Una riflessione per i consacrati ...
«Il
sacerdote deve essere tutto di Dio; la Chiesa per questo lo riveste di una
lunga tunica. L'abito sacerdotale deve mostrare che il ministro sacro quasi non
ha corpo, è volto a Dio con tutte le sue forze, e cerca solo la salvezza delle
anime.
Ora, se l’abito talare ha una forma secolaresca, se il capo è coltivato
mondanamente con i ciuffi (e magari i riccioli ed i profumi), se di sotto ad
una succinta sottana fanno mostra i calzoni, che cosa rappresenta più un
sacerdote per il popolo?
Quell’esteriore non lo raccomanda, ed in se stesso è
un segno troppo evidente di poco spirito e poca rinunzia al mondo. Se si veste
mondanamente, spegne la sua luce, e mostra in sé tutt'altro che la corsa
dell'anima verso Dio.
Il sacerdote dunque col suo abito talare, lungo,
composto, povero ma pulito, col suo mantello che lo avvolge come se avesse le
ali ripiegate, pronte al volo, col capo segnato dalla croce del Redentore, col
corpo composto, spirante ordine e modestia, con gli occhi bassi, alieni
assolutamente da ogni malsana curiosità, passa nel mondo proprio come un
angelo, dà un senso di pace e di conforto, dà un senso di speranza nelle
angustie della vita perché egli rappresenta la carità, e passa come lampada che
illumina, dissipando con la sua sola presenza le tenebre degli errori.
La grandezza
sacerdotale non può rimanere celata, non è un brillante sepolto nella miniera,
deve rifulgere innanzi a tutti nell'atteggiamento e nella vita del sacerdote,
poiché egli è la lampada posta sul candelabro ed è come città edificata sulla
cima dei monti.
Or, come il carattere sacro lo distingue nettamente dagli altri
uomini, così deve distinguerlo l'abito e la vita, ed egli deve essere
rifulgente di splendori soprannaturali. Non può dire che l'esteriorità non
conta nulla, né può accomunarsi agli usi del mondo con la scusa che l'abito non
fa il monaco; l'abito non lo fa ma lo rivela, e possiamo dire anche che lo
aiuta internamente. Un soldato che non veste la divisa non si sente soldato;
“subcoscientemente” si sente ancora libero cittadino, e non avverte la sua
fusione al corpo militare cui appartiene come parte di un tutto inseparabile.»
("Nei
raggi della grandezza e della vita sacerdotale"
di
Dain Cohenel - pseudonimo di don Dolindo Ruotolo –
per
gentile concessione de La stola non è un optional, neanche sotto la casula)
Nessun commento:
Posta un commento