lunedì 5 ottobre 2015

mi confesso e lo confesso

Io, confesso…


Mentre ascolto e penso tutto questo, guardo le volte di questa mia chiesa di quartiere, che non ho mai amato e mai ho sentito come casa mia: ma stavolta no, mi sento in famiglia, le guardo queste volte, e mi sono infinitamente care. Sembrano le volte della pancia di una grande nave, perduta in mezzo all’oceano in tempesta. E mi sento sulla barca di Pietro con Gesù a bordo che fa finta di dormire. E il mio panico si placa e muta in risata quando il Messia apre un occhio, mi squadra e dice, a bassa voce: “Non temere: ci sto qua io non vedi? Scciii… zitto, zitto… vediamo che fanno gli altri, e Pietro. Tu fa finta di niente”. Nonostante tutto, mi sono detto, questa barca qui, sola nel mare magno della mondanità perduta, minacciata dai flutti e dalle falle, tormentata e sbatacchiata dalle tempeste, frenata e respinta da tutti i venti contrari, questa barca qui dentro la quale stasera ci sono anche io di nuovo, non solo non affonderà, ma continuerà ad andare, e finché la barca va…

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11207315_119307295087828_8158961299991161170_nIl Mastino

Perdonate questa improvvisata, ignorata persino dai miei amici che a Papalepapale generosamente collaborano: giorno di santo Francesco, giorno di apertura del Sinodo forse della discordia, forse della speranza, può darsi del non ritorno… prima che tutto sia fatto nuovo. Ma non dagli uomini, bensì dal Cielo.
BEN RITROVATI
In questo sentore di rovina imminente, di cedimento di tutte le dighe imminente, di tutto perduto imminente, mentre incrementa la tentazione dell’autodemolizione e della resa incondizionata, aumenta anche la resistenza, che si nutre di speranze non solo umane.
imagesInfatti chissà perché in questo panorama caotico e plumbeo, mentre monta la tempesta, all’orizzonte abbiamo come la sensazione di intravedere lo stagliarsi sereno di due figure, un uomo e una donna. Gesù e Maria. La membra  della Chiesa. La Chiesa è là, in quell’orizzonte: portata al sicuro, ai loro piedi, dagli angeli. Gli uomini non riusciranno che a distruggere un involucro di mattoni, sul quale si sono avventati come ossessi dallo spirito del mondo. Perché l’antica Chiesa, a momento opportuno, sarà riportata, ripristinata e restaurata direttamente dagli angeli, laddove era prima. Com’era prima, meglio di prima forse.
Sono momenti di prova, terribile quanto volete, ma anche di attesa. Mi capita di pensare spesso, ultimamente, a quella parabola. La barchetta di Pietro che già non era riuscita a pescare niente è sballottata da una tempesta, si teme il peggio. Gesù è a bordo, ma è come non ci fosse, in tutto quel macello egli dorme. In realtà fa finta. Infatti, quando tutti in preda al panico lo invocano, egli apre gli occhi, ed è calmo,  e dice, mentre immaginiamo il suo sguardo ironico: “Uomini di poca fede!”, ma come, avete me a bordo e ci avete paura di affondare per una tromba d’aria? Io ho camminato persino sulle acque! E poi quelle parole eterne, che in metafora fanno di quella barchetta la chiesa universale: «Non temere, piccolo gregge!».
Benritrovati!
MI SONO PERDUTO E RITROVATO: RIECCOMI
11147854_10205540460008618_2825908524474088850_nRieccomi qui, dopo questo lungo periodo che non è stato solo di “vacanza”, come qualcuno crede, ma anche di riflessione. E non solo di riflessione, a dirla tutta, ma di inabissamento, smarrimento, di dolore, di grave perdita, di discesa agli inferi, periodo forse tra i peggiori della mia vita, nel quale sono stato sbattuto, trafitto, straziato, ridotto in mille pezzi, annullato. Ma è stato quello anche il momento della lenta e faticosa catarsi, della rigenerazione, tappa dopo tappa, nella quale, precipitato giù all’ultimo gradino dell’umanità, a livello degli iloti, toccato il fondo, non mi restava che risalire, un gradino dopo l’altro. Con una voglia nuova di farlo, smanioso di “luce” come mai lo ero stato stimando che nella penombra stessi meglio. Ma quando hai visto il buio assoluto, non riesci ad agognare altro che la luce piena, come fosse il tuo stesso respiro, per respirare.
Sono ancora intento a risalire, gradino dopo gradino, da quella caduta laggiù nel buio. Mentre benedico, e bacio, quella provvidenziale Mano Invisibile che atterra e suscita che affanna e consola, che mi ci ha buttato, per salvarmi, di poi porgendosi per aiutare a rialzarmi e risalire. Col mio consenso.
Ritorno qui un po’ cambiato, e molto ancora voglio cambiare. Spero ci siate ancora tutti.
Oh certo sì, avrei tante cose da dirvi, ma come si fa? Posso prendere soltanto un tassello di questo grande mosaico che è una mistura di quotidiano e di eterno, e farvelo vedere, per capirne qualcosa.
Il sinodo. Il papa. La chiesa. I tempi. Il mondo. La profezia. Tanta roba. Come si fa?
UN RACCONTINO
maniHo scoperto ultimamente quanto avevo represso per anni, reputando di dovermene vergognare. La mia vena di narratore. Ho quasi portato a termine il mio primo racconto, del quale prima o poi vi dirò; nel frattempo ho abbozzato anche diversi altri progetti narrativi. In uno di questi, c’è un cammeo che forse non farà mai parte di alcuna storia, infine.
È questo. (non è obbligatorio leggerlo: potete saltare al paragrafo successivo senza nulla perdere).
Un giorno di un secolo passato, quando non c’erano i media, un vecchio maestro elementare che non si era mai spostato dalla sua provincia, sapendo che un suo alunno diventato seminarista andrà a Roma, gli raccomanda il suo ultimo desiderio: «Quando sarai a Roma, vai alla Cappella Sistina e guarda bene ogni dettaglio: poi raccontami com’è, quando torni, voglio sapere tutto: per tutta la vita ho desiderato di vederla».
Il seminarista mantiene fede alla promessa e ci va, passa un’intera giornata a osservare e catalogare ogni particolare della Cappella. All’ora della chiusura, non aveva ancora finito di annotare. E aveva riempito l’intero quaderno di appunti. Pensando alla struggente attesa del suo antico maestro, si commuoveva, e preoccupato si domandava “come farò a raccontargli tutto?, a ricordare ogni cosa? E soprattutto: come trovare le parole giuste a rendere l’idea di tanta bellezza persino nel raffigurare le cose tremende?”.
E venne il giorno del ritorno. Bussò alla porta del vecchio maestro, che prontamente gli aprì. E non aspettò nemmeno i convenevoli, perché subito gli domandò:
«Allora, com’era la Cappella di Michelangelo? Raccontami tutto».
«Maestro, è troppo… troppo».
«Troppo?».
«Troppo di tutto: troppo bella, troppe cose ci sono».
«Oh io sono un vecchio pazzo con un desiderio, non ho altro, ho poco tempo ancora da vivere, ma se è necessario lo uso tutto per ascoltare ogni cosa: voglio i particolari».
Il seminarista era imbarazzato. «Maestro, nemmeno la mia memoria basta a contenere la Sistina, e non bastano nemmeno tutte le parole che conosco».
Un velo di delusione amara si disegnò sul volto del vecchio. Il seminarista ne provò grande afflizione. E allora cercò di rincuorarlo: «E allora ho pensato di annotare tutto qui, anche se mancano molte cose: non bastava lo spazio e il tempo». E gli porse il quaderno pieno di appunti: «La mia scrittura la conoscete bene, tanto, non faticherete a decifrarla: mi avete insegnato voi a scrivere, e a ridere dei miei errori». Glielo porse, e rimase sgomento quando il vecchio suo maestro non allungò la mano per ritirare il resoconto.
«Sono troppo vecchio, non leggo più, io volevo sapere da te che cosa hai visto», disse deluso e serio, «possibile che hai guardato tutto senza vedere niente?».
«Beh, ho visto… sono stato tanto ore a guardare, e ho visto».
«E allora raccontami: cosa hai visto?».
Il seminarista pensò a cosa davvero aveva visto tra le miriadi di cose che aveva guardato. E non gli sovvenne che un particolare, uno solo, il solo che in fondo avesse non solo guardato ma “visto”, e tutto il resto risultò superfluo, quel particolare visto e capito, diceva tutto.
«Maestro, ho visto nel centro della Cappella, laddove c’è l’altare maggiore, il gigantesco dito di Dio che tocca il dito dell’uomo steso come inanime a terra, e così gli trasmette la vita e lo anima».
Il Maestro rimase con gli occhi sbarrati, la bocca socchiusa, senza dire e chiedere nulla: come stesse contemplando egli stesso, finalmente, la Sistina. Era bastato quel dettaglio raccontato da un testimone a “trasmettere” nella sua immaginazione l’essenza di tutto.
Finalmente, ancora non del tutto ridestato dal suo incanto, il vecchio maestro parlò, o sarebbe meglio dire, balbettò qualcosa:
«Tutta questa bellezza… è insopportabile». E morì.
Ecco, questo per dirvi che… come si fa a fare il punto della situazione in poche pagine?, a trovare le parole giuste, quando sembrano persino mancare? Ed è stato così che ho deciso di raccontarvi un solo particolare, non decontestualizzato dal tutto, ma dentro il tutto.
Lasciatemi dunque raccontare del “dito di Dio” che tocca quello dell’uomo che mi è parso di contemplare in una parrocchia: secondo me, in fondo, racconta tutto il resto, facendo a meno anche dei dettagli triviali e praticamente pornografici che sono ormai il quotidiano mediatico, e purtroppo anche reale, della nostra Chiesa, a cominciare dal suo cuore politico (perché quello di carne e spirito è Cristo), il Vaticano, che ultimamente, stando ai giornali, è diventata una storiella zozza di monsignorE maritate.
In questo “particolare” che mi appresto a narrarvi, che è una testimonianza personale, a mio avviso c’è tutto. Tutto quel che conta, almeno.
IO CONFESSO A VOI, FRATELLI
1795575_772375486109008_1183061843_nIo confesso. Non ho mai negato i miei radicati convincimenti giansenisti sui sacramenti della confessione e della comunione, anche se mai li ho pubblicizzati. Ma li ho, e confesso.
Io confesso. Di essermi allontanato negli ultimi tempi dalla grazia di Dio e dalla vita cristiana. Di non essere né sentirmi in pace con Dio. Ragion per cui mi sono tenuto lontano anche dalla confessione, dalla comunione e infine ho cominciato pure ad abbandonare la messa e la preghiera.
Io confesso anche che ho avuto una “notte oscura” che non aveva niente di mistico ma che ogni tanto, appesantito dal mio stesso peccato, e dal comunque strisciante senso di colpa “calvinista” mi verrebbe da dire, in certi momenti ho implorato i cieli, e se c’era qualcuno là dietro, di alzare il sipario e mostrarmi un lembo della sua veste: perché dubitavo come Tommaso. Ho fatto l’esperienza del nulla e dello smarrimento, lo confesso. Ad un certo punto, sicché sono in grado di mentire e d’essere ipocrita non oltre un certo limite, ho smesso anche di scrivere e di “testimoniare” quanto in realtà non vivevo, non più, ammesso l’abbia mai vissuto veramente.
Io confesso anche che… certe volte pensavo alla storia umana di Gesù, e nonostante tutto quanto v’ho appena detto, quasi mi commuoveva sino alle lacrime. «Mi dispiacerebbe molto se uno come te non fosse davvero Dio, se un Dio può esserci e c’è».
Io confesso, è nelle righe, che fin qui la mia conversione è stata tutta un equivoco; o meglio: è stata un inizio, che rischia sempre di restare tale e non andare oltre. Ossia, è stata una conversione di testa, culturale, intellettuale. Ma ero ben lontano dalla conversione del cuore, quella che infine Gesù domanda. Ora mi ci sono avviato, ma ancora sono in cammino, la strada è lunga e piena di tentazioni.
Io confesso, sto confessandovi, e Dio m’è testimone, di non essere da nessun punto di vista un cattolico e men che meno un cristiano esemplare, e di non esserlo mai stato, e se qualche volta vi ho lasciato intendere il contrario, è perché vi mentivo, dissimulavo, per calcolo e vanità, per autosuggestione anche. Ho peccato reiteratamente molte volte e in molte cose: ho conosciuto, mentre vi “predicavo”, tutte le più formidabili tentazioni di Satana, e non ne sono ancora immune, nessuno lo è: la sozzura della carne, l’odio, l’ambizione, l’invidia, la calunnia…
Ciò non di meno, cerco adesso di mettermi nelle mani di Gesù e sotto il manto di Maria, e in loro confido; cerco di resistere il più possibile ai richiami sordidi. Che Dio mi perdoni. Mi perdoni del bene che non ho fatto anche se avrei potuto, del male che ho ricambiato col male, di aver consegnato un serpe a chi mi donava una colomba. Confesso a voi tutto questo, fa parte di questa catarsi che mi sono riproposto.
Sì, perché confesso anche questo, sebbene so che certi propositi benedetti richiamano l’invidia e aizzano fierissime le controffensive dell’Antico Avversario. Confesso: che mi propongo di piano piano, un passo dopo l’altro cristianizzare tutta la mia vita, col fine di poter dire, giunto al termine – spero lontano – della mia corsa “Signore, non sono più io che vivo, sei tu che vivi in me: di cosa avrò mai paura?”.
Ho iniziato, lentamente, questo cammino: dove sto imparando a pregare il rosario, a pezzi, ma ogni giorno; ho imparato a coltivare il rapporto soprannaturale con i santi che mi sono più cari; ho perdonato chi ho preso a odiare perché mi ha fatto del male; e quanti, avendomi fatto del male oppure no, per disprezzo ho calunniato e ho desiderato distruggere; sto cercando per quanto possibile di vivere con purezza; ho deciso di dedicare alcune ore della mia settimana a gente che ne ha bisogno; sto cercando di lavorare sul mio cuore e la mia vita per finalmente giungere al giorno mirabile e tremendo della confessione sacramentale di tutto e della mia riconciliazione con Dio eucarestia, certo allora di poter essere il tabernacolo mondato che possa degnamente riceverlo in sé.
Tutte cose che richiedono un impegno immenso, ma il soltanto impegnarmi mi dà serenità: eventuali vostre preghiere aiuteranno e saranno gradite, specie quelle dei consacrati. O di chi prova risentimento nei miei confronti.
SONO TORNATO A MESSA
le-porte-della-chiesa-in-cui-sono-riuniti-tutti-i-protagonisti-di-lost-si-aprono-e-christian-shepard-scompareA proposito. Sto intanto ritornando a rispettare il precetto festivo, presenziando, con uno spirito nuovo, alla divina liturgia domenicale. Non andavo a messa da tanto.
Ecco, di quest’ultimo dettaglio vorrei dirvi: è il mio personale “dito di Dio”.
Ieri sera, domenica, ho deciso di andare a messa nella parrocchia più vicina, qui a Roma, col proposito di replicare ogni domenica successiva. Ma vi dico la verità: mi pesava, pigrizia e noia preventive cercavano di dissuadermi in ogni modo. Mi spiego meglio: non era la messa in sé che mi disturbava, ma quello a cui è stata ridotta. Già sapevo cosa mi aspettava: audio a tutto volume da rompere i timpani; schitarrate; canzonacce stonate; le deliranti innumerevoli generalissime megalomani “preghiere dei fedeli” che non credi trovino in paradiso qualcuno disposto ad ascoltare senza sbadigliare e men che meno ad accondiscendere; prediche logorroiche e sconclusionate, purtroppo anche sgrammaticate opera del solito prete straniero di passaggio, mentre la gente chatta sull’IP; squallore generale; sfilza di letture lette da laici senza un minimo di espressione, dizione, devozione, a cantilena come si fa alle elementari col sussidiario tanto che alla fine non capisci e non segui più niente; gente tutta in piedi quando si fa la consacrazione a una velocità supersonica sicché s’è fatto tardi dopo mezzora di predica. Insomma, le solite robe che sapete e infastidiscono voi pure.
Mi sono detto: «Signore, io a messa ci vado, ma non credere mi diverta e ne sia particolarmente edificato, lo faccio giusto per riguardo a te, avendoti dato la parola, ma per me resta un atto penitenziale». Con questo spirito, lento pede, mi sono recato per una volta puntuale in parrocchia: a Santa Maria Goretti. Un nome una garanzia, quella parrocchia!… ‘na volta e due che c’ero stato!… attacchi di bile ogni volta.
Appena ci sono entrato, ho pensato: “Tutto è rimasto tale e quale come l’avevo lasciato mesi fa: facciamoci coraggio!”. Poi ho pensato anche: “Per una volta sono in chiesa non per occuparmi del contesto e criticarlo, ma per me stesso e per Dio”.
Dio che sembra avermi proprio ascoltato questa volta, e m’ha dato il benvenuto con quella sua solita malcelata, raffinata, un po’ tagliente ironia che gli conosco.
Inizio della messa. Ok, c’era la chitarra e una voce un po’ stridula e troppo alta che cantava. Ma in aggiunta, stavolta, c’era anche l’organo: il risultato finale non era male e un che di solenne, per la prima volta, s’è diffuso in quel disadorno tempio. La gente non è tanta come le altre volte, è di meno: c’era una partita importante. In cambio, molti sono asiatici e latinoamericani.
Il prete è spagnoleggiante, dall’italiano incerto, è giovane e barbuto, ma sembra un buon prete, molto mite.
Questo mi colpisce, ed è la seconda sensazione strana: quelle solite preghiere liturgiche dell’introito, le stesse che ormai straccamente recitiamo mnemonicamente senza rifletterle e averlo mai fatto, stavolta io – ma ho la sensazione anche tutt’intorno – le recito gustandone ogni singola parola, e mi paiono bellissime, e lo faccio con una strana, gioiosa commozione, un singulto a ogni frase quasi. E tutto ciò mi meraviglia: le sento, le vivo. Ecco, in questo senso si “partecipa” alla liturgia, mi dico. Non mi sfibrano come le altre volte: ecco, mi dico, l’ironia di Dio, forse. O forse, mi dico, è perché per la prima volta sto partecipando “con un cuore nuovo”. Molte volte, in questi ultimi tempi, avevo domandato a Dio di strapparmi il cuore “di pietra” e di trapiantarmi un “cuore nuovo”: di carne.
SINO A SPERARE
CONTRO OGNI SPERANZA
311451_2563787264295_1575938301_nIniziano le letture dei fedeli, e ritorna l’ironia di Dio.
Prima lettura: una bella signora legge, e lo fa con una dizione perfetta, cinematografica e non mi sfugge nessuna parola, non mi distraggo. Una lettura fatta bene: un miracolo! Non finisce mica qui: un ragazzo esile si accosta all’ambone, e con le parole di Dio, inizia un canto biblico sublime. Che quasi mi ferisce dentro. Sono più attento e vivo che mai. Dio mi stava regalando momenti di bellezza, dopo essermi preventivamente lamentato dell’assenza di bellezza alla sua mensa: era il suo modo di ringraziarmi per aver accettato l’invito, da quel Dio gentile che è. E ironico.
Nel mentre, pensavo al Sinodo, a quel che si dice sui media, allo squallore che c’è fuori, agli scandali costruiti a tavolino, alla barca di Pietro sballottata grottescamente, senza rispetto sulle agenzie giornalistiche, come quel Cristo – ne vedo il suo volto, alle spalle del prete – ricoperto di ridicolo e sputi e beffe mentre il mondo lo processava avendo già deciso di condannarlo, lo vedo ridotto a una parodia di “re” con una corona di spine e un mantello rosso e buttato in pasto al pubblico ludibrio. Mentre «nessuno si è accorto che intorno a lui l’universo gli faceva infamia, e era una grande colata di sudore e amore», dirà di lui la poetessa pazza Alda Merini.
Ascolto con viva apprensione quella bella signora dalla bella dizione come mai s’era sentita dacché io ricordi. E mi pare il simbolo della chiarezza che Dio vuole stabilire in questo giorno fatale, su tale questione epocale, per la prima volta nella storia dell’uomo messa in dubbio, anzi negata con livore e saccenza: “Parola di Dio”, che ci parla ancora oggi, come agli ebrei del tempo, per bocca dei suoi oracoli, e dice:
Dopo che Dio aveva creato gli animali e lasciato all’uomo l’onere di dargli un nome, perché gli facessero compagnia, valutato che non ne ricavava grande aiuto…
Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (…) Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carnee e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.
Eppure queste qui sono parole che per tutta la nostra vita abbiamo sentito, ma oggi, oggi in questo tempio, in un silenzio assordante, assumono una potenza nuova, inaudita, che sgomenta, come a sentirle la prima volta. Perché Dio stesso, con poche parole, inequivocabilmente, abolisce tutte le ideologie del mondo, che, oggi, proprio oggi, stanno assaltando la sua Chiesa, penetrandola con una caparbietà subdola e spaventosa, aggredendola da fuori e soprattutto da dentro, sicché o implode o esplode. Sembrano quasi scandalose queste parole di Dio stesso, oggi, capaci di sfidare il mondo e persino di vincerlo contro ogni speranza.
“Rendiamo grazie a Dio”, veramente! Stavolta la risposta riturale alla lettura non è stata meccanica: era sentita… “ti ringrazio… grazie per averlo detto: non siamo soli!”. Speriamo contro ogni speranza.
POSSA IO VEDERE I MIEI FIGLI
E FIGLI DEI FIGLI
E quando sento cantare con grande potenza dal ragazzo esile all’ambone le parole di Dio nel salmo, sogno, sogno e agogno di essere premiato così come Dio promette a chi è fedele all’ordine delle cose da lui stabilito:
Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.  
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.
 (…) Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!
Mio Dio! C’è un’immagine più bella e desiderabile di questa? Sentite: “La tua sposa come vite feconda… i tuoi figli come virgulti d’ulivo”. E ti immagini i tuoi giovani forzuti figli venuti belli e forti intorno al tavolo di mezzogiorno dove c’è il tuo sudore che si è trasformato in loro nutrimento. Perché possano sperimentare essi stessi questa gioia e tu contemplare con orgoglio i figli dei tuoi figli. E questa bellezza struggente, virile e sensuale, cosa c’entra con le languidezze disgustose e flaccide che il mondo di questi giorni ci propone e vorrebbe imporre anche alla sposa di Cristo, la Chiesa, conciata come una femmina pubblica avanti negli anni e canzonata nella piazza del villaggio? La vite, la sposa, e i virgulti d’ulivo, i figli come benedizione di Dio, intorno alla mensa del padre loro: bellissimo! Cosa desiderare di più?
Bellissimo! Di una bellezza che fa vibrare d’improvviso tutte le vetrate della chiesa di Santa Maria Goretti, persino le mura sembrano scosse: mi pare di sentire fuori l’ira funesta del Demone devastato d’odio e d’invidia che s’abbatte sul santo edificio, vorrebbe all’istante irrompere con l’oscenità e la ribellione dei disperati in quel momento di sublime verità, profanandolo. Ma i vetri del tempio, ripieno di Spirito Santo come ossigeno nei polmoni, reggono ai colpi e non cedono, egli non vi irrompe. C’è una grande pace invece. E la mia commozione è sempre più grande: penso ai vetri e alle mura del Vaticano, e coltivo la stessa speranza. Anzi: in quel momento ci credo. Che almeno il Tempio di Pietro, laddove vigile dorme il suo sonno terreno l’Apostolo, sia preservato dall’attacco di Lucifero e delle sue legioni terrene e ultraterrene, dai suoi sacerdoti apostati.
COME ASCOLTARLO
PER LA PRIMA VOLTA
Nulla di nuovo sotto il sole: la feroce propaganda laicista ha preso di mira da sempre la santità del matrimonio cristiano, ridicolizzandolo
Nulla di nuovo sotto il sole: la feroce propaganda laicista ha preso di mira da sempre la santità del matrimonio cristiano, ridicolizzandolo e volendolo svincolare.
Poi è il momento del Vangelo. Il sacerdote con grande umiltà e modestia si appresta a leggerlo, e lo senti anche tu che lui pure, mai quanto oggi, sta sentendo quanto legge, e pur con la sua sobrietà quelle parole lo riempiono di fervore, come le stesse leggendo e pronunciando per la prima volta: gli confermano per voce del Messia direttamente qual è la via, e così deve sentirsi meno solo anche lui in questo mondo e in questa Chiesa, adesso. Ed è come se anche noi per la prima volta ci accorgessimo tutti che veramente quella “parola del Signore” è di Gesù, che davvero ha detto così:
… alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie (…)
Gesù disse loro: «(…) dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Il silenzio è totale nell’edificio, per la prima volta non si sente tossire, non squillano cellulari, tutto resta immobile come sospeso: stanno davvero tutti ascoltando, e capisci che nello stesso momento, con un certo imbarazzo, paragonano automaticamente quelle parole di Lui, così chiare, con quante in libera uscita se ne sentono dalla televisione, da certi vescovi mondanizzati, sull’uomo e la donna, sul matrimonio, sul divorzio. “Ma davvero ha detto così Gesù!! Ma allora?…”, perché i suoi stessi sacerdoti lo smentiscono, lo censurano addirittura, lo liquidano con sufficienza? Che senso ha tutto questo? I loro pensieri meravigliati prendono quasi consistenza visibile librandosi nell’aria.
Le parole di Lui per mezzo del suo servo infatti assumono una inedita potenza, rombano nell’aria eppure… restano sommesse, ma implacabili, definitive, totali. Sento davvero la voce del Cristo, ne avverto la volontà immutabile, ma senza arroganza. E quasi mi viene da piangere. Di gioia.
PAROLA DEL SIGNORE, SCUSATE TANTO …
GiannelliIl prete si appresta a tenere la sua predica: ricorda a tutti che oggi si aprirà il sinodo sulla famiglia, e ripete le frasi forti di Dio: “uomo e donna… nessuno osi dividerli”. Lo fa con molto garbo, sommessamente, quasi a scusarsi, come  se…
…come si imbarazzasse di quanto sta scritto ed è il ribaltamento esatto del pensiero del mondo. O meglio: lo fa, si potrebbe dire, con un certo timore… paura ecco, paura del frastuono del mondo, della morte civile che è decretata per chi non si sdraia sulla linea, paura dello “scandalo”, tanto allo stato attuale risultano “eversive” quelle parole, e io stesso percepisco e probabilmente lui pure, il pericolo, il presentimento che qualcuno ormai ebbro degli inganni dello spirito del mondo qui e adesso tra l’assemblea dei fedeli balzi in piedi a ribellarsi, svillaneggiare il prete e gridare ai “tempi nuovi, nuova chiesa”, a respingere furioso le parole di Cristo stesso (del quale poco dopo si ciberà con indifferenza triturandolo tra i denti superbiosamente, ingoiando la sua condanna), quelle Sue parole che… che vuoi che siano rispetto a quelle dei tuttologi e degli opinionisti alla moda, laici e clericali, che imperano sui media, a cominciare da quelli cattolici ufficiali, compresi L’Avvenire e L’Osservatore che in questi giorni hanno persino inneggiato alle “moltitudini” di genti, come fosse l’esodo del popolo eletto, che domanderà di ripudiare moglie o marito… e tanti applausi: finalmente!, dicono ebbri di malignità… poter fornicare con la benedizione se non “di Dio”, della Chiesa. Satana si è vestito da prete, da vescovo e a tempo perso fa anche il giornalista “cattolico”.
Una cosa è certa: in questa domenica tutti hanno sentito con le loro orecchie, ora sanno inequivocabilmente qual è la volontà di Gesù. Da adesso in poi nessuno potrà congetturare: è il momento del libero arbitrio: o si sta con Lui o deliberatamente ci si mette contro di Lui. Lo stesso vale per il Sinodo. Benché molti vescovi si reputino immuni dalla volontà di Dio, ma non da quella di Scalfari.
GESÙ A BORDO CHE                                         
 FA FINTA DI DORMIRE

1560719_264638083695729_1640643154_nMentre ascolto e penso tutto questo,guardo le volte di questa mia chiesa di quartiere, che non ho mai amato e mai ho sentito come casa mia: ma stavolta no, mi sento in famiglia, le guardo queste volte, e mi sono infinitamente care. Sembrano le volte della pancia di una grande nave, perduta in mezzo all’oceano in tempesta.
E mi sento sulla barca di Pietro con Gesù a bordo che fa finta di dormire. E il mio panico si placa e muta in risata quando il Messia apre un occhio, mi squadra e dice, a bassa voce: “Non temere: ci sto qua io non vedi? Scciii … zitto, zitto … vediamo che fanno gli altri, e Pietro. Tu fa finta di niente”.
Nonostante tutto, mi sono detto, questa barca qui, sola nel mare magno della mondanità perduta, minacciata dai flutti e dalle falle, tormentata e sbatacchiata dalle tempeste, frenata e respinta da tutti i venti contrari, questa barca qui dentro la quale stasera ci sono anche io di nuovo, non solo non affonderà, ma continuerà ad andare, e finché la barca va… Tanto dopo la tempesta viene sempre il sereno.
Piccolo gregge, piccola Chiesa che, nonostante tutto, nonostante quel che dice la gente, percossa, ridicolizzata, svergognata e anche martirizzata ogni giorno di più come sei, continui a vivere, pulsare, a combattere per essere fedele a te stessa e al tuo Signore, alla sua Parola, contro tutto e tutti, apparentemente contro la stessa ragione. E lo fai con mitezza, submissa voce, un po’ triste, forse tremando un po’ di paura, ma in fondo serena. Sperando ogni giorno di più: che lo Sposo venga a salvare la sua Sposa: perché il mondo non separi ciò che Dio ha unito.
Insomma, avevo paura di annoiarmi a messa, oggi. Ma Dio, grato per la visita, ha montato tutto questo splendido spettacolo… mi verrebbe la tentazione di dire… “per me”. Non solo mi ha divertito: mi ha edificato. Ritornerò di certo domenica prossima.
p.s.
Un altro miracolo è successo oggi: alla Consacrazione, per la prima volta in questa parrocchia, ho visto che la grande maggioranza si è inginocchiata. Tutti fanno la comunione, specialmente le poche giovani ginocchia che non si sono piegate nemmeno alla consacrazione, tutti salvo io che sto in quarantena penitenziale e qualche altro derelitto. Massì, rido: è il popolo variopinto, confuso, incosciente e irresponsabile di Dio, che a quanto pare si sente la coscienza pulita. Beati loro, perché non sanno quel che fanno, e molto gli sarà perdonato. Io invece so, e devo starci attento se non voglio mangiare la mia condanna.
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