mercoledì 25 marzo 2015

fallimenti del papa

Il fallimento pastorale di Leone XIII




(di Roberto de Mattei) Leone XIII (1878-1903) è stato certamente uno dei più importanti Papi dell’epoca moderna, non solo per la lunghezza del suo pontificato, secondo solo a quello del Beato Pio IX, ma soprattutto per la vastità e la ricchezza del suo Magistero. Questo insegnamento comprende encicliche fondamentali, come la Aeterni Patris (1879) sulla restaurazione tomista della filosofia, la Arcanum (1880) sull’indissolubilità del matrimonio, l’Humanum genus (1884) contro la massoneria, l’Immortale Dei (1885) sulla costituzione cristiana degli Stati, la Rerum Novarum (1891) sulla questione operaia e sociale.
Il Magistero di Papa Gioacchino Pecci ci appare come un corpus organico, in continuità con gli insegnamenti del suo predecessore Pio IX e del suo successore Pio X. La reale svolta e novità del pontificato leonino riguarda invece la politica ecclesiastica e l’atteggiamento pastorale nei confronti della modernità. Il governo di Leone XIII fu caratterizzato infatti dall’ambizioso progetto di riaffermare il Primato della Sede Apostolica attraverso una redifinizione dei suoi rapporti con gli Stati europei e la riconciliazione della Chiesa con il mondo moderno. La politica di ralliement, ovvero di riavvicinamento con la Terza Repubblica francese, massonica e laicista, ne costituì il cardine.
La Terza Repubblica conduceva una violenta campagna di scristianizzazione, soprattutto in campo scolastico. Per Leone XIII, la responsabilità di questo anticlericalismo stava nei monarchici che combattevano la Repubblica in nome della loro fede cattolica. In tal modo essi provocavano l’odio dei repubblicani contro il cattolicesimo. Per disarmare i repubblicani, bisognava convincerli che la Chiesa non era avversa alla Repubblica, ma solo al laicismo. E per convincerli, egli riteneva che non ci fosse altro mezzo che appoggiare le istituzioni repubblicane.
In realtà la Terza Repubblica non era una repubblica astratta, ma la repubblica centralizzata e giacobina figlia della Rivoluzione francese e il programma di laicizzazione della Francia non era un elemento accessorio, ma la ragione d’essere stessa del regime repubblicano. I repubblicani erano tali perché anticattolici. Essi nella Monarchia odiavano la Chiesa, allo stesso modo in cui i monarchici erano antirepubblicani perché erano cattolici e nella Monarchia amavano la Chiesa.
L’enciclica Au milieu des sollicitudes del 1891, con cui Leone XIII lanciò il ralliement, non chiedeva ai cattolici di divenire repubblicani, ma le direttive della Santa Sede ai nunzi e ai vescovi, provenienti dello stesso Pontefice, interpretavano la sua enciclica in questo senso. Nei confronti dei fedeli fu esercitata una pressione senza precedenti, fino a far credere loro che chi continuava a sostenere pubblicamente la monarchia commetteva un peccato grave. I cattolici si spaccarono nelle due correnti dei “ralliés” e dei “réfractaires”, come era accaduto nel 1791, all’epoca della Costituzione civile del clero.
ralliés accolsero le indicazioni pastorali del Papa perché attribuivano alle sue parole infallibilità in tutti i campi, compreso quello politico e pastorale. I réfractaires, che erano cattolici di migliore formazione teologica e spirituale, opposero invece una resistenza alla politica di ralliement, ritenendo che in quanto atto pastorale essa non poteva essere considerata infallibile e quindi poteva essere erronea.
Jean Madiran, che ha svolto una lucida critica del ralliement (in Les deux démocraties, NEL, Paris 1977), ha osservato che Leone XIII domandava ai monarchici di abbandonare la monarchia in nome della religione per condurre più efficacemente la battaglia in difesa della fede. Ma lungi dal combattere questa battaglia, egli praticò con il ralliement una rovinosa politica di distensione con i nemici della Chiesa. Malgrado l’impegno di Leone XIII e del suo segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro, questa politica di dialogo fallì clamorosamente, non riuscendo ad ottenere gli obiettivi che si proponeva.
L’atteggiamento anticristiano della Terza Repubblica aumentò di violenza, fino a culminare nella Loi concernant la Séparation des Eglises et de l’Etat del 9 dicembre 1905, nota come “legge Combes”, che sopprimeva ogni finanziamento e riconoscimento pubblico alla Chiesa; considerava la religione solo nella sua dimensione privata e non in quella sociale; stabiliva che i beni ecclesiastici erano incamerati dallo Stato, mentre gli edifici del culto venivano affidati gratuitamente a delle “associations cultuelles” elette dai fedeli, senza l’approvazione della Chiesa. Il Concordato del 1801, che per un secolo aveva regolato i rapporti tra la Francia e la Santa Sede, e che Leone XIII aveva voluto preservare ad ogni costo, andava miseramente in frantumi.
La battaglia repubblicana contro la Chiesa trovò però sulla sua strada il nuovo Papa, Pio X, eletto al soglio pontificio il 4 agosto 1903. Con le encicliche Vehementer nos dell’11 febbraio 1906, Gravissimo officii del 10 agosto dello stesso anno, Une fois encore del 6 gennaio 1907, Pio X, coadiuvato dal suo segretario di Stato Raffaele Merry del Val, protestò solennemente contro le leggi laiciste, sollecitando i cattolici ad opporvisi con tutti i mezzi legali, al fine di conservare la tradizione e i valori della Francia cristiana. Di fronte a questa fermezza, la Terza Repubblica non osò attuare fino in fondo la persecuzione, per evitare la creazione di martiri, e rinunziò a chiudere le chiese e imprigionare i preti.
La politica senza concessioni di Pio X si rivelò lungimirante. La legge di separazione non fu mai applicata con rigore e l’appello del Papa contribuì a una grande rinascita del cattolicesimo in Francia, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. La politica ecclesiastica di san Pio X, opposta a quella del suo predecessore, rappresenta, in ultima analisi, una inappellabile condanna storica del ralliement.
Leone XIII non professò mai gli errori liberali, anzi li condannò esplicitamente. Lo storico tuttavia non può non rilevare una contraddizione tra il Magistero di Papa Pecci e il suo atteggiamento politico e pastorale. Nelle encicliche Diuturnum illudImmortale Dei e Libertas, egli ribadisce e sviluppa la dottrina politica di Gregorio XVI e di Pio IX, ma la politica di ralliement, contraddiceva le sue premesse dottrinali. Leone XIII, al di là delle sue intenzioni, incoraggiò, sul piano della prassi, quelle idee e quelle tendenze che condannava sul piano della dottrina. Se alla parola liberale attribuiamo il significato di un atteggiamento dello spirito, di una tendenza politica, alle concessioni e al compromesso, bisognerà concludere che Leone XIII ebbe spirito liberale.
Questo spirito liberale si manifestava soprattutto come il tentativo di risolvere i problemi posti dalla modernità, attraverso le armi della negoziazione diplomatica e dei compromessi, piuttosto che con l’intransigenza dei principi e la battaglia politica e culturale. In questo senso, come ho mostrato nel mio recente volume Il ralliement di Leone XIII. Il fallimento di un progetto pastorale (Le Lettere, Firenze 2014), le principali conseguenze del ralliement, più che di ordine politico, furono di ordine psicologico e culturale. A questa strategia si richiamò il “Terzo Partito” ecclesiastico che nel corso del Novecento cercò di trovare una posizione intermedia tra modernisti e antimodernisti che si contendevano il campo.
Lo spirito di ralliement al mondo moderno rimase per oltre un secolo, e resta ancora, la grande tentazione a cui è esposta la Chiesa. Sotto questo aspetto un Papa di grande dottrina come Leone XIII commise un grave errore di strategia pastorale. La forza profetica di san Pio X sta al contrario nell’intima coerenza del suo pontificato tra la Verità evangelica e la vita vissuta dalla Chiesa nel mondo, tra la teoria e la prassi, tra la dottrina e la pastorale, senza nessun cedimento alle lusinghe della modernità. (Roberto de Mattei)
http://www.corrispondenzaromana.it/il-fallimento-pastorale-del-ralliement-di-leone-xiii/

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