lunedì 21 settembre 2015

L’ispirazione omosessuale del Sinodo

Gerard J.M. van den Aardweg. “L’ispirazione omosessuale soggiacente alla Relazione Provvisoria del Sinodo sulla famiglia 2014”




Gerard J.M. van den Aardweg

Il Prof. Gerard J. M. van den Aardweg è uno psicanalista olandese (di impostazione non freudiana) il cui campo di ricerca è l’omosessualità. È l’autore di On the Origins and Treatment of Homosexuality: A Psychoanalytic Reinterpretation (Sulle origini e sul trattamento dell’omosessualità: una reinterpretazione psicoanalitica) e The Battle for Normality: Self-Therapy for Homosexual Persons (La battaglia per la normalità: autoterapia per le persone omosessuali). È un’autorità mondiale nella cura delle persone omosessuali, visto come il fumo negli occhi dalla lobby gay, ovviamente.  Nei suoi precisi e documentati interventi, ha ripetutamente dimostrato la totale infondatezza scientifica della tesi dell’esistenza del “gene” dell’omosessualità. Merita certamente di essere riprodotta qui una sua intervista, apparsa sul sito “LifeSite” il 3 marzo 2015. L’Autore vi critica pesantemente e con grande franchezza di linguaggio la grave deriva omofila presente nella Relazione Intermedia del Sinodo dell’anno scorso, dovuta come è noto ai soliti noti. I suoi argomenti ci sembrano estremamente validi e sempre attuali, dal momento che non si può affatto escludere il tentativo di riproporre le “aperture” al vizio contronatura nel Sinodo del 2105, ormai imminente (pensiamo alla recente, scandalosa intervista del cardinale C. von Schönborn, uno degli invitati pontifici al Sinodo, esaltante l’omosessualità, in particolare quando si realizzi in una relazione stabile tra due “persone”!).

[Presentazione di Paolo Pasqualucci. Traduzione a cura della nostra Redazione. Le frasi tra parentesi quadre sono pure della Redazione.]

“L’ispirazione omosessuale soggiacente allaRelazione Provvisoria
del Sinodo Episcopale sulla famiglia, tenutosi nell’ ottobre 2014”
di Gerard J.M. van den Aardweg

Con le loro affermazioni sugli omosessuali e sull’omosessualità, i redattori della Relazione Provvisoria del Sinodo Vaticano sulla famiglia di ottobre [2014] hanno deviato la pubblica attenzione dall’argomento principale – l’urgenza di rafforzare il matrimonio cristiano e la vita familiare – verso il tema completamente secondario dell’omosessualità. L’effetto che le loro parole hanno provocato non deve averli sorpresi: è ben nota, infatti, la prontezza con cui i media laici sfruttano ogni parola e gesto delle autorità cattoliche in favore dell’ideologia della normalità omosessuale,[i] utilizzandoli per premere sulla Chiesa affinché abbandoni le sue resistenze ed accetti l’omosessualità nel modo che essi esigono. La terribile verità è che i paragrafi della Relazione relativi all’omosessualità non li ha affatto delusi, ferendo e confondendo invece molti cattolici e non cattolici ordinari, comprese tante persone sinceramente cattoliche  che lottano contro tendenze omosessuali.
Leggiamo i paragrafi 50-52 della Relazione. Il numero 50 esordisce così: “Gli omosessuali hanno doni e qualità da offrire alla comunità cristiana”. Se si cerca di dare un senso a quest’affermazione (infatti, quale persona non è in grado di offrire “doni e qualità”?), bisogna dedurne che le persone il cui desiderio sessuale è orientato allo stesso sesso avrebbero dei “doni” speciali inerenti al loro “orientamento”. Quali siano questi doni, non viene specificato. Quest’affermazione gratuita ricorda gli stereotipi fabbricati dall’attivismo gay, per esempio la presunzione secondo la quale gli uomini con orientamento omosessuale sarebbero particolarmente sensibili, artistici, gentili; o quello secondo cui molte figure importanti della storia e del mondo dell’arte sarebbero state omosessuali (molte di esse in realtà non lo erano), come se questo fosse un argomento a favore della valorizzazione del desiderio omosessuale. Si tratta di un pensiero elitario (questo degli attivisti gay) secondo il quale la “natura” omosessuale sarebbe qualcosa di speciale, e l’omosessualità sarebbe superiore all’eterosessualità “ordinaria” (in modo analogo, il pedofilo omosessuale André Gide ha esaltato il presunto valore superiore della pedofilia omosessuale).
In realtà, non ci sono ragioni per glorificare il talento e le imprese superiori delle persone con tendenze omosessuali. Il fatto che un numero relativamente grande di esse eserciti certe professioni ha a che vedere più con i loro interessi personali che con le loro qualità naturali, e se da un lato molte di esse hanno primeggiato o sono divenute famose (il che non è la stessa cosa), dall’altro ve ne sono molte altre il cui talento è stato distorto da una disordinata vita emotiva o da uno stile di vita irresponsabile, con grave danno delle loro capacità professionali. I problemi di salute e mentali di molte persone che praticano l’omosessualità costituiscono un problema sociale considerevole e in costante aumento. Tuttavia, ancor più nociva è l’influenza degradante – tanto dal punto di vista sociale che da quello morale – esercitata da quanti praticano l’omosessualità (gli omosessuali “attivi”) nell’àmbito delle scienze umane, della letteratura, della politica, dell’educazione e nelle chiese cristiane. E la Chiesa non deve dimenticare che molti sacerdoti omosessuali hanno avuto ben altro da “offrire alla comunità cristiana” che i loro “doni e qualità”: la grande maggioranza delle loro vittime erano maschi adolescenti, dai quali si sentono attratti non i pedofili ma più del 30% degli uomini adulti omosessuali.[ii] Si stia quindi ben attenti a propagandare indiscriminatamente “gli omosessuali” alla comunità cristiana [come un valore].

Inoltre, con queste stesse prime parole del paragrafo 50, “gli omosessuali”, si introduce un termine ambiguo e fuorviante, utilizzato anche nei paragrafi successivi. Chi sono dunque questi “omosessuali” che l’autore ha in mente? Quali sono esattamente i fedeli esortati a “fornir loro [...] uno spazio di comunione nelle nostre comunità”, perché “gli omosessuali” vorrebbero “spesso trovare una Chiesa che offra loro una casa accogliente” (n. 50)?  C’è qui fra l’altro un’accusa implicita: fino ad ora, “gli omosessuali” sarebbero stati più o meno respinti dalle “nostre comunità” (quindi anche dalle parrocchie, dai monasteri, dai seminari?); non gli sarebbero state offerte la “comunità”, la “casa” cui aspiravano. In altre parole, non sarebbero i benvenuti e sarebbero stati trattati in modo non cristiano; la parola a effetto “discriminazione” e la rappresentazione degli “omosessuali” come vittime della condanna culturale e religiosa – forme di propaganda immensamente efficace per il movimento dei diritti gay – sono lì in agguato. È evidente di quale categoria di omosessuali si parli in questa Relazione. Non di quelli che cercano di vivere castamente e secondo la voce della loro coscienza (e che oggi sono una minoranza); non di quelli aperti alla percezione del carattere contro natura e dell’immoralità dei rapporti tra persone dello stesso sesso; non di quelli che cercano l’aiuto di Dio, della preghiera e dei sacramenti nella loro battaglia psicologica e spirituale.[iii] Non sono questi a volere uno “spazio di comunità” o una “casa”:  la Chiesa è gia la loro casa ed essi non desiderano affatto esservi accettati come omosessuali. È impossibile trovare in questa categoria qualcuno che si lamenti di non essere il benvenuto o di trovarsi respinto [dalla Chiesa].
Ovviamente, la Relazione si riferiva agli appartenenti all’altra categoria, la più vasta, composta da quelli che vogliono condurre una vita omosessuale manifesta ed esser ugualmente accettati:  in poche parole, i “gay”. Ogni frase di questi paragrafi della Relazione trasuda del loro modo di pensare, anche se non in modo franco e aperto ma grazie ad insinuazioni e suggerimenti. Si consideri il seguente passaggio: “Le nostre comunità sono capaci di [...] accettare e valorizzare il loro orientamento sessuale?”. Ci si riferisce qui a coloro che si vittimizzano e ne fanno un dramma perché i loro desideri non sono “valorizzati”. Si tratta di una chiara eco del modo di parlare tipico dei gay, ma la novità stavolta è che lo si trova in un documento della Chiesa cattolica e di alto livello! Oltretutto,  tale “orientamento” viene presentato quale componente intrinseca e immutabile della personalità di un individuo o come sua “natura”, non come il disturbo della personalità o del comportamento che indubbiamente è (le prove scientifiche al riguardo abbondano [iv]); esattamente come la pedofilia omosessuale ed eterosessuale, il transessualismo, il travestitismo, etc. – o la femminizzazione compulsiva, a dirla tutta. E questo suggerimento rafforza, invece di refutare, la falsa opinione secondo cui tale orientamento sarebbe “genetico”, o fisiologico, o situato nel cervello, e avremmo semplicemente a che fare con una variante normale della sessualità umana.[v]

Anche il tono moraleggiante della Relazione contro “le nostre comunità” ha un’impronta tipicamente gay, perché l’insegnamento della bontà – del valore – dell’“orientamento omosessuale” combinato con il dovere morale di accettare e valorizzare le persone apertamente gay al loro interno, viene imposto al 98% dei fedeli senza che vi sia alcuna considerazione della loro naturale e normale avversione a tale valorizzazione (che probabilmente i redattori della Relazione etichetterebbero come “omofobia”).  Non si comprende, evidentemente, che quest’imposizione forzata renderà tese le relazioni normali all’interno di queste comunità e allontanerà certamente  dai loro rispettivi àmbiti religiosi (chiese o seminari che siano) quei tanti che seguono gli impulsi innati e naturali del senso comune. Siffatta cecità proviene dal caratteristico spirito naïf e dall’autoreferenzialità dei gay, cui si aggiunge mancanza di interesse e  comprensione per i sentimenti degli uomini e delle donne che non hanno problemi in questo campo, mancanza tipica della mentalità gay.

Ovviamente, non si può predicare allo stesso tempo il “valore” delle tendenze omosessuali e il dovere di vivere castamente. Indirettamente, la relazione giustifica certe forme di comportamento omosessuale, forse credendo in modo irrealistico che alcune forme di relazione tra persone dello stesso sesso possano trovarsi sullo stesso piano del normale matrimonio e di un amore reciproco genuino e durevole. Una rigida proibizione di correggere un desiderio (“orientamento”) che si presume degno e apprezzabile, e che oltretutto dovrebbe esser in ipotesi ben accolto dalle  comunità religiose (parrocchie, seminari, etc.), sarebbe evidentemente assurda. Anche la seguente affermazione testimonia la natura torbida del pensiero soggiacente alla Relazione: “[è necessaria] una seria riflessione su come identificare [...] approcci per la crescita affettiva [di persone con questa tendenza] [...] e per la loro maturazione nel Vangelo, integrando il lato sessuale [...]” (par. 51).  L’“integrazione del lato sessuale” è espressione che significa questo, in genere: “farne un componente di”. Nel nostro caso ciò significherebbe “farne un componente della maturazione nel Vangelo”!
È superfluo ricordare che il cammino verso la santità – come anche, più semplicemente, quello verso la maturazione affettiva – richiede di combattere contro qualsiasi tendenza omosessuale. Render partecipi il comportamento, il sentimento o l’“amore” omosessuale alla battaglia per la santità è nient’altro che un’invenzione gnostica. Piuttosto, sarebbe stato opportuno scrivere il contrario: sono in particolar modo le persone che soffrono le tentazioni della carne a dover essere incoraggiate ad esercitare la virtù della castità [la battaglia è quindi contro di loro]. Si sarebbe allora dovuta pronunciare qualche parola d’elogio nei confronti dell’organizzazione cattolica Courage e di tutti quelli che si sforzano di vivere in armonia con l’autentica dottrina morale cattolica. Dichiarare nella Relazione che “la dottrina cattolica sulla famiglia e sul matrimonio” non dev’essere compromessa (par. 50), o che “la Chiesa afferma che le unioni tra persone dello stesso sesso non possono essere considerate sullo stesso livello del matrimonio tra l’uomo e la donna” (par. 51) può suonare come un linguaggio pio, ma non lo è affatto:  è  anzi scandaloso che gli autori osino insinuare che il Corpo Mistico di Cristo sia aperto a qualsiasi considerazione positiva nei confronti delle relazioni omosessuali (convivenza gay, “matrimonio” gay). L’attribuzione di uno status superiore al vero matrimonio non diminuisce questa vergogna. Le dissacranti coppie gay sono uno scimmiottamento del santo matrimonio, tanto dal punto di vista biologico che da quello psicologico e morale. È una folie à deux, vale a dire una patologia psico-spirituale condivisa da due persone. Non esistono relazioni gay psicologicamente normali, nemmeno nei casi eccezionali in cui esse durino più di un paio d’anni, nel caso degli uomini, o qualche anno in più, nel caso delle donne. Tra queste persone la promiscuità è oltre i limiti così come lo sono le gelosie a livello patologico, i litigi, i conflitti, la violenza domestica. Ogni analogia col matrimonio esiste solo nella fantasia di quanti ignorano o vogliono ignorare la realtà.[vi]

Eppure, la Relazione Provvisoria ribadisce: “Pur senza negare i problemi morali legati alle unioni omosessuali, esistono casi in cui la reciproca assistenza, che si spinge fino al livello del sacrificio, è un apprezzabile supporto nella vita di queste persone” (par. 52). Quindi, anche se un affair o un vincolo gay non può rivendicare un valore pari a quello del normale matrimonio, esso sarebbe comunque a volte un’ “unione” nobile e un sacrificio di sé [È la tesi del card. Schönborn]. Non sarebbe questo per caso un argomento sufficiente per l’approvazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso in determinate circostanze?  Ma ciò equivarrebbe a cercare di aprire una breccia nella norma tollerandone le eccezioni (sotto strette condizioni, dopo una considerazione attenta, e così via, ovviamente). È ben noto, tuttavia, che quando si pratica un buco in una diga, prima o poi essa crollerà.

Infine, che pensare di questa affermazione del par. 52 della Relazione: “[...] la Chiesa presta un’attenzione speciale ai [...] figli che vivono con coppie dello stesso sesso e sottolinea che le necessità e i diritti dei piccoli devono avere sempre la priorità”? Priorità su che cosa? L’unica risposta accettabile, dettata dalla compassione umana, dal buon senso e dalla morale cristiana, è: priorità nei confronti delle rivendicazioni egoistiche degli adulti omosessuali conviventi (finché lo sono), i quali violano in tal modo la necessità, il bisogno e il diritto dei figli di essere educati da un padre e da una madre. Questo vale tanto per i figli che vivono con la loro madre o col loro padre e con il partner omosessuale di uno dei due come per i figli adottivi con “genitori” gay. Gli autori della Relazione danno l’impressione di accettare in linea di principio queste pseudo-famiglie e la pratica dell’adozione gay. Ad ogni modo,  essi si esimono vergognosamente dal denunciare senza ambiguità questa barbarie moderna, di sacrificare in massa figli e adolescenti innocenti e indifesi sull’altare dell’ideologia gay. Questi bambini vengono emotivamente, caratteriologicamente e moralmente vulnerati per sempre [vii]; le parole zuccherine sul “prestare attenzione alle esigenze dei piccoli” non suppliscono al dovere di parlare apertamente contro questa ingiustizia, che grida vendetta al Cielo. L’urgenza della questione è dimostrata, tra le altre cose, dall’aumento esponenziale di adozioni da parte di gay e lesbiche negli Stati Uniti: tra il 2001 e il 2011 il loro numero è quasi triplicato, e nell’ultimo anno ha superato i 32.000 casi.[viii]  Bisogna ricordare che molti di questi figli e adolescenti (anche loro appartengono alla categoria dei “piccoli” che subiscono violenza) sono già traumatizzati dal divorzio dei loro genitori o da altre esperienze scioccanti prima di essere affidati in custodia a una coppia gay ed esposti così al suo esempio, perturbante.

Questa Relazione Sinodale Provvisoria ha sollevato molti dubbi e provocato sconforto. Forse le persone  che sono rimaste più turbate sono proprio quelle che sentono attrazione verso lo stesso sesso, insieme ai genitori, gli sposi e i familiari di omosessuali “attivi”. Queste persone si sentono abbandonate, hanno la sensazione che gli venga tolto il tappeto da sotto i piedi. Solo un esempio: un uomo convertito al cattolicesimo che aveva quasi del tutto vinto le sue tendenze omosessuali, si è sentito indignato ed oltremodo deluso: “Sono sempre stato cosciente del fatto che essere gay non è una cosa sana. Tuttavia mi sentivo depresso e completamente isolato poiché ogni giorno tutte le persone che mi circondavano cantavano le lodi della vita gay. Solo la Chiesa cattolica era un faro di speranza per me, ma adesso... a quanto pare mi posso rivolgere solo a Putin!”.

Una comprensione realistica di quello che sta succedendo nella Chiesa può costituire un importante passo in avanti per il recupero della fiducia nella dottrina morale cattolica e nella percezione infallibile e universale dell’innato senso morale dell’uomo sul carattere innaturale, impuro dei comportamenti omosessuali e pedofili. Com’è possibile che sia stato dato libero sfogo all’ispirazione omosessuale in un documento ecclesiastico di alto livello sulla famiglia, e in un contesto in cui, non molto tempo fa, la “sodomia” veniva condannata ufficialmente come uno dei quattro peccati gravi che “gridano vendetta al Cielo”? Non possiamo e non dobbiamo sorvolare sulla realtà rivelatasi ai nostri occhi: i cattolici che cercano di vivere in conformità con la legge divina sulla sessualità e sul matrimonio sono ormai una (esigua?) minoranza. Da quando i cattolici si sono associati al Secolo nell’adottare i metodi e la mentalità contraccettivi (negli anni ’60), la loro sensibilità nei confronti della santità della sessualità e del matrimonio e la loro volontà di cercare la volontà di Dio in materia si sono sempre più attenuate. Una conseguenza di ciò è l’incremento dell’accettazione delle relazioni omosessuali e del matrimonio “gay”, come confermano statistiche recenti sui cattolici statunitensi. [ix] Nello stesso tempo, molti sacerdoti e prelati sono stati più o meno infettati dallo stesso atteggiamento. In questa atmosfera la “lobby gay” all’interno della Chiesa può continuare nelle sue attività.

Ma la comprensione più profonda della situazione, così come una guida salda al ristabilimento dell’ordine, ci viene da quel Papa che questo stesso Sinodo ha esaltato nella sua parte finale – non per caso, possiamo esserne certi. Già quarant’anni fa il Beato Paolo VI richiamò l’attenzione sul “fumo di satana” che era entrato nella Chiesa, e allo stesso tempo assicurò ai suoi ascoltatori, durante un’udienza generale, che quando egli affermò che “una delle più grandi necessità della Chiesa di oggi è quella di difendersi da quel male che è chiamato il diavolo”, le sue parole non erano affatto “superstiziose o irreali”. “La gente di oggi [...] si lascia catturare da seduzioni ideologiche di errori alla moda, fessure tramite le quali il diavolo può facilmente penetrare e lavorare nella mente umana”. L’attività diabolica si manifesta, tra l’altro, “laddove si affermano menzogne ipocrite e lampanti”; Paolo VI enfatizzò il fatto che satana è “un’entità effettivamente agente, un essere vivente, spirituale, perverso e pervertitore”. [x]
Non è difficile riconoscere l’impronta del nemico nell’ideologia gay, comprendere che essa è farina del sacco di satana. Nell’omosessualità (e nella pedofilia) il disegno di Dio sul matrimonio e sulla procreazione viene rovesciato, “pervertito”. Le affermazioni tradizionali dell’ideologia gay (si nasce in quel modo, il nucleo identitario di una persona è gay, è immutabile, le “unioni” gay sono belle e inoffensive, i genitori gay sono un beneficio per i figli...) sono “lampanti menzogne” che hanno l’obiettivo di “pervertire” gli individui in difficoltà, la società e i cristiani. E le omelie pro-gay ai fedeli, le parole zuccherine e il sentimentalismo melenso rivelano certamente “ipocrisia”. D’altro canto, la medicina del Beato Papa Paolo consiste nel risoluto rifiuto di compromessi con le suggestioni pro-gay, in un fermo “vade retro, satana,” per così dire, che procede all’unisono con l’ insegnamento della Humanae Vitae: rifiutarle “con umile fermezza” e senza paura di fare del cattolicesimo “un segno di contraddizione” (par. 18).

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Note
(i) Raccomando vivamente il libro ben documentato e ricco di informazioni di Robert R. Reilly,Making Gay Okay: How Rationalizing Homosexual Behavior Is CHANGING Everything. San Francisco: Ignatius, 2014.
(ii) Fitzgibbons, R. & O’Leary, D. Sexual Abuse of Minors by Catholic Clergy. The Linacre Quarterly, 2011, 78, 3, 252-273.
(iii) van den Aardweg, G.J.M. The Battle For NORMALITY: A Guide For (Self-)Therapy of Homosexuality. San Francisco: Ignatius, 1997.
(iv) Sondaggio per provare CHE l’omosessualità è un disturbo psicologico: van den Aardweg, G.J.M. On The Psychogenesis of Homosexuality. The Linacre Quarterly, 2011, 78, 3, 330-354.
(v) Sondaggio sulle “prove biologiche” dell’omosessualità: Whitehead, N.E. & Whitehead, B.K. My Genes Made Me Do It!: Homosexuality And The Scientific Evidence. Belmont, Lower Hutt (New Zealand): Whitehead Associates, 2010.
(vi) Vedi NOTA n. iv.  [Promiscuità, promiscuity, nel senso oggi prevalente nel mondo anglosassone: stile di vita nel quale prevalgono le relazioni sessuali non solo al di  fuori del matrimonio ma persino della semplice convivenza. Lo stile di vita “promiscuo” è appunto quello della Rivoluzione Sessuale dei nostri giorni].
(vii) Lo studio più completo sugli effetti a lungo termine dell’avere “genitori” gay: Regnerus, M. How Different Are the Adult Children of Parents Who Have Same-sex Relationships? Findings from the New Family Structure Study. Social Science Research, 2012, 41, 752-770. È molto istruttiva l’autobiografia di Dawn Stefanowicz, figlia di un padre omosessuale praticante: Out From Under: The Impact Of Homosexual Parenting. Enumclaw WA: Annotation Press, 2007.
(viii) Census Data Analysis del Williams Institute, UCLA School of Law. Los Angeles Times, October 2011.
(ix) Sullins, D.P. American Catholics and Same-Sex “Marriage”. The Catholic Social ScienceREVIEW, 2010, 15, 97-123.

(x) Beato Papa Paolo VI, udienza generale 11.15.1972. Osservatore Romano.

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