venerdì 19 aprile 2013

il diavolo e il papa francesco

Il diavolo, papa Francesco e il cristianesimo.


 


L’elezione di papa Francesco ha mosso l’interesse e la coscienza di molti. Per settimane tutto il mondo è stato in attesa dell’elezione del Pontefice, come se tutti, non solo i cattolici, non solo i cristiani, ma anche i rappresentanti delle altre religioni, anche coloro che non si riconoscono in un credo, percepissero l’esigenza di una guida, un faro nel deserto del mondo e della crisi.

Ci sono, però, due gravi rischi di fronte all’elezione di papa Francesco, di fronte all’entusiasmo che giustamente ha invaso le strade delle città e i cuori degli uomini. Percepisco questi rischi soprattutto nel mondo della carta stampata, nel mondo degli intellettuali, nel mondo che conta. Il primo rischio è quello di ridurre papa Francesco al proprio pensiero, alle proprie idee. Non andare al cuore della sua fede e del suo agire, come papa Francesco ha più volte sottolineato in questo inizio di Pontificato, e il cuore è Cristo, è Lui che conta, è Lui che vince. «Cristo è il centro».

Allora, aldilà delle differenze di carattere, aldilà delle differenze di storia, aldilà dei carismi diversi, uno avverte la continuità tra un Papa e l’altro, tra papa Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Ma se dimentichiamo il centro, se dimentichiamo che il cuore della nostra fede è Cristo, se riduciamo il cristianesimo ad un valore, ad un’idea o ad una serie di principi, allora il credente inizia ad avvertire le diversità.
In un’opera geniale, Le lettere di Berlicche, C. S. Lewis inventa l’espediente di un colloquio epistolare tra demoni, lo zio Berlicche e il nipote Malacoda. Oltre che apprezzabile per arguzia e ironia, l’opera appare come un’utilissima palestra per allenarsi a riconoscere la tentazione. Nella quotidianità facciamo costantemente esperienza di come spesso ci si presentino scelte non buone e maliziose sotto l’apparenza del bene e dell’innocenza. Il male che si nasconde sotto le parvenze del bene si chiama tentazione. Nel «Padre nostro» noi chiediamo a Dio di tenerci lontano dalla tentazione ovvero di farcela riconoscere come tale e, quindi, di togliere la patina mendace che ricopre il male e ci impedisce di riconoscerlo come tale.

Quando il paziente di Malacoda si converte, lo zio Berlicche sprona il nipote a convincere il nuovo convertito a non voler essere «unicamente cristiano», ma a perseguire «il cristianesimo e la crisi, il cristianesimo e la nuova psicologia, il cristianesimo e l’ordine nuovo, il cristianesimo e la ricerca psichica, il cristianesimo e il vegetarianesimo».
Al proposito lo zio scrive ancora a Malacoda: «Se devono essere cristiani siano almeno cristiani con una differenza. Sostituisci alla fede qualche moda con una tinta cristiana». Questa è una riduzione del cristianesimo che lo stempera e al contempo ne annienta la potente forza rivoluzionaria in nome delle buone, accettabili e comprensibili mode del momento. Nell’ottica mondana e nella prospettiva dei due demoni del romanzo ciò che è incomprensibile è che si possa seguire un Altro per guadagnare completamente se stessi, che si possa davvero amare un altro in maniera disinteressata (ci deve pur essere un secondo fine nell’amore di Dio, nel cosiddetto amore disinteressato).
Mi chiedo se i tanti del mondo che hanno esaltato papa Francesco non lo abbiano ridotto ad un aspetto solo, ad una moda del momento (che si chiami povertà, che si chiami solidarietà o quant’altro), facendo fuori Cristo.

Il secondo grave rischio è quello di guardare la Chiesa come un fenomeno slegato da Cristo, Cristo è una cosa, la Chiesa un’altra, un’istituzione che nella storia si è arrogata diritti non suoi, ha esercitato un dominio sulle coscienze, ha perseguito e ottenuto il raggiungimento del potere.
Esiste una grande distinzione tra l’affermare che la Chiesa, costituita da uomini, anche se ha commesso e commette errori, «non solo prosegue l’opera di Lui (Cristo), ma continua Lui stesso in un senso incomparabilmente più grande di quanto qualunque istituzione umana continui il suo fondatore» (H. de Lubac) e sostenere, invece, come fanno i più, che si possa amare Cristo, ma non la Chiesa, che nulla ha a che fare con Lui.

Ebbene, leggendo molti quotidiani in queste settimane, ascoltando esperti e intellettuali, si ha l’impressione che la novità del papa Francesco sia spesso esaltata per denunciare l’arretratezza del passato. È un fenomeno già visto, a cui sono particolarmente abituato perché lavoro nelle scuole superiori, dove i libri di testo di Storia sono una collezione degli errori della Chiesa.
Non è questo il luogo per analizzare questa operazione disonesta e ideologica, però intendo ora sottolineare che leggere il modus operandi della Chiesa senza comprendere bene il contesto storico, sociale, politico e culturale in cui la Chiesa ha agito e agisce è un’operazione profondamente antistorica, che non rende, quindi, conto della complessità di quanto accade. La Chiesa, fatta di uomini, è calata in un contesto ben preciso e prende posizione con parole ed opere in quel particolare contesto. Gesù parla nel Vangelo con immagini e parabole proprie del suo tempo, è Dio, ma anche uomo, in una realtà storica ben precisa.

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