“Ho mangiato l’ostia sputata via da un malato”. I bravi preti ci sono, e sono tutti giovani
Sono i semi gettati nel deserto del post-concilio da san Giovanni Paolo II aiutato dal suo prefetto Ratzinger, destinato a succedergli. I bravi preti ci sono, e sono quasi tutti giovani e io li sento, li leggo, li vedo. Se non li vediamo tutti è perché sono ancora dei piccoli germogli dispersi nel deserto. Ma le oasi e talora le foreste nascono da un germoglio sperduto nel deserto che è sbocciato. Basta un soffio dello Spirito.
di Antonio Margheriti Mastino
Sono contro il pessimismo eccessivo perché è l’altra faccia dell’ottimismo demenziale. Sono contro a dire che “tutti i preti” di oggi fanno pena. Non è vero, non può essere vero, e lo vedo con i miei occhi. Anzi che sono pure migliorati rispetto a quelli di qualche anno fa, anche se i seminari, in senso inversamente proporzionale, laddove non hanno chiuso sono peggiorati.
È scomparso senza salutare il seminarista bambino. Menomale!
È che si sono impegnati da loro, questi giovani preti validi, studiando da soli, ricercando appassionatamente la verità per sé e, una volta trovata, avevano l’ansia di comunicarla integrale agli altri, perché il neofitismo è un fuoco e il fuoco sopravvive e si alimenta trasmettendosi e ardendo altrove, divorando insaziabile. Sono dei convertiti, e perciò le loro vocazioni sono dette (quasi) “adulte”.
Infatti non ce ne siamo accorti, ma è scomparsa all’improvviso e ormai del tutto e crediamo definitivamente una figura classica, quella dell’antico seminarista così come eravamo abituati a immaginarlo e vederlo: un bambino tutto perfettino cresciuto nelle chiuse mura del seminario, nascosto al mondo, senza esperienza della vita e delle sue tentazioni, avviato al sacerdozio più che vocato: i danni che hanno fatto, poi crescendo, questi seminaristi “avviati” al sacerdozio anziché chiamati!
I più furiosi demolitori del post-concilio, erano loro: odiatori di tutto quanto sapeva ancora di cattolico e di “chiuso” come le mura seminariali che li avevano separati dal mondo (e dagli affetti) e senza accorgersi “avviati” al sacerdozio così come si avvia un apprendista artigiano all’artigianato, non avendone una vocazione profonda, matura; loro i primi a strapparsi di dosso con furore la talare e rifiutare con risentimento ogni altro segno sacrale; loro i primi a spogliarsi.
Occorrono non preti “adulti” ma maturi
Una vocazione oggi ha da essere consapevole, autentica, profonda e perciò adulta. Nel senso di matura, non adulterata e marcia. D’altro canto, i frutti acerbi non sono più utili a nessuno. Si deve fare esperienza di questo mondo per capire di che povera e triste cosa in realtà sia, a quanto poco si rinunci per avere il “tutto” del sacerdozio. Chi è stato sempre in seminario e mai nel mondo (come successe nell’immediato post-concilio) chissà cosa mai pensa si sia perso … onde i complessi, le smanie, i pruriti psicologici di mondanizzarsi per compensare quella “mancanza”, quell’ansia di non sperimentato, non vissuto. Mi verrebbe quasi da dire che a briglie sciolte nel mondo è necessario quel lasciarsi tentare dalle tentazioni come un batterio, per poi immunizzarsene, e dire di poi “rinuncio a satana, alle sue opere e tentazioni”.
Oggi il vero seminario è il “mondo”: lì impari tutto quello che “non è” Cristo; cosa è la falsa libertà che si presenta sotto la specie di libertinismo. Una volta che hai scoperto cosa “non è” Cristo, scopri “cosa è” il demonio. Presto scoprirai pure cosa Cristo è veramente. E allora puoi dire come in Paolo «non sono io che Ti ho trovato, sei Tu che mi hai cercato». La chiamano “vocazione adulta”, dice.
Erano anni che non avevamo tanti bravi preti
Mi diceva oggi sul mio fb qualcuno, a proposito del mio articolo di ieri sulla scomparsa del “catechismo” dall’orizzonte di molti praticanti, più per hobby che per convincimento:
«Molto bello il tuo articolo, ma non servirà a nulla. Ho provato a spiegare queste cosa da anni ai preti e monaci che conosco, semplicemente sembra che la cosa non li riguardi».
Naturalmente è vero, e questo che mi parla è uno che dopo una vita mondana e un lavoro lontanissimo per sua natura da prospettive di fede, anzi fiero nemico della prospettiva cristiana, questo qui all’improvviso si è convertito. E allora è andato a bussare alle porte delle sacrestie e dei conventi toscani per comunicare la sua svolta, per ricevere aiuto, essere accompagnato nella fede che aveva scoperto, per scoprire oltre. Quando preti e frati non gli hanno sbattuto la porta in faccia, gli hanno spiegato che non era necessario convertirsi, anzi semmai era pure una cosa sconveniente.
Saranno certamente quei preti e frati “avviati” (da bambini), senza essere veramente vocati, al sacerdozio, col risultato che odiano il sacerdozio e il Sommo Sacerdote. Perché odiano quella vita che non era disegnata per loro, non scelta con spirito adulto, e che perciò ora trovano tediosa, sono senza ansia missionaria, senza fuoco: carne cruda. E di conseguenza, con fastidio hanno trattato questo convertito, loro desiderosi semmai di vivere quella vita dalla quale disilluso il neoconvertito sta scappando e della quale loro non hanno fatto esperienza, fra tanti rimpianti. Ecco perché odiano quell’altare che non li ha resi liberi, ma prigionieri di una vocazione sbagliata, mentre ormai tutto è irreparabile; allora ti spieghi il loro ostinato, suicida tentativo di mondanizzare la loro parrocchia: se non hanno ottenuto il mondo, che sia la chiesa a somigliargli. Una compensazione e una vendetta inconscia.
Rispondo a questo amico che non è vero, ci stanno tanti giovani preti capaci da qualche anno, li vedo. Se problemi hanno glieli creano più che i fedeli i vescovi o i parroci più anziani, per tacere dei formatori seminariali. Erano anni che non c’erano tanti bravi preti, e in questo è stato fondamentale l’esempio di Wojtyla e Ratzinger. Ma anche tanta buona apologetica. Un ragazzo che ha letto Messori e poi è diventato prete, sarà un bravo prete. Tanti così. Questo dico. E aggiungo che, fra l’altro, da anni, vedo giovanissimi preti persino in talare, e vecchi preti vestiti come operai Fiat e col cervello da adolescenti. Frustrati per giunta.
I teneri germogli dispersi nel deserto: i giovani preti
Mentre tutto questo accadeva, si diceva, si scriveva, come un segno del cielo che volesse significarmi un bonum scripsisti Antoni, mi scrive un giovanissimo prete proveniente da ambienti più o meno ciellini. Non so perché tanti preti giovani, veramente parecchi, mi scrivano, e non per darmi consigli, ma piuttosto per, in certo senso, chiedermene o più spesso “confessarsi”: a me che sono istintivamente un vecchio anticlericale, allergico assai alle sacrestie. A me. A me per cose che forse un tempo avrebbero dovuto domandare al loro vescovo: evidentemente non se ne fidano, o sono certi di non riceverne alcuna risposta responsabile, o il vescovo è troppo impegnato in giro a tagliare nastri, pavoneggiarsi in atteggiamenti “umili”, fare comizi populisti con una croce di legno attaccata al collo.
Un giovane prete, dunque, uno di quei preti dei quali sempre e comunque, generalizzando, diciamo male, ma che – mi dico – forse proprio in base a queste critiche riescono talora a orientarsi e regolarsi, facendo in modo d’essere diversi da tanti loro confratelli anziani e in crisi di identità, disposti a diventare tutto pur di non essere semplicemente sacerdoti di Cristo, tanto poco gli sempre il sacerdozio, e che puntualmente contestiamo, magari con insolenza (ma del resto loro pure sono cocciuti e arroganti). Ecco, questo giovane sacerdote, queste parole commoventi e che un po’ impressionano mi scrive:
«Ciao Mastino. A proposito di sacrilegio e profanazione dell’Eucaristia. La bestia ignorante del mio predecessore bruciava le ostie che i poveri anziani della casa di riposo di tanto in tanto sputavano. Io ne sono testimone. Mi è già capitato un paio di volte di ingoiare le ostie che qualche povero anziano ha sputato perché incosciente. L’ultima volta ho aggredito la ausiliare cretina che mi ha detto che l’avrebbe bruciata. Gli ho urlato che era il Corpo di Cristo e ho preso la particola piena di saliva e l’ho ingoiata. Questo gesto di per sé disgustoso mi ha dato una grande carica perché atto d’amore per il mio Signore. Non pubblico queste cose per evitare di scandalizzare i piccoli. Ma quanta rabbia mi viene nel vedere trattato così il Signore! Ciao».
Io non avrei avuto il coraggio: io che tante volte ho dato del “cacasotto” a tanti preti.
“Non sono più io che vivo, sei tu Signore che vivi in me”, dice Paolo. Quando un prete giovane riesce a realizzare questo, è pronto a tutto. Ce ne sono!
Sono i semi gettati nel deserto del post-concilio da san Giovanni Paolo II aiutato dal suo prefetto Ratzinger, destinato a succedergli.
I bravi preti ci sono, e sono quasi tutti giovani e io li sento, li leggo, li vedo. Se non li vediamo tutti è perché sono ancora dei piccoli germogli dispersi nel deserto. Ma le oasi e talora le foreste nascono da un germoglio sperduto nel deserto che è sbocciato. Basta un soffio dello Spirito.
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