Gerard J.M. van den Aardweg. “L’ispirazione
omosessuale soggiacente alla Relazione Provvisoria del Sinodo sulla
famiglia 2014”
Gerard J.M. van den Aardweg
Il Prof. Gerard J. M. van den
Aardweg è uno psicanalista olandese (di impostazione non freudiana) il cui
campo di ricerca è
l’omosessualità. È l’autore di On the Origins and Treatment
of Homosexuality: A Psychoanalytic Reinterpretation (Sulle origini e sul
trattamento dell’omosessualità: una reinterpretazione psicoanalitica) e The
Battle for Normality: Self-Therapy for Homosexual Persons (La battaglia per
la normalità: autoterapia per le persone omosessuali). È un’autorità
mondiale nella cura delle persone
omosessuali, visto come il fumo negli occhi dalla lobby gay, ovviamente.
Nei suoi precisi e documentati interventi, ha ripetutamente dimostrato la
totale infondatezza scientifica della tesi dell’esistenza del “gene”
dell’omosessualità. Merita certamente di essere riprodotta qui una sua
intervista, apparsa sul sito “LifeSite” il 3 marzo 2015. L’Autore vi critica pesantemente e
con grande franchezza di linguaggio la grave deriva omofila presente nella
Relazione Intermedia del Sinodo dell’anno scorso, dovuta come è noto ai soliti
noti. I suoi argomenti ci sembrano estremamente validi e sempre attuali, dal
momento che non si può affatto
escludere il tentativo di riproporre le “aperture” al vizio contronatura nel
Sinodo del 2105, ormai imminente (pensiamo alla recente, scandalosa intervista del
cardinale C. von Schönborn, uno degli invitati pontifici al Sinodo, esaltante
l’omosessualità, in particolare quando si realizzi in una relazione stabile tra
due “persone”!).
[Presentazione
di Paolo Pasqualucci. Traduzione a cura della
nostra Redazione. Le frasi tra parentesi quadre sono pure della Redazione.]
“L’ispirazione
omosessuale soggiacente allaRelazione Provvisoria
del Sinodo Episcopale sulla famiglia, tenutosi nell’ ottobre 2014”
del Sinodo Episcopale sulla famiglia, tenutosi nell’ ottobre 2014”
di
Gerard J.M. van den Aardweg
Con
le loro affermazioni sugli
omosessuali e sull’omosessualità, i redattori della Relazione Provvisoria del
Sinodo Vaticano sulla famiglia di ottobre [2014] hanno deviato la pubblica
attenzione dall’argomento principale – l’urgenza di rafforzare il matrimonio
cristiano e la vita familiare – verso il tema completamente secondario
dell’omosessualità. L’effetto che le loro parole hanno provocato non deve
averli sorpresi: è ben nota, infatti, la prontezza con cui i media laici
sfruttano ogni parola e gesto delle autorità cattoliche in favore
dell’ideologia della normalità omosessuale,[i] utilizzandoli per premere sulla
Chiesa affinché abbandoni le sue resistenze ed accetti l’omosessualità nel modo
che essi esigono. La terribile verità è che i paragrafi della Relazione
relativi all’omosessualità non li ha affatto delusi, ferendo e confondendo
invece molti cattolici e non cattolici ordinari, comprese tante persone sinceramente
cattoliche che lottano contro tendenze omosessuali.
Leggiamo
i paragrafi 50-52 della Relazione. Il numero 50 esordisce così: “Gli
omosessuali hanno doni e qualità da offrire alla comunità cristiana”. Se si cerca
di dare un senso a quest’affermazione (infatti, quale persona non è in grado di
offrire “doni e qualità”?), bisogna dedurne che le persone il cui desiderio
sessuale è orientato allo stesso sesso avrebbero
dei “doni” speciali inerenti al loro “orientamento”. Quali siano questi doni,
non viene specificato. Quest’affermazione gratuita ricorda gli stereotipi
fabbricati dall’attivismo gay, per esempio la presunzione secondo la quale gli
uomini con orientamento omosessuale sarebbero particolarmente sensibili,
artistici, gentili; o quello secondo cui molte figure importanti della storia e
del mondo dell’arte sarebbero state omosessuali (molte di esse in realtà non lo
erano), come se questo fosse un argomento a favore della valorizzazione del
desiderio omosessuale. Si tratta di un pensiero elitario (questo degli
attivisti gay) secondo il quale la “natura” omosessuale sarebbe qualcosa di
speciale, e l’omosessualità sarebbe superiore all’eterosessualità “ordinaria”
(in modo analogo, il pedofilo omosessuale André Gide ha esaltato il presunto
valore superiore della pedofilia omosessuale).
In realtà, non ci sono
ragioni per glorificare il talento e le imprese superiori delle persone con
tendenze omosessuali. Il fatto che un numero relativamente grande di esse
eserciti certe professioni ha a che vedere più con i loro interessi personali
che con le loro qualità naturali, e se da un lato molte di esse hanno
primeggiato o sono divenute famose (il che non è la stessa cosa), dall’altro ve
ne sono molte altre il cui talento è stato distorto da una disordinata vita
emotiva o da uno stile di vita
irresponsabile, con grave danno delle loro capacità professionali. I problemi
di salute e mentali di molte persone che praticano l’omosessualità
costituiscono un problema sociale considerevole e in costante aumento.
Tuttavia, ancor più nociva è l’influenza degradante – tanto dal punto di vista
sociale che da quello morale – esercitata da quanti praticano l’omosessualità
(gli omosessuali “attivi”) nell’àmbito delle scienze umane, della letteratura,
della politica, dell’educazione e nelle chiese cristiane. E la Chiesa non deve
dimenticare che molti sacerdoti omosessuali hanno avuto ben altro da “offrire
alla comunità cristiana” che i loro “doni e qualità”: la grande maggioranza
delle loro vittime erano maschi adolescenti, dai quali si sentono attratti non
i pedofili ma più del 30% degli uomini adulti omosessuali.[ii] Si stia quindi
ben attenti a propagandare indiscriminatamente “gli omosessuali” alla comunità
cristiana [come un valore].
Inoltre,
con queste stesse prime parole del paragrafo 50, “gli omosessuali”, si
introduce un termine ambiguo e fuorviante, utilizzato anche nei paragrafi
successivi. Chi sono dunque questi “omosessuali” che l’autore ha in mente?
Quali sono esattamente i fedeli esortati a “fornir loro [...] uno spazio di
comunione nelle nostre comunità”, perché “gli omosessuali” vorrebbero “spesso
trovare una Chiesa che offra loro una casa accogliente” (n. 50)? C’è qui
fra l’altro un’accusa implicita: fino ad ora, “gli omosessuali” sarebbero stati
più o meno respinti dalle “nostre comunità” (quindi anche dalle parrocchie, dai
monasteri, dai seminari?); non gli sarebbero state offerte la “comunità”, la
“casa” cui aspiravano. In altre parole, non sarebbero i benvenuti e sarebbero
stati trattati in modo non cristiano; la parola a effetto “discriminazione” e
la rappresentazione degli “omosessuali” come vittime della condanna culturale e
religiosa – forme di propaganda immensamente efficace per il movimento dei
diritti gay – sono lì in agguato. È evidente di quale categoria di omosessuali
si parli in questa Relazione. Non di quelli che cercano di vivere castamente e
secondo la voce della loro coscienza (e che oggi sono una minoranza); non di
quelli aperti alla percezione del carattere contro natura e dell’immoralità dei
rapporti tra persone dello stesso sesso; non di quelli che cercano l’aiuto di
Dio, della preghiera e dei sacramenti nella loro battaglia psicologica e
spirituale.[iii] Non sono questi a volere uno “spazio di comunità” o una
“casa”: la Chiesa è gia la loro casa ed essi non desiderano affatto esservi
accettati come omosessuali. È impossibile trovare in questa categoria qualcuno
che si lamenti di non essere il benvenuto o di trovarsi respinto [dalla
Chiesa].
Ovviamente, la Relazione si
riferiva agli appartenenti all’altra categoria, la più vasta, composta da
quelli che vogliono condurre una vita omosessuale manifesta ed esser ugualmente
accettati: in poche parole, i “gay”. Ogni frase di questi paragrafi della
Relazione trasuda del loro modo di pensare, anche se non in modo franco e
aperto ma grazie ad insinuazioni e suggerimenti. Si consideri il seguente
passaggio: “Le nostre comunità sono capaci di [...] accettare e valorizzare il
loro orientamento sessuale?”. Ci si riferisce qui a coloro che si vittimizzano
e ne fanno un dramma perché i loro desideri non
sono “valorizzati”. Si tratta di una chiara eco del modo di parlare tipico dei
gay, ma la novità stavolta è che lo si trova in un documento della Chiesa
cattolica e di alto livello! Oltretutto, tale “orientamento” viene
presentato quale componente intrinseca e immutabile della personalità di un
individuo o come sua “natura”, non come il disturbo della personalità o del
comportamento che indubbiamente è (le prove scientifiche al riguardo abbondano
[iv]); esattamente come la pedofilia omosessuale ed eterosessuale, il
transessualismo, il travestitismo, etc. – o la femminizzazione compulsiva, a
dirla tutta. E questo suggerimento rafforza, invece di refutare, la falsa
opinione secondo cui tale orientamento sarebbe “genetico”, o fisiologico, o
situato nel cervello, e avremmo semplicemente a che fare con una variante
normale della sessualità umana.[v]
Anche il tono moraleggiante
della Relazione contro “le nostre comunità” ha un’impronta tipicamente gay,
perché l’insegnamento della bontà – del valore – dell’“orientamento
omosessuale” combinato con il dovere morale di accettare e valorizzare le
persone apertamente gay al loro interno, viene imposto al 98% dei fedeli senza
che vi sia alcuna considerazione
della loro naturale e normale avversione a tale valorizzazione (che
probabilmente i redattori della Relazione etichetterebbero come “omofobia”).
Non si comprende, evidentemente, che quest’imposizione forzata renderà
tese le relazioni normali all’interno di queste comunità e allontanerà
certamente dai loro rispettivi àmbiti religiosi (chiese o seminari che
siano) quei tanti che seguono gli impulsi innati e naturali del senso comune.
Siffatta cecità proviene dal caratteristico spirito naïf e
dall’autoreferenzialità dei gay, cui si aggiunge mancanza di interesse e
comprensione per i sentimenti degli uomini e delle donne che non hanno
problemi in questo campo, mancanza tipica della mentalità gay.
Ovviamente, non si può
predicare allo stesso tempo il “valore” delle tendenze omosessuali e il dovere
di vivere castamente. Indirettamente, la relazione giustifica certe forme di
comportamento omosessuale, forse credendo in modo irrealistico che alcune forme di
relazione tra persone dello stesso sesso possano trovarsi sullo stesso piano
del normale matrimonio e di un amore reciproco genuino e durevole. Una rigida
proibizione di correggere un desiderio (“orientamento”) che si presume degno e
apprezzabile, e che oltretutto dovrebbe esser in ipotesi ben accolto dalle
comunità religiose (parrocchie, seminari, etc.), sarebbe evidentemente
assurda. Anche la seguente affermazione testimonia la natura torbida del
pensiero soggiacente alla Relazione: “[è necessaria] una seria riflessione su
come identificare [...] approcci per la crescita affettiva [di persone con
questa tendenza] [...] e per la loro maturazione nel Vangelo, integrando il
lato sessuale [...]” (par. 51). L’“integrazione del lato sessuale” è
espressione che significa questo, in genere: “farne un componente di”. Nel
nostro caso ciò significherebbe
“farne un componente della maturazione nel Vangelo”!
È superfluo ricordare che il
cammino verso la santità – come anche, più semplicemente, quello verso la
maturazione affettiva – richiede di combattere contro qualsiasi tendenza
omosessuale. Render partecipi il comportamento, il sentimento o l’“amore”
omosessuale alla battaglia per la santità è nient’altro che un’invenzione
gnostica. Piuttosto, sarebbe stato opportuno scrivere il contrario: sono in
particolar modo le persone che soffrono le tentazioni della carne a dover
essere incoraggiate ad esercitare la virtù della castità [la battaglia è quindi
contro di loro]. Si sarebbe allora dovuta pronunciare qualche parola d’elogio
nei confronti dell’organizzazione cattolica Courage e di tutti quelli che si sforzano di
vivere in armonia con l’autentica dottrina morale cattolica. Dichiarare nella
Relazione che “la dottrina cattolica sulla famiglia e sul matrimonio” non
dev’essere compromessa (par. 50), o che “la Chiesa afferma che le unioni tra
persone dello stesso sesso non possono essere considerate sullo stesso livello
del matrimonio tra l’uomo e la donna” (par. 51) può suonare come un linguaggio
pio, ma non lo è affatto: è anzi scandaloso che gli autori osino
insinuare che il Corpo Mistico di Cristo sia aperto a qualsiasi considerazione
positiva nei confronti delle relazioni omosessuali (convivenza gay,
“matrimonio” gay). L’attribuzione di uno status superiore al vero matrimonio
non diminuisce questa vergogna. Le dissacranti coppie gay sono uno
scimmiottamento del santo matrimonio, tanto dal punto di vista biologico che da
quello psicologico e morale. È una folie
à deux, vale a dire una patologia psico-spirituale condivisa da due
persone. Non esistono relazioni gay psicologicamente normali, nemmeno nei casi
eccezionali in cui esse durino più di un paio d’anni, nel caso degli uomini, o
qualche anno in più, nel caso delle donne. Tra queste persone la promiscuità è
oltre i limiti così come lo sono le gelosie a livello patologico, i litigi, i
conflitti, la violenza domestica. Ogni analogia col matrimonio esiste solo
nella fantasia di quanti ignorano o vogliono ignorare la realtà.[vi]
Eppure, la Relazione
Provvisoria ribadisce: “Pur senza negare i problemi morali legati alle unioni
omosessuali, esistono casi in cui la reciproca assistenza, che si spinge fino al livello del
sacrificio, è un apprezzabile supporto nella vita di queste persone” (par. 52).
Quindi, anche se un affair o
un vincolo gay non può rivendicare
un valore pari a quello del normale matrimonio, esso sarebbe comunque a volte
un’ “unione” nobile e un sacrificio di sé [È la tesi del card.
Schönborn]. Non sarebbe questo per caso un argomento sufficiente per
l’approvazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso in determinate
circostanze? Ma ciò equivarrebbe a cercare di aprire una breccia nella
norma tollerandone le eccezioni (sotto strette condizioni, dopo una
considerazione attenta, e così via, ovviamente). È ben noto, tuttavia, che
quando si pratica un buco in una diga, prima o
poi essa crollerà.
Infine, che pensare di questa
affermazione del par. 52 della Relazione: “[...] la Chiesa presta un’attenzione
speciale ai [...] figli che vivono con coppie dello stesso sesso e sottolinea
che le necessità e i diritti dei piccoli devono avere sempre la priorità”?
Priorità su che cosa? L’unica risposta accettabile, dettata dalla compassione
umana, dal buon senso e dalla morale cristiana, è: priorità nei confronti
delle rivendicazioni egoistiche degli adulti omosessuali conviventi (finché lo
sono), i quali violano in tal modo la necessità, il bisogno e il diritto dei
figli di essere educati da un padre e da una madre. Questo vale tanto per i
figli che vivono con la loro madre o col loro padre e con il partner
omosessuale di uno dei due come per i figli adottivi con “genitori” gay. Gli
autori della Relazione danno l’impressione di accettare in linea di principio
queste pseudo-famiglie e la pratica dell’adozione gay. Ad ogni modo, essi
si esimono vergognosamente dal denunciare senza ambiguità questa barbarie
moderna, di sacrificare in massa figli e adolescenti innocenti e indifesi
sull’altare dell’ideologia gay. Questi bambini
vengono emotivamente, caratteriologicamente e moralmente vulnerati per sempre
[vii]; le parole zuccherine sul “prestare attenzione alle esigenze dei piccoli”
non suppliscono al dovere di parlare apertamente contro questa ingiustizia, che
grida vendetta al Cielo. L’urgenza della questione è dimostrata, tra le altre
cose, dall’aumento esponenziale di adozioni da parte di gay e lesbiche negli
Stati Uniti: tra il 2001 e il 2011 il loro numero è quasi triplicato, e
nell’ultimo anno ha superato i 32.000 casi.[viii] Bisogna ricordare che
molti di questi figli e adolescenti (anche loro appartengono alla categoria dei
“piccoli” che subiscono violenza) sono già traumatizzati dal divorzio dei loro
genitori o da altre esperienze scioccanti prima di essere affidati in custodia
a una coppia gay ed esposti così al suo esempio, perturbante.
Questa Relazione Sinodale
Provvisoria ha sollevato molti dubbi e provocato sconforto. Forse le persone che sono rimaste più turbate sono proprio
quelle che sentono attrazione verso lo stesso sesso, insieme ai genitori, gli
sposi e i familiari di omosessuali “attivi”. Queste persone si sentono
abbandonate, hanno la sensazione che gli venga tolto il tappeto da sotto i
piedi. Solo un esempio: un uomo
convertito al cattolicesimo che aveva quasi del tutto vinto le sue tendenze
omosessuali, si è sentito indignato ed oltremodo deluso: “Sono sempre stato
cosciente del fatto che essere gay non è una cosa sana. Tuttavia mi sentivo
depresso e completamente isolato poiché ogni giorno tutte le persone che mi
circondavano cantavano le lodi della vita
gay. Solo la Chiesa cattolica era un faro di speranza per me, ma adesso... a
quanto pare mi posso rivolgere solo a Putin!”.
Una comprensione realistica
di quello che sta succedendo nella Chiesa può costituire un importante passo in
avanti per il recupero della fiducia nella dottrina morale cattolica e nella
percezione infallibile e universale dell’innato senso morale dell’uomo sul
carattere innaturale, impuro dei comportamenti omosessuali e pedofili. Com’è
possibile che sia stato dato libero sfogo all’ispirazione omosessuale in un
documento ecclesiastico di alto livello sulla famiglia, e in un contesto in cui,
non molto tempo fa, la “sodomia” veniva condannata ufficialmente come uno dei
quattro peccati gravi che “gridano vendetta al Cielo”? Non possiamo e non
dobbiamo sorvolare sulla realtà rivelatasi ai nostri occhi: i cattolici che
cercano di vivere in conformità con la legge divina sulla sessualità e sul
matrimonio sono ormai una (esigua?) minoranza. Da quando i cattolici si sono associati al
Secolo nell’adottare i metodi e la mentalità contraccettivi (negli anni ’60),
la loro sensibilità nei confronti della santità della sessualità e del
matrimonio e la loro volontà di cercare la volontà di Dio in materia si sono
sempre più attenuate. Una conseguenza di ciò è l’incremento dell’accettazione
delle relazioni omosessuali e del matrimonio “gay”, come confermano statistiche
recenti sui cattolici statunitensi. [ix] Nello stesso tempo, molti sacerdoti e
prelati sono stati più o meno infettati dallo stesso atteggiamento. In questa
atmosfera la “lobby gay” all’interno della Chiesa può continuare nelle sue
attività.
Ma
la comprensione più profonda della situazione, così come una guida salda al
ristabilimento dell’ordine, ci viene da quel Papa che questo stesso Sinodo ha
esaltato nella sua parte finale – non per caso, possiamo esserne certi. Già
quarant’anni fa il Beato Paolo VI richiamò l’attenzione sul “fumo di satana”
che era entrato nella Chiesa, e allo stesso tempo assicurò ai suoi ascoltatori,
durante un’udienza generale, che quando egli affermò che “una delle più grandi
necessità della Chiesa di oggi è quella di difendersi da quel male che è
chiamato il diavolo”, le sue parole non erano affatto “superstiziose o irreali”.
“La gente di oggi [...] si lascia catturare da seduzioni ideologiche di errori
alla moda, fessure tramite le quali il diavolo può facilmente penetrare e
lavorare nella mente umana”. L’attività diabolica si manifesta, tra l’altro,
“laddove si affermano menzogne ipocrite e lampanti”; Paolo VI enfatizzò il
fatto che satana è “un’entità effettivamente agente, un essere vivente,
spirituale, perverso e pervertitore”. [x]
Non è difficile riconoscere
l’impronta del nemico nell’ideologia gay, comprendere che essa è farina del
sacco di satana. Nell’omosessualità (e nella pedofilia) il disegno
di Dio sul matrimonio e sulla procreazione viene rovesciato, “pervertito”. Le
affermazioni tradizionali dell’ideologia gay (si nasce in quel modo, il nucleo identitario
di una persona è gay, è immutabile, le “unioni” gay sono belle e inoffensive, i
genitori gay sono un beneficio per i figli...) sono “lampanti menzogne” che
hanno l’obiettivo di “pervertire” gli individui in difficoltà, la società e i
cristiani. E le omelie pro-gay ai fedeli, le parole zuccherine e il
sentimentalismo melenso rivelano certamente “ipocrisia”. D’altro canto, la
medicina del Beato Papa Paolo consiste nel risoluto rifiuto di compromessi con
le suggestioni pro-gay, in un fermo “vade retro, satana,” per così dire, che
procede all’unisono con l’ insegnamento della Humanae
Vitae: rifiutarle “con umile fermezza” e senza paura di fare del
cattolicesimo “un segno di contraddizione” (par. 18).
______________________________________________
Note
Note
(i) Raccomando vivamente il libro
ben documentato e ricco di informazioni di Robert R. Reilly,Making Gay Okay:
How Rationalizing Homosexual Behavior Is CHANGING Everything. San Francisco:
Ignatius, 2014.
(ii) Fitzgibbons, R. & O’Leary,
D. Sexual Abuse of Minors by Catholic Clergy. The Linacre Quarterly, 2011,
78, 3, 252-273.
(iii) van den Aardweg, G.J.M. The Battle For NORMALITY: A Guide For
(Self-)Therapy of Homosexuality. San Francisco: Ignatius, 1997.
(iv) Sondaggio per provare CHE l’omosessualità
è un disturbo psicologico: van den Aardweg, G.J.M. On The Psychogenesis of
Homosexuality. The Linacre Quarterly, 2011, 78, 3, 330-354.
(v) Sondaggio sulle “prove
biologiche” dell’omosessualità: Whitehead, N.E. & Whitehead, B.K. My Genes
Made Me Do It!: Homosexuality And The Scientific Evidence. Belmont, Lower Hutt
(New Zealand): Whitehead Associates, 2010.
(vi) Vedi NOTA n. iv. [Promiscuità, promiscuity,
nel senso oggi prevalente nel mondo anglosassone: stile di vita nel quale
prevalgono le relazioni sessuali non solo al di fuori del matrimonio ma
persino della semplice convivenza. Lo stile di vita “promiscuo” è appunto
quello della Rivoluzione Sessuale dei nostri giorni].
(vii) Lo studio più completo sugli
effetti a lungo termine dell’avere “genitori” gay: Regnerus, M. How Different
Are the Adult Children of Parents Who Have Same-sex Relationships? Findings
from the New Family Structure Study. Social Science Research, 2012, 41,
752-770. È molto istruttiva l’autobiografia di Dawn Stefanowicz, figlia di un
padre omosessuale praticante: Out From Under: The Impact Of Homosexual
Parenting. Enumclaw WA: Annotation Press, 2007.
(viii) Census Data Analysis del
Williams Institute, UCLA School of Law. Los Angeles Times, October 2011.
(ix) Sullins, D.P. American
Catholics and Same-Sex “Marriage”. The Catholic Social ScienceREVIEW, 2010, 15, 97-123.
(x) Beato Papa Paolo VI, udienza
generale 11.15.1972. Osservatore Romano.
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