Chi voglia
conoscere il probabile futuro di quel che resta della nostra civiltà,
cerchi nelle sale cinematografiche marginali, o in rete, il film
documentario di Erik Gandini La teoria svedese dell’amore. L’autore è un
italo svedese, che osserva il paese in cui vive con l’occhio
disincantato del reporter, ma anche con lo spirito dell’ospite
proveniente da una diversa cultura. La Svezia è stata per una
generazione di italiani una specie di paese dei sogni: donne bellissime,
bionde e disinibite pronte a concedersi ed un sistema di sicurezza
sociale pressoché perfetto, in grado di assistere i cittadini, come si
diceva, dalla culla alla tomba. La verità è molto lontana, anzi si può
affermare che la nazione guida del mondo nordico è un igienico,
sterilizzato, lindo inferno, popolato da spettri. La sonata degli
spettri è il titolo di una delle più famose opere di August Strindberg,
il maggior scrittore e drammaturgo svedese, autore anche di Danza di
morte, oltreché dei famosi ed angoscianti Il pellicano e La signorina
Giulia.
La chiave per comprendere la Svezia
contemporanea è la socialdemocrazia, che domina da circa un secolo,
anche se negli ultimi venticinque anni ha spesso dovuto cedere il
governo a forze liberali, le quali non hanno saputo, o voluto,
intaccarne il sistema sociale, né contestarne i principi ispiratori. La
socialdemocrazia nordica regna sulle macerie del luteranesimo boreale,
chiuso e introverso come solo al Nord poteva diventare l’ansiogena
teoria della predestinazione e della salvezza per sola fede dell’ex
monaco agostiniano. Un protestantesimo ottusamente moralistico ha
improntato la Scandinavia per diversi secoli ed ha poi ceduto di
schianto all’alba del Novecento. La terra di duri contadini e coraggiosi
uomini di mare si è convertita ad un socialismo materno, fatto di tasse
altissime e di un efficiente sistema di protezione sociale che ha
avvolto corpo ed anima degli svedesi. Uguaglianza dogmatica, Stato mamma
che pensa a tutto: istruzione, tempo libero, asilo, pensione,
assistenza.
Esentato dalle preoccupazioni pratiche,
lo svedese medio ha via via rinunciato a pensare, forse ad “essere”. Poi
arrivò Olof Palme, socialdemocratico fautore di un marxismo
individualista, ucciso misteriosamente nel 1986, che lanciò una parola
d’ordine: indipendenza individuale. Nel manifesto La famiglia del
futuro, programmò una nazione di figli che non dovevano dipendere dai
genitori e viceversa, di coniugi distaccati l’uno dall’altro, di malati
che non dovevano aspettarsi nulla dai parenti. Un paradiso per solitari,
eremiti e misantropi, come misogino fu Strindberg.
Il risultato: oltre la metà degli
svedesi vive da sola; oltre una donna su quattro concepisce i figli
senza un compagno fisso (non si dica un marito…) attraverso
l’inseminazione artificiale, per evitare relazioni sentimentali definite
inutili o fastidiose. Morire nella più completa solitudine è
comunissimo, tanto che non pochi svedesi versano denaro sui conti
dell’ente preposto per saldare in anticipo il debito delle spese
funerarie. Si è anche verificato il caso di un suicida che ha pagato per
tempo, da bravo cittadino, il costo del disturbo che avrebbe arrecato
alle pubbliche istituzioni con il suo gesto. Si vive da soli, si muore
nell’indifferenza di tutti, si esce di casa adolescenti (non ci sono
bamboccioni, per la gioia di madama Fornero), si lavora in silenzio.
Un conoscente di chi scrive, ex
informatico della multinazionale Ericsson, non riusciva ad adattarsi,
nelle sue trasferte a Stoccolma, all’atteggiamento dei colleghi locali:
chiusi in se stessi sino all’ostilità, poco inclini al dialogo,
infastiditi dalla vicinanza fisica di un intruso pieno di domande, a
debita distanza l’uno dall’altro anche in mensa, tra tavolini ad un
posto. Chi ha letto Orwell non fa fatica a riconoscere la triste vita
degli impiegati del Partito nel grande palazzone da cui si dirigeva la
distopica Oceania. Purtroppo, lassù è realtà, e viene il magone ad
immaginare le tante bionde Ingrid ed Ulla sognate dai giovani italiani
di qualche decennio fa, vecchie e sole spegnersi in un lindo trilocale,
magari con la TV accesa, senza il conforto di un figlio, o almeno di un
pastore luterano, e neppure di un assistente sociale, ma con la busta
per le spese in bella vista nel salotto.
Con la compilazione di appositi moduli
burocratici, in Svezia si può ottenere tutto, tranne la vicinanza,
l’affetto, in fin dei conti la vita. Spinoza parlò di passioni tristi:
quella, ossessiva, per l’indipendenza è ben più che triste: è la
trasformazione di una comunità in un igienico, sterilizzato, lucidato
obitorio. Non c’è da stupirsi, ma da rimanere atterriti, se pensiamo
alle lunghe notti nordiche, al buio, al freddo persistente, vissute in
una solitudine immaginata come liberazione. Un piccolo aneddoto, narrato
dalle radio: l’arbitro di una partita di calcio svedese ha espulso un
calciatore (è la verità) per… peti rumorosi. Osiamo immaginare che se il
giocatore vichingo avesse bestemmiato, l’arbitro non avrebbe battuto
ciglio: del resto, la Svezia ex protestante è in coda alle classifiche
della pratica religiosa (esclusi, beninteso, gli immigrati islamici e la
piccola comunità cattolica) ed il primate della chiesa locale è una
donna vescovo, coniugata con rito religioso ad un pastore luterano donna.
E’ dinanzi a questi campioni di vita
cristiana che Jorge Mario Bergoglio andrà presto ad omaggiare Lutero,
eretico sino a ieri, nelle commemorazioni per il prossimo V centenario
della riforma.
L’organizzazione nordica resta
efficiente anche tra le scartoffie dello Stato sociale: in Scandinavia
esiste la più grande banca dello sperma del mondo, in cui sono
conservati, alla giusta temperatura (i ghiacci aiutano) ben 170 litri di
sperma umano, prodotti dalle, diciamo, prestazioni gratuite o a
pagamento dei giovani nordici. Interrogati per una coscienziosa e
scientifica statistica, la maggior parte di loro si è detta convinta di
svolgere un servizio sociale a favore delle connazionali. Assoluta è
l’indifferenza per i bambini che nasceranno senza un padre, e che magari
incontreranno un giorno per la strada, senza degnarli di uno sguardo,
esattamente come gli altri esseri umani che incrociano tutti i giorni.
Quanto alle aspiranti madri, ricevono in confezione sigillata e
sterilizzata la siringa ed il contenitore di sperma, da iniettarsi in
una certa posizione del corpo, da mantenere mezz’ora per il buon esito
dell’impresa (zootecnica).
Sensibilissimi alle tematiche di genere,
i governi del Regno consigliano i genitori a non imporre nomi maschili o
femminili, ma neutri, affinché i piccoli svedesi possano scegliere il
loro genere (sesso è parola sospetta, e non per moralismo bacchettone)
in piena libertà. La Reale Accademia della Lingua ha introdotto il
pronome neutro “hen”, per riferirsi a tutti i bambini senza
discriminazioni. Nella vicina Norvegia, peraltro, analoghe pazzie
pedagogiche sono state abbandonate in quanto non hanno funzionato sui
fanciulli ai quali era stato imposto un mese di educazione al maschile
ed uno al femminile.
Fortunatamente in Svezia l’immigrazione è
molto elevata, favorita dal pregiudizio internazionalista dei
socialdemocratici. Diciamo fortunatamente perché i “nuovi svedesi”
sfuggono largamente alla follie descritte. Una premurosa mediatrice
culturale di Stato, nel documentario di Gandini, chiede ai profughi
siriani che segue, non solo di essere puntuali nei loro impegni, ma di
parlare poco con gli svedesi, poiché essi “non amano perdersi in
chiacchiere”.
Non risulta così strano che il
contributo all’arte di un popolo che accetta modi di vita tanto inumani
sia piuttosto modesto. Un gruppo pop molto amato furono gli Abba, i cui
brani, invero, erano ritmati, orecchiabili ed allegri, come il celebre
Fernando. Né si ricordano pittori o scultori eccelsi. Norvegese era
Edvard Munch, l’autore dell’Urlo, metafora di una angosciosa condizione
umana, terrorizzata dal nulla, in cui la vicina Svezia è precipitata.
Bellissimo, peraltro, è un quadro di Carl Larsson, vissuto tra il 1853 e
il 1919, che descrive l’anima profonda della Svezia del suo tempo,
ancora contadina e un po’ paganeggiante, Il sacrificio del Solstizio
d’Inverno.
Al contrario, nel cinema, lo spirito di
quel popolo si è espresso a livelli eccelsi, ma sempre nell’ambito di
una visione della vita cupa, tragica, negativa.
La prima grandissima stella del cinema
fu Greta Garbo, la divina, le cui interpretazioni, algide ed insieme
straordinarie, ne hanno fatto un mito della Settima Arte. Anche lei,
tuttavia, da vera svedese moderna, finita l’epoca d’oro del suo
successo, si rinchiuse in una vita di solitudine ostinata, rifiutando
interviste, fotografie e pubbliche apparizioni. Un genio assoluto fu
Ingmar Bergman, registra e drammaturgo, figlio di un rigido pastore
luterano – nacque nel 1919 – autore di capolavori sul filo dell’angoscia
e della profondità interiore, con pochi dialoghi (era pur sempre uno
svedese) ed immagini stranianti esaltate dal bianco e nero. Nel Posto
delle Fragole, il tema è una meditazione sulla vita e la morte. Quanto
al celeberrimo Settimo Sigillo, si tratta dell’opera drammaticamente
problematica di un ateo che, nondimeno, aveva un forte rapporto con
l’infinito ed il Dio cristiano. I dialoghi tra il Cavaliere e la Morte
sono insieme letteratura ed arte figurativa. Crediamo che oggi,
tuttavia, pochi europei, e quasi nessuno svedese riuscirebbero a vibrare
dinanzi alla domanda fatale, posta dal Cavaliere: “Io voglio sapere.
Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la
mano, mi sveli il suo piano, mi parli”. La risposta della Morte fu “Il
suo silenzio non ti parla? “.
No, l’apparente silenzio di Dio non
parla più agli europei, tanto meno agli svedesi, che accettano di
nascere senza padri, avere figli dei quali poco si interessano e morire
come animali del bosco, ma dopo aver compilato gli appositi moduli e
pagato il relativo ticket. Quanto agli svedesi maschi, è del tutto
sconcertante la propensione ad essere donatori o venditori di sperma e
non padri; forse gli strilli dei piccoli turbano il funereo silenzio
nazionale, forse l’autismo che li ha pervasi è tanto grande da far loro
preferire il sesso solitario. Non ci sono commenti. La loro
multinazionale del mobile, l’IKEA, cerca di esportare una parte del
triste modello della madre patria: mobili squadrati, prevalentemente
geometrici, tutti simili o uguali – è l’economia di scala – di legno
chiaro, che vengono consegnati smontati. Al montaggio deve pensare
l’acquirente: molto nordico essere indipendenti anche nell’arredamento.
Nonostante le premure
socialdemocratiche, non pare che la felicità abiti a Stoccolma: tutte le
rilevazioni sull’alcolismo, la violenza sulle donne, l’abuso di droghe
pongono la Svezia ai vertici mondiali, così come la nera contabilità dei
suicidi. I connazionali di Bjorn Borg e di Niels Liedholm si scatenano
nei fine settimana e possiamo capirli, ma gli eccessi cui si abbandonano
in date stabilite non equilibrano la diffusa inquietudine, l’
incomunicabilità tetra ed il vuoto spirituale non colmati da alcool,
sesso estremo o stupefacenti.
Lo slogan dalla culla alla tomba non
dice il vero. Le culle sono troppo spesso senza padri, e la tomba sembra
un’alternativa migliore che trascinare la vecchiaia e la malattia soli,
senza l’affetto di figli o nipoti, anche se in case pulite e ben
riscaldate o in ospizi perfettamente organizzati. Nel documentario di
Gandini, l’ultima parola spetta a Zygmunt Bauman che scopre l’acqua
calda: meglio l’interdipendenza dell’indipendenza. Ma fu lui a
teorizzare la società liquida, priva di idee, sentimenti e legami forti.
Il rischio che corriamo è diventare, a breve, una Svezia in grande,
senza neppure l’efficienza e la correttezza nordica. Ci sono tutti i
presupposti: un individualismo diffuso e sospettoso, l’orrore per gli
impegni definitivi (figli, matrimonio), la passione triste,
rivendicativa, per un’uguaglianza astratta, l’ateismo pratico, il
desiderio di scambiare vera libertà con false sicurezze.
Dio non voglia che l’alternativa
dell’Europa sia di diventare una enorme Svezia o di finire musulmana.
Tra la nuova sindrome di Stoccolma ed il Ramadan, la scelta sarebbe così
tragica, penosa ed umiliante che forse, davvero, sarebbe meglio la
morte. Da vichinghi, però, a testa alta, e non alimentando in solitaria
mestizia la squallida, igienizzata, batteriologicamente pura banca del
seme della Scandinavia.
ROBERTO PECCHIOLI