martedì 2 aprile 2013

santità sacerdotale

L'odore del prete:

il profumo della carità di Cristo. 



 
Il titolo sembra strano ma, in realtà, riporta immediatamente alla mente un detto secondo cui una persona la riconosci “dall'odore” che porta. E' quindi un ottimo riferimento per poter riconoscere l'autenticità di una persona. E, d'altronde, un cieco ne fa maggior uso di noi, dal momento che non ha le possibilità date dalla vista.

Il prete ha un odore? E' una domanda curiosa alla quale forse qualcuno è tentato di dare risposte ironiche e fuori luogo. Invece la questione è seria. Vediamo in che senso.

Nelle mie lunghe peregrinazioni ho avuto modo di sentire odori anche negli ambienti di Chiesa.

Ricordo l'odore delle cocolle benedettine. Non era mai un odore cattivo e pesante ma riportava alla fatica quotidiana della preghiera. Un odore molto simile ad esse l'ho ritrovato negli ambienti monastici greci. Odore che rimanda ad una paziente fedeltà, ad un nascondere se stessi nella continua sequela di Cristo.

Ricordo l'odore di un frate sacrestano servita, quello che molto tempo fa' mi fece conoscere il canto gregoriano. Aveva diversi dischi 33 giri che m'industriai a registrare meglio che potevo. Entrò nella stanza nella quale stavo facendo questo lavoro portando con sé una nuvola d'incenso: aveva appena terminato di servire una messa.

Se devo pensare all' “odore del prete” è così che lo descriverei. Il suo odore, d'altronde, deve rimandare ad una sorta di sacrificio quotidiano e, nello stesso tempo, all'altare e a quanto lo circonda. In questo modo apre agli altri un altro orizzonte che va oltre la banalità quotidiana o il dovere, a volte stressante, del lavoro in fabbrica e dell'impiego in ufficio.

Più tardi, è vero!, sentii anche altri odori: di profumi alla moda, di saponette profumate ... Ma il clero (cattolico o ortodosso) che amava abitualmente assumerselo non mi dava la stessa sensazione positiva degli esempi che ho sopra citato.

Recentemente, il giovedì santo passato del calendario cattolico, il papa ha, tra l'altro, affermato: 
“Il pastore deve avere l'odore del suo gregge”.

La stampa ha contribuito ad amplificare questo messaggio aggiungendo che il buon pastore, quello vero, non può che avere l'odore del gregge.

Ci troviamo davanti ad affermazioni che hanno un non so che di sovversivo. La seconda affermazione, addirittura, finisce per essere totalmente fuori luogo escludendo dal novero dei “buoni pastori” coloro che vivrebbero in zone claustrali e quindi non sarebbero contaminati dall'odore della gente comune.

Il principio è totalmente assurdo e porta alla conseguenza che santi eremiti, presso i quali si recavano pellegrini per essere illuminati e confortati, non sarebbero dei "buoni pastori". Perché, allora, sono stati proclamati santi?

E' certamente richiesto che il pastore abbia la capacità di relazionarsi al suo gregge e di comprenderne le ansie e le aspirazioni, cosa oggi tutt'altro che scontata e in molti casi assai deficitaria.

Ma in un'epoca in cui il clero cattolico (e pure quello ortodosso) finisce per assumere acriticamente le mode del secolo, insistere ulteriormente che quest'ultimo porti l'odore della gente comune potrebbe essere interpretato come una spinta ulteriore alla secolarizzazione.

Che venga interpretato così è fuor di dubbio, dal momento che è facile adeguarsi a profili meno impegnativi e faticosi, soprattutto in una Chiesa che dimostra sempre più noia a fastidio per impostazioni liturgiche tradizionali.

Tuttavia, nel richiamo ad avere l'odore del gregge, io trovo anche una sorta di rovesciamento dell'identità sacerdotale, laddove, appunto, il sacerdote è uomo di fede le e faticosa preghiera, di sudore che s'intride alla sua devozione personale, di profumo d'incenso e di candele di cera d'api.

Il richiamo al gregge, o più semplicemente al popolo, è un modo per portare il prete fuori dal santuario, fuori dalla chiesa. E', in altri termini, un atteggiamento che soggiaceva alle domande provenienti da ambienti cattolici di qualche tempo fa'. Una tra esse era: “Che senso hanno i monaci dal momento che pregano soltanto?”.

Ecco se le cose stanno così, e ho forte sospetto che effettivamente lo siano, allora assistiamo ad un ulteriore indurimento del Cristianesimo occidentale in direzione orizzontale, laddove il trascendente rimane solo pura formale motivazione di fondo ma non è più – de facto - il vero centro dell' essere umano.

Un sacerdote che esce da questo contesto non può che avere in noia il sacro. Non può che nascere come creatura nuova ed opposta a quella tradizionale e, ad opera sua, la stessa Chiesa si strappa violentemente dalle proprie radici con l'apparenza che tutto sia rimasto pressapoco identico al passato.

E' l'inganno dei nostri tempi in cui siamo sempre più davanti a "gusci vuoti" e a "scatole coloratissime" ma senza niente dentro ....

Invece un vero servizio si ha solo quando è mantenuta la differenza: io posso sollevare un altro solo nella misura in cui sono su un piano elevato rispetto al suo. Se, in nome di principi populistici (perché si ritiene automaticamente il popolo depositario del vero e dell'autentico) mi devo adeguare a tutti allora ne vengo trascinato e, perché no?, abbassato.

Oggi sono persi pure questi principi elementari, in nome di una retorica di dubbio gusto che finirà per produrre guai di grande entità in chiunque acriticamente l'accolga.

E' solo un nefasto segno dei tempi.
 
Da: http://traditioliturgica.blogspot.it/

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