Così il sinodo ha deluso il papa
Il punto chiave era la comunione ai divorziati. Ma nel documento finale non c’è alcuna innovazione rispetto alla dottrina tradizionale della Chiesa.
Due anni è durata l’impresa, dall’annuncio del doppio sinodo alla sua conclusione. E la partenza, nel febbraio 2014, era stata folgorante, col teologo e cardinale tedesco Walter Kasper, riformatore da una vita, incaricato da Francesco di dettare la linea ai cardinali riuniti in concistoro. Erano trent’anni che Kasper battagliava col suo antagonista storico, il connazionale Joseph Ratzinger, anche lui teologo e poi cardinale e infine papa, e proprio sulle due questioni capitali del sinodo ora concluso: comunione ai divorziati risposati e bilanciamento dei poteri tra Chiesa universale e Chiese locali. Su entrambi i fronti Ratzinger era uscito vittorioso. Finché a rimettere tutto in gioco è arrivato Francesco. E con lui Kasper è risorto come attivissimo capofila dei novatori.
L’errore dei novatori fu di strafare. Nel sinodo dell’ottobre 2014 infilarono nella “Relatio” di metà discussione una serie di formule ad effetto che fecero immediatamente gridare a una rivoluzione della dottrina cattolica non solo sul matrimonio ma anche sull’omosessualità. Ma quelle formule non riflettevano affatto quanto s’era detto in aula. Il contraccolpo fu micidiale. I cardinali Péter Erdö e Wilfrid Fox Napier denunciarono pubblicamente la manovra e indicarono nel segretario speciale del sinodo Bruno Forte il principale autore della forzatura. La “Relatio” finale cancellò le frasi abusive e l’omosessualità uscì dall’agenda dei lavori. Ma restò apertissima la questione della comunione ai divorziati risposati. E in vista della seconda e ultima sessione del sinodo papa Francesco riconfermò Forte segretario speciale e rafforzò con sue nomine mirate la squadra dei novatori.
E siamo a questo ottobre. La lettera che tredici cardinali di fama, tra cui Napier, consegnano il primo giorno al papa irrita il destinatario ma ottiene il risultato voluto: che non si ripetano le manovre di un anno prima. In aula e nei circoli linguistici appare subito largamente prevalente la linea contraria alla comunione ai divorziati risposati, con in prima fila i vescovi del Nordamerica, dell’Europa orientale e soprattutto dell’Africa. È a questo punto che nel circolo “germanicus”, dominato da Kasper, matura la decisione di ripiegare su una soluzione minima, ma che è ormai l’unica ritenuta ancora presentabile in aula: quella di affidare al «foro interno», cioè al confessore assieme al penitente, il «discernimento» dei casi in cui consentire «l’accesso ai sacramenti».
È una soluzione che lo stesso Benedetto XVI non aveva escluso, sia pure come ipotesi ancora bisognosa di «ulteriori studi e chiarificazioni». E infatti la sottoscrive nel circolo “germanicus” anche il cardinale Gerhard Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede e ratzingeriano di ferro. Nella bozza del documento finale del sinodo, nei tre paragrafi sui divorziati risposati, la soluzione “tedesca” è trascritta in blocco. Ma nemmeno questa sopravvive intatta al passaggio in aula. E così nel testo definitivo, approvato da più di due terzi dei padri sinodali, le parole «accesso ai sacramenti» non ci sono più, sono solo lasciate all’immaginazione. E non c’è nemmeno la parola «comunione», né alcun termine equivalente. Insomma, nessun cambio esplicito sul punto chiave. La decisione finale spetta a Francesco e a lui solo. Ma il sinodo che ha così fortemente voluto si è pronunciato lontano dalle sue attese.
http://espresso.repubblica.it/opinioni/settimo-cielo/2015/10/28/news/cosi-il-sinodo-ha-deluso-papa-francesco-1.236315
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