SENZA RADICI
D’accordo:
siamo tutti più o meno consapevoli delle responsabilità dell’Occidente nella
fuga di siriani e africani verso l’Europa. Tutti più o meno comprendiamo che la
destabilizzazione della Libia e della Siria hanno causato enormi danni in
quelle regioni. Poi, però, uno strano corto circuito ci porta a pensare che la
soluzione dei problemi sia “l’accoglienza” di qualche milione di immigrati
nelle nostre nazioni. Senza se e senza ma, senza condizioni, siamo pronti ad
abbracciare gente che “scappa dalle guerre e dalla povertà” (una piccola
percentuale sul totale). Eppure anche la nostra terra è un territorio
bombardato, solo che le bombe fisiche sono virtuali: divorzi e separazioni,
aborti ed eutanasie, abbandono di anziani al loro destino, malattie sempre più
diffuse e causate da stili di vita disumani e un’alimentazione violentata
dall’industria, intossicazioni da droghe e alcolici che coprono una buona percentuale
dei giovani, disoccupazione incalzante, povertà dilagante, diritti sempre più
negati ai lavoratori, democrazia decadente.
Scopriamo oggi tuttavia che è più bello e comodo decidere di rivolgere la nostra attenzione al “remoto” che viene qui in cerca di comodità e benessere virtuale più che reale, piuttosto che al “prossimo” ignorato dai riflettori mediatici ma la cui sofferenza è altrettanto viva e pulsante.
Allora cosa nobilita la nostra morale? L’ignorare
puntualmente la condizione di sofferenza di chi vive vicino a noi e non può
fregiarsi del titolo di “immigrato” o “profugo” o l’abbracciare il paradigma
etico che ci viene servito dai media?
Dov’è l’egoismo compiaciuto, il narcisismo farisaico,
il pietismo di plastica? Sta nello sguardo scostato dalle realtà che ci
circondano o nello sguardo concentrato sulle masse attratte dal miraggio della
way of life occidentale?
Purtroppo siamo vittime di una potente ipocrisia,
una ipocrisia che gronda retorica. E non è un caso se la Chiesa ne stia
diventando l’emblema. Una Chiesa che non condanna chi ha creato questo
disordine, che non addita i potenti mezzi di coloro che vogliono tagliare le
radici sia agli immigrati che agli europei. Una Chiesa che non denuncia il
traffico della cosiddetta accoglienza, ma che lo favorisce, stimolando al
contempo il traffico di scafisti e sfruttatori. Una Chiesa infine che nel
totale arretramento delle virtù e dei valori virili, non incita questi popoli
in migrazione a rivendicare nelle loro patrie il diritto alla giustizia,
all’indipendenza dalle ingerenze straniere, alla costruzione di una società
fondata sul bene comune, ma che incita alla diserzione e alla violazione della
legge. Ignorando, peraltro, o fingendo di ignorare che tutte queste masse che
entrano in Europa, sono nuova carne da mettere nell’arena, con un
risparmio magari sulle spese per i leoni, perché finalmente le tensioni
sociali potranno appianarsi in Europa attraverso una lenta e costante “guerra
fra poveri”.
Ciò che tuttavia mi ripugna sommamente è questa pietà
consumistica venduta dalla pubblicità dei media e dalla complicità del clero a
popoli che hanno perso completamente il ricordo di una scala di valori. E
scoprono un buonismo artificiale che è manipolazione delle coscienze, réclame
del politicamente corretto. E continuano ad ignorare la sofferenza che li
circonda e che spesso producono o provano per via della rinuncia ad ogni valore
e ad ogni identità.
Ricordo che Seneca in una delle sue lettere a Lucilio
racconta come in campagna si trapiantassero gli ulivi secolari: “si tagliano le
radici almeno quanto le branche”. Ecco, l’operazione in corso in Europa, ma
anche in Africa e in Medio Oriente è la stessa: per trapiantare i nuovi schiavi
e rendere adatti ad ogni terreno cittadini divenuti meri consumatori e operai
del consumo, occorre prima tagliare le branche, devastare le loro terre,
devastare le loro vite, cambiare le loro abitudini, condizionare ogni aspetto
delle loro vite. E poi provvedere a tagliare le radici. Così finalmente
questi uomini e donne senza identità saranno ridotti a monche ceppaie. E
non per essere trapiantati, ma per lasciare la terra libera nelle mani di chi
la considera sua proprietà assoluta. Disabitata da “persone” e “depurata” dalla
presenza di Dio.
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