domenica 3 aprile 2016

le colpe di BERTONE

Bertone, Paglia e la trasparenza
a singhiozzo

di Riccardo Cascioli
 
Da alcuni giorni tiene banco su giornali, radio e tv la vicenda del “super-attico” del cardinale Tarcisio Bertone, ex segretario di Stato, i cui lavori di ristrutturazione sarebbero stati pagati con i fondi dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù. A quanto è stato affermato, c’è una formale inchiesta in Vaticano per appurare eventuali illeciti, ma più che il contenuto delle accuse e la responsabilità personale di Bertone in maneggi quantomeno inopportuni, ci sono almeno due aspetti che fanno nascere alcune domande su quello che si muove attorno a questa vicenda.

Anzitutto però, va fatta una premessa: non c’è dubbio che a posteriori si possa affermare che la nomina di Bertone a segretario di Stato sia stata la scelta più infelice del pontificato di Benedetto XVI, ma non anzitutto per i risvolti, diciamo così, economici o di correttezza morale. Papa Ratzinger, nel suo progetto di riforma, aveva deciso di scavalcare i diplomatici in carriera per puntare su una persona di fiducia che avrebbe dovuto porre anche il lavoro diplomatico a servizio dell’evangelizzazione. Bertone, che non era un diplomatico, era stato collaboratore di Ratzinger già da molti anni alla Congregazione per la Dottrina della Fede, e sembrava quindi la persona giusta per incarnare il progetto di papa Benedetto XVI. Purtroppo le cose sono andate diversamente, e la colpa più grave che si può imputare a Bertone è certamente quella di aver tradito il compito evangelizzatore che gli era stato affidato: sia stato per incapacità, per ambizione personale, per amicizie pericolose, per cattivi consiglieri o per tutte queste cose insieme, fatto sta che l’«amministrazione Bertone» sarà ricordata soprattutto per scelte incomprensibili, gaffe, scontri con vari episcopati, tentazioni politiche, scandali e, ovviamente, strani affari con sempre presente il discusso manager Giuseppe Profiti, personaggio chiave anche nella vicenda del super-attico (peraltro il rapporto d’affari con Profiti ha origine a Genova quando Bertone era l’arcivescovo del capoluogo ligure).

La situazione si era così deteriorata ed era diventata tanto imbarazzante che più volte diversi cardinali e vescovi chiesero a papa Benedetto XVI di rimuovere il cardinale Bertone dalla segreteria di Stato. Invano. Poi arrivò Vatileaks e il resto è storia recente. Di nemici dunque il cardinale Bertone se ne era fatti molti ma malgrado ciò – ed ecco il primo aspetto che suona sospetto – c’è qualcosa di inusuale in questo accanimento nei suoi confronti. Non si discute la legittimità e la necessità di inchieste laddove ce ne siano motivi fondati, ma tutto questo fiorire di inchieste giornalistiche e documenti che escono dal Vaticano e finiscono sulle scrivanie dei cronisti “giusti”, per trasformare il cardinale Bertone nel simbolo stesso del marcio in Vaticano, fa nascere qualche sospetto. Evidentemente tra i tanti nemici, ce n’è qualcuno che non si accontenta di vederlo semplicemente ormai fuori dal gioco, ma gliela vuol fare pagare fino all’ultima goccia. Sarebbe davvero interessante poter dare un volto a questi “giustizieri” e capire i motivi di tanto interessamento. 

A queste domande – per ora senza risposta - si collega il secondo aspetto da mettere in rilievo, che riguarda la narrazione della vicenda. In questi giorni sui media, la lettura più ricorrente lega il caso Bertone al processo di riforma della Curia perseguito da papa Francesco. Così Bertone diventa il simbolo del vecchio e del marcio, contro cui combatte un Papa deciso a fare pulizia. Ieri il Gr1 della Rai scomodava addirittura il paragone storico con la glasnost sovietica per spiegare l’opera di trasparenza in atto, dando ovviamente per scontato che fino all’altro giorno la Chiesa era una grande associazione a delinquere e Bertone il suo profeta. Si tratta di una narrazione coerente con l’immagine che una certa parte di Chiesa e il mondo laico che ha in mano i principali organi di informazione vuole dare di questo pontificato. Così nei servizi giornalistici e nei commenti dei soliti esperti si sente insistentemente parlare di “nuova Chiesa”, la “Chiesa di Bergoglio” e via di questo passo per scavare un fosso tra il presunto vecchio e il presunto nuovo nato nel marzo 2013.

Non solo questa visione è falsa e ideologica, ma nella vicenda di cui stiamo parlando sarebbe addirittura contraddittoria. In realtà noi non sappiamo se davvero papa Francesco abbia qualcosa a che fare con le indagini in corso sull’attico del cardinale Bertone, e se queste rispondono davvero al bisogno di fare pulizia. È strano però che nessuno abbia notato che mentre si dà la caccia a un ex segretario di Stato (che peraltro, non dimentichiamolo, non è stato ancora nemmeno incriminato), continui ad esempio a restare indisturbato al vertice di un dicastero vaticano un vescovo responsabile della bancarotta della diocesi che guidava.

Ci riferiamo ovviamente a monsignor Vincenzo Paglia, dal giugno 2012 presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ha lasciato alla piccola diocesi di Terni un debito mostruoso (si parla di 35 milioni di euro) più una serie di ricordi, in quanto a disinvoltura negli affari, non propriamente edificanti. Ci sarebbe ovviamente molto altro da aggiungere ma dovrebbe bastare questo per indurre alla prudenza e sconsigliare incarichi delicati e prestigiosi a un vescovo da tempo nel mirino della magistratura. Eppure ciò non avviene, e anche le domande su questa contraddizione (l’esigenza di trasparenza vale solo per vescovi e cardinali in pensione?) sono per il momento destinate a restare senza risposta. Ma sicuramente sconsigliano di prendere per oro colato certi racconti.

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