spetta al Papa –
in conformità alla sua carica
e nei limiti a lui fissati dal Cristo
1. Nella Rete si stanno diffondendo articoli e commenti in
merito al documento finale del Sinodo in cui si dice che si sarebbe sviluppato
troppo allarmismo a riguardo del punto 85 del testo, in cui si parla dei
divorziati-risposati.
2. Si dice che in questo punto non si fa alcun cenno all'Eucaristia e che inoltre nel documento stesso si ribadisce la validità della "Familiaris Consortio" di Giovanni Paolo II.
2. Si dice che in questo punto non si fa alcun cenno all'Eucaristia e che inoltre nel documento stesso si ribadisce la validità della "Familiaris Consortio" di Giovanni Paolo II.
3.Ovviamente Il Cammino dei Tre Sentieri sarebbe ben contento se effettivamente l'aver parlato di conclusione preoccupante per il Sinodo si rivelasse un inutile allarmismo. Al Cammino non interessa trovare le ragioni in merito alla lettura dei fatti, ma solo amare e servire l'unica Chiesa di Cristo.
4. Detto questo, continuiamo a pensare che non di allarmismo - purtroppo - si è trattato. E questo per tre motivi. Uno riguardante il testo stesso e due riguardanti ciò che è indirettamente legato al documento.
5. Veniamo al motivo riguardante il testo e leggiamo insieme un passaggio del punto 85. Esso dice: "La loro (dei divorziati-risposati) partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo."
6. Il punto cruciale sta in una definizione che purtroppo è sfuggita a tutti coloro che si sono sentiti di parlare di "allarmismo" ma che forse non conoscono bene il linguaggio teologico (il che è ovviamente comprensibile e giustificabile). Nel testo si parla del fatto che i divorziati-risposati possono maturare fino a divenire "membra vive" della Chiesa. Il Catechismo dice che chi è in stato di peccato mortale, pur non essendo scomunicato, è "membro morto" della Chiesa. Il "membro vivo" è invece chi è in stato di Grazia. Dunque, il testo parla del fatto che i divorziati-risposati (senza alludere alla necessità di vivere in totale continenza come precisa la "Familiaris Consortio") possano, continuando a vivere la loro relazione senza modificarla, divenire "membra vive" della Chiesa, il che vuol dire essere in stato di Grazia, il che vuol dire poter ricevere l'Eucaristia.
7. Si deve infatti tener presente che nessun uomo può cambiare la legge divina. Ora, è legge divina tanto l'indissolubilità del matrimonio quanto la necessità di essere in Grazia per ricevere l'Eucaristia. Da qui la norma - del tutto logica - dell'impossibilità da parte dei divorziati-risposati di poter accedere all'Eucaristia in quanto il loro stato impedisce la vita di Grazia. Parlare di possibile evoluzione a divenire "membra vive" salva sia i princìpi della legge divina sia la volontà di ammettere costoro all'Eucaristia.
8.Veniamo adesso ai due motivi indirettamente legati al documento.
9. Se effettivamente ci fosse stato solo allarmismo, non si capirebbe perché circa 80 vescovi abbiano votato contro il punto 85 del documento; se nel testo nulla cambia rispetto a ciò che è stato insegnato prima, perché costoro hanno votato contro?
10.L'altro motivo sta nel comportamento della Sala Stampa Vaticana. Finora essa non è intervenuta a smentire il senso dei vari titoli dei giornali che hanno parlato di "apertura ai divorziati-risposati".
11. Detto questo, Il Cammino dei Tre Sentieri riafferma il desiderio di poter prossimamente scoprire di aver fatto inutile "allarmismo", nella convinzione che ciò che conta è solo lavorare per la Gloria di Dio.
In Cordibus Jesu et Mariae
Il Cammino dei Tre Sentieri
Dichiarazione
a proposito della Relatio finalis del Sinodo sulla Famiglia
La relazione finale della
seconda sessione del Sinodo sulla Famiglia, pubblicata il 24 ottobre 2015,
lungi dal manifestare un consenso tra i Padri sinodali, è l’espressione di un
compromesso tra posizioni profondamente divergenti. Vi si possono leggere
sicuramente dei richiami dottrinali sul matrimonio e la famiglia cattolica, ma
si notano anche delle spiacevoli ambiguità e omissioni, e soprattutto delle
brecce aperte nella disciplina nel nome di una misericordia pastorale
relativista. L’impressione generale che si ricava da questo testo è quella di
una confusione che non mancherà di essere sfruttata in un senso contrario
all’insegnamento costante della Chiesa.
Per questo ci sembra
necessario riaffermare la verità ricevuta dal Cristo sulla funzione del Papa e
dei vescovi[1] e sulla famiglia e il matrimonio[2]. Lo facciamo nello stesso spirito che ci
ha spinti a presentare una supplica a Papa Francesco prima della seconda
sessione di questo Sinodo.
1. La funzione del Papa e dei vescovi
Figli della Chiesa
cattolica, noi crediamo che il Vescovo di Roma, Successore di san Pietro, è il
Vicario di Cristo, e allo stesso tempo Capo di tutta la Chiesa. Il suo potere è
una giurisdizione in senso proprio, e nei suoi confronti i pastori come i
fedeli delle chiese particolari, presi ciascuno isolatamente o riuniti insieme,
anche in concilio, in sinodo o in conferenze episcopali, sono tenuti a un
dovere di subordinazione gerarchica e di vera obbedienza.
Dio ha disposto così, in
modo che mantenendo con il Vescovo di Roma l’unità della comunione e la
professione della vera fede, la Chiesa di Cristo sia un solo gregge con un solo
Pastore. La Santa Chiesa di Dio è divinamente costituita come una società
gerarchica, dove l’autorità che governa i fedeli viene da Dio al Papa solo, e
attraverso lui ai Vescovi che gli sono sottomessi 1.
Quando il Magistero
Pontificio supremo ha dato l’espressione autentica della verità rivelata, sia
in materia dogmatica sia in materia disciplinare, non spetta agli organismi
ecclesiastici dotati di un’autorità di rango inferiore – come le conferenze
episcopali – introdurre delle modifiche.
Il senso dei sacri dogmi
che deve essere conservato in perpetuo è quello che il Magistero del Papa e dei
vescovi ha insegnato una volta per tutte e non è mai permesso allontanarsene.
Per questo la pastorale della Chiesa, quando esercita la misericordia, deve
cominciare con il rimediare alla miseria dell’ignoranza, donando alle anime
l’espressione della verità che le salva 2.
Nella gerarchia così
stabilita da Dio, in materia di fede e di Magistero, le verità rivelate sono
state affidate come un deposito divino agli Apostoli e ai loro successori, il
Papa e i vescovi, affinché li conservino fedelmente e li insegnino con
autorità. Questo deposito è contenuto come nelle sue fonti nella Santa
Scrittura e nelle Tradizioni non scritte che, ricevute dagli Apostoli dalla
bocca del Cristo stesso o trasmesse come di mano in mano dagli Apostoli sotto
la guida dello Spirito Santo, sono giunte fino a noi.
Quando la Chiesa docente
dichiara il senso di queste verità con tenute nelle Scritture e nella
Tradizione, lo impone con autorità ai fedeli, perché le credano come rivelate
da Dio. Ed è falso dire che spetta al Papa e ai vescovi di ratificare
semplicemente quello che è loro suggerito dal sensus fidei o dall’esperienza comune
del popolo di Dio.
Come abbiamo già scritto
nella Supplica al Santo Padre: «La nostra inquietudine viene dalla condanna che
san Pio X ha formulato, nell’enciclica Pascendi,
di un simile adattamento del dogma alle pretese esigenze contemporanee. San Pio
X e Voi, Santità, avete ricevuto la pienezza del potere di insegnare, di
santificare e di governare nell’obbedienza al Cristo, che è Capo e Pastore del
gregge in ogni tempo e in ogni luogo, e del quale il Papa deve essere il fedele
Vicario sulla terra. L’oggetto di una condanna dogmatica non può diventare, con
il tempo, una pratica pastorale autorizzata».
Questo fece dire a
Monsignore nella sua Dichiarazione del 21 novembre 1974: «Nessuna autorità,
neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a
diminuire la nostra fede cattolica chiaramente espressa e professata dal
Magistero della Chiesa da diciannove secoli. “Se avvenisse - dice San Paolo -
che noi stessi o un Angelo venuto dal cielo vi insegnasse altra cosa da quanto
io vi ho insegnato, che sia anatema”[3].
2. Il matrimonio e la famiglia cattolica
Circa il matrimonio, Dio
ha provveduto alla crescita del genere umano con l’istituzione del matrimonio,
che è l’unione stabile e perpetua di un uomo e una donna[4]. Il matrimonio dei battezzati è un
sacramento, poiché il Cristo l’ha elevato a tale dignità; il matrimonio e la
famiglia sono dunque di istituzione divina e naturale.
Il fine primo del
matrimonio è la procreazione e l’educazione dei figli, che nessuna volontà
umana deve escludere con atti ad esso opposti. Il fine secondario del
matrimonio è l’aiuto reciproco tra gli sposi e il rimedio alla concupiscenza.
Il Cristo ha stabilito che
l’unità del matrimonio sarebbe stata definitiva, per i cristiani come per tutti
gli uomini. Quest’unità gode di un’indissolubilità che non può mai essere
sciolta né dalla volontà delle due parti, né da un’autorità umana: «ciò che Dio
ha unito, l’uomo non separi»[5]. Nel caso del matrimonio sacramentale dei
battezzati, l’unità e l’indissolubilità si spiegano inoltre con il fatto che è
il segno dell’unione del Cristo con la sua Sposa, la Chiesa.
Tutto ciò che gli uomini
possono decretare o fare contro l’unità o l’indissolubilità del matrimonio non
corrisponde né a quello che esige la natura né al bene della società umana. In
più, i fedeli cattolici hanno il grave dovere di unirsi con il cosiddetto
matrimonio civile, senza tener conto del matrimonio religioso prescritto dalla
Chiesa.
Ricevere l’Eucarestia (o
comunione sacramentale) richiede lo stato di grazia santificante e l’unione al
Cristo tramite la carità; la comunione aumenta questa carità e significa nello
stesso tempo l’amore di Cristo per la Chiesa, che è a Lui unita come Sua unica
Sposa. In conseguenza, coloro che deliberatamente vivono insieme in un’unione
concubinaria o anche adultera, contro le leggi di Dio e della Chiesa, dando un
cattivo esempio di mancanza di giustizia e carità, non possono essere ammessi
all’Eucarestia e sono considerati come pubblici peccatori: «Colui che sposa una
donna ripudiata, commette adulterio»[6].
Per ricevere l’assoluzione
dei suoi peccati nel quadro del sacramento della Penitenza, è necessario avere
il fermo proposito di non peccare più e in conseguenza coloro che rifiutano di
mettere un termine alla loro situazione irregolare non possono ricevere
un’assoluzione valida[7].
In conformità alla legge
naturale, l’uomo ha il diritto di usare della propria sessualità solo nel
quadro di un legittimo matrimonio, e rispettando i limiti fissati dalla morale.
Per questo l’omosessualità contraddice il diritto divino naturale. Le unioni
compiute fuori dal matrimonio, che siano concubinarie, adultere o omosessuali,
sono un disordine contrario alle esigenze della legge divina naturale e
costituiscono quindi un peccato; non ci si potrebbe riconoscere alcuna parte di
bontà morale, nemmeno diminuita.
Di fronte agli errori
attuali e alle legislazioni civili contro la santità del matrimonio e la
purezza dei costumi, la legge naturale non ammette eccezioni, poiché Dio, nella
sua infinita sapienza, dando agli uomini la Sua legge, ha previsto tutti i casi
e tutte le circostanze, a differenza dei legislatori umani. Così non si può
ammettere la cosiddetta morale di situazione, che si propone di adattare le
regole di condotta dettate dalla legge naturale alle circostanze variabili
delle diverse culture. La soluzione dei problemi di ordine morale non deve
essere sottomessa alla sola coscienza degli sposi o dei pastori, e la legge
naturale si impone alla coscienza come regola dell’agire.
La sollecitudine del Buon
Samaritano verso il peccatore si manifesta con una misericordia che non scende
a patti con il peccato, come il medico che vuole aiutare efficacemente un malato
a recuperare la salute non scende a patti con la malattia, ma l’aiuta a
vincerla. Non ci si può liberare dell’insegnamento evangelico in nome di una
pastorale soggettivista che – pur ricordandolo in termini generali –
l’abolirebbe caso per caso. Non si può accordare ai vescovi la facoltà di
sospendere la legge dell’indissolubilità ad casum, senza esporsi a un indebolimento
della dottrina del Vangelo e a un frazionamento dell’autorità nella Chiesa. In
effetti in questa prospettiva erronea quello che è affermato dottrinalmente
potrebbe essere negato pastoralmente, e quello che è proibito de jure potrebbe
essere autorizzato de
facto.
In questa confusione
estrema, spetta ormai al Papa – in conformità alla sua carica e nei limiti a
lui fissati dal Cristo – ribadire con chiarezza e fermezza la verità
cattolica quod
semper, quod ubique, quod ab omnibus [8], e di impedire che questa verità
universale non sia praticamente o localmente contraddetta.
Seguendo il consiglio del
Cristo: vigilate et orate, noi preghiamo per il Papa: oremus pro Pontifice nostro
Francisco, e restiamo vigilanti: non tradat eum in manibus inimicorum eius,
perché Dio non lo abbandoni al potere dei suoi nemici. Supplichiamo Maria,
Madre di Dio, di ottenergli le grazie che gli permetteranno di essere il
custode fedele dei tesori del Suo Divin Figlio.
Menzingen, 27 ottobre 2015
+Bernard Fellay
Superiore generale della
F. S. S. P. X
Fonte: DICI
[2] Concilio di Trento, IV sessione; Concilio
Vaticano I, costituzione Dei
Filius; decreto Lamentabili,
n. 6.
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1679%3Adichiarazione-sul-sinodo-sulla-famiglia&catid=58&Itemid=64
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