sabato 7 aprile 2012

pasqua di morte e risurrezione

TRIDUO PASQUALE


Omelia

“Lo Spirito del Signore è su di me. Egli mi ha mandato ad annunziare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori afflitti e a promulgare l’anno di misericordia del Signore”.
Questa espressione, che viene da molto lontano, ci raggiunge questa sera e, come nella sinagoga, dove Gesù è presente, noi possiamo dire oggi: questa Parola si realizza qui.
Di chi parlava il profeta? Di un uomo di pace. I governatori, i re, erano soliti governare con forza, con pugno di ferro; invece quest’uomo, che si sente investito dal vento dello Spirito, viene a portare una lieta notizia: è colui che cura i cuori piagati, che promulga l’anno giubilare, che è un anno di sospensione di ogni debito (ne avremo bisogno particolarmente in questi tempi), viene - dirà Gesù di se stesso - non a spezzare la canna incrinata, non a spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta, non ad alzare in piazza la sua voce: non ha gli attributi del potere che si afferma con la forza, ma è un oceano di dolcezza. Questa parola, che di bocca in bocca, fratelli e sorelle, è passata come un sogno - Verrà mai questo sovrano che governerà come un pastore il suo gregge, che non approfitterà, che non sarà uomo di potere? - dopo secoli, quell’uomo viene, è venuto, è Gesù di Nazareth. Questa sera lo diciamo con tutta la forza della nostra voce e della nostra fede. Quest’uomo, che viene investito dallo Spirito, che può dire in una maniera unica e irripetibile: “Lo Spirito Santo, lo Spirito del Padre è su di me”, è Gesù di Nazareth. E Lui è venuto per noi, è venuto a consolarci. Persone che ci portano cattive notizie ne troviamo a iosa, ce ne sono tante nelle nostre giornate e nelle nostre settimane, non parliamo dei quotidiani e dei messaggi che ci raggiungono attraverso tanti mezzi di comunicazione, e invece abbiamo bisogno di una buona notizia, abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che siamo salvi, e questa sera, fratelli e sorelle, confratelli nel Presbiterato, questa sera questo annuncio risuona per la nostra Chiesa di Teano-Calvi e per noi qui riuniti e raggiunge, in una maniera come solo Dio sa fare, misteriosa, anche i gruppi singoli, sparsi sul territorio enorme della nostra Diocesi e li raggiunge con una consolazione senza causa. Tanti, in questo momento, anche distratti, presi da tante cose o oppressi da tante pene, riceveranno un alito di sollievo: glielo otteniamo noi - può sembrare presuntuosa questa espressione - non “noi”, ma noi qui riuniti intorno a Gesù che ripete: “Oggi questa parola che voi avete ascoltata si adempie”. È l’“oggi” della Liturgia, è l’“oggi” della Chiesa, perché questa celebrazione della Messa Crismale è il modo che Gesù ha di consolare la Sua Chiesa e di consolare in particolare voi, presbiteri, che avreste tanti motivi per essere oppressi, perché i peccati delle persone che vengono a confessarsi, che avete accolto nelle tante liturgie penitenziali, ma soprattutto di questi ultimi giorni, vi pesano sul cuore. Ebbene, a voi viene dato un annuncio di consolazione: la Chiesa è questo, è la casa della consolazione, è la casa dove possono rifugiarsi tutti, qualsiasi siano i loro trascorsi, è la casa sempre aperta, è la casa di tutti, è la Casa di Dio, è la Casa di Gesù. La Chiesa è il Cuore di Cristo.
La Chiesa, in questa celebrazione della Messa Crismale, viene rifatta daccapo, come ricompattata, perché l’abitudine, perché i nostri peccati, perché le nostre disattenzioni, perché le lontananze di tanti sembrano sfaldare il nostro corpo. È così difficile dire: “Questa è la Chiesa”. Stasera possiamo dirlo senza presunzione, perché siamo tutti poveri, ma arricchiti gratuitamente per pura grazia. La Chiesa è il luogo dove Gesù ancora opera, nella Chiesa ancora si perpetua l’opera di salvezza del Figlio inviato dal Padre nella pienezza dello Spirito, che muore e risorge, come ci accingiamo a celebrare nel Triduo di cui la Messa Crismale è il grande portale, il grande pronao.
Com’è la nostra Chiesa? - ci viene da dire. Ma all’atto in cui si formula questa domanda, so che si insinua una tentazione: la tentazione di contarci, di dire che siamo una piccola Chiesa, una piccola Diocesi, pur su un territorio esteso, la tentazione di contare i presbiteri, di guardare l’età media che, grazie a Dio, sta scendendo con l’ingresso di giovani presbiteri, ma rimane ancora molto alta. Ogniqualvolta, nell’Antico Testamento, i re hanno avuto la tentazione di contare i componenti del popolo, poi si sono pentiti: è come fare un affronto a Dio. Ma non si tratta di una conta quella che il Vescovo, umilmente e poveramente, ma anche risolutamente, vorrebbe porre in questo momento, quanto l’occasione di un rilancio, cioè dalla Messa Crismale dobbiamo ripartire tutti - oggi si ama dire - “grintosi” (non è un termine proprio liturgico, ma esprime bene la voglia di andare nel mondo, di fare cose grandi nel nome del Signore: Voi farete cose più grandi di me). A volte, i ministri della Chiesa - vescovi, presbiteri e diaconi, ministri ordinati - vivono la tentazione che quello che fanno sia del tutto inutile: stiamo a mantenere aperti dei baluardi, delle avanguardie di una guerra persa. In realtà questa guerra è già vinta, carissimi presbiteri. Allora il vostro Vescovo Arturo vi invita a riprendere l’entusiasmo del vostro primo sì - alla fine dell’omelia tutti noi saremo chiamati a rinnovare le promesse della nostra Ordinazione: “Sì, lo voglio” - lo vogliamo dire con maggiore forza; siamo consapevoli, man mano che passano gli anni, delle nostre precarietà, delle nostre incorrispondenze, delle ferite che inevitabilmente il tempo colleziona sulla nostra pelle, nella nostra memoria e nel nostro cuore, ma nonostante tutto il Signore ci conferma la Sua grazia.
“Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedech”: è detto a Gesù e di Gesù, con le parole del salmo, ma questa espressione è risuonata con particolare entusiasmo nei giorni della nostra giovinezza e deve risuonare nuovamente come un grido di battaglia, nel senso buono del termine, come un’avanzata che dobbiamo operare insieme perché il mondo sia salvo. Vorrei dire, a voi sacerdoti, che il mondo vi aspetta. Magari questa espressione, quando eravamo in seminario, ci faceva pensare che fuori le porte del seminario (per noi, in via Petrarca 115 o del Seminario di Capodimonte o di Benevento), tanti stessero lì incolonnati per confessarsi. Magari 20’anni fa, 30’anni fa, 50’anni fa poteva essere ancora così; ora sembra che il mondo non ci aspetti, che addirittura ci ignori, eppure Gesù - e Lui solo - salva il mondo. E lo salva attraverso degli strumenti, e questi strumenti siamo noi, perché il Signore ama utilizzare strumenti poveri per fare cose grandi. Uno strumento troppo luminoso forse impedirebbe un atto di fede profondo, e invece siamo povera gente, siamo povera umanità, siamo poveri come voi, carissimi fratelli e sorelle, ma investiti di un Ministero, come dice Paolo, investiti di una grazia che ci fa essere gli stessi e al tempo stesso diversi da come eravamo e da come saremmo stati se non fossimo passati attraverso la prostrazione, sul marmo di questa Cattedrale o delle chiese dove siamo stati ordinati, e attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione del Vescovo che ci ha ordinati e che ciascuno di noi ricorderà nella preghiera, stasera e domani, nella Messa in Coena Domini.

Ho trovato un’espressione di un poeta e drammaturgo viennese, Hofmannsthal, che ha anche collaborato con Strauss per molte opere e melodrammi e che, trovata per caso, mi è poi rimbombata nel cuore e ha scavato dei cunicoli nella mia riflessione. Questo poeta dice: “Ciò che è profondo dev’essere nascosto. Dove? - si chiede - In superficie”. È paradossale questa espressione, ma credo che possa esprimere bene quella che è la vita sacramentale della Chiesa, perché i Sacramenti nella loro evidenza, sono fatti di parole, di gesti e di cose molto umili, molto feriali. Pensate all’acqua del Battesimo, al pane e al vino per l’Eucarestia (domani è la festa dell’Eucarestia e già vi siamo introdotti, con i Primi Vespri, con questa celebrazione), pensate all’Olio degli Infermi, all’Olio dei Catecumeni, al Crisma, che saranno consacrati qui: elementi che appartengono alla nostra vita, così feriali che si fa fatica a tematizzarli, tanto appartengono alla nostra cultura e alla nostra vita quotidiana. Ecco la superficialità - mi sono detto. Gesù ha voluto nascondere la profondità in superficie. Questo non vale solo per l’Olio degli Infermi, che benediremo e che raggiungerà tanti sofferenti nel corpo e nello spirito durante questo anno, non riguarda solo l’Olio dei Catecumeni, che sarà un segno preparatorio per la celebrazione del Battesimo, non riguarda solo l’Olio e il profumo del Crisma per il Battesimo, per la  Cresima e per l’Ordine Sacro, ma riguarda anche noi, le nostre vite di presbiteri, di diaconi e di vescovi.
Come siamo? Posso parlare di me. Ricordo, per farvi sorridere, una Messa in Coena Domini nella mia parrocchia, quando ero giovane e pimpante. Mi permisi di chiedere perdono alla mia comunità, perché noi preti eravamo diversi sull’altare (gli altri erano più anziani di me, avanti negli anni): “Forse non siamo così come dovremmo essere”. Quando tornai in sacrestia, un prete che poi è diventato amico negli ultimi anni della sua vita e che ho accompagnato alla morte, come altri, mi disse: “Parla per te!”. Allora parlo di me, facendo memoria della lezione di Don Alfredo - si chiamava così e starà sorridendo dal Paradiso questo sacerdote un po’ duro, ma dentro buonissimo, come tutte le persone dure, d’altra parte - proprio per evitare che qualcuno dei miei presbiteri possa dire: “Parla per te!”. Allora parlo di me.
Il vostro Vescovo è povero. Questa povertà dei segni sacramentali è anche la povertà di cui siamo fatti noi, di cui sono fatto io. Voi vorreste un Vescovo altissimo, atletico… I preti avrebbero tante cose da dire: “Vorrei un Vescovo così!”, perché noi - sono tuttora prete anch’io - sui nostri vescovi proiettiamo sempre le nostre attese, spesso smisurate. Quindi vorreste un Vescovo alto due metri, un cestista, uno che viene a tutti i pranzi (mi è impedito anche da un punto di vista di salute, perché un pranzo potrebbe tenermi a letto anche per un’intera settimana). Vorreste un Vescovo più perfetto, più vicino forse, più intraprendete, e invece vi è capitato questo Vescovo, purtroppo, e voi dovete fare un atto di fede, perché questa materia, che è il Vescovo, è una materia povera. Ma in questa superficialità si nasconde una profondità, che non è più la mia, ma è la profondità di Gesù Pastore, di Gesù Vescovo delle nostre anime, come dice un Prefazio, di Gesù che si occupa di noi, che ci salva. Avrebbe potuto farlo senza questa mediazione? Tutto avrebbe potuto fare, ma ha scelto la via della incarnazione. E la via dell’incarnazione implica il tuffarsi della storia, e la storia è fatta di persone simpatiche, antipatiche, che parlano poco, che fanno una predica breve (come voi vorreste) o di persone che, quando parlano, si lasciano andare e non pensano più all’orologio, come il sottoscritto. Purtroppo vi è capitato un Vescovo così, ma questa è la superficialità: andiamo a fondo. È come se in questa celebrazione, nella benedizione degli oli, voi guardaste i recipienti, l’olio e il profumo: Ma a casa mia ho anche profumi migliori nella mia sala da bagno! Sì, eppure attraverso questi poveri segni si manifesta una potenza. In questo senso l’espressione di questo poeta viennese di fine Ottocento, di inizio Novecento, mi ha colpito. Bisogna nascondere la profondità. Dove? Nella superficialità. Magari prendetelo anche - lo dico per farvi sorridere e per attirare la vostra attenzione - come espediente dove nascondere le cose preziose: se le mettete in cassaforte, certamente le ruberanno; se invece le mettete così, da qualche parte, su un comodino, il ladro viene e dice: Sarà impossibile che questo è oro!, e andrà a cercarlo in qualche posto più nascosto, più recondito, in qualche cassaforte, e invece sta lì. Allora, per nascondere le cose preziose, bisogna metterle nella superficialità. Sembra un verso contraddittorio, ma vi ho colto una luce, per quella che è la vita della Chiesa, perché la Chiesa respira della Parola di Dio, che è essa stessa un sacramento e dei sacramenti. E se noi non respiriamo con tutti e sette questi polmoni - e oggi molti sono in crisi d’asma o in apnea - noi non viviamo la Chiesa, cioè abbiamo bisogno del Battesimo, ma abbiamo bisogno anche dell’Eucarestia, abbiamo bisogno - e fa tanto problema - di confessarci di tanto in tanto; abbiamo bisogno del Sacramento dell’Unzione, abbiamo bisogno che Dio benedica il nostro amore, abbiamo bisogno di manifestare alla Chiesa la nostra volontà e di sottoporla al vaglio della Chiesa per essere diaconi, presbiteri: questa è la vita della Chiesa. La vita della Chiesa è scandita dai Sacramenti. Allora l’augurio che vi faccio, carissimi fratelli e sorelle laici, è che bussiate spesso alle porte delle vostre parrocchie per chiedere la celebrazione dei Sacramenti, e ci auguriamo che i presbiteri siano sempre più entusiasti di offrirveli, certamente non come una merce e neanche come tappe sociologiche, ma di offrirvele dopo congrua catechesi, dopo debita preparazione, come una ricchezza che essi hanno nelle loro mani ma che non è per loro, ma per voi! La Chiesa i doni che ha li offre al mondo.

Concludo augurando ai presbiteri di essere narratori. C’è bisogno di riprendere questa voglia di narrare il Vangelo. Agli Esercizi Spirituali che abbiamo fatto la scorsa settimana con 115 persone (c’erano anche molti di voi qui presenti), abbiamo impiegato tre giorni per ascoltare la Parola, la storia di Giuseppe venduto dai fratelli,  per narrarla e per trovare in questa storia specchi che potessero rimandarci luce sul nostro vissuto. Ecco, noi abbiamo bisogno di cantastorie. Chiedete ai vostri preti - lo so, queste esperienze non vi vengono quasi mai -: “Parlateci di Gesù, raccontateci il Vangelo, leggiamo insieme un brano del Vangelo”. Non andate a chiedere una Messa… Il Sacramento… Guai se non accade secondo i vostri desiderata, ma andate a chiedere di narrarvi la storia di Gesù, perché la Chiesa vive di questa narrazione. Il grande filosofo, anche se non credente, Martin Heidegger, dice dei filosofi e dei poeti, in tempi di crisi: “Ma a che servono i poeti, a che servono i filosofi in tempo di crisi? - e noi siamo in un tempo di crisi - A ridestare la nostalgia della patria perduta”.

Carissimi presbiteri, il vostro povero Vescovo vi augura di essere questi narratori che fanno rinascere, riattizzano, in questo tempo di deserto che stiamo attraversando e in questo tempo di esilio, la nostalgia della patria perduta.   

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Messa Crismale S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Teano, 4 aprile 2012

Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto dall’autore.

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