Troppo buono, troppo vago. Il giubileo sotto la lente del canonista
La lettera papale presentata nel precedente post, nella quale Francesco ha annunciato due atti di misericordia in occasione del prossimo anno giubilare su due punti nevralgici come il peccato d’aborto e lo "scisma" lefebvriano, ha suscitato in prima battuta un sentimento di ammirazione per la generosità del doppio gesto, ma ha anche presto visto sorgere delle reazioni di sconcerto per l’informalità con cui il papa ha espresso le sue volontà, un’informalità che ad esperti di diritto canonico è parsa sconfinare in una pericolosa confusione.
Il 3 settembre, due giorni dopo la pubblicazione della lettera, sul “National Catholic Register”, importante testata del gruppo multimediale EWTN, il professor Benedict Nguyen, specialista in diritto canonico e diritto civile, consulente della diocesi di Corpus Christi, nel Texas, e docente all’Avila Institute for Spiritual Formation, ha dato voce a queste riserve:
La sua analisi delle “ambiguità” canoniche della lettera di Francesco ha fatto il giro del mondo, assieme alla richiesta che tali ambiguità vengano presto chiarite proprio per poter mettere in atto le decisioni papali in modo appropriato.
Ecco qui di seguito la traduzione integrale dell’analisi di Benedict Nguyen, cortesemente offerta a Settimo Cielo dall’avvocato Lorenzo Da Pra Galanti, di Milano.
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L’INDULGENZA DELL’ANNO DELLA MISERICORDIA DI PAPA FRANCESCO SOLLEVA QUESTIONI DI DIRITTO CANONICO
di Benedict Nguyen
La lettera del 1 settembre del Santo Padre all’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, invita nuovamente i fedeli a contemplare la misericordia di Dio manifestata attraverso la sua Chiesa, particolarmente nell’imminente anno giubilare straordinario della misericordia.
La lettera è ricca di bellezza e magnanimità e mostra quanto papa Francesco, come i suoi predecessori, prenda sul serio il compito di rendere attuale la misericordia di Dio per tutti, specialmente per coloro che si trovano nelle periferie del mondo.
Tutti dovrebbero leggere attentamente la lettera e adoperarsi intensamente per rendere note e disponibili le indulgenze che vengono garantite ai fedeli nelle loro diocesi, a coloro che visitano i santuari e a coloro che sono malati o in prigione. Da non perdere sono anche i benefici garantiti a coloro che praticano le opere di misericordia spirituali e corporali. A dire il vero, si tratta di una chiamata rivolta a tutti a partecipare a queste opere di misericordia e ad aiutare ad estendere la misericordia del nostro Signore a più persone possibile.
Proprio per l’importanza del desiderio del Santo Padre di diffondere la misericordia con generosità nell’imminente anno giubilare, e con pieno rispetto filiale e affetto per il Santo Padre, ritengo necessario identificare alcune ambiguità canoniche contenute nella lettera, che seriamente richiedono dei chiarimenti, affinché i desideri del Santo Padre possano essere realizzati in modo appropriato.
Prima di tutto, qual è il valore canonico di questa lettera? Non è una legge (canone 8 e seguenti del Codice di diritto canonico). Non è un decreto generale (canone 29). Non è un decreto generale esecutivo (canone 31). Non è un’“istruzione” canonica (canone 34). Non è specificato che sia un “motu proprio” di iniziativa del papa
Chiaramente si tratta semplicemente di una lettera scritta al presidente del pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ma questa lettera dimostra comunque di garantire delle concessioni di peso relative a indulgenze, facoltà, ecc. per l’anno della misericordia. Normalmente, in occasione di un anno santo, queste concessioni vengono espresse nella forma di una bolla papale, come ad esempio il documento di indizione con cui il papa ha annunciato l’anno della misericordia, o almeno con un decreto o un “motu proprio”, in modo che non vi possa essere confusione relativamente all’effetto canonico ufficiale del documento. La forma, o piuttosto la mancanza di forma, e le ambiguità di questa lettera sembrano sollevare alcuni dubbi di diritto canonico, che temo possano vanificare o sospendere alcuni dei suoi effetti (canone 14).
In secondo luogo, il papa sembra garantire a tutti i sacerdoti la possibilità di perdonare il peccato di aborto. Mentre nelle Chiese orientali il perdono del peccato di aborto è riservato al vescovo (Codice dei canoni delle Chiese orientali, 728), nel rito latino tutti i sacerdoti che hanno la facoltà di assolvere i peccati in confessione appaiono già in grado di assolvere tale peccato.
È importante tenere presente che vi è una distinzione tra il peccato di aborto e la scomunica che può conseguire a tale peccato (canone 1398). Infatti non si tratta della stessa cosa. Il peccato è una condizione morale, mentre la scomunica è una condizione giuridica che priva un cattolico di certi diritti e benefici derivanti dall’essere in piena comunione con la Chiesa cattolica (canone 1331).
Sembra esservi molta confusione a proposito della differenza tra il peccato di aborto e la pena della scomunica. È importante ricordare che la cosiddetta scomunica automatica (”latae sententiae”) non è necessariamente sempre “automatica”, dal momento che vi possono essere una serie di circostanze esimenti o mitiganti, elencate nei canoni 1323 e 1324.
Nel rito latino, nel caso in cui un soggetto non sia incorso soltanto nel peccato di aborto ma anche nella pena giuridica della scomunica da esso derivante, la capacità di rimuovere la pena della scomunica è riservata al vescovo. In molte diocesi degli Stati Uniti il vescovo ha delegato questa facoltà di rimuovere la scomunica a sacerdoti che hanno la facoltà di ricevere validamente la confessione.
Pertanto il problema consiste in questo: la lettera del papa non fa alcun cenno alla concessione ai sacerdoti della facoltà di rimuovere la pena della scomunica che può risultare dal peccato di aborto, ma, piuttosto, sembra soltanto garantire ai sacerdoti la possibilità di perdonare il peccato di aborto.
Per i sacerdoti di rito latino che hanno già la facoltà di ricevere validamente le confessioni, ciò non aggiunge alcunché di nuovo, ma essi non ricevono ancora la facoltà di rimuovere la pena della scomunica, a meno che non l’abbiano già ricevuta dal proprio vescovo.
Un’ulteriore ambiguità si ha nel fatto che la lettera sembra estendere tale possibilità a tutti i sacerdoti. Non vi è infatti alcuna specificazione che si applichi solo ai sacerdoti che hanno già la facoltà di ricevere validamente le confessioni. In altre parole, la facoltà di perdonare il peccato di aborto si estende anche ai sacerdoti scomunicati, a quelli sotto interdetto, a quelli ridotti allo stato laicale, a quelli appartenenti a gruppi o situazioni scismatici o irregolari, a quelli i cui vescovi abbiano limitato o revocato la facoltà di ricevere confessioni? Ma se è così, tutti questi sacerdoti possono solo perdonare il peccato di aborto e non gli altri peccati confessati?
In terzo luogo, relativamente alla concessione ai sacerdoti della Fraternità San Pio X (FSPX) di concedere l’assoluzione validamente e lecitamente, non vi è dubbio che si tratta di un gesto veramente generoso da parte di papa Francesco, un gesto che rivela il suo paterno cuore di pastore. Egli indica chiaramente che la sua speranza è quella che in un prossimo futuro la piena comunione con i sacerdoti e i superiori della FSPX possa essere ripristinata.
Tuttavia, nel frattempo, questa concessione sembra implicare un paio di conseguenze. La prima è che i sacerdoti della FSPX non siano in piena comunione con la Chiesa, la seconda che i sacerdoti della FSPX non abbiano avuto e non abbiano tuttora la facoltà di assolvere validamente e lecitamente i peccati in confessione e non l’avranno fino all’8 dicembre, data di inizio dell’anno della misericordia.
In quarto luogo, ci si chiede perché non vi sia stata una comunicazione diretta con la FSPX. Il comunicato della FSPX indica che la Fraternità ha appreso della lettera solo a mezzo della stampa. Di norma, concessioni di facoltà specifiche sono comunicate direttamente al soggetto interessato o, se appropriato, al superiore del soggetto stesso.
In quinto luogo, non si capisce perché la lettera non usi esplicitamente la parola “facoltà” quando parla della concessione ai sacerdoti della FSPX della capacità di assolvere validamente e lecitamente. Se da una parte sembra che la “mens”, l’intenzione, sia effettivamente quella di garantire una facoltà ai sacerdoti della FSPX, è del tutto insolito che la lettera del testo non contenga esplicitamente una concessione di tale facoltà a questi sacerdoti. Al contrario, la lettera sembra porre l’enfasi sul bene dei fedeli e sul loro intento di accostarsi ai sacerdoti della FSPX.
Mentre vi possono essere alcune somiglianze con la situazione di una persona in pericolo di morte, che ha la possibilità di rivolgersi a qualsiasi sacerdote per ottenere l’assoluzione, indipendentemente dallo stato canonico di quest’ultimo (canone 976), in questo caso la situazione non è analoga. Lo stato di pericolo di morte non comporta la concessione generale di una facoltà al sacerdote, ma una concessione per una circostanza specifica. Il testo della lettera papale sembra invece contemplare una situazione più generale.
Tuttavia, se pure sembra implicare una facoltà concessa genericamente ai sacerdoti della FSPX di ricevere confessioni validamente e lecitamente, la lettera non dice effettivamente questo in modo chiaro. Quindi rimane la domanda se in questo caso si tratti della concessione di una facoltà generale di ricevere confessioni – ovvero per tutti i casi in cui qualcuno si accosti ad un sacerdote della FSPX – oppure se vi sia qualche sorta di limitazione intesa dal Santo Padre nel non mettere l’accento sui sacerdoti della FSPX, ma solo sui fedeli che si accostano ai sacerdoti stessi. Se si tratta di una concessione generale di una facoltà, perché non viene usato il termine “facoltà”? Ma se vi sono delle limitazioni, perché non sono elencate?
Da ultimo, a proposito di tutte queste concessioni in occasione dell’anno della misericordia, non viene chiarito se le stesse prevalgono sulla giurisdizione del vescovo diocesano o del superiore religioso e sul loro potere di limitare in tali materie le capacità di un sacerdote ad essi sottoposto. In altre parole, può qualsiasi sacerdote concedere l’assoluzione validamente e lecitamente, indipendentemente dal fatto che il suo vescovo o superiore competente lo possa limitare a mezzo di una revoca di facoltà o in conseguenza di qualche pena canonica?
Spero personalmente che vi siano dei chiarimenti a questi dubbi canonici, che sono rispettosamente sollevati. Spero inoltre che tali dubbi possano aiutare a rafforzare la nostra possibilità di comprensione della volontà del Santo Padre e a rendere concreta la sua valida e lecita applicazione.
In tal modo, che si possa tutti essere al fianco del nostro Santo Padre per contribuire ad applicare la misericordia di Dio in modo sempre più generoso a più persone possibile in questo anno giubilare.
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