venerdì 12 aprile 2013

autodistruzione


Il tramonto di una civiltà




Ibn Baṭṭūṭa (Tangeri, 24 febbraio 1304 – Fez, 1368-69), il viaggiatore berbero da me precedentemente citato, nei suoi appunti di viaggio, ad un certo punto scrive che i bizantini dovevano impiegare nel loro esercito etnìe barbare poiché si erano resi inabili al mestiere della guerra. Noi, oggi, diremo in modo diretto e un poco brutale: “si erano rammolliti”.

L'appunto non è per nulla privo d'importanza, tenuto conto che viene redatto un centinaio d'anni prima della caduta di Costantinopoli, per mano dei turchi.

La storia, in tal senso, ha molto da insegnarci anche oggi. La nostra civiltà occidentale è giunta ad un elevato grado di raffinatezza: nonostante tutto, in Europa abbiamo ancora ottime università, possibilità di crescita umana e culturale, straordinario sviluppo tecnologico, diffuso benessere...

Fatte le dovute distinzioni, nella Costantinopoli degli ultimi suoi due secoli non si offriva tanto di meno. Sì, la quarta crociata la provò molto al punto che, in seguito, dovette barcamenarsi con crescente difficoltà. Ma rimaneva pur sempre la Città per eccellenza e il punto di riferimento imprescindibile per i commerci che continuarono a fervervi. Il commercio a Costantinopoli si smorzò con la scoperta dell'America non con la conquista turca.

Il luogo culturalmente rappresentava un collegamento diretto con l'antichità greca, passando per la civilità cristiana. Per certi versi, lo stesso Umanesimo italiano si trovò tributario a Costantinopoli. Solo per fare un esempio, il nucleo originario della Biblioteca Marciana è composto dai libri lasciati in dono dal Metropolita Bessarion, poi cardinale Bessarione.

Tuttavia, come nel corpo umano, quando si supera una certa età avviene la decadenza e la morte, così nel corpo di un'intera società avviene il declino proprio nel momento della sua massima raffinatezza.

Il declino, inutile dirlo, coinvolge tutto: istituzioni statali ed ecclesiastiche. Qui, però, c'è qualcosa d'importante da notare. La Chiesa ortodossa, con l'avvento della turcocrazia, non godette di certo dei privilegi della precedente situazione e, per alcuni versi, fu abbastanza provata. Ma seppe fronteggiare la nuova situazione, grazie al profondo senso di “tradizione” che la caratterizzava. Si ebbero (e tutt'oggi si hanno) dei chierici non esemplari, persone nelle quali le cosiddette virtù cristiane non brillavano sovente, ma nessuno tra questi inventò o inventa la liturgia, tanto per fare un altro esempio.

Anche il più scalcinato prete ortodosso sà che esiste una “taxis”, un ordine da rispettare che identifica la Chiesa impedendole di divenire un'altra cosa. Non si tratta di statico tradizionalismo (dal momento che la liturgia bizantina ha subìto nei secoli qualche piccolo adattamento) ma di fedeltà al dato ricevuto.

È questo senso di tradizione che ha permesso alla Chiesa di “tenere duro” davanti alla turcocrazia e al crollo della civiltà bizantina. È con questo senso di tradizione che i popoli cristiani di quelle regioni hanno potuto rimanere tali, nonostante alcune “conversioni” al mondo mussulmano.

Nel nostro mondo stiamo assistendo a qualcosa di analogo al mondo bizantino prima della sua caduta, fatte altre dovute differenze del caso, ovviamente. 
Anche da noi, si può dire, c'è un diffuso “rammollimento”: i nostri giovani non sono certo persone buone per la lotta, tanto meno per la lotta che si faceva nelle guerre di un tempo. Sacrificio e privazione sono parole sconosciute, da noi, e le avversità trovano la maggioranza della gioventù impreparata e recalcitrante.

È proprio per questo, che dei popoli grezzi, “primitivi” ma pieni di forza vitale, potrebbero sottometterci in poche generazioni. In questo contesto la Chiesa come reagirà, se si considera la sua differente situazione, rispetto alla Chiesa post-bizantina?

Da noi la Chiesa (cattolica) si è talmente disaffezionata alle sue tradizioni antiche e liturgiche da vivere, come si diceva, sempre più “al di fuori di se stessa”. In fondo il parroco in blue-jeans non è che un segno rivelatore: un prete che vive "al di fuori" della sua identità di prete, ossia di uomo del sacro che si deve distinguere dagli altri. Un papa che assume atteggiamenti populistici e secolari è indice della stessa cosa.

L'identità di questa Chiesa è molto fragile ed espone i suoi credenti ad ogni sorta di relavismo. che lo voglia o meno, che lo sappia o meno. È veramente divenuta la “figlia dei nostri tempi”, in tutto e per tutto.

Ma, con questi presupposti, non potrebbe correre il rischio di venir spazzata via, dinnanzi ad un cambio repentino della società, come fu quando Costantinopoli divenne turca?

Certamente da noi non ci sono turchi che premono alle porte o almeno non lo fanno con il metodo di allora. Eppure nella società italiana sta lievitando sempre più una presenza non cristiana (non credente o di altre religioni) e questa, o prima o poi, genererà dei forti contraccolpi se non un capovolgimento della situazione.
Una Chiesa disarmata e disarmante sarà senz'altro la prima ad esserne colpita. E quando la Chiesa avrà perso gran parte delle sue possibilità finanziarie e non avrà più la forza politica odierna (e potrebbe avvenire) cosa proporrà ai suoi fedeli? Il suo vero e principale tesoro da tempo è stato svilito. Proporrà, forse, una liturgia ancor più svuotata e pauperizzata? Un credo che la rende indistinta da qualsiasi altra credenza? Umanamente parlando, quanta vita può avere ancora una Chiesa di questo tipo? 

http://traditioliturgica.blogspot.it/2013/04/il-tramonto-di-una-civilta.html

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