mercoledì 28 settembre 2016

Svezia da sogno

Svezia igienico obitorio d'Europa
Roberto Pecchioli



Chi voglia conoscere il probabile futuro di quel che resta della nostra civiltà, cerchi nelle sale cinematografiche marginali, o in rete, il film documentario di Erik Gandini La teoria svedese dell’amore. L’autore è un italo svedese, che osserva il paese in cui vive con l’occhio disincantato del reporter, ma anche con lo spirito dell’ospite proveniente da una diversa cultura. La Svezia è stata per una generazione di italiani una specie di paese dei sogni: donne bellissime, bionde e disinibite pronte a concedersi ed un sistema di sicurezza sociale pressoché perfetto, in grado di assistere i cittadini, come si diceva, dalla culla alla tomba. La verità è molto lontana, anzi si può affermare che la nazione guida del mondo nordico è un igienico, sterilizzato, lindo inferno, popolato da spettri. La sonata degli spettri è il titolo di una delle più famose opere di August Strindberg, il maggior scrittore e drammaturgo svedese, autore anche di Danza di morte, oltreché dei famosi ed angoscianti Il pellicano e La signorina Giulia.

La chiave per comprendere la Svezia contemporanea è la socialdemocrazia, che domina da circa un secolo, anche se negli ultimi venticinque anni ha spesso dovuto cedere il governo a forze liberali, le quali non hanno saputo, o voluto, intaccarne il sistema sociale, né contestarne i principi ispiratori. La socialdemocrazia nordica regna sulle macerie del luteranesimo boreale, chiuso e introverso come solo al Nord poteva diventare l’ansiogena teoria della predestinazione e della salvezza per sola fede dell’ex monaco agostiniano. Un protestantesimo ottusamente moralistico ha improntato la Scandinavia per diversi secoli ed ha poi ceduto di schianto all’alba del Novecento. La terra di duri contadini e coraggiosi uomini di mare si è convertita ad un socialismo materno, fatto di tasse altissime e di un efficiente sistema di protezione sociale che ha avvolto corpo ed anima degli svedesi. Uguaglianza dogmatica, Stato mamma che pensa a tutto: istruzione, tempo libero, asilo, pensione, assistenza.

Esentato dalle preoccupazioni pratiche, lo svedese medio ha via via rinunciato a pensare, forse ad “essere”. Poi arrivò Olof Palme, socialdemocratico fautore di un marxismo individualista, ucciso misteriosamente nel 1986, che lanciò una parola d’ordine: indipendenza individuale. Nel manifesto La famiglia del futuro, programmò una nazione di figli che non dovevano dipendere dai genitori e viceversa, di coniugi distaccati l’uno dall’altro, di malati che non dovevano aspettarsi nulla dai parenti. Un paradiso per solitari, eremiti e misantropi, come misogino fu Strindberg.

Il risultato: oltre la metà degli svedesi vive da sola; oltre una donna su quattro concepisce i figli senza un compagno fisso (non si dica un marito…) attraverso l’inseminazione artificiale, per evitare relazioni sentimentali definite inutili o fastidiose. Morire nella più completa solitudine è comunissimo, tanto che non pochi svedesi versano denaro sui conti dell’ente preposto per saldare in anticipo il debito delle spese funerarie. Si è anche verificato il caso di un suicida che ha pagato per tempo, da bravo cittadino, il costo del disturbo che avrebbe arrecato alle pubbliche istituzioni con il suo gesto. Si vive da soli, si muore nell’indifferenza di tutti, si esce di casa adolescenti (non ci sono bamboccioni, per la gioia di madama Fornero), si lavora in silenzio.

Un conoscente di chi scrive, ex informatico della multinazionale Ericsson, non riusciva ad adattarsi, nelle sue trasferte a Stoccolma, all’atteggiamento dei colleghi locali: chiusi in se stessi sino all’ostilità, poco inclini al dialogo, infastiditi dalla vicinanza fisica di un intruso pieno di domande, a debita distanza l’uno dall’altro anche in mensa, tra tavolini ad un posto. Chi ha letto Orwell non fa fatica a riconoscere la triste vita degli impiegati del Partito nel grande palazzone da cui si dirigeva la distopica Oceania. Purtroppo, lassù è realtà, e viene il magone ad immaginare le tante bionde Ingrid ed Ulla sognate dai giovani italiani di qualche decennio fa, vecchie e sole spegnersi in un lindo trilocale, magari con la TV accesa, senza il conforto di un figlio, o almeno di un pastore luterano, e neppure di un assistente sociale, ma con la busta per le spese in bella vista nel salotto.

Con la compilazione di appositi moduli burocratici, in Svezia si può ottenere tutto, tranne la vicinanza, l’affetto, in fin dei conti la vita. Spinoza parlò di passioni tristi: quella, ossessiva, per l’indipendenza è ben più che triste: è la trasformazione di una comunità in un igienico, sterilizzato, lucidato obitorio. Non c’è da stupirsi, ma da rimanere atterriti, se pensiamo alle lunghe notti nordiche, al buio, al freddo persistente, vissute in una solitudine immaginata come liberazione. Un piccolo aneddoto, narrato dalle radio: l’arbitro di una partita di calcio svedese ha espulso un calciatore (è la verità) per… peti rumorosi. Osiamo immaginare che se il giocatore vichingo avesse bestemmiato, l’arbitro non avrebbe battuto ciglio: del resto, la Svezia ex protestante è in coda alle classifiche della pratica religiosa (esclusi, beninteso, gli immigrati islamici e la piccola comunità cattolica) ed il primate della chiesa locale è una donna vescovo, coniugata con rito religioso ad un pastore luterano donna.

E’ dinanzi a questi campioni di vita cristiana che Jorge Mario Bergoglio andrà presto ad omaggiare Lutero, eretico sino a ieri, nelle commemorazioni per il prossimo V centenario della riforma.

L’organizzazione nordica resta efficiente anche tra le scartoffie dello Stato sociale: in Scandinavia esiste la più grande banca dello sperma del mondo, in cui sono conservati, alla giusta temperatura (i ghiacci aiutano) ben 170 litri di sperma umano, prodotti dalle, diciamo, prestazioni gratuite o a pagamento dei giovani nordici. Interrogati per una coscienziosa e scientifica statistica, la maggior parte di loro si è detta convinta di svolgere un servizio sociale a favore delle connazionali. Assoluta è l’indifferenza per i bambini che nasceranno senza un padre, e che magari incontreranno un giorno per la strada, senza degnarli di uno sguardo, esattamente come gli altri esseri umani che incrociano tutti i giorni. Quanto alle aspiranti madri, ricevono in confezione sigillata e sterilizzata la siringa ed il contenitore di sperma, da iniettarsi in una certa posizione del corpo, da mantenere mezz’ora per il buon esito dell’impresa (zootecnica).

Sensibilissimi alle tematiche di genere, i governi del Regno consigliano i genitori a non imporre nomi maschili o femminili, ma neutri, affinché i piccoli svedesi possano scegliere il loro genere (sesso è parola sospetta, e non per moralismo bacchettone) in piena libertà. La Reale Accademia della Lingua ha introdotto il pronome neutro “hen”, per riferirsi a tutti i bambini senza discriminazioni. Nella vicina Norvegia, peraltro, analoghe pazzie pedagogiche sono state abbandonate in quanto non hanno funzionato sui fanciulli ai quali era stato imposto un mese di educazione al maschile ed uno al femminile.

Fortunatamente in Svezia l’immigrazione è molto elevata, favorita dal pregiudizio internazionalista dei socialdemocratici. Diciamo fortunatamente perché i “nuovi svedesi” sfuggono largamente alla follie descritte. Una premurosa mediatrice culturale di Stato, nel documentario di Gandini, chiede ai profughi siriani che segue, non solo di essere puntuali nei loro impegni, ma di parlare poco con gli svedesi, poiché essi “non amano perdersi in chiacchiere”.

Non risulta così strano che il contributo all’arte di un popolo che accetta modi di vita tanto inumani sia piuttosto modesto. Un gruppo pop molto amato furono gli Abba, i cui brani, invero, erano ritmati, orecchiabili ed allegri, come il celebre Fernando. Né si ricordano pittori o scultori eccelsi. Norvegese era Edvard Munch, l’autore dell’Urlo, metafora di una angosciosa condizione umana, terrorizzata dal nulla, in cui la vicina Svezia è precipitata. Bellissimo, peraltro, è un quadro di Carl Larsson, vissuto tra il 1853 e il 1919, che descrive l’anima profonda della Svezia del suo tempo, ancora contadina e un po’ paganeggiante, Il sacrificio del Solstizio d’Inverno.

Al contrario, nel cinema, lo spirito di quel popolo si è espresso a livelli eccelsi, ma sempre nell’ambito di una visione della vita cupa, tragica, negativa.

La prima grandissima stella del cinema fu Greta Garbo, la divina, le cui interpretazioni, algide ed insieme straordinarie, ne hanno fatto un mito della Settima Arte. Anche lei, tuttavia, da vera svedese moderna, finita l’epoca d’oro del suo successo, si rinchiuse in una vita di solitudine ostinata, rifiutando interviste, fotografie e pubbliche apparizioni. Un genio assoluto fu Ingmar Bergman, registra e drammaturgo, figlio di un rigido pastore luterano – nacque nel 1919 – autore di capolavori sul filo dell’angoscia e della profondità interiore, con pochi dialoghi (era pur sempre uno svedese) ed immagini stranianti esaltate dal bianco e nero. Nel Posto delle Fragole, il tema è una meditazione sulla vita e la morte. Quanto al celeberrimo Settimo Sigillo, si tratta dell’opera drammaticamente problematica di un ateo che, nondimeno, aveva un forte rapporto con l’infinito ed il Dio cristiano. I dialoghi tra il Cavaliere e la Morte sono insieme letteratura ed arte figurativa. Crediamo che oggi, tuttavia, pochi europei, e quasi nessuno svedese riuscirebbero a vibrare dinanzi alla domanda fatale, posta dal Cavaliere: “Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, mi sveli il suo piano, mi parli”. La risposta della Morte fu “Il suo silenzio non ti parla? “.

No, l’apparente silenzio di Dio non parla più agli europei, tanto meno agli svedesi, che accettano di nascere senza padri, avere figli dei quali poco si interessano e morire come animali del bosco, ma dopo aver compilato gli appositi moduli e pagato il relativo ticket. Quanto agli svedesi maschi, è del tutto sconcertante la propensione ad essere donatori o venditori di sperma e non padri; forse gli strilli dei piccoli turbano il funereo silenzio nazionale, forse l’autismo che li ha pervasi è tanto grande da far loro preferire il sesso solitario. Non ci sono commenti. La loro multinazionale del mobile, l’IKEA, cerca di esportare una parte del triste modello della madre patria: mobili squadrati, prevalentemente geometrici, tutti simili o uguali – è l’economia di scala – di legno chiaro, che vengono consegnati smontati. Al montaggio deve pensare l’acquirente: molto nordico essere indipendenti anche nell’arredamento.

Nonostante le premure socialdemocratiche, non pare che la felicità abiti a Stoccolma: tutte le rilevazioni sull’alcolismo, la violenza sulle donne, l’abuso di droghe pongono la Svezia ai vertici mondiali, così come la nera contabilità dei suicidi. I connazionali di Bjorn Borg e di Niels Liedholm si scatenano nei fine settimana e possiamo capirli, ma gli eccessi cui si abbandonano in date stabilite non equilibrano la diffusa inquietudine, l’ incomunicabilità tetra ed il vuoto spirituale non colmati da alcool, sesso estremo o stupefacenti.

Lo slogan dalla culla alla tomba non dice il vero. Le culle sono troppo spesso senza padri, e la tomba sembra un’alternativa migliore che trascinare la vecchiaia e la malattia soli, senza l’affetto di figli o nipoti, anche se in case pulite e ben riscaldate o in ospizi perfettamente organizzati. Nel documentario di Gandini, l’ultima parola spetta a Zygmunt Bauman che scopre l’acqua calda: meglio l’interdipendenza dell’indipendenza. Ma fu lui a teorizzare la società liquida, priva di idee, sentimenti e legami forti. Il rischio che corriamo è diventare, a breve, una Svezia in grande, senza neppure l’efficienza e la correttezza nordica. Ci sono tutti i presupposti: un individualismo diffuso e sospettoso, l’orrore per gli impegni definitivi (figli, matrimonio), la passione triste, rivendicativa, per un’uguaglianza astratta, l’ateismo pratico, il desiderio di scambiare vera libertà con false sicurezze.

Dio non voglia che l’alternativa dell’Europa sia di diventare una enorme Svezia o di finire musulmana. Tra la nuova sindrome di Stoccolma ed il Ramadan, la scelta sarebbe così tragica, penosa ed umiliante che forse, davvero, sarebbe meglio la morte. Da vichinghi, però, a testa alta, e non alimentando in solitaria mestizia la squallida, igienizzata, batteriologicamente pura banca del seme della Scandinavia.

ROBERTO PECCHIOLI

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