lunedì 30 aprile 2012

SAN GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO

30 APRILE
SAN GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO
sacerdote


Nacque a Bra (Cuneo) nel 1786. Canonico del Corpus Do­mini in Torino, dove fu ispirato da Dio a iniziare la Piccola Ca­sa della Divina Provvidenza per il ricovero di incurabili, di handicappali, di quanli non trovavano altre possibilità di aiuto. Fondò congregazioni di sacerdoti, di religiosi e di suo­re per assistere i poveri nella Casa Madre e in numerose succursali sparse in ltalia e all'estero.  Fidando unicamente nella Provvidenza, chiamò i suoi figli, con la parola e con l'esempio, alla «lo­de perenne» della preghiera. Morì a Chieri (Torino) il 30 aprile 1842.

seconda lettura Dai Discorsi di s. Giuseppe Benedetto Cottolengo (De virtutibus. tomo 7, vol. 10, fol. 12)
Fiducia nella Divina Provvidenza
Le persone sagge e prudenti secondo le stolte idee del mondo non mettono già la loro totale confiden­za nella Divina Provvidenza, ma nella loro industria, cura e sollecitudine, nelle loro facoltà, nell'appoggio degli amici e dei figliuoli, come appunto li descrive con queste parole il profeta: Essi confidano nella loro forza; si vantano della loro grande ricchezza (Sal 48, 7).
Ma stolte e pregiudicate si devono dire tali per­sone, perché non dovrebbero confidare in se stes­se, non negli amici, i quali d'ordinario dacché sono giunti a occupare posti più alti, o a possedere più ampie sostanze, non li mirano più con occhio di amore; non nella loro figliuolanza, che perlopiù ama assai più le paterne sostanze; non nei grandi del secolo e in qualsivoglia altra persona del mon­do, nelle quali, secondo l'avviso di Davide, non v'ha salute e speranza di sicuro soccorso; non nella for­tuna che gli possa ridere piacevole in faccia, per­ché quell’ instabile ruota spesso pesta sotto il grave peso di mille infelicità colui che poco prima per l'auge di felicità l'innalzava fin sopra le stelle; non nelle ricchezze che presto sfuggono dopo un lam­po di brevissima durata; non nelle forze del loro in­gegno che sovente per giusto voler di Dio si cam­bia in oscurità e densa caligine; non negli onori che come fumo si dissipano veloci; e infine non in qual­sivoglia altra sorgente temporale per essere tutte vanità e inconsistenza. Nella sola Divina Provvi­denza confidar deve l'uomo, sicuro che questa nel governo universale del mondo non manca, né man­cherà mai; in questa si deve sperare, su di questa come su di sodo e immobile fondamento si deve poggiare, a questa pienamente affidarsi, e su di es­sa gettare ogni pensiero, desiderio e speranza, giu­sta l'importante avviso che ce ne dà il profeta: Get­ta nel Signore il tuo affanno (Sal 54, 23). Con que­sto non intendo dire che il ricco si spogli pie-na­mente delle sue ricchezze; che nessun conto faccia degli amici colui che per buona sorte ne ha, ma ve­ri amici; e che non debba prendersi l'uomo alcuna briga e interessamento per la sua salute e vantaggi temporali; no, non questo intendo; anzi si deve e procurare e conservare con grazia tutto il suddet­to; ma solo intendo rimproverare coloro che più si fidano degli appoggi temporali che del soccorso di­vino.
L'uomo si affatichi pure quanto gli piace, stenti e sudi per rendere stabile la sua casa e formare le sue fortune; se Iddio non benedice dall'alto, e con la sua provvidenza non Io seconda e lo sostiene, in breve ogni tesoro accumulato si disperderà qual polvere al vento e, come una casa fondata sulla re­na, cadrà ogni sua felicità. Lo disse già il salmista: Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode (Sal 126, 1).

responsorio Sal 30, 15-16: 24, 2
In te la mia speranza, Signore; io dico: Tu sei il mio Dio, * nelle tue mani tutti i miei beni. Alleluia.
Mio Dio, in te confido, che io non sia confuso:
nelle tue mani tutti i miei beni. Alleluia.

oppure: Dai Sermoni di san Massimo di Torino, vescovo (Sermone 27; trad. F. Gallego, Ed. Paoline 1975, p. 104)
 L'elemosina è un fruttuoso affare
Giorni fa abbiamo rimproverato quei chierici che praticano il commercio, applicando loro una giusta sentenza. E tuttavia, se ben consideriamo, anche il nostro ufficio è una specie di negozio: il ministero sacerdotale è come un commercio spirituale.
Infatti noi spendiamo i beni terreni per guada­gnare quelli celesti, eroghiamo denari mondani per acquistare ricchezze eterne, sostentiamo altri col nostro digiuno perché le nostre vettovaglie non pe­riscano, ma crescano. Rifocilliamo i poveri, rive­stiamo gli ignudi, visitiamo i carcerati, perché quan­to vien loro elargito non è perduto, ma viene in cer­to modo messo da parte con interesse per il dona­tore.
Il povero affamato è un tesoro per il ricco: non consuma, ma custodisce l'elemosina che gli hai da­ta. Il corpo muore, l'uomo ritorna polvere, ma l'opera santa sopravvive e nel giorno del giudi-zio colui che non era capace di procurarsi il cibo sarà capace di testimoniare per te: non sarà testimonio idoneo delle proprie azioni, ma subito sarà credu­to quando parlerà delle tue opere.
Vedi dunque se non è vero che l'elemosina è un affare!
Ciò che doni all'amico è perduto per te, ciò che lasci ai figli è perduto per te;
non avrai perduto sol­tanto ciò che avrai donato al mendicante.
Nel giorno del giudizio ti aiuteranno i poveri, menire gli amici e i figli non potranno aiutarti:
quelli prenderanno le tue difese, questi non potran neppure difendere se stessi.

oppure: seconda lettura  Dalle Lettere decretali del Papa Pio XI, con le quali sono attribuiti al beato Giuseppe Benedetto Cottolengo gli onori dei santi (AAS 27 [1935] 209-210)
Confidando nella Divina Provvidenza si mostrò perfetto modello di carità
II Figlio unigenito di Dio, che è venuto nel mon­do affinchè il mondo si salvasse per mezzo di lui e che, nel corso della sua vita mortale, passò facen­do del bene e sanando ogni malattia e ogni infer­mità nel popolo, ci ammonisce di non preoccupar­ci del vitto né del vestito — Dio infatti sa che di tutte queste cose abbiamo bisogno — e ci ha altresì dato il suo nuovo comandamento, secondo il quale «chi ama Dio deve amare anche il proprio fratel­lo», ed ha anzi comandato di amare il prossimo co­me se stessi, di essere misericordiosi com'è miseri­cordioso il Padre cele-ste, ordinando ai ricchi in par­ticolare di dare ai poveri ciò che hanno in soprappiù. Allo scopo precipuo di evangelizzare i poveri e di sollevarli nelle loro necessità e nei dolori di ogni genere, il Signore suscitò in tutti i secoli pas­sati uomini e donne di grande santità, i quali, in­fiammati dalla carità di Cristo e pienamente fedeli ai suoi esempi, hanno servito tutti i poveri e mise­ri, considerandoli signori e padroni, per elevare le loro anime alla speranza e all'amore dei beni cele­sti. Tra di essi non c'è dubbio che si sia particolarmente distinto il beato Giuseppe Bene-detto Cottolengo. [...] Egli infatti, seguendo fedelmente le or­me e i consigli di Gesù Cristo, non solo diede ai poveri il superfluo, ma si spogliò di tutte le sue co­se per soccorrerli; anzi, oppo-nendosi ai detti della sapienza umana e a quell'aiuto che se ne può spe­rare, raccolse insieme coloro che erano oppressi da ogni sorta di infelicità, li nutrì, li curò, in essi rav­visando l'immagi-ne viva del Cristo e unicamente confidando nella Divina Provvidenza, la quale soc­corse le sue opere in modo mirabile e molto spes­so anche con interventi di ordine soprannaturale. Vivendo in questo modo egli si dimostrò perfetto modello di carità e, defunto, parla ancora in quel­la mirabile «Piccola Casa della Divina Provviden­za», da lui istituita a Torino, la quale, per ispira­zione del Padre delle misericordie, onora somma­mente la Chiesa di Cristo fino ai nostri giorni con le nobili opere della sua carità.
Pertanto, a buon diritto, Noi con la grazia di Dio l'abbiamo elevato agli onori dei Santi, affinchè egli sia per l'intera società umana, di cui ha tanto ben meritato, un esempio adattissimo non soltanto da contemplare, ma soprattutto da imitare, sia nel­l'esercizio della carità di Cristo verso tutti i poveri e i miseri, sia nel riporre assoluta fiducia nella Di­vina Provvidenza.

responsorio Mt 25, 35.40: Pro 19. 17
Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero fore-stiero e mi avete ospitato: * quello che avete fatto al più pic­colo dei miei fratelli, l'avete fatto a me.
Chi fa la carità al povero, fa un prestito al Si­gnore:
quello che avete fatto al più piccolo dei miei fra­telli, l'avete fallo a me.

orazione       Dio, nostro Padre, nella tua provvidenza tu soccorri quelli che si affidano a te. Concedi a noi, per la preghiera di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, di dedicarci al servizio dei poveri e di ottenere il regno che hai promesso a chi spende la vita facendo del bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

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