lunedì 26 ottobre 2015

PER UNA Comunione compulsiva

L’Ostia: uno status symbol



Con lo sconcerto della “disfatta” annunciata dai giornali che tale poi abbiamo troppo tardi saputo non era, col fuso orario, con l’insalatone di patate uova e carote e simmenthal che me so magnato a tardissima sera non è che posso dire di aver dormito tanto, anzi: poco e male. In cambio ho un po’ letto il discorso del papa e riflettuto. Ma in realtà da mò che ho riflettuto…

L’Ostia: uno status symbol

E allora mi sia concesso per questa volta di esprimermi con una certa libertà: io distinguo sempre ciò che penso, da ciò che devo sostenere, che ho il dovere di sostenere o non sostenere come cattolico. Almeno stando alla mia capacità di comprensione delle cose. Stavolta dico quel che penso, che magari è solo frutto di pregiudizio o superficialità, lo metto in conto.
Sorridevo tristemente al bar, pochi minuti fa, leggendo i troppo frettolosi titoli dei giornali: “ostia ai divorziati”. Parlano di “ostia”, come a dire un oggetto pure abbastanza risibile, un alimento integrativo, uno status symbol, un accessorio inutile ma ambito se non altro per invidia o far dispetto a qualcuno, e manco si sono accorti che nessuno ha citato “l’ostia” o comunione che dir si voglia nella relazione finale del sinodo. “Divorziati”: manco si sono accorti che l’oggetto del contendere non erano i “divorziati”, ma quelli risposati, questi ultimi non possono accedere lecitamente «all’ostia», per dirla con l’ignoranza bestiale e nichilista dei giornalisti. La verità è che tutti, proprio tutti abbiamo perso la fede… nella Particola. E, va da sè, il rispetto.

Bergoglio ha vittoriosamente perso

Innanzitutto va ripetuto – come ha notato oggi su Libero Antonio Socci e prima di lui Magister – di “comunione” andreottianamente non si parla nel documento finale del sinodo. Ok, siamo d’accordo: è una paraculata e nessuno è nato ieri, il convitato di pietra sappiamo tutti qual è. Non mi esalto per questo, perché credo che quel silenzio oltre che frutto del compromesso che parla solo di “nuova integrazione nella comunità” del divorziato risposato, voglia significare ben altro: ogni conferenza episcopale decida se introdurre e rendere prassi la comunione per costoro, ciascuno è sovrano in casa sua, “noi, Roma, ce ne laviamo le mani”. Come Pilato.
Dunque non c’è stato alcun trionfo del papa e di nessun’altro; si può parlare, a secondo da che prospettiva guardi, di pareggio oppure di 0 a 5… ma a sfavore del papa. Di fatto è un compromessone democristiano abbastanza aleatorio, abbastanza di buon senso: brilla, diciamo così, di aurea mediocritas. Ma effettivamente i principi e i fondamenti non sono stati toccati, non sulla carta almeno.
Certo è che le parole del papa sono state un attimino, a ben osservare, invelenite: significa che il compromesso è stato estenuante. E i cedimenti progressisti (e dei nervi del papa) non sono stati pochi. Ad esempio sono del tutto scomparsi i riferimenti alla “questione omosessuale”, punto inserito a forza nello scorso sinodo dal papa, benché scartato dai padri: oggi mi rendo conto che sapeva gli sarebbe servito come una sorta di merce di scambio, diciamo pure di ritorsione verso i padri per il sinodo dell’anno successivo: ok, togliamo i gay di mezzo, però in cambio concedete una disponibilità a vagliare localmente “caso per caso” la questione dell’ammissione alla comunione dei divorziati risposati. Il che, per un soffio, è stato concesso, sebbene in termini generalissimi e con casistiche tutte ancora da definire nello specifico.
A proposito degli omosessuali. Ho capito cosa intendevano i vescovoni belgi quando ieri mattina si lamentavano dei “negri” al sinodo. Più precisamente: si lamentavano di Sarah (Dio ce lo renda papa), che appena i progressisti hanno cominciato a blaterare di “aprirsi” ai gay, nell’accezione arcobaleno e non cattolica del termine, il cardinale Sarah si è alzato e gli ha tappato la bocca. E come non bastasse è pure scomparso dalla relazione finale il riferimento (chiaramente sono abbastanza navigato per sapere che quanto è cacciato dalla porta, alla prima occasione irromperà dalla finestra, e il papa aveva tutta l’aria di colui che sta preavvertendo…).
Per farla breve: è tutto e niente, una vittoria di pirro per tutti e per metà è stato tutto un gioco e talora un bluff mediatico, specie per i progressisti. Tant’è che ancora i giornali vanno dicendo che un “trionfo di Francesco”. Trionfo una cippa: Socci la dimostra come una sconfitta, compromissoria quanto volete, ma sconfitta. Ma siccome non credo stiamo giocandoci una partita di calcio, io non vedo vittorie da nessuna parte, vedo solo il Deposito miracolosamente salvo. Almeno all’esterno.

Era meglio decidere di non decidere niente

Dal canto mio, siccome sono pragmatico e concreto, sarei tentato di dire: il sinodo si poteva pure evitare e comunque poteva non decidere niente. Dal momento che comunque chiunque e ovunque fa come cacchio gli pare, sia preti che laici. Basta andare a una qualsiasi messa la domenica, e all’improvviso… tutti cattolici in grazia di Dio, tutti a prendere la comunione, in mano, in bocca, ovunque.  Tranne io: trattenuto dai miei peccati, dalla scarsa volontà di non reiterarli, dall’assenza di confessione e soprattutto dal mio pertinace giansenismo, che mi pone in una posizione sui generis e critica con la comunione, la confessione e il senso di colpa.
Ma poi … lo stesso Bergoglio faceva così da vescovo, la dava un po’ a tutti, e da cardinale ha aiutato anche la sorella a porre fine al suo matrimonio, e poi da papa faceva le telefonatine alle fedeli argentine divorziate risposate per consigliarle di andare a prenderla in altra parrocchia “dove non ti conoscono” la comunione, se nella sua non gliela davano. Ecco, noi giansenisti sempre questi escamotage che vorrebbero imbrigliare nella casistica persino Dio, queste leziose e spregiudicate ipocrisie non abbiamo mai amato dei gesuiti: onde li odiamo, i gesuiti, e sempre li abbiamo odiati, quelli antichi e quelli, più sciagurati ancora, presenti.
Non prendiamoci in giro: era un pretesto ideologico per molti questo qua della comunione, doveva essere una prima angolare pietra sfilata dall’Edificio, e appresso sarebbero venute tutte le altre. Come già hanno fatto capire e anzi già iniziato a fare nel Nord Europa: prima la comunione ai risposati, poi chiaramente per forza la devi dare a tutti gli altri, e così dalla comunione arrivi alle benedizioni dei conviventi, poi delle coppie gay, poi di chi abortisce, poi di chi prende la pillola, poi di chi vuole l’eutanasia… etc etc. Insomma: tutto quel che hanno fatto i luterani nordeuropei negli ultimi anni. Suicidandosi subito dopo, per cessata ragione d’esistere.

Il problema risposati: non si risolve, si rimedia

Siamo seri: la questione dei divorziati risposati sacramentalmente non si risolve: semplicemente si ripara. Con un sacramento che vorrei dire di “pietà”, più che di grazia, nei loro riguardi, anche se non ho capito che necessità ci sia della comunione a tutti i costi: nella Chiesa ci si può stare e partecipare a diversi livelli, e la comunione dovrebbe essere (ok, è il giansenista che parla) un premio allo sforzo penitenziale perseguito lungo un intero periodo, perché se il peccato è lavato dalla confessione, l’alone della colpa resta, è come un chiodo nel muro, tolto il chiodo resta comunque il buco (ma ripeto: non intendo predicare i miei convincimenti, per questo onestamente li dichiaro per quel che sono: giansenismo, che rivendico per me e non certo impongo agli altri).
In ogni caso Dio non si prende in giro, dunque non capisco lo scandalo di molti: se uno va a prendere la comunione senza essere in stato di grazia, il problema è suo, la “condanna” la ingoia lui mica noi, e se il prete non lo ha avvisato, anche il prete si condanna da solo. Il parroco deve sempre essere chiaro, a mio avviso: “Io nel tuo stato la comunione non te la posso dare, perché collaborerei alla tua condanna: ma se la pretendi, contro la mia volontà, prendila, te la do, ma sappi che non è una grazia ma una maledizione”. Facciamoci gli affari nostri e pensiamo ai nostri peccati e alla nostra salvezza, invece che a quelli altrui.

Ci stanno casi che meritano 

un Sacramento di “pietà”

Oggettivamente ci stanno casi che vanno considerati a parte, per i divorziati risposati. Per questo non ho storto nemmeno troppo il naso dinanzi a quel confusionario testo papale dove si parla di rendere più pratici i processi per vagliare i casi di nullità: almeno si salvano le apparenze, anche se Dio non lo prendi in giro. Lui conosce i segreti dei cuori, meglio delle commissioni rotali.
Il problema effettivamente c’era e andava affrontato. Ora, sono abbastanza adulto da sapere che la maggior parte dei matrimoni finisce per questioni che di penoso e serio e degno nulla hanno, il matrimonio è diventato un consumismo come un altro. Ma … c’è sempre un ma: alcuni casi sono eccezionali e vanno esaminati con la massima solidarietà
Vi faccio un esempio terra terra.
Una cosa è se una ha lasciato il marito per andarsene con l’amante: per sensualità. Non merita alcuna “solidarietà” e men che meno la comunione.
Una cosa è il caso di uno che, senza colpa, avendo sempre fatto il suo dovere di marito, è stato abbandonato da una strega che fra l’altro gli metteva le corna, ed è ancora giovane: come fai a non rifarti una famiglia? In tal caso la parrocchia ha il dovere di esaminare con ogni pietà il suo caso e concedergli pietosamente il sacramento. Non è stata “colpa sua”, poveraccio!, la comunione gli sia concessa, sebbene come sacramento di “pietà”.
Puoi prenderla se sei vittima di un incidente, non puoi se te lo sei andato a cercare, il divorzio. Questi punti saranno stabiliti a parte, mi pare di aver capito. Che poi ognuno continuerà a fare come cavolo gli pare, è altro discorso, che non nasce certo con Bergoglio: sono anni di desacralizzazione del Sacramento, eucaristico e matrimoniale.
Quando manca la volontà di interrompere il matrimonio e manca il dolo nella sua fine, secondo me … vanno compresi misericordiosamente gli interessati.

Alla santità del matrimonio
deve corrispondere la dignità

Vorrei aggiungere sommessamente una considerazione che proposi sul mio fb ma mi fu duramente contestata dai miei amici, e io sono uno di quelli che, fedele al vangelo, prende in considerazioni gli “ammonimenti fraterni” dei correligionari, se sinceri. La dico senza volerla accreditare.
Il matrimonio è un sacramento, e il sacramento è per sempre. “Nella buona e nella cattiva sorte”. Ma di una “sorte” fatale si parla, che cade dall’alto su uno o su entrambi i coniugi. Non una “sorte” infame che uno volontariamente infligge all’altro. Ecco, non arrivo a sostenere il divorzio, ma dico che la nullità dovrebbe essere con buon senso allargata anche a taluni di questi casi. Dove alla santità del matrimonio deve far riscontro anche la sua dignità: se la promessa di prendersi cura e rispettarsi l’un l’altro viene meno, viene meno anche la dignità, la verità e la santità del matrimonio. Onde dovrebbe vagliarsi l’idea talora di sciogliere certi matrimoni per “indegnità” verso il sacramento.
Io sarei ancora per il ripudio, che taglierebbe la testa al toro, in caso di indegnità di un coniuge, ma siccome Gesù non vuole, taccio.

La misericordia delatoria?

La relazione finale parla e più che altro si interroga sul come “integrare i risposati” nella comunità parrocchiale (non parla di comunione) “senza procurare scandali”. Già! Cosa voglia dire non so, scandalo da parte di chi nemmeno so, ma sento comunque puzza di bruciato e zaffate di ipocrisia frammista a confusione.
A tal proposito, mi ha fatto sorridere una ipotesi, diciamo così, di scuola. Qualcuno diceva che Bergoglio inaugura la chiesa della delazione misericordiosa. Il parroco non misericordioso sarà additato e distrutto da consiglio pastorale, fedeli, pie associazioni, vescovi e soggiornanti di Santa Marta.
Dal canto mio, ci vedo un altro problema, proprio paesano ma non meno pernicioso: quando, poniamo, il parroco dovrà stabilire se una donna divorziata risposata ha diritto alla comunione, ascoltato il suo “caso pietoso”, non dovrebbe poi sentire anche l’altra campana? Immaginate l’ex che viene chiamato a testimoniare della “degnità” della sua ex? Provate a immaginare la scena! “La comunione a quella sgualdrina?!! Perle alle maiale!”. La prima opposizione sarebbe quella dell’ex che come minimo demolirebbe la “pietosità” delle ragioni asserite, s’immagina anche un po’ ricamando e manipolando, l’aspirante comunicanda.
Ma c’è di peggio. Pensate a una donna divorziata risposata che, evitate tutte le ipotesi di “scandalo” pubblico, è riammessa alla comunione dal parroco per la “pietosità del suo caso”. E questo in un paese, dove tutti sanno tutto di tutti. Immaginate fedeli, zitelle, comari, donne pie, vergini nate, meretrici pentite sull’orlo di una crisi di santità e persino (ci stanno pure, talora, in parrocchia) persone perbene: «E’ una vergogna! Dare la comunione a quella vacca!», e giù lettere anonime o firmate in fitta schiera “dalla cagnette a cui è stato sottratto l’osso” canterebbe De Andrè. Uno scenario da Bocca di Rosa.
Intanto tra una settimana, dicono gli scienziati, un enorme asteroide che non riescono a capire da dove è spuntato, sfiorerà la terra. Che sia il famigerato “segno nei cieli” annunciato da diverse presunte profezie?
Io ve lo dicevo, da buon giansenista: con questa storia della comunione frequente, anzi abitudinaria, compulsiva distruggerete l’eucarestia e voi stessi. Dell’eucarestia ne distruggerete il senso, il valore, la forza e la sacralità eccezionali; e quanto a voi, finirete col dannare voi stessi e trascinarvi dietro tutti gli altri: preti, papi, laici, divorziati risposati e anche no.
http://www.papalepapale.com/cucciamastino/senza-categoria/una-non-decisione-che-andava-presa-il-sacramento-di-pieta/

P.S.

Nella relazione finale del sinodo il termine "peccato" compare 4 volte, mai vi si ricorda però che cosa sia il peccato che pure il Catechismo della Chiesa cattolica definisce come un'offesa a Dio (CCC. 1850). Non vi si dice che è peccato vivere more uxorio con una persona che non è il proprio coniuge sacramentale. Il termine "conversione" compare invece 12 volte mai però legandolo al concetto di peccato personale. La prima volta in cui il termine "conversione" compare nella relazione finale è nel capitolo intitolato "ecologia e famiglia". Insomma: dobbiamo convertirci alla raccolta differenziata dei rifiuti......Questa relazione finale del sinodo dove devo metterla: nell'umido o nel residuo secco? Nicola Lentinu

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