MESSA O PIC-NIC?
Pensate, ai tempi del giansenismo per fare la comunione ci voleva un
permesso speciale del proprio direttore spirituale. Palesemente
influenzato dal luteranesimo, tale movimento (che dilagò all’interno del
cattolicesimo nel XVII secolo ma il cui contagio arrivò fino ai primi
decenni del XIX) partiva dal presupposto dell’indegnità umana ad
accostarsi ai sacramenti. Alla fine, poiché, a ben pensarci, è difficile
che uno si ritenga degno, il risultato è lo scoraggiamento. E il
conseguente allontanamento.
Troppo difficile, grazie lo stesso. Il giansenismo colpì duro
soprattutto in Francia, dove i cattolici vivevano a stretto contatto
con i calvinisti ugonotti e le guerre di religione avevano lasciato il
segno. Proprio al culmine dell’eresia (perché questo era), il Sacro
Cuore di Gesù apparve a santa Marguerite Alacoque, a ricordare l’umanità
di Cristo e la sua misericordia. Fieri avversari del giansenismo furono
i soliti gesuiti, l’esercito personale del Papa. Ci volle, come sempre
nella storia del cristianesimo, parecchio tempo prima che la Chiesa
ri-centrasse le cose. Infatti, il timone serve a impedire che la barca
sbandi di qua o di là. Nessuno è degno («Domine, non sum dignus…»), ma la misericordia divina supplisce all’indegnità («…sed tantum dic verbum…»).
I più anziani tra noi forse ricorderanno quando, per poter fare la comunione, bisognava essere digiuni
dalla sera prima. E solo alla fine degli anni Cinquanta si cominciò a
ridurre il limite fino a portarlo a un’ora. Qui è rimasto, anche perché
di meno sarebbe ridicolo e tanto varrebbe abolirlo.
A che serve questo,
pur minimo, limite? Appunto a ricordare, almeno simbolicamente,
l’”indegnità”: è il Corpo di Cristo quello che vai a ingoiare, vera
carne e vero sangue di Dio. Il catechismo invece non ha mai modificato
niente in materia: puoi comunicarti solo se sei «in grazia di Dio», cioè
se sei stato assolto dal confessore. In casi eccezionali puoi
confessarti anche dopo, ma che sia alla svelta, in base alla tua
coscienza (sempre che questa sia «ben formata», cioè cristianamente
edotta e istruita, sennò diventa arbitrio).
Queste sono le regole, e non si dà comunità senza regole: anche in un villaggio di santi i semafori sono
necessari. Tutto ciò si impose alla mia mente quando alla tivù vidi le
prime grandi messe negli stadi, con molti sacerdoti sguinzagliati tra
gli spalti a distribuire la comunione a chiunque tendesse le labbra (poi
le mani). Mi chiedevo: saranno tutti confessati? O, subito dopo, in
migliaia affolleranno i confessionali? Boh. Veniamo all’oggi. Non è vero
che le chiese sono vuote: io, anche in giro per l’Italia, e anche
d’estate, le vedo sempre affollate. E, all’ora della comunione, tutti,
dico tutti, si mettono in fila per comunicarsi. Infatti, in molte chiese
occorrono i “ministri straordinari” per darla, sennò non la finiamo
più.
La domanda è la stessa di prima: saranno tutti «in grazia di Dio»? Ma scaccio il pensiero: chi sono io
per giudicare? Poi, però, leggo lettere accorate di lettori (non solo a
me, ma anche, per esempio, al sito cattolico Aleteia.org), che chiedono
consiglio su, che so, loro parenti divorziati e risposati che si
comunicano tranquillamente, e se viene obiettato loro qualcosa, ti
rispondono giudicando, eccome, te: non hai misericordia, non sei un buon
cattolico, sei privo di amore per il prossimo eccetera. Allora, ecco
che si insinua il dubbio sulla famosa domanda di prima. Papa Francesco
ha chiarito che cosa si intende per «coscienza ben formata». Ma quanti
di quelli che, in massa, vanno a fare la comunione ce l’hanno?
Una mia collega insegnante, buddista, ogni tanto, a seconda dell’estro, si presentava alla messa domenicale
e si comunicava. Perché? Si vergognava di restar seduta mentre tutti
gli altri si mettevano in fila. Ora, la strategia globale della
“misericordia” è ben fondata nel Vangelo. Sì, nella parabola in cui il
re invita gli amici al pranzo di nozze e tutti si defilano perché hanno
altro da fare (Lc 14,21): «Al suo ritorno il servo riferì tutto questo
al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo:
"Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i
poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi". Il servo disse: "Signore, è
stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto". Il padrone allora
disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad
entrare, perché la mia casa si riempia».
Matteo (22, 9) aggiunge: «Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi
e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali». Ma ecco
l’ultima parte della parabola, quella più difficile da digerire
(infatti, viene silenziata nelle omelie): «Il re entrò per vedere i
commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli
disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello
ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e
gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti"».
Giansenismo? No, «coscienza ben formata».
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-ma-la-cena-eucaristica-non-e-un-pic-nic-17262.htm
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