mercoledì 16 dicembre 2015

l' apicoltura per l' anima

Tace, fuge et quiesce



Spesso ho notato che i grandi apicoltori del XIX e della prima metà del XX secolo furono tutti religiosi o sacerdoti (cattolici e non). Alcuni amici apicoltori mi hanno ribattuto - non senza una certa dose di cinismo - che si trattava di uomini "stipendiati" che potevano permettersi questo "passatempo". In verità la storia è differente. Erano uomini solitari. Avevano una visione contemplativa del creato, della campagna, della meravigliosa disciplina sociale delle api. L'apicoltore è un uomo che ama la solitudine, ma una solitudine frequentata da un'enorme quantità di esseri animati, da numerose creature, da colori, profumi, luce, suoni... Dismette per le sue ore con le api il linguaggio umano, ritorna ad essere parte di un altro ordine, e questo lo rende più forte, più vivo, lo carica di energie uniche. E la natura, il dialogo silenzioso con le api, diventa la sua preghiera.

Racconta l'abbé Warré nel suo famoso volume "L'apiculture pour tous" (1922):

"Quando sento le api ronzare fra le foglie, sogno, con una dolce emozione, che cantino allo stesso modo di quelle che ascoltavo nella mia infanzia, nel giardino di mio padre. Le api hanno questo di buono: sembrano sempre essere le stesse. Gli anni passano, si diventa vecchi, si vedono gli amici scomparire, le rivoluzioni cambiare il volto delle cose, le illusioni crollare l'una dopo l'altra, e, nonostante tutto, fra i fiori, le api che abbiamo conosciuto nell'infanzia modulano le stesse frasi musicali con la stessa voce fresca. Il tempo non sembra far presa su di loro, e visto che si nascondono per morire, che non assistiamo mai alla loro agonia, possiamo immaginare quasi che abbiamo sempre dinanzi agli occhi le stesse che hanno incantato la nostra prima giovinezza, e anche quelle che durante la nostra lunga esistenza, ci hanno procurato le ore più piacevoli e le amicizie più rare. Come ha detto un amante della natura: beato colui che a sera, disteso nell'erba presso l'apiario, in compagnia del suo cane, ha udito il canto delle api mescolarsi al cri-cri dei grilli, al sussurro del vento fra gli alberi, allo scintillio delle stelle, al cammino lento delle nuvole!"

Il vecchio Madonnoc 

"Voi sapete, miei piccoli amici, come i monaci, con la fede in Dio e nella sua chiesa, portavano anche la civiltà, insegnando le lettere e le arti, l'industria e l'agricoltura.

Volete conoscere chi portò in Irlanda l'apicoltura e l'industria del miele? Fu Madonnoc, discepolo di San David. Ecco come avvenne il fatto. Questo Madonnoc da principio era un uomo tutt'altro che santo, anzi era uno di quegli uomini rozzi e grossolani, che non incontrano mai le simpatie delle gente per bene. Ma dopo che fu alla scuola di S. David divenne uno dei suoi migliori discepoli, e passò tutta la sua vita in un monastero, ad accudire agli alveari e i monaci raccoglievano ogni anno quantità enormi di miele che distribuivano ai poveri ed agli ammalati.


Ormai vecchio e ricco di tanti meriti, Madonnoc domandò al suo superiore di ritornare in Irlanda, sua patria. Lo credereste? tutte le api del monastero di s. David lo seguirono... egli ritornò due e tre volte al monastero per riportare le migliaia di animaletti ai loro alveari, ma non ci fu verso. Dovette lasciarle in pace e accontentarsi che lo seguissero. Ve l'immaginate questo sant'uomo, curvo sul suo bastone, con quell'accompagnamento di sciami d'api?
Così anche l'Irlanda conobbe l'apicultura, che divenne poi una vera ricchezza per il paese.
Il vecchio Madonnoc continuò fino alla morte a raccogliere il miele ed a spalmare con esso il pane da offrire ai poverelli di Cristo ...


da "Santi e animali" edito dalla Figlie della Chiesa, 1947, testo di Domenico Casagrande

S. Rita:
"Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.


E un giorno mentre la piccola riposava all'ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po' più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L'uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio" http://santiebeati.it/search/jump.cgi?ID=32950

 

Il POZZO, LE API E LA VITE
Superate le due porte di entrata, salendo ci si trova vicino al POZZO, dove S. Rita attingeva l'acqua per l'orto, la cucina, le pulizie. Ella visse qui servendo Dio e la comunità con una vita povera, spesa nella preghiera e nell'esecuzione di lavori manuali. Guardandosi intorno si gode di trovarsi in un luogo così semplice.


Dalla parte opposta del pozzo, sul muro, a fianco della porta e del finestrone del refettorio, si possono notare qua e là dei piccoli fori; abitati dalle cosiddette API MURARIE.


Nel 1628 UrbanoVIII fece portare a Roma una di queste api per poterla osservare. Ogni anno vengono viste nel periodo primaverile mentre lavorano, entrano ed escono da questi fori sul muro. La pietà popolare le ha collegate con il fioretto delle api avvenuto a Roccaporena pochi giorni dopo la nascita di Rita. Mentre dormiva nella culla alcune api si radunarono sul visino della bimba. I genitori spaventati volevano scacciarle, ma videro che le api non facevano alcun male alla loro piccola.


La VITE rigogliosa che qui si può ammirare produce ogni anno uva bianca. E' diventata il simbolo dell'obbedienza di S. Rita e della sua fecondità spirituale; lei infatti, come dice il vangelo d Giovanni, unita a Gesù, vera vite, è un tralcio che produce molti frutti. La tradizione dice che mentre Rita era novizia la superiora le chiese di innaffiare per obbedienza una pianta secca, che si trovava nel giardino. Rita lo fece umilmente giorno per giorno.


La pianta riprese a vivere. Nel 1700 si cominciò ad affermare che la pianta secca che riprese a vivere per l'obbedienza di S. Rita era una vite. Quella che si vede qui ha più di 200 anni. 

Dal sito http://www.santaritadacascia.org/santuario/monastero.htm 




Nessun commento:

Posta un commento