mercoledì 28 settembre 2016

la pandemica crisi della Chiesa

BENEDETTO ASETTICO

 Cristina Siccardi

Ultime conversazioni di Benedetto XVI, a cura di Peter Seewald Siamo di fronte a memorie, riflessioni, commenti di un professore e di un funzionario in riposo che ha lavorato nella Chiesa, più che servito la Chiesa.
 
I testamenti, sia notarili che spirituali, si aprono post mortem. Ma oggi, nell’età mediatica e delle interviste, esistono i testamenti di chi è ancora vivo. Le Ultime conversazioni di Benedetto XVI (Papa emerito è omesso), a cura di Peter Seewald (edito in Italia da Garzanti e uscito in edizione speciale per «Corriere della Sera»), vengono proposte come «testamento spirituale, il lascito intimo e personale del papa che più di ogni altro è riuscito ad attirare l’attenzione sia dei fedeli sia dei non credenti sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo». Così è scritto sull’aletta di copertina di questo bestseller, uscito ieri in contemporanea mondiale e che lascia un profondo amaro in bocca. Siamo di fronte a memorie, riflessioni, commenti di un professore e di un funzionario in riposo che ha lavorato nella Chiesa, più che servito la Chiesa.
 
È un libro che disincanta.
Si tratta di un testo molto importante, da consigliare soprattutto a chi si era illuso che con Benedetto XVI si sarebbe potuti “tornare a casa”, alla Fede autentica. È un libro che procura dolore cocente; ma è fondamentale, perché parla a chi non avesse ancora compreso che le cause della pandemica crisi della Chiesa sono da rintracciare nel Concilio Ecumenico Vaticano II, al quale il giovane Joseph Ratzinger, formatosi sulla teologia d’avanguardia, partecipò in qualità di consulente teologico del Cardinale Josef Frings. Con palese evidenza emerge che al Concilio vinsero i progressisti. «Cosa l’ha affascinata di più dello scenario conciliare?», chiede l’intervistatore:
«Anzitutto, semplicemente, l’universalità del cattolicesimo, la sua pluralità, il fatto che uomini provenienti da tutte le parti della Terra si incontrassero, uniti nello stesso ministero episcopale, e potessero parlare, cercare una strada comune. Per me fu poi enormemente stimolante incontrare figure della levatura di Lubac – anche solo parlare con lui – di Daniélou, di Congar. O anche discutere con i vescovi. La pluralità e l’incontro con personaggi eminenti, che inoltre avevano la responsabilità di prendere le decisioni, furono davvero esperienze indimenticabili» (p. 122).


Egli era allineato nello schieramento progressista: «All’epoca essere progressisti non significava ancora rompere con la fede, ma imparare a comprenderla meglio e viverla in modo più giusto, muovendo dalle origini. Allora credevo ancora che tutti noi volessimo questo. Anche progressisti famosi come Lubac, Daniélou e altri avevano un’idea simile. Il mutamento di tono si percepì già il secondo anno del Concilio e si è poi delineato con chiarezza nel corso degli anni successivi». Se tutti gli effetti hanno una causa è chiaro che furono proprio i Lubac, i Daniélou, i Congar a far deragliare il treno della Chiesa, portando corruzione dottrinale, dissacralità, disordine, insubordinazioni.
 

È un libro che impressiona
L’atteggiamento rispetto al Concilio, già nel corso degli anni Sessanta, muta in Ratzinger, ma le sue critiche non vengono risolte, poiché egli ha da allora in poi ricercato l’errore nell’interpretazione dei testi, nell’applicazione dei testi e mai nei testi stessi. Benedetto XVI è un convinto assertore della libertà religiosa, dell’ecumenismo, della collegialità, evidenti elementi di frattura con la Chiesa preconciliare.


Le sue esternazioni del 1966 al Katholikentag di Bamberga tracciano un bilancio che esprime scetticismo e disillusione postconciliare. Un anno dopo, durante una lezione a Tubinga, ammonisce che la fede cristiana è circondata «dalla nebbia dell’incertezza come mai prima nella storia». Perché? «La volontà dei vescovi era quella di rinnovare la fede, di renderla più profonda. Tuttavia fecero sentire sempre più la loro influenza anche altre forze, specialmente la stampa che diede una interpretazione del tutto nuova a molte questioni. A un certo punto la gente si chiese: se i vescovi possono cambiare tutto perché non possiamo farlo anche noi? La liturgia cominciò a sgretolarsi scivolando nella discrezionalità e fu ben presto chiaro che qui le intenzioni positive venivano spinte in un’altra direzione. Dal 1965, quindi, sentii che era mio compito mettere in chiaro che cosa davvero volevamo e che cosa non volevamo» (p. 135).


È un libro che mette a nudo le considerazioni del Papa emerito
Tutto, per Benedetto XVI, rientra in una dinamica evolutiva di hegeliana memoria. Come non fare, allora, riferimento al rigoroso libro che Mons. B. Tissier de Mallerais pubblicò nel 2012 (Editrice Ichthys), “La strana teologia di Benedetto XVI: ermeneutica della continuità o rottura?”. Leggendo questo saggio si potranno offrire risposte serie e adeguate al modo con cui Papa Ratzinger riesce ancora oggi, con la tragedia ecclesiastica e cattolica in corso, risolvere i rimorsi di coscienza sorti con l’Assise.
«Certo, ci chiedevamo se avevamo fatto la cosa giusta. Era una domanda che ci ponevamo, specialmente quando tutto si scardinò. Il cardinale Frings più tardi ebbe forti rimorsi di coscienza. Io, invece, ho sempre mantenuto la consapevolezza che quanto avevamo detto e fatto approvare era giusto e non poteva essere altrimenti. Abbiamo agito in modo corretto, anche se non abbiamo valutato correttamente le conseguenze politiche e gli effetti concreti delle nostre azioni. Abbiamo pensato troppo da teologi e non abbiamo riflettuto sulle ripercussioni che le nostre idee avrebbero avuto all’esterno» (pp. 135-136).
Tutto ciò ha condotto ad una Passione della Chiesa senza precedenti, che senza intervento divino sarà impossibile risolvere. I tronfi teologi, che hanno manovrato e guidato il Concilio pastorale Vaticano II hanno deliberatamente rivoluzionato un ordine che per duemila anni di storia si era alimentato, con i suoi tralci, direttamente alla Vite, Cristo. «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 15, 5-10).
 

È un libro dal sapore pirandelliano
Pare incredibile, per un credente, che di fronte allo scempio religioso, spirituale ed etico attuali non ci sia, da parte del papa che ha rinunciato alla sua responsabilità di Sommo Pontefice, nessun tipo di reazione né scandalizzata e neppure sofferta… Lo sguardo è asettico: egli si pone come il ricercatore che osserva il fenomeno, prende atto della situazione e invece di guardare ai rimedi, ovvi, della Tradizione della Chiesa, sostiene la sua autodistruzione a vantaggio di uno sviluppo avanzante della cultura, della filosofia, della teologia, della sociologia e, dunque, della Chiesa. Il mondo cambia e la Chiesa è tenuta a mutare, secondo un disegno rivoluzionario. Ultimo Papa del vecchio mondo o primo del nuovo? «direi entrambi […] io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato» (p. 218). Benedetto XVI è uno, nessuno, centomila. Non offre certezze dottrinali e dogmatiche. Sono giunte le problematiche conseguenze del Vaticano II? Non è dipeso dai progressisti, perché essi hanno agito «in modo corretto». Così facendo la coscienza cattolica viene soffocata. Urge il mondo, non il sopramondo.


Nel libro appare, fra gli «scandali più inflazionati», ovvero fra pedofilia ecclesiastica e caso Vatileaks, la revoca della scomunica al Vescovo Richard Williamson (oggi fuori dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X), scandalo secondo il quale il Papa avrebbe riaccolto nella Chiesa un negazionista dell’Olocausto. Il mondo ebraico insorse e con esso il quarto potere. Tuttavia il libro rende adesso tutto pirandellianamente chiaro:
«Williamson non fu mai cattolico né ci fu una riabilitazione della Fraternità. Anzi, il tema del rapporto tra il mondo ebraico e quello cristiano è tra quelli che stanno più a cuore di Ratzinger. Senza di lui, affermò Israel Singer, segretario generale del Congresso ebraico mondiale dal 2001 al 2007, non sarebbe stata possibile la determinante svolta storica nei rapporti bimillenari tra Chiesa cattolica ed ebraismo. Rapporti che, riassume Maram Stern, vicepresidente del Congresso ebraico mondiale, sotto il pontificato di Benedetto XVI sono stati i migliori di sempre» (p. 15).
«Fan» di Giovanni XXIII, «complementare» a Giovanni Paolo II, fra un riso e l’altro, come registra spesso lo scrittore e giornalista Seewald, Benedetto XVI offre in questo contesto un messaggio religioso cristiano incerto, svuotato, terribilmente orizzontale.
Operazione mediatica planetaria di una Chiesa in grande difficoltà, sotto il governo di Francesco, che cerca di coprirsi con l’appoggio di Benedetto XVI? «Io sono un’autorità su come far pensare la gente» afferma Charles Foster Kane, protagonista e magnate dell’editoria del film Quarto potere (1941) di Orson Welles.


http://www.riscossacristiana.it/scriptorium-recensioni-rubrica-quindicinale-di-cristina-siccardi-240916/ 

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