domenica 10 aprile 2016

difesa del maschilismo

Apologia del maschilismo
     
maschilismo
 
 
di Gabriele Colosimo
 
Voglio dirlo subito: titolo e foto sono volutamente provocatori. Spero che la provocazione possa aiutare a far arrivare questo breve articolo anche a chi ha poco chiari i ruoli all’interno della famiglia, dal momento che assistiamo ad una sempre più martellante propaganda a favore delle stesse battaglie che hanno pian piano costruito la società dei gessetti.
 
La foto qui sopra è un chiarissimo esempio della disonestà intellettuale che caratterizza i detrattori dell’ordine naturale, com’è stato creato da Dio.

Abbiamo un uomo in sovrappeso sul divano, con indosso una maglietta di Star Wars, la nota saga di film di fantascienza, che tiene al guinzaglio una donna che stira in abiti succinti e che non sembra particolarmente contenta del trattamento (e vorrei vedere…).
 
Appare chiarissimo il riferimento alla “società patriarcale”, così come viene definita dall’attivismo LGBT, in cui la donna non sarebbe altro che la schiava del marito, il quale, a sentir loro, avrebbe diritto di vita e di morte sulla povera malcapitata. Probabilmente a forza di far entrare maomettani devono aver fatto un po’ di confusione.
 
Mi rendo conto che l’espressione “le mogli siano sottomesse ai mariti” in tempi di grave decadenza morale possa essere intesa come un’umiliazione quotidiana delle povere spose, o, peggio ancora, come un’oppressione psicologica e fisica, una sorta di continuo assoggettamento quotidiano, per intendersi.
Il matrimonio cristiano non è questo. Iniziamo con la citazione completa: “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa.” (Ef 5,22)
 
Qualcuno sano di mente potrebbe mai pensare che la Chiesa debba essere sottomessa a Cristo nel modo in cui Nostro Signore la umilia o la opprime? E’ per questo che giudico particolarmente disoneste le congetture dei “progressisti” della famiglia. Perché nulla di ciò che dicono sta in piedi. Può starci esclusivamente con una citazione parziale e male interpretata, snaturando quella sana sottomissione che è nell’ordine naturale. Quanto affermano non somiglia neanche a quanto richiesto agli sposi nel matrimonio sacramentale. E non è nulla che abbia minimamente a che fare con quel lume che è stata la civiltà cristiana.
 
Voglio citare Chesterton per far comprendere dove si insidia il cortocircuito del femminismo e dell’emancipazione femminile in genere, lo scrittore disse: “Il femminismo è mescolato con l’idea confusa per cui le donne sono libere quando servono il datore di lavoro, ma schiave quando aiutano i mariti.”
Per le femministe sono desiderabili i compromessi lavorativi, la sottomissione (questa sì nel senso deteriore del termine) all’imprenditore o al capetto di turno, è desiderabile che educhino i figli dopo otto ore passate in ufficio. Anzi, non solo va bene, ma la chiamano realizzazione! E’ qui l’errore grave.
 
Mentre scrivo queste parole penso alle donne sposate con figli che ho conosciuto in ambienti lavorativi. Credo che nessuno abbia difficoltà a credermi se dico che il denominatore comune tra loro non era esattamente la realizzazione personale.
 
Il femminismo che magari professavano a 20 anni, immaginandosi in un grattacielo di Manhattan a impartire ordini e a guadagnare uno sproposito, a 40 anni si è trasformato in lamentele e occhiaie. Forse la statistica che espongo è falsata, perché basata quasi solo sulla mia esperienza personale, ma stranamente nelle pause di lavoro la totalità  delle donne di mezza età con figli che ho conosciuto ha più volte lasciato trasparire che si trovava lì più per necessità che altro e che se ne starebbero volentieri a casa a educare i figli.
 
Non pretendo, con la mia esperienza, di entrare nelle intenzioni di tutte le donne con figli che lavorano, ma non posso non tenerne conto. Quantomeno lasciatemi giudicare assurda la logica per cui sollevare la donna, dove possibile, dagli oneri lavorativi per farla dedicare all’educazione dei figli sia da bigottosauri medievali maschilisti.
 
 
Concludo lasciando al Catechismo Maggiore di San Pio X la risposta a qualunque accusa contro la nostra santa religione e contro l’ordine voluto da Dio:
413.  Che doveri hanno gli sposi?
Gli sposi hanno il dovere di convivere santamente, di aiutarsi con affetto costante nelle necessità spirituali e temporali, e di educare bene i figliuoli, curandone l’anima non meno del corpo, e formandoli anzitutto alla religione (cattolica) e alla virtù con la parola e con l’esempio. 
I. Preparazione al matrimonio. Chi ancora non sa a quale via il Signore lo abbia predestinato, deve cercare di conoscere la divina volontà e pregare assiduamente e umilmente, consigliarsi e studiare la propria vocazione. Nel caso che non si senta chiamato a uno stato più perfetto, sacerdozio, vita religiosa, o istituto secolare, si prepari allo stato coniugale. Chi si prepara al matrimonio deve prima di tutto pregare per giungere casto e ricco di grazia all’altare, e fare di tutto per conservare le sue forze per la futura famiglia. Preghi Dio che gli faccia trovare il compagno o la compagna degna, con cui dovrà convivere santamente e formare una buona famiglia cristiana. Nella scelta del fidanzato o della fidanzata i giovani non devono lasciarsi guidare né dal capriccio né dalla passione passeggera, che li attira verso i piaceri puramente animaleschi o li spinge a cercare soltanto l’interesse materiale e il denaro. Durante il fidanzamento i giovani devono cercare di conoscersi a vicenda, comprendersi, imparare a sopportarsi e aiutarsi, preparandosi nella preghiera, nel mutuo rispetto, nell’unità dello spirito e della carità soprannaturale, a formare una sola carne e una famiglia cristiana. Prima di celebrare il matrimonio ricevano devotamente i sacramenti della Penitenza e della Comunione, e vadano all’altare di Dio animati da viva fede, profonda devozione e retta intenzione. 
II. Doveri degli sposi.  
1) Gli sposi hanno il dovere di convivere santamente. senza imitare quei coniugi che nelle nozze cercano soltanto la soddisfazione di se stessi o l’interesse materiale; che tradiscono l’unità e l’indissolubilità del sacramento; che vogliono solo i piaceri evitando i pesi, specialmente dei figli.  
2) … di aiutarsi con affetto costante nelle necessità spirituali e temporali. Dall’amore nato spontaneo nei cuori e reso sacro ai piedi dell’altare con la benedizione di Dio: deve nascere il rispetto e l’aiuto reciproco tra i coniugi. Il marito deve provvedere alla moglie quanto le è necessario per il vitto, il vestito e l’abitazione; deve trattarla non come una serva, ma come la compagna della sua vita e la madre dei suoi figli, usando con lei delicatezza amorosa, specialmente nei periodi della maternità. A sua volta la moglie deve amare il marito, rispettarlo come capo della famiglia e padre dei suoi figli, obbedirlo, aiutarlo, custodire la casa come un santuario, facendo in modo che lo sposo trovi la maggior felicità e attrattiva tra le mura domestiche, dandosi con generosità e sacrificio. 
3)  … e di educare bene i figliuoli, curandone l’anima non meno del corpo, e formandoli anzitutto alla religione e alla virtù con la parola e con l’esempio. Il Sommo Pontefice Pio XI, nell’Enciclica «Della cristiana educazione della gioventù» (31 dicembre 1931) insegna che spetta prima di tutto ai genitori l’educazione naturale dei figli e alla Chiesa l’educazione soprannaturale. Lo stato non può né deve contrastare i doveri dei genitori e della Chiesa, né tanto meno impartire la cosiddetta educazione «laica», che in realtà è irreligiosa. E’ suo compito aiutare i genitori e la Chiesa nell’educazione della gioventù. I genitori devono non solo insegnare i primi elementi della scienza ai figli e avviarli agli studi, al lavoro e all’esercizio di un’onesta e decorosa professione; ma devono instradarli sulla via della pietà cristiana e della fede, facendone dei buoni cittadini e soprattutto dei buoni cristiani, servendosi per questo dell’aiuto dello stato e della Chiesa. Per l’educazione dei figli ha certamente molta efficacia la parola che esorta, consiglia, comanda, rimprovera, punisce: ma molto più efficaci sono l’esempio di una vita laboriosa e onesta e la pratica integrale della vita cristiana. Senza il buon esempio tutte le fatiche e tutti i discorsi saranno sprecati.

http://www.radiospada.org/2016/03/apologia-del-maschilismo/ 

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