sabato 26 dicembre 2015

il papa è morto, la tomba di Pietro è vuota, Roma è distrutta


I primi cristiani di nuovo, 

non gli ultimi. 

Uno strano sogno alla Vigilia


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12144786_437857639741531_1045654242895536113_nil Mastino

Qualcuno me lo ha fatto notare, io stesso ne sentivo una sorta di dovere morale: scrivere un quasi scalfariano “sermone” natalizio. Ma per dire cosa? Più che non aver nulla da raccontare, erano fin troppe le cose da narrare: da dove cominciare? Quali fatti selezionare? Come rielaborarli in modo incisivo? È allora che un pigro come me si arrende: i pigri parlano quando non c’è nulla da dire, non quando c’è troppo. Onde, mi sono arreso: non scrivo nulla.

Mi è rimasto impresso quando, ridendo, Antonio Socci mi domandò «stai prendendo nota di tutto? Occorre annotare ogni cosa: per un domani. Domani, quando tutto sarà passato, dovremo rendere testimonianza degli accadimenti paradossali di questi tempi, dei quali siamo stati testimoni, vittime, capri espiatori anche. Non ci si crederà, ma sarà bellissimo raccontarlo». Sperando ci sia rimasto qualcuno ad ascoltare.

Ma insomma, il fatto è che sto scrivendovi per dire che non ho nulla da dire, essendo troppe le cose che andrebbero dette. Ma quando le parole finiscono – essendo il numero delle parole inferiore al numero dei fatti, di questi tempi –iniziano i sogni.

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Già, perché di un sogno nella notte di questa Vigilia voglio brevemente 
narrarvi, sogno in senso letterale non metaforico, fatto onirico.

Qualcuno mi spiegava che i sogni sono di tre tipi: «Se il sogno è da attribuirsi al classico peccato sopra la cintola o gastrimargico, non ha significato, reminiscenze psicologiche. Se il sogno è confuso, turbato, è un incubo malefico. Se invece è limpido, chiaro e ben impresso, quasi a rivederlo, ha un senso. In questo caso ogni dettaglio ha valore, letterale o simbolico…».

Sono stato sino a tardi a leggere, il libro di Milly Gualteroni “Strappata all’abisso: dagli psicofarmaci alla fede”, consigliato da Messori – bello e terribile, ve ne dirò a suo tempo. Era già l’alba quando mi sono assopito, profondamente.
Ricordo che è stato prima di svegliarmi, e ho come l’impressione sia stato un sogno lunghissimo, pieno di accadimenti, dettagli, che non ho voglia di riportare alla mente e rievocare.
Vengo al fatto onirico.

134205232-3b0f0797-530d-4dac-809b-3633092be9c5Anche in questo sogno è la vigilia di Natale, è notte fonda, di un umido freddo: la messa “della comunità dei cristiani” – chissà perché penso questa formula nel sogno – si celebrerà a un’ora indeterminata della notte, in un posto che non è ancora chiaro. Mi aggiro per questo paese che riconosco essere meridionale, mi pare la città di Mesagne, presso Brindisi, è molto vecchia, non ha nulla di moderno è così come poteva apparire 100 anni fa, ma è piena di cattedrali gotiche, guglie, chiese romaniche, barocche, e sono tutte vuote, chiuse, spente.

La città è vuota, illuminata solo da flebili e sporadiche luci giallastre e celestine smerigliate dalla nebbia fluttuante. Sembra una città settecentesca dopo la peste, dove tutti sono scappati, ed è silenzio, desolazione, solitudine e morte. Eppure, paradossalmente – con amarezza lo noto – su alcune rarissime case sono accese delle lucine natalizie.

Giunge alle mie spalle un cardinale, giovane, molto giovane e nero, che sembra conoscermi bene, è vestito come me, da laico, infagottato tra i piumini, le sciarpe, i cappelli di lana. Mi prende sotto braccio, quasi a sedare i brividi di freddo.
«Laddove vedi delle lucine natalizie sulle porte, lì abitano ancora dei cristiani, ma non deve sapere nessuno del significato: è per riconoscerci tra di noi», dice il cardinale nero. Camminiamo, camminiamo in questa città desolata, soli, in cerca di qualcosa, di una meta, di un segno che ci indichi che l’abbiamo raggiunta.

Stiamo cercando una chiesa in particolare, tra tutte quelle, non ne conosciamo il nome, ma avrà delle lucine natalizie accese su una finestrella in cima a un campanile le cui campane, come per le altre chiese, sono state staccate e fuse. Dopo un breve peregrinare la troviamo, è una chiesa tipicamente meridionale, settecentesca, sobria, sulla facciata le statue degli apostoli Pietro e Paolo.

Ci accostiamo di soppiatto, come clandestini. Spunta fuori qualcuno dall’ombra e ci stringiamo spaventati col cardinale: «Non vi spaventate» sussurra quello «sono un cristiano: vi attendevamo».

All’improvviso mi rendo conto che in questo panorama desertificato e silente, non sono triste, ma sprizzo gioia da tutte le parti, persino i brividi di paura si fanno vibrazioni positive. Questo fare da braccati, quest’atmosfera di proibito, questa sensazione di essere eversivi, mi eccita. Ma perché c’è quest’aria? Ancora non ne sono del tutto consapevole, nel sogno.

L’omino ci fa strada nel buio, ci porta alle spalle della chiesa e ci apre una porticina che affonda nell’asfalto. «Qui la chiamiamo grotta, è sotto la chiesa, ci riuniamo lì, sono tutti lì: vi aspettano» sussurra pianissimo, come qualcuno potesse sentirci.

Ci curviamo e scendiamo, ho un sentore di cera che brucia nel mentre. Quando all’improvviso sento un’aria tellurica, calda e fresca insieme che mi carezza il volto: mi trovo dinanzi a un’amplissima antica sala rupestre, risalente ai primi secoli so, placcata di maioliche lise e lustre opera di monaci basiliani dell’epoca. E illuminata da centinaia di candele, solo candele, ciascuno ne porta una.

ul«Mastino… Mastino… è il Mastino, è vivo», sento dire a destra e manca. E lo pronunciano come un gran sollievo, sono quasi rassicurati dalla mia presenza. Mi si accostano, mi sento abbracciare forte, prendono le mie mani, è tutta gente che sta aspettandosi qualcosa di grosso da me. Man mano che mi si avvicinano, alla luce della candela che portano, distinguo tanti volti sconosciuti e soprattutto conosciuti: sono cattolici, amici cattolici del mio facebook, gente che ho conosciuto tramite i miei scritti, che interagisce con me su internet e anche fuori.

«I vecchi, dove sono i vecchi?» chiedo a tutti questi presenti, giovani tutti quanti: «Sono morti, Mastino, sono stati i primi ad essere abbattuti: siamo rimasti solo noi perché potevamo correre e nasconderci».

Sento i loro cuori, che battono all’unisono nel silenzio e poi dico a tutti “Ascolto il vostro cuore”. E loro tacciono e danno voce solo al battito cardiaco che mi trasmette il suo messaggio unanime. Osservo i loro sguardi: hanno la stessa espressione di quando, in tempi senza cellulare, ti perdevi in una città sconosciuta e lontana, e ti sembrava di affogare nell’angoscia e nel panico, e dopo tanto penare e vagare d’improvviso ti imbattevi, come una grazia celeste, nel volto di uno che conoscevi. Un amico di antica data. Ecco, questo sento nei loro sguardi che mi puntano: cercano la speranza.

«Mastino, che notizie porti da Roma?» mi domandano in coro, in un moto di angoscia collettiva. «Roma è distrutta, il papa è morto, la tomba di Pietro è vuota». Sento pianti sommessi nella folla. E adesso cosa succede?, mi chiedono smarriti. Il giovane cardinale nero che nessuno sembra conoscere, fa un gesto come a dire, “non ti esporre tu, adesso parlo io”.
«Ora succederà come successe all’inizio e tante volte è successo: festeggeremo il santo natale dei cristiani in questa grotta segreta, finalmente tra di noi, solo noi suoi seguaci di Lui: siamo rimasti in pochi». Qualcuno posa ai suoi piedi una casula ricavata da una tovaglia, delle suppellettili “sacre” ricavate in qualche cucina, compreso del vino e dei pezzi di pane un po’ flosci e schiacciati a mano.

Tutti gli sguardi – sto vedendo solo gli occhi, nella penombra – si spostano dal cardinale su di me: «Siamo i primi cristiani un’altra volta, non gli ultimi: come diceva Tertulliano il nostro sangue è semenza, e ci moltiplicheremo. Questa è una catacomba, sopra e sotto di noi ci sono morti. Pietro non muore, ed è qui», indico il cardinale, Habemus Papam! «Ora con gioia celebreremo questa nostra natività!». Una grande euforia si propala nell’aula catacombale, la gioia esplode, ci sentiamo tutti una famiglia davvero, come i primi apostoli, è bellissimo essere cristiani clandestini, delle catacombe, solo noi, e siamo tutti quanti: c’è l’entusiasmo di quando si deve cominciare insieme a creare una grande cosa con lo spirito dei pionieri. Ci facciamo battute l’un l’altro sul fatto che se mettiamo la testa fuori può darsi ce la tagliano, che se ci beccano ci fanno la pelle a tutti. Ma la gioia non si spegne, anzi si fa ilarità: persino della morte si ride, a crepapelle. Siamo i primi di nuovo, non gli ultimi.
Il cardinale che ormai è Pietro siede a capotavola e noi tutti intorno, a condividere la mensa e la sorte di Cristo.

Ci addormentiamo tutti felici nella navata della chiesa superiore, svuotata di tutto, ogni altare divelto, senza più immagini sante, il sancta sanctorum violato, pieni di fervore, invasati di Spirito, e contenti all’idea che bisognerà staccarsi in gruppi e fondare ovunque piccole chiese domestiche. Nella certezza che domani si sarebbero fatte di nuovo cattedrali. E la vita sarebbe tornata nella città. Così come Pietro nella nuova Roma.
A questo punto mi sveglio. Sereno.

Svegliandomi mi sono ricordato di quanto sulla mia pagina facebook avevo scritto nel giorno dell’Immacolata, vedendo le immagini di una chiesa immersa nel buio, dove si celebra a lume di candela, nella notte, nel cuore di New York, e scrissi:

Una chiesa nella notte: la catacomba metropolitana

Una chiesa nella notte:
la catacomba metropolitana
E non ero avvilito, guardando quelle immagini crepuscolari, ma pieno di eccitazione: pensate l’entusiasmo, il calore di alcuni cristiani redivivi banditi dalle nazioni della terra che debbono incontrarsi come ladri nella notte, riunirsi a lume di candela nelle viscere della terra da clandestini, e tutti insieme così poveri, soli e perseguitati cantare la gloria di Dio e la gioia di essere cristiani, nella certezza comunque del trionfo finale. Sentendosi, quei superstiti, per la prima volta davvero fratelli in Cristo, nella “sventura” che unisce, nasce l’amicizia e un’allenza tra uomini perfettamente liberi e perfettamente soli.

Le catacombe non sono una disgrazia, sono invece il luogo della grazia: dove davvero tutto si dà a Cristo, ed essendo rimasti senza più nulla in mano, Gesù ti restituisce la gioia in terra e mette da parte un tesoro per te in cielo.

IO NON HO PAURA, non delle catacombe: ci si divertirebbe un casino. E ci si salverebbe gioendo e piangendo. Ho paura delle demogogie e della chiesa predicata dai sermoni di Scalfari e dai vescovi tedeschi: sazia e indifferente, borghese, burocratica, conformista, populista e senz’anima. Piena di paura e triste: perduta in questo mondo e nell’altro.

Mentre contemplavo e pensavo tutto questo, la Basilica dell’Apostolo era sommersa dalle abbaglianti oscene luci del mondo alla rovescia, mentre, quella chiesa borghese e populista, gli apriva oltre che le braccia le gambe.

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