La favola di Natale
di Giovanni Guareschi
Natale è la festa della famiglia e tutti si danno da fare per trascorrerla insieme in allegria; se gli adulti hanno da fare, i bambini non sono da meno.
In molte famiglie è tradizione che i figli recitino nel giorno della festa una poesia e allora ... che fatica imparare le poesie! E se poi in famiglia ci sono più poesie da imparare c'è il rischio che mezzo quartiere sia costretto a impararle.
Forse Margherita ha ragione quando dice che occorre la maniera forte coi bambini: il guaio è che, a poco a poco, usando e abusando della maniera forte, in casa mia si lavora soltanto con le note sopra il rigo.
La tonalità, anche nei più comuni scambi verbali, viene portata ad altezze vertiginose e non si parla più, si urla. Ciò è contrario allo stile del «vero signore», ma quando Margherita mi chiede dalla cucina che ore sono, c'è la comodità che io non debbo disturbarmi a rispondere perché l'inquilino del piano di sopra si affaccia alla finestra e urla che sono le sei o le dieci.
Margherita, una sera del mese scorso, stava ripassando la tavola pitagorica ad Albertino e Albertino s'era impuntato sul sette per otto.
Sette per otto? - cominciò a chiedere Margherita. E, dopo sei volte che Margherita aveva chiesto quanto faceva sette per otto, sentii suonare alla porta di casa.
Andai ad aprire e mi trovai davanti il viso congestionato dell'inquilino del quinto piano (io sto al secondo).
Cinquantasei! - esclamò con odio l'inquilino del quinto piano.
Rincasando, un giorno del dicembre scorso, la portinaia si sporse dall'uscio della portineria e mi disse sarcastica: È Natale, è Natale è la festa dei bambini - è un emporio generale - di trastulli e zuccherini!
Ecco, - dissi tra me - Margherita deve aver cominciato a insegnare la poesia di Natale ai bambini.
Arrivato davanti alla porta di casa mia, sentii appunto la voce di Margherita:
«È Natale, è Natale - è la festa dei bambini!...».
È la festa dei cretini! -rispose calma la Pasionaria. Poi sentii urla miste e mi decisi a suonare il campanello.
Sei giorni dopo, il salumaio quando mi vide passare mi fermò.
Strano, - disse - una bambina così sveglia che non riesce a imparare una poesia così semplice.
La sanno tutti, ormai, della casa, meno che lei.
In fondo non ha torto se non la vuole imparare, - osservò gravemente il lattaio sopravvenendo. - È una poesia piuttosto leggerina.
È molto migliore quella del maschietto: «O Angeli del Cielo - che in questa notte santa - stendete d'oro un velo - sulla natura in festa...».
Non è così, - interruppe il garzone del fruttivendolo. - «O Angeli del Cielo - che in questa notte santa stendete d'oro un velo - sul popolo che canta...
Nacque una discussione alla quale partecipò anche il carbonaio, e io mi allontanai.
Arrivato alla prima rampa di scale sentii l'urlo di Margherita: «...che nelle notti sante - stendete d'oro un velo - sul popolo festante...».
Due giorni prima della vigilia, venne a cercarmi un signore di media età molto dignitoso.
Abito nell'appartamento di fronte alla sua cucina, - spiegò. Ho un sistema nervoso molto sensibile, mi comprenda. Sono tre settimane che io sento urlare dalla mattina alla sera:
«È Natale, è Natale - è la festa dei bambini - è un emporio generale - di trastulli e zuccherini».
Si vede che è un tipo di poesia non adatto al temperamento artistico della bambina e per questo non riesce a impararla.
Ma ciò è secondario: il fatto è che io non resisto più: ho bisogno che lei mi dica anche le altre quartine. lo mi trovo nella condizione di un assetato che, da quindici giorni, per cento volte al giorno, sente appressarsi alla bocca un bicchiere colmo d'acqua.
Quando sta per tuffarvi le labbra ecco che il bicchiere si allontana.
Se c'è da pagare pago, ma mi aiuti.
Trovai il foglio sulla scrivania della Pasionaria.
Il signore si gettò avidamente sul foglio: poi copiò le altre quattro quartine e se ne andò felice.
Lei mi salva la vita - disse sorridendo.
La sera della vigilia di Natale passai dal fornaio, e il brav'uomo sospirò.
È un pasticcio - disse. - Siamo ancora all'emporio generale. La bambina non riesce a impararla, questa benedetta poesia. Non so come se la caverà stasera.
Ad ogni modo è finita! - si rallegrò.
Margherita, la sera della vigilia era triste e sconsolata.
Ci ponemmo a tavola, io trovai le regolamentari letterine sotto il piatto.
Poi venne il momento solenne.
Credo che Albertino debba dirti qualcosa, - mi comunicò Margherita.
Albertino non fece neanche in tempo a cominciare i convenevoli di ogni bimbo timido: la Pasionaria era già ritta in piedi sulla sua sedia e già aveva attaccato decisamente:
«O Angeli del Cielo - che in queste notti sante - stendete d'oro un velo - sul popolo festante...». Attaccò decisa, attaccò proditoriamente, biecamente, vilmente e recitò, tutta d'un fiato, la poesia di Albertino.
È la mia! - singhiozzò l'infelice correndo a nascondersi nella camera da letto.
Margherita, che era rimasta sgomenta, si riscosse, si protese sulla tavola verso la Pasionaria e la guardò negli occhi.
Caina! - urlò Margherita.
Ma la Pasionaria non si scompose e sostenne quello sguardo. E aveva solo quattro anni, ma c'erano in lei Lucrezia Borgia, la madre dei Gracchi, Mata Hari, George Sand, la Dubarry, il ratto delle Sabine o le Sorelle Karamazoff.
Intanto Abele, dopo averci ripensato sopra, aveva cessato l'azione.
Rientrò Albertino, fece l'inchino e declamò tutta la poesia che avrebbe dovuto imparare la Pasionaria.
Margherita allora si mise a piangere e disse che quei.due bambini erano la sua consolazione.
La mattina un sacco di gente venne a felicitarsi, e tutti assicurarono che colpi di scena così, non ne avevano mai visti neanche nei più celebri romanzi gialli.
Andai ad aprire e mi trovai davanti il viso congestionato dell'inquilino del quinto piano (io sto al secondo).
Cinquantasei! - esclamò con odio l'inquilino del quinto piano.
Rincasando, un giorno del dicembre scorso, la portinaia si sporse dall'uscio della portineria e mi disse sarcastica: È Natale, è Natale è la festa dei bambini - è un emporio generale - di trastulli e zuccherini!
Ecco, - dissi tra me - Margherita deve aver cominciato a insegnare la poesia di Natale ai bambini.
Arrivato davanti alla porta di casa mia, sentii appunto la voce di Margherita:
«È Natale, è Natale - è la festa dei bambini!...».
È la festa dei cretini! -rispose calma la Pasionaria. Poi sentii urla miste e mi decisi a suonare il campanello.
Sei giorni dopo, il salumaio quando mi vide passare mi fermò.
Strano, - disse - una bambina così sveglia che non riesce a imparare una poesia così semplice.
La sanno tutti, ormai, della casa, meno che lei.
In fondo non ha torto se non la vuole imparare, - osservò gravemente il lattaio sopravvenendo. - È una poesia piuttosto leggerina.
È molto migliore quella del maschietto: «O Angeli del Cielo - che in questa notte santa - stendete d'oro un velo - sulla natura in festa...».
Non è così, - interruppe il garzone del fruttivendolo. - «O Angeli del Cielo - che in questa notte santa stendete d'oro un velo - sul popolo che canta...
Nacque una discussione alla quale partecipò anche il carbonaio, e io mi allontanai.
Arrivato alla prima rampa di scale sentii l'urlo di Margherita: «...che nelle notti sante - stendete d'oro un velo - sul popolo festante...».
Due giorni prima della vigilia, venne a cercarmi un signore di media età molto dignitoso.
Abito nell'appartamento di fronte alla sua cucina, - spiegò. Ho un sistema nervoso molto sensibile, mi comprenda. Sono tre settimane che io sento urlare dalla mattina alla sera:
«È Natale, è Natale - è la festa dei bambini - è un emporio generale - di trastulli e zuccherini».
Si vede che è un tipo di poesia non adatto al temperamento artistico della bambina e per questo non riesce a impararla.
Ma ciò è secondario: il fatto è che io non resisto più: ho bisogno che lei mi dica anche le altre quartine. lo mi trovo nella condizione di un assetato che, da quindici giorni, per cento volte al giorno, sente appressarsi alla bocca un bicchiere colmo d'acqua.
Quando sta per tuffarvi le labbra ecco che il bicchiere si allontana.
Se c'è da pagare pago, ma mi aiuti.
Trovai il foglio sulla scrivania della Pasionaria.
Il signore si gettò avidamente sul foglio: poi copiò le altre quattro quartine e se ne andò felice.
Lei mi salva la vita - disse sorridendo.
La sera della vigilia di Natale passai dal fornaio, e il brav'uomo sospirò.
È un pasticcio - disse. - Siamo ancora all'emporio generale. La bambina non riesce a impararla, questa benedetta poesia. Non so come se la caverà stasera.
Ad ogni modo è finita! - si rallegrò.
Margherita, la sera della vigilia era triste e sconsolata.
Ci ponemmo a tavola, io trovai le regolamentari letterine sotto il piatto.
Poi venne il momento solenne.
Credo che Albertino debba dirti qualcosa, - mi comunicò Margherita.
Albertino non fece neanche in tempo a cominciare i convenevoli di ogni bimbo timido: la Pasionaria era già ritta in piedi sulla sua sedia e già aveva attaccato decisamente:
«O Angeli del Cielo - che in queste notti sante - stendete d'oro un velo - sul popolo festante...». Attaccò decisa, attaccò proditoriamente, biecamente, vilmente e recitò, tutta d'un fiato, la poesia di Albertino.
È la mia! - singhiozzò l'infelice correndo a nascondersi nella camera da letto.
Margherita, che era rimasta sgomenta, si riscosse, si protese sulla tavola verso la Pasionaria e la guardò negli occhi.
Caina! - urlò Margherita.
Ma la Pasionaria non si scompose e sostenne quello sguardo. E aveva solo quattro anni, ma c'erano in lei Lucrezia Borgia, la madre dei Gracchi, Mata Hari, George Sand, la Dubarry, il ratto delle Sabine o le Sorelle Karamazoff.
Intanto Abele, dopo averci ripensato sopra, aveva cessato l'azione.
Rientrò Albertino, fece l'inchino e declamò tutta la poesia che avrebbe dovuto imparare la Pasionaria.
Margherita allora si mise a piangere e disse che quei.due bambini erano la sua consolazione.
La mattina un sacco di gente venne a felicitarsi, e tutti assicurarono che colpi di scena così, non ne avevano mai visti neanche nei più celebri romanzi gialli.
La “Favola di Natale” di Guareschi
alla Fiera del libro di Mosca
di Giovanni Lugaresi.
Lo scrittore italiano più anticomunista ha fatto il bis, per così dire, nella Russia postcomunista! E lo ha fatto per la sensibilità, la cultura e la passione di una giovane studiosa di letteratura italiana. Lo scrittore è Giovannino Guareschi, lei, Olga Gurevich, docente nell’Università di Mosca.
Dopo avere tradotto “Don Camillo”, ha compiuto il bis, appunto, con “La favola di Natale”, il classico scritto da Guareschi in un lager nazista alla vigilia del Natale 1944. In entrambi i casi, Olga si è avvalsa dell’incoraggiamento e della collaborazione, in primis dei figli di Giovannino, Alberto e Carlotta, poi, del direttore dell’Istituto italiano di cultura di Mosca Dell’Asta. La Favola (editrice Albus Crovus) è stata presentata con successo alla Fiera del Libro di Mosca e, per un caso singolare, presente anche l’assessore alla cultura del Comune di Busseto, Stefano Carosino.
Come è noto, “La favola di Natale” appartiene a quella serie di pagine che Guareschi scrisse nel lungo periodo di internamento nei lager di Polonia e di Germania, per darsi forza, resistere, infondere coraggio ai commilitoni; e furono ispirate da tre Muse, come avvertì lui stesso: Freddo, Fame, Nostalgia. Ma furono sostanziate, per così dire, da profonda fede, da un senso di libertà insopprimibile, e caratterizziate da una fantasia originalissima, da un altrettanto originale umorismo, nonché da un soffio di poesia.
E’ una storia che commosse i commilitoni internati alla lettura che lo stesso autore ne fece passando baracca per baracca quel 25 dicembre 1944 – lettura accompagnata dalle musiche di Arturo Coppola.
Il Dio della pace e il dio della guerra costituiscono in sostanza i due aspetti di un viaggio che il piccolo Albertino, primogenito dello scrittore, compie con la nonnina e il cane Flik alla ricerca del genitore. Il quale, a sua volta, intraprende un percorso allo stesso fine: incontrare i suoi.
La nostalgia di Guareschi è emblematica della nostalgia di tutti gli internati, che si avverte maggiormente proprio alla vigilia di un Natale fra i reticolati: nostalgia intima, struggente, bisognosa di un’”espressione”, come nel caso dello scrittore…
Nell’immediato dopoguerra, “La favola di Natale” venne rappresentata a Milano, con un teatro gremito di reduci e di loro familiari. Poi il testo venne stampato, quindi, nel tempo, ci furono incisioni su disco, audiocassetta, cd, con la voce recitante di un altro IMI amico di Giovannino, l’attore Gianrico Tedeschi.
Ora, è annunciata una edizione particolare (Rizzoli) delle pagine scritte allora. Si tratterà di un volume intitolato “Giovannino nei lager”, comprensivo della “Favola”, quindi del “Diario clandestino” e di “Ritorno alla base”.
Ma torniamo ad Olga Gurevich, che conobbe l’opera di Guareschi nelle sue “scorribande” nella letteratura italiana della quale è appassionata. Nella postfazione alla “Favola”, molto stringata ma altrettanto profonda, la studiosa sottolinea l’importanza del sogno, della memoria, del colloquio che si può svolgere tra i vivi e le ombre dei morti, che a noi è sempre piaciuto ravvisare (e indicare) nella “comunione dei Santi”.
Sentiamola, Olga. “…Verso la fine della notte miracolosa che ha reso possibile l’incontro del papà prigioniero con Albertino per condividere il panettone del Natale noi vediamo attraverso i loro occhi tante croci e le ombre di quelli che cercano i loro cari già partiti per sempre che non torneranno più nel paese del sole. Li cercano per poter star loro vicini, magari solo nel sogno, oppure lì dove passa la frontiera tra il sogno e la realtà, nell’attesa di quell’ultimo incontro nell’eterno che riunisce la realtà e il sogno”, appunto.
Delicatissima, toccante osservazione di un’anima sensibile quale quella della giovane studiosa russa. Alla quale non è poi sfuggito il senso di un’altra emblematica scena: “… Forse l’autore manda l’Albertino in questo pericoloso viaggio anche per fargli vedere (e con lui a tutti noi, lettori) quel crocevia nel bel mezzo del bosco. Da lì si può prendere o una via o l’altra, bisogna solo scegliere. La strada della pace o la strada della guerra. Prima o poi ognuno di noi si trova su questo crocicchio e fa la sua scelta: pace o guerra, asinello o carro armato, dare la morte o sacrificarsi, nutrirsi del dolore altrui o patire la fame…”. Una Favola per tutti e per ciascuno di noi, insomma, come dimostra Olga, e per tutti i tempi.
(Riscossa Cristiana, 9 dicembre 2013).
Nessun commento:
Posta un commento