E il verbo si fece chiacchiera.
Ecco il Gesù che piace
alla gente che piace
Articolo
tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Luglio
1969. È l’estate in cui gli uomini arrivano sulla Luna. Sono tutti naso
all’aria – o meglio, sono tutti davanti al televisore – per vedere il primo
passo sul satellite del comandante dell’Apollo 11, Neil Armstrong. Tutti tranne
uno: si tratta di don Giacomo Biffi, da soli tre mesi prevosto della parrocchia
di Sant’Andrea a Milano. Quell’estate si trova al mare a Senigallia e gli è
venuta in mente una «birichinata». Non che non gli interessino le cose che
avvengono lassù, tra le stelle, ma è che un pensiero fastidioso lo tormenta, e
riguarda ciò che sta accadendo nella società e nella Chiesa, quaggiù. Sono
tempi inquieti, in cui tre diversi tipi di contestazioni, che nel suo Memorie
e digressioni di un italiano cardinale (Cantagalli, 2007) egli
classificherà in “ecclesiale”, “teologica” e “studentesca”, si intersecano e
rendono turbolenta la convivenza civile. Sono gli anni del «vietato vietare»,
degli slogan urlati per le strade («è ora, è ora, potere a chi lavora»), di un
movimento studentesco che inizia «ad argomentare» con le spranghe, le bottiglie
molotov e le P38. In questa situazione, il nostro parroco s’accorge che il
tarlo della rivoluzione s’è insinuato anche nell’associazionismo cattolico.
Bravi ragazzi, per carità: «Non volevano farsi estranei o indifferenti alla
Chiesa, ma ritenevano che in varie cose la Chiesa dovesse cambiare». Sempre più
spesso a don Biffi accade di rimanere sorpreso: «Capitava che, di fronte a
certi enunciati avventurosi – “secondo me, Gesù Cristo ha detto…” –, fossi
costretto ad osservare: “Ma guarda che Gesù ha detto proprio il contrario di
quello che pensi tu… forse non abbiamo tra le mani lo stesso vangelo”».
Così
quell’estate del ’69 il parroco si mette a scrivere delle “cose di lassù” –
andrà avanti per tutta la vita, fino agli esercizi spirituali predicati in
Vaticano davanti a Benedetto XVI nel 2007 –, in una maniera diversa e nuova.
Perché lassù non c’è solo la Luna su cui l’uomo ha messo piede, ma anche un
Cielo che – notizia di cui s’è persa memoria –, è “atterrato”, avventurandosi
tra noi.
Abbracci
o schiaffi
Nasce così Il quinto evangelo, sottile libretto in cui il nostro spiritoso sacerdote riversa con gagliarda ironia le inquietudini del tempo, mettendo il mondo al corrente di una scoperta sensazionale. Un suo parrocchiano, il commendator Giovanni Migliavacca, cattolico perbene con una passione per l’arredamento (nel senso che “arreda” l’ufficio di belle segretarie) l’ha portato in Terra Santa e qui è inciampato in alcune pergamene antichissime, frammenti di uno scritto cristiano del primo secolo, «pagine di un “quinto evangelo” sobrio nella forma e originale nel contenuto, capace di gettare una luce nuovissima sull’autentico insegnamento di Gesù».
Nasce così Il quinto evangelo, sottile libretto in cui il nostro spiritoso sacerdote riversa con gagliarda ironia le inquietudini del tempo, mettendo il mondo al corrente di una scoperta sensazionale. Un suo parrocchiano, il commendator Giovanni Migliavacca, cattolico perbene con una passione per l’arredamento (nel senso che “arreda” l’ufficio di belle segretarie) l’ha portato in Terra Santa e qui è inciampato in alcune pergamene antichissime, frammenti di uno scritto cristiano del primo secolo, «pagine di un “quinto evangelo” sobrio nella forma e originale nel contenuto, capace di gettare una luce nuovissima sull’autentico insegnamento di Gesù».
Quando
uscì la prima edizione nel 1970, Il quinto evangelo divenne subito un
piccolo successo editoriale. Anche per un motivo che il nostro s’era augurato
di evitare, e che pure non gli riuscì di scansare. In molti, infatti, non ne
avevano colta l’ironia e il nostro parroco ricevette i rimbrotti di qualche
zelante cattolico, scandalizzato che un sacerdote osasse propagandare idee
blasfeme e atti come l’aborto e il divorzio. Persino un vescovo gli fece sapere
del suo fastidio nel leggere un libretto che, insomma, s’azzardava a dissacrare
i princìpi fondamentali del cristianesimo.
Lui,
da par suo, se la rideva di gusto e continuò a farlo per vent’anni, tanto che
nell’edizione del 2007 stampata con Esd, scrisse una nuova introduzione in cui
confessò tutto il proprio buonumore per avere provato, immediatamente dopo la
prima pubblicazione, un nuovo tipo di esperienza. «Ero diventato, nel mio
piccolo, “segno di contraddizione”. A ogni prete o laico ecclesialmente
impegnato in cui mi imbattessi, non mi riusciva di indovinare se volesse
abbracciarmi o prendermi a schiaffi. Qualcuno arrivò a sentenziare che mi ero
irrimediabilmente “bruciato” e avevo compromesso ogni possibilità di
“carriera”».
La
storia, come si sa, è andata in altro modo e anche nelle sue memorie il
cardinale rivendicò l’orgoglio di aver dato alle stampe quella birichinata:
«Era il mio modo di prendere posizione nella bella e inedita confusione che
aveva principiato a caratterizzare la cristianità».
In
fondo, non gli era andata così male. Coi proventi del libro, raccontava agli
amici, s’era comprato la prima Fiat Cinquecento e, molti anni dopo la sua prima
stesura, Il quinto evangelo «non era ancora tra i miei rimorsi».
Anzi, scriveva nel 2007, paradossalmente, «a guardare la cristianità dei nostri
giorni, ho l’impressione che la sua attualità si sia accresciuta».
No,
l’oro dei magi no
Biffi non si sbagliava. Il quinto evangelo è attualissimo. Lo era nel 1970 e non diversamente lo è oggi. Allora, scriveva Biffi, era un pullulare di sacerdoti, teologi, teologhesse che, ogni giorno, enunciavano concetti sorprendenti «tra la meraviglia attonita degli abitanti di Gerusalemme». Idee belle e affascinanti, con un unico neo: non avevano fondamento evangelico. Ecco allora venirci in soccorso il Vangelo del Migliavacca che ci restituiva le vere parole di Gesù, più morbide, più leggere, finalmente libere dalle incrostazioni clericali ed ecclesiastiche. Si prenda, a mo’ d’esempio, il primo frammento. Laddove Matteo (2, 11) narrando l’episodio dei magi, scriveva: «Prostrati lo adorarono. Poi aperti i loro scrigni gli offrirono in dono oro, incenso e mirra». Il quinto evangelo correggeva: «Prostratisi, lo adorarono. Poi aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Ma disse Giuseppe: “L’oro non lo possiamo accettare, perché è segno di ricchezza e contamina chi lo dà e chi lo riceve”».
Biffi non si sbagliava. Il quinto evangelo è attualissimo. Lo era nel 1970 e non diversamente lo è oggi. Allora, scriveva Biffi, era un pullulare di sacerdoti, teologi, teologhesse che, ogni giorno, enunciavano concetti sorprendenti «tra la meraviglia attonita degli abitanti di Gerusalemme». Idee belle e affascinanti, con un unico neo: non avevano fondamento evangelico. Ecco allora venirci in soccorso il Vangelo del Migliavacca che ci restituiva le vere parole di Gesù, più morbide, più leggere, finalmente libere dalle incrostazioni clericali ed ecclesiastiche. Si prenda, a mo’ d’esempio, il primo frammento. Laddove Matteo (2, 11) narrando l’episodio dei magi, scriveva: «Prostrati lo adorarono. Poi aperti i loro scrigni gli offrirono in dono oro, incenso e mirra». Il quinto evangelo correggeva: «Prostratisi, lo adorarono. Poi aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Ma disse Giuseppe: “L’oro non lo possiamo accettare, perché è segno di ricchezza e contamina chi lo dà e chi lo riceve”».
Qui
si manifesta la volontà di Cristo «di fondare la Chiesa sui poveri», spiega
l’esegeta Biffi che accompagna ogni nuovo frammento con un commento. Così si
supera l’antica interpretazione della «Chiesa costantiniana», «emblema di ogni
corruzione».
Il
quinto evangelo prosegue così, di rivelazione in rivelazione, smussando,
attenuando, annacquando la parola di Cristo per renderla meno dura, più
malleabile, più conforme al mondo e ai suoi comodi. Per questo lo stesso Gesù,
più che figlio di Dio, è «un uomo di gran buon senso», come quando,
diversamente da quello che c’è scritto nei vangeli canonici, accetta una delle
tentazioni del Diavolo. Certo, non quella di adorarlo, ma quella di «prendere
sotto il mio dominio i regni della terra», beninteso, per un nobile scopo:
«Perché dove c’è miseria io porti la gioia, dove c’è ingiustizia io porti la
giustizia, dove c’è schiavitù e l’oppressione io porti la libertà, e ci sia
pace sulla terra per tutti i figli dell’uomo».
Alcune
pagine di Biffi sfociano apertamente nel sarcasmo. Come quando modifica il
«fate penitenza e credete nel vangelo» (Marco 1, 14-15) in un più astuto «fate
far penitenza e credete nel vangelo». Così sarà tutto più facile perché «se si
tratta di “cambiar testa”, molto meglio cambiare quella degli altri. Il polso è
più fermo, il cuore più coraggioso quando si opera sulla testa altrui. Ché se
aspettiamo che ciascuno cambi la propria, il vecchio mondo non si cambia più».
Perfino «il rito del “mea culpa” – questo pittoresco residuo del monachesimo
medievale – si può salvare. Basta batterlo sulla pancia del vicino».
O
come quando, onde correggere la preferenza di Gesù per alcuni («scelse i
dodici, ai quali diede il nome di apostoli», Luca 6, 12-13), il nuovo annuncio
sentenzia che «nessuno può veramente rappresentare gli altri uomini, se non è
eletto da loro. Poi [Gesù] chiamò a sé coloro che l’assemblea aveva indicato».
Chi
è contro di noi, è per noi
In ogni frammento si sente il riverbero delle istanze della contestazione degli anni Settanta. Ma oggi è forse diverso? Scriveva il vero Biffi quando diceva che la sua operetta è più attuale oggi che allora. Non sentiamo oggi dire che la Chiesa si deve occupare solo delle materie religiose senza troppo immischiarsi col mondano? Ecco arrivare in nostro soccorso il quinto Vangelo che corregge l’invito di Cristo a non nascondere la lucerna sotto il moggio, nel suo esatto contrario; sarà così possibile alla Chiesa diventare «una rete sotterranea di microscopiche comunità, che si radunano a discutere con molta franchezza e con molta fede se il Signore sia risorto o meno».
In ogni frammento si sente il riverbero delle istanze della contestazione degli anni Settanta. Ma oggi è forse diverso? Scriveva il vero Biffi quando diceva che la sua operetta è più attuale oggi che allora. Non sentiamo oggi dire che la Chiesa si deve occupare solo delle materie religiose senza troppo immischiarsi col mondano? Ecco arrivare in nostro soccorso il quinto Vangelo che corregge l’invito di Cristo a non nascondere la lucerna sotto il moggio, nel suo esatto contrario; sarà così possibile alla Chiesa diventare «una rete sotterranea di microscopiche comunità, che si radunano a discutere con molta franchezza e con molta fede se il Signore sia risorto o meno».
Ci
sono pagine che sembrano vergate apposta per piacere alla gente che piace (Enzo Bianchi, Eugenio Scalfari, Vito Mancuso, stiamo parlando di voi). Certamente quella
del vangelo del Migliavacca è la Chiesa che farebbe per loro, in cui si esalta
chi dall’interno contribuisce a demolirla («chi è contro di noi, è per noi»);
in cui si celebrano i teologi professionisti – Mancuso, questa è per te –
perché Dio «ha rivelato i misteri del Regno ai dotti e ai sapienti, che così
poi potranno spiegare ai semplici»; in cui – questa è per Scalfari – all’antico
e duro monito «se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Matteo 19,
17) va sostituito un più conciliante «se vuoi entrare nella vita eterna,
osserva i dettami della tua coscienza».
Il
Dio focoso e imprudente
L’ironia di Biffi non risparmia nessuno. Ce n’è anche per i cattolici imborghesiti che «si lasciano distrarre dalle solite banalità sulla salvezza dell’anima e il Paradiso» e che di fronte a questo «Dio focoso e imprudente» che li vuole amare s’accontentano di «piccole aspirazioni comuni». Insomma, una lettura utile in questi tempi in cui si discute di famiglia e divorziati risposati («Se qualcuno rimanda la propria moglie e ne sposa un’altra – a meno che la prima sia imbruttita ai suoi occhi – commette adulterio. Chi poi sposa la divorziata compie un vero atto di carità»).
L’ironia di Biffi non risparmia nessuno. Ce n’è anche per i cattolici imborghesiti che «si lasciano distrarre dalle solite banalità sulla salvezza dell’anima e il Paradiso» e che di fronte a questo «Dio focoso e imprudente» che li vuole amare s’accontentano di «piccole aspirazioni comuni». Insomma, una lettura utile in questi tempi in cui si discute di famiglia e divorziati risposati («Se qualcuno rimanda la propria moglie e ne sposa un’altra – a meno che la prima sia imbruttita ai suoi occhi – commette adulterio. Chi poi sposa la divorziata compie un vero atto di carità»).
Un
libretto che, per contrasto – e qui sta il genio di Biffi –, ci ricorda che il
Vangelo è il racconto di un fatto, non un elenco di spunti per aprire un dibattito
e mettersi d’accordo sulla via mediana. Anche perché, lo sappiamo tutti che è
meglio un compromesso piuttosto che la radicalità cristiana. Lo sapeva
anche l’estensore del quinto evangelo: «Se il mondo vi odia, è segno che non lo
capite. Conformatevi al mondo, e il mondo vi salverà».
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