martedì 23 aprile 2013

spiritualità sacerdotale

Il prete trasparenza di Cristo.
Il Cardinale Burke al sodalizio Amicizia sacerdotale Summorum Pontificum (O.R.)




L'eucaristia, la celebrazione dei sacramenti, il celibato, l'obbedienza: è stato dedicato alla riflessione e all'approfondimento delle peculiarità del sacerdozio ministeriale il corso di esercizi spirituali, giunto alla terza edizione, organizzato da Amicizia sacerdotale Summorum pontificum, il sodalizio che si richiama espressamente al motu proprio di Benedetto XVI, che, come è noto, nel 2007 ha ampliato l'uso del messale promulgato nel 1962 da Giovanni XXIII.

«Tu es sacerdos in aeternum» è stato il tema della riflessione dettata dal cardinale prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Raymond Leo Burke. Oltre quaranta i chierici, tra cui due vescovi, che hanno partecipato alla settimana di esercizi che si è svolta a Roma presso la casa generalizia dei padri passionisti. Ogni giornata ha avuto inizio con la messa, secondo una precisa turnazione oraria che ha permesso a ciascun sacerdote di celebrare individualmente con il Vetus o il Novus Ordo.

E il continuo riferimento alla Vergine Maria, madre dei sacerdoti, attraverso la preghiera del Rosario, ha fatto da cornice all'intensa esperienza spirituale. Infatti, per il sacerdote è di fondamentale importanza ritirarsi in disparte con Dio. Si tratta di tornare alla fonte della vocazione e della missione, considerando che le aspettative del sacerdote non consistono nella realizzazione di un programma personale, bensì nel compimento del progetto di amore di Dio.

Il cardinale Burke, facendo leva anche sulla propria esperienza, ha enucleato le caratteristiche essenziali del sacerdozio: lo stretto legame con l'eucaristia, la configurazione al Sacro Cuore di Gesù, il dono del celibato, l'obbedienza, la misericordia, la guida morale. E non poteva mancare l'accostamento a Maria, quale faro vigile di ogni sacerdote. Una autentica dimensione spirituale della vita sacerdotale -- ha sottolineato il porporato -- trova fondamento nella carità pastorale di Cristo, anima del sacerdozio.

Il sacerdote, infatti, agisce in persona Christi in ogni tempo e in ogni luogo, riceve un “potere spirituale” che rende la sua vita trasparenza di tutti quei comportamenti propri di Gesù Cristo.
I presbiteri -- ha detto citando un passo della Pastores dabo vobis -- «sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi una trasparenza in mezzo al gregge loro affidato».

Così, se il sacerdote, con l'ordinazione, viene configurato a Cristo capo e pastore, la sua vita deve essere, come quella di Cristo, a esclusivo servizio della Chiesa. E il servizio di Cristo trova il suo culmine nel dono totale di sé sulla Croce. Quindi il sacerdote non solo deve fare rivivere ma deve anche ripresentare con la sua testimonianza, con la sua stessa vita, la carità incondizionata di Cristo. L'offerta del Sacrificio è l'espressione più piena della donazione di Cristo, della sua carità pastorale, e «l'eucaristia è la ripresentazione attualizzante del sommo Sacrificio».

Per il sacerdote l'esercizio della carità pastorale non deve perciò essere relegato in un mero attivismo funzionale, bensì deve essere il frutto di una vita costantemente alimentata a quell'amore, che è donato, consumato e rinnovato in modo incruento nell'eucaristia.

Se la carità pastorale di Cristo costituisce il riferimento assoluto e imprescindibile del sacerdote, ogni momento della sua vita deve essere un ritorno al mistero eucaristico. Soltanto con la devozione eucaristica, egli può approfondire il suo intimo rapporto con il Corpo e Sangue di Cristo.

La celebrazione eucaristica, inoltre, unita all'adorazione quotidiana, non solo alimenta la devozione eucaristica, ma prepara il sacerdote a essere più pienamente coinvolto nel Sacrificio e intimamente unito a Cristo. Così, se il paradigma insostituibile del sacerdote è la carità pastorale di Cristo, la testimonianza dei santi sacerdoti rappresenta il modello a cui egli si può ispirare come ad autentici testimoni della fede, che hanno incarnato l'amore oblativo di Cristo. Il cardinale Burke ha perciò desiderato evidenziare, con particolare allusione alla spiritualità eucaristica, i tratti sacerdotali della figura di san Giovanni Maria Vianney.

Il santo curato d'Ars si può definire modello di vera devozione eucaristica. Ha cercato sempre di attrarre i suoi fedeli a Cristo presente realmente nell'eucaristia. Infatti, la sua fede eucaristica era tale da riaccendere la devozione eucaristica dei fedeli al punto di avvicinarli al sacramento della penitenza. Questo lo conduceva dall'altare al confessionale.

Un'altra tessera che il prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica ha aggiunto al prezioso mosaico del sacerdozio ministeriale è quella del celibato. La devozione al Sacro Cuore di Gesù aiuta i presbiteri a comprendere il celibato, non come rinuncia all'immenso dono del matrimonio bensì come offerta del cuore indiviso per il bene della Chiesa, amando i fratelli. Il celibato sacerdotale non significa repressione della sfera affettiva, ma offrire, con gioia nella perfetta continenza, tutte le inclinazioni sessuali e affettive per il bene del Regno dei cieli. Quale dono insito nella vocazione sacerdotale, l'amore celibe va rinnovato quotidianamente, altrimenti inizieranno ad affiorare delle carenze. Ogni dono di Dio va apprezzato attentamente, ma soprattutto curato, mantenuto e custodito nella sua integrità. Per questo la preghiera aiuterà il sacerdote a crescere nell'amore celibe per custodire la purità.

Una delle virtù caratterizzanti la statura spirituale del sacerdote è l'obbedienza. Lo sguardo va sempre rivolto a Cristo, che è venuto per fare la volontà del Padre. Anche la vocazione di ogni sacerdote deve essere segnata dall'obbedienza al Padre, ovvero unire la propria volontà a quella di Cristo. Con l'obbedienza si serve la Chiesa intera, senza l'obbedienza c'è confusione e caos, poiché la promessa di obbedienza non è il rifiuto della libertà umana, ma il compimento di essa, attraverso un atto libero per l'adempimento di una particolare missione di origine divina. L'obbedienza alla volontà dei superiori è finalizzata a fare emergere nella vita sacerdotale non la propria persona ma soltanto Cristo unico protagonista di ogni azione pastorale, perché unico Salvatore. Ciò comporta obbedienza alla fede della Chiesa e al suo magistero, alla disciplina ecclesiastica, alla sacra liturgia. (Girolamo Casella)

(©L'Osservatore Romano 11 aprile 2013)

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