non corrisponde alla realtà e lo dimostra, tra l’altro, il numero sempre crescente di giovani vocazioni italiane e europee che riempivano le case di formazione FI, oggetto d’invidia e incredulità da parte di molti teorici del rinnovamento della vita religiosa, frustrati dalla desertificazione dei loro noviziati. A tal proposito, dovremmo tutti ben ponderare e praticare le parole di Papa Francesco:
«All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! … Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti» (Evangelii gaudium, nn. 98. 99).
Ci si è basati sulla testimonianza scritta di una minoranza di religiosi, influenzati da una campagna ossessiva di calunnie e maldicenze («Quelli che in una comunità fanno chiacchiere sui fratelli, sui membri della comunità, vogliono uccidere» secondo Papa Francesco, omelia del 2 settembre 2013), e non si è dato all’ex consiglio generale l’opportunità di difendersi dalle accuse. La difesa non c’è stata, perché sarebbe emerso chiaramente che l’oggetto del contendere non erano, come si è fatto credere pretestuosamente, presunti abusi o irregolarità, o peggio, scandali che non esistono, ma la stessa visione della vita religiosa: più tradizionale quella dei Fondatori, più progressista quella dei contestatori. E’ l’eterno conflitto che accompagna la bi millenaria storia della Chiesa e che al suo interno ha visto dei Santi schierati ora da una parte, ora dall’altra: si pensi a Sant’Ippolito di Roma, contrapposto a san Callisto Papa; si pensi alle controversie occorse tra san Cipriano e papa santo Stefano I; tra il b. Antonio Rosmini e il b. papa Pio IX; tra il b. Giovanni XXIII e s. Pio da Pietrelcina… Si pensi alla storia travagliata delle riforme religiose…
Solo la Santità di Cristo e di Maria riescono a superare queste opposizioni e, collocandosi su un livello superiore, mantengono integra l’unità della Chiesa. Ma nemmeno la santità di Cristo, di Maria e della Chiesa riescono a mantenere l’unità delle famiglie religiose, le quali, al contrario della Chiesa, si rinnovano attraverso “riforme” che producono inevitabilmente divisioni rigeneratrici. Historia docet. Cosa sarebbe la spiritualità benedettina senza le riforme cistercensi, trappiste…? Cosa sarebbe la spiritualità carmelitana senza la riforma di santa Teresa di san Giovanni della Croce; cosa sarebbe la spiritualità francescana senza le riforme dell’Osservanza e dei Cappuccini, ai quali appartiene pure p. Fidenzio Volpi?
Non ci scandalizziamo, dunque, se ancor oggi succedono queste cose. Da un certo punto di vista, è segno di vitalità, è segno che nei Francescani dell’Immacolata c’è gente che crede fermamente in un ideale, ed è disposta a sacrificarsi per esso. Tutti si riconoscono nell’ideale fondazionale di p. Stefano M. Manelli, e anche molti di quelli che ora lo combattono in certo senso lo venerano, perché riconoscono che devono a lui tutto, o quasi tutto, quello che di buono hanno appreso circa la via francescano-mariana alla santità. Solo che questi ultimi, a differenza della maggioranza che è rimasta unita ai Fondatori, ritengono che, soprattutto dal 2008 in poi, p. Stefano M. Manelli abbia adulterato sostanzialmente il carisma, sbilanciandosi eccessivamente verso il tradizionalismo. Il casus belli è stata la lettera circolare del 21 novembre 2011 in cui il Consiglio generale esortava, senza imporre, ad adottare, con prudenza e discrezione, il Vetus Ordo quale preghiera liturgica preferenziale comunitaria.
Per p. Stefano Manelli questa promozione del Vetus ordo, senza imposizione, significava corrispondere ai desiderata del Santo Padre Benedetto XVI, chiaramente espressi nella sua abbondante letteratura liturgica e perlomeno impliciti nel suo recente magistero; per i contestatori, al contrario, era tradire il carisma originario FI e la natura stessa di quei documenti (Motu proprio Summorum Pontificum; Istruzione Universae Ecclesiae) che, a detta loro, erano riservati ai lefebvriani e a una piccola frangia di gruppi tradizionalisti cattolici fanatici.
Questo è il nodo gordiano della vexata quaestio, ma proprio questo nodo non è ancora stato sciolto.
I due gruppi di frati hanno dialogato (gennaio 2012) per tentare una conciliazione interna ma, visto che l’interpretazione degli stessi testi era irriducibilmente diversa, i contestatori sono ricorsi alla Congregazione dei Religiosi. Questa, guidata dal card. focolarino Joao Braz de Aviz, al posto di mediare in vista di una soluzione concordata, ha mandato prima un visitatore e poi un commissario come p. Volpi, prendendo così la parte dei contestatori contro il Consiglio Generale; si lasciava, però, ancora sistematicamente a latere il problema n. 1, che è quello sopra citato dell’eterna tensione tra tradizione e progresso e della conseguente diversa interpretazione della nuova legislazione liturgica sul Vetus ordo la quale, dopo 40 anni di accelerazione verso il novus, ha mosso qualche passo in direzione della tradizione.
Si preferisce occultare questa questione, e rimanere sui pretesti – benché infondati – perché, se la si affrontasse con tutto il rigore ermeneutico che essa merita, si vedrebbe chiaramente che p. Stefano Manelli ha agito in piena conformità al diritto che gli veniva dalla recente legislazione in materia (Summorum Pontificum; Universae Ecclesiae). Questa – checché si dica – non è solo per i lefebvriani e per i cattolici nostalgici; al contrario, il suo fine è quello di “offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare” (UE, § 8).
In questo senso favorevole a p. Manelli e all’ex Consiglio Generale, si è espressa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei su perizia presentata ad hoc da un autorevole perito dei testi legislativi pontifici. La lettera del Consiglio Generale del 21 novembre 2011 non era altro che questo: voler offrire a tutti i frati FI l’uso più antico della liturgia romana, considerata tesoro prezioso da conservare, secondo lo spirito e la lettera di SP e UE. La questione della prudenza, dell’opportunità, delle modalità, viene dopo, e sarà la storia a giudicarla. In ogni caso, anche se sotto questi aspetti si poteva fare meglio, i provvedimenti presi contro il governo di p. Stefano M. Manelli sembrano del tutto sproporzionati, se non si suppone da parte sua un vero e proprio abuso di autorità. Che però, non c’è stato. Così, al posto di aiutare l’istituto a risolvere il problema del Vetus ordo quoad modum, si è intervenuti con p. Volpi, il quale sta distruggendo quoad substantiam, e il Vetus ordo, e l’Istituto stesso.
Quanto poi alla presunta deformazione del carisma originario: come la riforma liturgica di Paolo VI non ha intaccato il carisma originario di nessun ordine religioso, che per secoli ha celebrato secondo il Vetus ordo, così la piccola “riforma della riforma” di Benedetto XVI non può intaccare il carisma dei Francescani dell’Immacolata che da meno di 40 anni celebrano secondo il Novus Ordo. Dice bene p. Lanzetta: la liturgia precede il carisma religioso e la cattolicità del carisma religioso è misurata dalla sua compatibilità con ogni autentica riforma della liturgia, da cui fiorisce, si sviluppa e trae nutrimento. Oggi, come dimostrano poca cattolicità i tradizionalisti che dicono: la morte, ma non la messa di Paolo VI; così sono poco cattolici i progressisti che dicono: la morte, ma non la messa del beato Giovanni XXIII.
L’ideologia tradizionalista è dannosa quanto l’ideologia progressista. Padre Stefano, da uomo saggio e illuminato, per la grazia di stato che gli è stata data in quanto Fondatore e Ministro Generale dei Francescani dell’Immacolata, ha imboccato esattamente la via media, in perfetto equilibrio tra i due opposti estremismi. E’ stato uno dei pochi, e per questa sua santa audacia è stato premiato dall’aumento esponenziale delle vocazioni. Ma non è stato premiato da p. Fidenzio, che “è venuto per sfasciare tutto”, dando credito “a priori” (perché il problema di fondo non è stato risolto) ai contestatori del Padre Fondatore, giustificando la sua azione devastatrice con dei semplici pretesti privi di fondamento in re.
Non si è tenuto conto che sin dalle origini i Fondatori di Casa Mariana si sono ispirati più da vicino alla Tradizione integrale (liturgica-dogmatica-morale-ascetica, che non è integralismo), e non si è tenuto conto che la legislazione liturgica di Benedetto XVI ha permesso ai Fondatori di sviluppare ed esplicitare le “rationes seminales liturgicae” contenute nel carisma fondazionale, ma “ibernate” durante i decenni del divieto del Vetus ordo. Non si è voluto riconoscere l’analogia esistente tra questo processo di crescita del carisma religioso FI e la Tradizione vivente della Chiesa, di cui oggi tanto si parla, e che comporta una crescita progressiva e “organica” nella comprensione della Verità (senza sostanziale mutazione).
Con il commissariamento, si è condannata, almeno implicitamente, non tanto la persona di p. Stefano M. Manelli, quanto la linea eccessivamente tradizionalista che egli, si dice, ha voluto imporre all’istituto. Ora, però, si vuole fare esattamente il contrario, alla giacobina maniera. Da qui la missione affidata a p. Fidenzio Volpi: “sfasciare tutto per poi ricostruire”, senza considerare che, quando si sfascia il corpo di una persona, fisica o morale che sia, quella persona semplicemente muore, e il suo spirito se ne va in altro luogo. Nessuna palingenesi mai ci sarà, se non alla fine del mondo. E così sarà dei Francescani dell’Immacolata, se continua la gestione sconsiderata di p. Volpi. L’istituto sfasciato e portato alla tomba sarà quello di p. Stefano M. Manelli, di p. Gabriele M. Pellettieri e della grande maggioranza dei frati che sono con loro; l’istituto “ricostruito” (se ancora ce ne sarà uno) sarà quello di p. Volpi e dei pochi che hanno applaudito al suo arrivo, ma non saranno più i Francescani dell’Immacolata delle origini, perché sradicati dal rapporto vitale con i loro Fondatori.
Lo sbaglio di p. Volpi è proprio questo, illudersi che dopo lo “sfascio totale” ci possa essere una miracolosa risurrezione dello spirito originario dei Fondatori, contro quello che i Fondatori viventi ritengono sia il vero bene dell’istituto, senza che ci sia stata una condanna da parte della Chiesa nei confronti di “questo vero bene” (ossia il “passo” verso la Tradizione con la promozione preferenziale del Vetus ordo).
Non era dello sfascio totale che i Francescani dell’Immacolata avevano bisogno. Se qualche sbilanciamento verso la Tradizione ci fosse stato, c’era tutto lo spazio possibile per un dialogo, per una mediazione, per una chiarificazione e per un eventuale aggiustamento. Come i frati avevano cominciato a fare nel gennaio 2012. Avevano bisogno di aiuto. Ma al posto di aiutarli a dialogare, per chiarire il problema che soggiace a questa triste contesa, si è intervenuti pragmaticamente a modo di “golpe”. Si trattava di agire con esprit de finesse e si voluto colpire con uno tsunami, c’era bisogno dell’antiinfiammatorio ed è stato amputato l’arto, c’era bisogno di un cesellatore ed è venuto un picconatore.
Dopo 5 mesi dal commissariamento, ancora non si conoscono le vere ragioni dello stesso commissariamento. Oramai il commissariamento si spiega con se stesso, per la legge dell’assuefazione al dato di fatto. All’inizio si diceva che ci sono delle enormità dal punto di vista morale, economico, formativo… Ma alla domanda: quali sono in concreto queste enormità? La risposta era: Adesso non lo possiamo dire, ma verranno fuori, verranno fuori. A distanza di 5 mesi non è venuto fuori nulla, se non l’ideologia distruttiva di p. Volpi nei confronti del Vetus ordo e del modo più tradizionale di concepire la vita religiosa: il Vetus ordo deve sparire e con esso i Francescani dell’Immacolata che si permettono di promuoverlo.
Da 4 mesi il Commissario proibisce a molti frati FI, senza motivazione e contro la volontà del Papa, di celebrare ilVetus ordo. In seguito: limita drasticamente la libertà personale del Padre Fondatore; disperde i suoi più stretti collaboratori; decreta la sospensione di tutte riunioni del Terz’ordine e delle associazioni; chiude il seminario; vieta la collaborazione con la casa editrice; sospende le ordinazioni… Siamo allo “sfascio”totale: p. Volpi sta realizzando la prima parte del suo piano. Ora vediamo se ci sarà il tempo e la forza per il passo successivo, la ricostruzione di un istituto che non sarà più quello dei Francescani dell’Immacolata, o si passerà direttamente all’eutanasia, perché si prenderà atto che l’istituto, ormai, è “irrecuperabile”.
Questa è il “sentire cum Ecclesia” di p. Volpi e di qualcuno che lo sostiene nei Sacri Palazzi, ma non è “il sentire” del Papa, il quale non è contro il Vetus ordo, come invece è p. Volpi e quelli che lo sostengono. È vero che il Papa ha approvato il commissariamento, e stanno circolando immagini che vorrebbero ostentare la sua perfetta sintonia con il Commissario. Ma è altrettanto vero che il Papa non conosce la realtà dei fatti, né prima, né durante il commissariamento, e siamo certi che se li conoscesse, e certamente verrà il giorno che li conoscerà, allora porrà fine a questo ingiusto stato di cose, che non finisce di scandalizzare i buoni fedeli del mondo intero.
La querelle scoppiata in seno ai Francescani dell’Immacolata, non dimentichiamolo, riflette la situazione della Chiesa. 4 anni fa Papa Benedetto XVI, scrivendo ai Vescovi di tutto il mondo, citava le forti parole di san Paolo:
“Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5, 15)…
E commentava:
«purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata» (Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi circa la remissione della scomunica ai 4 vescovi consacrati da mons. Lefebvre, 10 marzo 2009). 
A distanza di 5 mesi dal commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, chiediamo che si finisca di “morderli e divorarli” e, se al loro interno, ci sono due modi d’intendere lo stesso carisma, si conceda ai due gruppi di continuare il loro cammino separatamente, con pace delle loro coscienza, e per il bene della Santa Chiesa.

Fermarono i cieli la loro armonia

cantando Maria

la nanna a Gesù



Fermarono i cieli
la loro armonia,

cantando Maria
la nanna a Gesù.

Con voce divina
la Vergine bella,
più vaga che stella,
diceva così:

"Mio Figlio, mio Dio,
mio caro Tesoro,
tu dormi, ed io moro
per tanta beltà.

Le guance di rose
mi rubano il core:
o Dio, che già more
quest'alma per Te!"

Si tacque ed al petto
stringendo il Bambino,
al volto divino
un bacio donò.

Si desta il Diletto
e tutto amoroso
con occhio vezzoso
la Madre guardò.

Il Figlio e la Madre,
la Madre col Figlio,
la rosa col giglio
quest'alma vorrà.

La pianta col Frutto,
il frutto col Fiore
saranno il mio amore,
né altro amerò.